LA GUERRA DEL BIAFRA: A MEZZO SECOLO DALL’APOCALISSE NIGERIANA

di Giuliano Da Frè -

 

La rivoluzione istituzionale della Nigeria operata dal generale Yacubu Gowon portò, nella primavera del 1967, alla creazione di una federazione di dodici piccoli Stati. Il nuovo uomo forte non immaginava, però, che il dinamico Biafra avrebbe chiesto la secessione. Il conseguente conflitto divenne uno dei teatri caldi della Guerra Fredda.

Il quadro strategico

Soldati del Biafra

Soldati del Biafra

Indipendente dal 1960, fin da subito la Nigeria – forte delle discrete infrastrutture ereditate dalla Gran Bretagna (di cui il paese era colonia dal 1901), dell’industria petrolifera, e dei suoi cinquanta milioni di abitanti – si era proposta come il gigante dell’Africa Nera subsahariana. Sul piano militare il Paese si era dotato di un discreto apparato, che tuttavia ben presto iniziò a creare problemi a una struttura politica di marca anglosassone, i cui punti di riferimento risiedevano in un federalismo mutuato dalla realtà etnica e tribale locale, nel parlamentarismo e nell’equilibrio tra i poteri.
Nel 1963 era stato eletto quale primo presidente della Repubblica (dopo che per tre anni la Nigeria aveva riconosciuto il ruolo di capo di Stato alla regina Elisabetta II d’Inghilterra) un intellettuale che aveva guidato la pacifica marcia verso l’indipendenza e che già dal 1960 era governatore generale: Nnamdi Azikiwe. Il 15 gennaio 1966, tuttavia, approfittando di un suo lungo tour all’estero, un gruppo di militari guidati dal generale Aguiyi-Ironsi attuò un golpe che portò alla decapitazione dei vertici politici del paese (tra le vittime anche il primo ministro), ma che finì per innescare un periodo di torbidi.
Nel maggio 1966 un violento pogrom contro la minoranza degli Igbo, nel sud della Nigeria, provocò 30.000 morti, mentre in un secondo colpo di stato Aguiyi-Ironsi fu ucciso, sostituito dal giovane generale Yacubu Gowon, leader dinamico e capace deciso a pacificare il paese riorganizzandone la struttura politica. Convinto che il federalismo adottato indebolisse il ruolo del governo, Gowon sciolse le quattro grandi realtà regionali esistenti, e il 27 maggio 1967 creò per decreto dodici stati più piccoli.
La ricca e influente regione orientale del Biafra, però, non intendeva sottomettersi. Tre giorni più tardi il suo governatore militare, colonnello Odumegwu Ojukwu (1933-2011), proclamava infatti la secessione dalla Nigeria e la creazione della Repubblica del Biafra, di cui si dichiarava presidente. Sulla carta la sfida appariva impari. Benché scosso da un anno di disordini, e dalla fuoriuscita di migliaia di soldati e quadri originari del Biafra, l’apparato militare nigeriano contava una forza regolare di 15.000 effettivi.
Pochi erano, però, i sistemi d’arma sofisticati. Gli inglesi avevano trasferito al neonato Esercito nigeriano una quarantina di autoblindo “Ferret” e vecchia artiglieria della Seconda guerra mondiale, al pari delle armi individuali e di squadra. Più recenti i mezzi acquisti dall’Aeronautica e dalla Marina, che schieravano circa 2.000 effettivi, con 110 i piloti addestrati in Germania, Canada, India e Etiopia. Tra gli aerei in servizio, il grosso era formato da velivoli addestrativi, impiegabili anche per operazioni di appoggio tattico (come gli italiani Piaggio P-149D), trasporto e collegamento. La Marina schierava una modernissima fregata da 2.000 tonnellate, una piccola corvetta ex US Navy del 1942, 7 guardacoste, e alcune unità logistiche.
Il governo nigeriano aveva tuttavia inizialmente pensato che, per reprimere la secessione, bastasse una “operazione di polizia”: un primo tentativo, però, fallì miseramente di fronte alla resistenza biafrana.

Guerra totale

Mappa del conflitto

Mappa del conflitto

Entrambe le parti in effetti si stavano già preparando a una guerra totale che, complici gli interessi petroliferi delle grandi potenze, avrebbe visto un curioso schieramento a favore dei contendenti; col governo nigeriano appoggiato tra gli altri dalle due superpotenze rivali, Stati Uniti e URSS, ma anche più o meno apertamente da Gran Bretagna, Italia e paesi arabi, mentre il Biafra otteneva aiuti, armi e mercenari da Francia, Israele, Sudafrica, e dai regimi filo-fascisti di Spagna e Portogallo.
La guerra divenne anche un ingente mercato per gli armamenti, nuovi e vecchi. Entro il 1970, la Nigeria avrebbe mobilitato ben 250.000 effettivi, e un primo invio sovietico di 20.000 AK-47 Kalashnikov (con 750.000 colpi) si rivelò provvidenziale. Sin dalla crisi del 1966 erano d’altra parte stati stipulati diversi contratti per nuove armi: da Gran Bretagna e Francia giunsero decine di autoblindo AML-60/90 e “Saracen”, mentre Italia, Yugoslavia e URSS fornivano centinaia di moderni pezzi d’artiglieria da 105 mm (compresi 200 obici Mod-56/14 della OTO Melara) e da 122 mm. L’Aeronautica si rafforzò altrettanto rapidamente, con decine di jet per lo più sovietici tra bombardieri Il-28, caccia MiG-15 e -17, velivoli da attacco al suolo L-29, oltre ad aerei da trasporto ed elicotteri, e nel 1970 inquadrava 3.000 effettivi e 33 aviogetti da combattimento. Più sacrificata la Marina, che ottenne solo 3 cannoniere ex sovietiche (mentre 2 corvette ordinate alla Vosper nel 1968 furono consegnate nel 1971, a guerra finita), contro la perdita della piccola e vecchia corvetta Ogoja, affondata nell’ottobre 1969 durante le operazioni di blocco, e di un guardacoste classe “Benin”, lo Ibadan, catturato dai secessionisti al momento dell’indipendenza nella base di Port Harcourt. Qui si concentrò la capacità navale biafrana, che però perse quasi subito l’Ibadan (ribattezzato Vigilance), affondato il 25 luglio 1967 dai Nigeriani durante la riconquista di Bonny Island, sito strategico per il controllo di Port Harcourt. Gli insorti riuscirono comunque nel 1967-1968 ad armare con cannoni e mitragliatrici, e blindandoli artigianalmente, 4 rimorchiatori d’altura; una chiatta fluviale fu trasformata in batteria galleggiante per la difesa di Port Harcourt, mentre anche pescherecci e motoscafi venivano equipaggiati con mitragliere e lanciagranate, e impiegati come trasporti truppe e vedette. La caduta di Port Harcourt, il 19 maggio 1968, comportò la perdita di 3 cannoniere, e nel piccolo porto rimasto ai secessionisti a Isiokpo giunsero soltanto alcuni motoscafi e uno dei rimorchiatori armati, il PC-203, poi affondato durante l’attacco nigeriano alla nuova base di Oguta, nel settembre 1968. Nel 1969 tuttavia fu costruita una nuova cannoniera, la PC-204.
Le operazioni di terra, tuttavia, furono più difficili. Man mano che l’Esercito nigeriano veniva potenziato, dalle 2 vecchie brigate attive furono ricavati 3 comandi divisionali che in realtà erano veri corpi d’armata. La 1ª Divisione, destinata a chiudere gli accessi al Biafra sigillando il confine col Camerun, comprendeva 3 brigate per 40.000 uomini, mentre la 2ª con 20.000 effettivi doveva difendere la capitale Lagos, sempre con tre brigate. Infine fu attivata la 3ª Divisione, con capacità anfibie (detta infatti Marine Commando Division), su 8 brigate e 35.000 effettivi, che divenne la punta di lancia nelle operazioni di riconquista, con truppe solide cui furono destinati i migliori equipaggiamenti, e due dei comandanti più brillanti della guerra, i colonnelli Benjamin Adenkule (1936-2014) e Olusegun Obasanjo, quest’ultimo nato nel 1937 e più volte presidente tra 1976 e 2007.
In guerra, però, i numeri non sono tutto. Anche il Biafra aveva rapidamente portato a 40.000 gli effettivi delle sue forze, supplendo alla mancanza di quadri (carenza che si fece sentire anche tra le fila governative, a causa della troppo rapida espansione) con l’arruolamento di mercenari, come il tedesco Rolf Steiner (classe 1933) e l’inglese Taffy Williams (1933-1996), veterani del Congo cui furono affidate alcune brigate, mentre lo svedese Gustav von Rosen – attivo sin dall’epoca della guerra abissina del 1935, e caduto in quella dell’Ogaden nel 1977, quasi settantenne – si occupava della piccola aeronautica, affidata a piloti europei e sudafricani.
Della “flotta” ribelle abbiamo detto. L’Esercito fu invece strutturato in quattro divisioni, ognuna delle quali su tre brigate ternarie, con tre battaglioni di 600 uomini e i supporti. L’equipaggiamento comprendeva un po’ di tutto: ai reparti di élite (come la “S-Division”) furono affidate moderne armi di squadra e individuali automatiche, artiglieria, blindati e veicoli, compresi veicoli civili requisiti. Le milizie erano armate con vecchi fucili Lee-Enfield, e qualche mezzo blindato artigianalmente: in effetti, gli insorti producevano localmente armi leggere, lanciarazzi, mortai e munizioni. Per gli aerei, ci si affidò al contrabbando: Rosen riuscì ad acquistare in Svezia 5 piccoli monomotori MFI-9, trasformati in velivoli detti “Biafra Babies”, coi quali il 22 maggio 1969 compì un’incredibile serie di raid contro alcuni aeroporti nemici, distruggendo al suolo una mezza dozzina tra MiG e Il-28. Ma tra il 1967 e il 1969 entrarono in linea anche 2 jet “Vampire” ex portoghesi, 5 bombardieri B-26 “Invaders” e un B-25 “Mitchell” residuati di guerra, e 4 addestratori armati T-6 “Texan”, per lo più frutto di triangolazioni con Francia e Portogallo, ma anche di traffici illegali con società americane.
Il presidente biafrano Ojukwu, uno dei migliori ufficiali provenienti dall’Esercito nigeriano, puntò però soprattutto su una strategia ibrida, che alle operazioni difensive basate su tattiche convenzionali, affiancava metodologie mutuate dalla guerriglia vietcong, soprattutto per lanciare attacchi non convenzionali. La scarsa esperienza però non sempre lo consigliò bene, soprattutto quando si faceva guidare da considerazioni politiche o di prestigio.

Le operazioni sul campo

Truppe nigeriane

Truppe nigeriane

Sin dal 9 agosto 1967 il Biafra tentò il tutto per tutto: 7.000 uomini invasero il territorio federale del Mid-Western oltrepassando il fiume Niger, penetrando per centinaia di km, e creandovi una effimera “Repubblica di Benin”. Ma si trattava di un’operazione prematura e destinata a scontrarsi con le crescenti capacità nemiche; e a fine settembre i Biafrani si erano ritirati lasciando dietro di sé 2.000 caduti, mentre il colonnello Victor Banjo (1930-1967), che aveva guidato il raid, finiva fucilato come capro espiatorio assieme al suo capo di stato maggiore. Il disastro sembrò infliggere un colpo mortale ai secessionisti, e il 4 ottobre cadeva la loro capitale, Enugu. Tuttavia, una settimana dopo anche il tentativo della 2ª Divisione di attraversare il Niger a Onitsha finì in un disastro, con metà degli effettivi uccisi o catturati.
Il 19 ottobre, tuttavia, la poderosa 3ª Divisione catturava il porto di Calabar lanciando un’operazione anfibia (“Tiger Claw”) supportata dalle navi federali. Dopo una pausa, la riorganizzata 2ª Divisione riprendeva una più metodica offensiva nel settore di Onitsha, catturando la piazzaforte creata al confine tra Biafra e Nigeria il 20 marzo 1968, dopo quasi 3 mesi di violenti combattimenti. Tuttavia, per la 2ª Divisione i festeggiamenti durarono poco: il 31 marzo una sua colonna di oltre 100 veicoli con blindati, materiali e 6.000 soldati di rinforzo diretta verso Enugu cadde in un’imboscata e fu annientata anche grazie a mine improvvisate e lanciarazzi artigianali, mentre l’esplosione di alcune cisterne di gasolio sventravano le autoblindo.
Se l’impiego di tattiche di guerriglia teneva in scacco i nigeriani sul fronte centrale, dalla costa meridionale la loro avanzata riprese. Sconfitti nel settore di Cross River, a fine marzo i biafrani erano in ritirata su Port Harcourt, che fu investita da 4 brigate ben equipaggiate: sottoposta a continui bombardamenti aerei, navali e d’artiglieria, la città si arrese il 24 maggio, anche se al comando del maggiore (poi colonnello) Joseph Achuzie (1929-2018), detto “Hannibal” per la sua abilità tattica, i difensori riuscirono ad aprirsi una via combattendo con ferocia.
Le gravi perdite subite dalla 2ª Divisione, tuttavia, permisero ai secessionisti di lanciare alcuni riusciti attacchi contro la 3ª ad Aba, Owerri e Umuhaia, occupate a settembre, nei quali nuovamente si distinse “Hannibal” Achuzie, infliggendo ai reparti di élite nigeriani pesantissime perdite. I Nigeriani furono sloggiati da Umuhaia (1° ottobre) e assediati a Owerri, che fu conquistata dai soldati del Biafra il 25 aprile 1969, dopo che la 16ª Brigata federale si era ridotta a 300 effettivi.
Il disastro nel sud, inaspettato essendo giunto dopo una lunga serie di vittorie, costò al governo 15.000 uomini. Con la guerra che sembrava andar male, Gowon dovette affrontare anche disordini contro le tasse, ma tenne duro. Per sua fortuna, dopo le vittorie nel sud anche il generale Ojukwu fece il passo più lungo della gamba. Convinto dal suo stato maggiore a lanciare un attacco contro Onitsha, affidò l’operazione “Hiroshima” alla sua unità migliore: la 4ª Brigata commando, inquadrata da mercenari belgi e sudafricani, e al comando di Steiner. Il colonnello tedesco inutilmente protestò contro l’assurdo ordine di inviare un reparto esperto nella guerriglia, che nei mesi precedenti aveva decimato la 2ª Divisione e distrutto il campo di aviazione di Enugu con un raid da manuale, ad attaccare in campo aperto posizioni ben difese. Inascoltata Cassandra: il 29 novembre la brigata ripiegava, lasciandosi dietro la metà dei suoi 4.000 effettivi.
A questo punto, il governo di Lagos, che ormai poteva contare su migliaia di nuove reclute e crescenti quantitativi di armi moderne – soprattutto aerei da combattimento ed elicotteri, che davano alla Nigeria il controllo dei cieli, ma anche autoblindo, APC e cannoni -, iniziò una massiccia e più metodica controffensiva, a partire dal settore teatro del disastro autunnale.
Umuhaia fu riconquistata il 22 aprile 1969 dopo un mese di combattimenti (operazione “Leopard”), mentre la 3ª Divisione passava agli ordini dell’abile colonnello Obasanjo. La pressione andò aumentando nei mesi successivi, anche grazie al ridispiegamento della 1ª Divisione a rinforzo delle altre, mentre il supporto inglese a Lagos raggiungeva il picco, e quello francese al Biafra iniziava a sfaldarsi, a causa della caduta di De Gaulle.
Il 23 dicembre 1969 i governativi lanciarono l’offensiva finale, ancora una volta aperta dalla 3ª Divisione, supportata dalle altre due. Ormai la Repubblica secessionista si limitava a una sacca lunga meno di 150 km e larga nel punto in cui si stringeva, in prossimità del corridoio tra Owerri (a sud, nuova capitale del Biafra) e Umuhaia (a nord) circa 40 km. Le forze nigeriane colpirono in questo punto, da ambo i lati, tagliando in due la sacca nel giro di una settimana, e rioccupando Umuhaia.
Il 7 gennaio, infine, il generale Obasanjo sferrava l’operazione “Tail Wind”, frantumando la “S-Division”, l’unità più solida di Ojukwu, e investendo Owerri. Mentre il presidente secessionista partiva precipitosamente verso l’esilio in Costa d’Avorio, ciò che restava delle sue truppe, ora guidate dal tenace “Hannibal” Achuzie imbastivano una difesa mirata a ottenere, a quel punto, migliori condizioni per un “cessate il fuoco”: accordo raggiunto il 12, quando Owerri capitolava, mentre le ultime sacche di resistenza venivano eliminate con la fuga, o la cattura, dei resti delle truppe secessioniste dirette in Camerun.
La guerra era finita: in due anni e mezzo aveva provocato immani devastazioni e un numero di morti compreso tra 500.000 e un milione, dovuti in larga parte a carestie e malattie.