LA FUGA DEI CRIMINALI NAZISTI ATTRAVERSO L’ALTO ADIGE

di Michele Strazza -

 

 

Dopo la fine della Seconda guerra mondiale molti latitanti nazisti trovarono rifugio in Alto Adige. Qui attesero il momento opportuno per la fuga verso luoghi lontani e più sicuri.

Si deve al professor Gerald Steinacher dell’Università del Nebraska se recentemente è stata fatta luce su una pagina poco conosciuta sull’Italia del dopoguerra.
Tra le numerose “vie di fuga” utilizzate dai criminali nazisti alla fine della guerra dobbiamo, infatti, annoverarne una tutta italiana, situata in diversi centri dell’Alto Adige dove questi criminali si erano rifugiati, col compiacente silenzio di residenti locali, per poi raggiungere il porto di Genova per l’imbarco oltreoceano.
Il professore statunitense, nel suo studio Il Signor Mengele di Bolzano. L’Alto Adige come via di fuga dei criminali nazisti (1945-1951), confluito nel volume edito da Raetia Dalla liberazione alla ricostruzione: Alto Adige/Sudtirol 1945-1948 (Bolzano, 2013), sostiene che, subito prima della fine del conflitto, l’Alto Adige era diventato per fascisti e nazisti, collaboratori e criminali nazisti di tutta Europa, “una delle ultime aree verso cui ripiegare”, grazie anche alla vicinanza con la Svizzera.
In seguito, dal 1946 in poi, l’Alto Adige sarebbe diventata la strada privilegiata seguita da chi, ricercato per crimini di guerra, necessitava di un rifugio sicuro dove procurarsi documenti per imbarcarsi. Se, infatti, la Germania e l’Austria erano sotto il controllo delle potenze alleate e la Yugoslavia era in mano a Tito, l’Italia aveva un governo proprio e una struttura burocratica inefficiente, incapace di controllare l’intero territorio, tanto meno l’incessante flusso di profughi.
Il 31 dicembre 1945 era stato sciolto il governo militare alleato e la negligenza nei controlli era aumentata ulteriormente. Quando, poi, nel 1947, era stato firmato il Trattato di Pace fra gli alleati e l’Italia, i controlli da parte degli anglo-americani erano cessati del tutto. Il confine del Brennero risultava del tutto aperto a ogni nazista che volesse arrivare nel nord del Paese.

Il passaporto della Croce Rossa con cui Eichmann raggiunse l'Argentina

Il passaporto della Croce Rossa con cui Eichmann raggiunse l’Argentina

L’Alto Adige era dunque la prima tappa per coloro che avevano attraversato il confine illegalmente e, naturalmente, i fuggiaschi di lingua tedesca venivano accolti “per lo più con gentilezza da chi viveva nelle vallate alpine dell’Alto Adige”.
Merano fu una di queste mete “sicure”. Numerose furono, infatti, le ex SS che stazionarono nella locanda di “Zia Anna”, compiacente locandiera meranese, sempre pronta ad accogliere nazisti e criminali di guerra. Tra essi anche il famigerato medico austriaco delle SS Emil Gelny, responsabile del programma di eutanasia a Gugging e Mauer-Ohling, sempre in Austria.
Il fatto curioso è che nella stessa locanda spesso stazionavano anche ebrei diretti, in maniera illegale, in Palestina, per cui gli uni non sapevano niente degli altri. Gli ebrei venivano nascosti al piano superiore, mentre i nazisti al pianterreno. Mai come in questo caso si rivelava efficace il detto pecunia non olet.
L’Alto Adige rimase comunque, per diversi anni, luogo prediletto per la fuga dai nazisti. Vi passò anche Adolf Eichmann, il criminale che progettò la “soluzione finale” per milioni di ebrei. Dopo essere vissuto in Germania con documenti falsi, fino alla primavera del 1950, il criminale nazista raggiunse l’Alto Adige per poi imbarcarsi a Genova con destinazione Sudamerica. Eichmann si nascose per due giorni in casa di un tassista sudtirolese, a Vipiteno. Subito dopo raggiunse il convento francescano di Pobitzer a Bolzano. Molti conventi rappresentarono un sicuro approdo per la fuga dei criminali di guerra europei, compresi gli ustascia croati.
In un albergo di Vipiteno soggiornò pure, nel 1949, Josef Mengele, il tristemente famoso medico di Auschwitz, soprannominato “l’angelo della morte”. Vi rimase fino a quando entrò in possesso di nuovi documenti di identità, una operazione, questa, del tutto facilitata dalle condizioni dell’epoca.
I continui flussi di profughi provenienti da tutta Europa avevano infatti costretto la Croce Rossa Internazionale a rilasciare documenti di viaggio a tutti coloro che, a causa della guerra, “avevano dovuto lasciare il proprio Paese contro la propria volontà e non potevano procurarsi un passaporto”. Anche gli apolidi o dalla nazionalità incerta, privi di passaporto, avevano diritto ad un documento da parte della Croce Rossa.

Possiamo immaginare cosa questo rappresentasse per i criminali nazisti in fuga i quali usufruirono di procedure non comportanti alcuna indagine approfondita, sulla base di una semplice dichiarazione del richiedente. Grazie a tali documenti essi poterono, dunque, imbarcarsi a Genova o a Barcellona per raggiungere i loro ex camerati nei Paesi del Sudamerica.
Lo stesso ex ufficiale delle SS Priebke, responsabile dell’eccidio delle Fosse Ardeatine, presentò domanda per un titolo di viaggio alla delegazione di Roma della Croce Rossa il 26 luglio 1948, dichiarando un nome falso e di essere un profugo cacciato dalle regioni baltiche. Priebke soggiornò a Bolzano e venne aiutato a procurarsi i documenti da un frate francescano locale e dal vescovo austriaco Alois Hudal. Ricevuti i documenti, poté così espatriare in Argentina.
In Alto Adige era operante una vera e propria organizzazione messa in piedi da ex SS che nascondevano i camerati e procuravano loro carte d’identità falsificate dai Comuni con le quali era ancora più facile ottenere i documenti di viaggio della Croce Rossa. Tra i beneficiari di questa rete altoatesina vi fu il colonnello delle SS Eugen Dolmann, il noto interprete nei colloqui tra Hitler e Mussolini.
Tornando a Adolf Eichmann, egli presentò richiesta di un documento di viaggio della Croce Rossa a Genova nel giugno del 1950 e lo fece sulla base di una carta di identità rilasciata dal Comune di Termeno, vicino Bolzano, il 2 giugno 1948, secondo cui risultava Richard Klement, nato a Bolzano nel 1913.

Stessa procedura seguì pure Josef Mengele, conosciuto in Alto Adige con il falso nome di Helmut Gregor, nato a Termeno il 6 agosto 1911, di professione meccanico. Grazie a una carta d’identità e ad una certificazione di residenza del Comune di Termeno attestante la sua permanenza in quella località dal 1944, il 16 maggio 1949 raggiunse Genova dove ottenne i documenti di viaggio dalla Croce Rossa necessari per potersi imbarcarsi per l’Argentina.
Abbiamo visto come il Comune di Termeno, a sud di Bolzano, compaia spesso per aver fornito carte d’identità ai nazisti in fuga. Nella cittadina sudtirolese erano piuttosto numerosi i simpatizzanti filonazisti e dal 1933 era stata la roccaforte di una organizzazione vicina al nazionalsocialismo, la Volkischer Kampfring Sudtirol. Non mancavano, poi, funzionari comunali intrisi di tale mentalità verso cui il governo italiano non prese mai alcun provvedimento.
Non si dimentichi, infine, che furono diversi gli alti ufficiali delle SS, originari proprio del Tirolo e dell’Alto Adige, ad essere fuggiti subito in Argentina, facendo da “apripista” per i futuri viaggi di ex camerati. Pensiamo, ad esempio, a Franz Rubatscher, ex capo del Corpo di Sicurezza Trentino utilizzato per la lotta contro i partigiani, presente nel Paese sudamericano già dall’ottobre del 1947.
Appare, dunque, chiaro il ruolo avuto da diversi centri altoatesini nell’aver favorito la fuga di famosi criminali nazisti in America Latina. Allo stesso modo, essa venne facilitata dalla completa inerzia dei governi italiani del dopoguerra, troppo intenti a fare dimenticare agli italiani i dolori della guerra, e poco inclini a ricercarne i veri responsabili.