LA FINE DELLA MITTELEUROPA: LA STORIA SCAPPATA DI MANO

di Massimo Iacopi -

Fino al 1916 la fine dell’Impero asburgico e di quello tedesco non era tra gli obiettivi di guerra dell’Intesa. Ma la posizione francese si fece progressivamente sempre più intransigente, mentre Benes e Masarik aumentavano le pressioni su Londra e Washington…

Il periodo eccezionalmente corto che separa la fine della Prima guerra mondiale dallo scoppio della Seconda, appena 20 anni, appena il tempo di una generazione, pone alcuni interrogativi. Sarebbe assurdo negare che sono esistiti legami fra i trattati del 1919-20 e gli eventi del 1939. Pace ingiusta? Pace frettolosa e malfatta? Pace sviata dai principi in nome dei quali gli uomini si erano battuti? Quel che è certo è che già poco dopo lo scoppio del conflitto il Foreign Office e il Quai d’Orsay cominciarono a lavorare sulle condizioni di una pace futura e sugli obiettivi da conseguire.

L’avvenire della Germania

Fino al 1916 la questione tedesca fu il principale argomento di discussione. La Francia era la maggiore interessata e il governo britannico non trovava alcun inconveniente a lasciare alla diplomazia francese la cura di preparare il futuro regolamento di pace con la Germania. Per Londra la preoccupazione essenziale era di ristabilire l’equilibrio europeo a danno delle potenze centrali. A Parigi la cosa risultava più complicata. Il lavoro dei diplomatici si svolgeva in un contesto in cui prevalevano gli aspetti emozionali e irrazionali. Una parte importante delle élite francesi e la maggior parte dei capi militari e degli uomini politici provavano un profondo sentimento di avversione e di odio nei confronti della Germania e dei Tedeschi. Prevaleva in tali ambienti la convinzione che si doveva farla finita con il pericolo tedesco e pertanto non era strano se anche i diplomatici incaricati di gestire la vicenda fossero pervasi da un atteggiamento di odio contro il nemico storico della Francia.
Indubbiamente, nei progetti di pace c’erano obiettivi coerenti con il diritto e la giustizia, come il recupero dell’Alsazia-Lorena, il ristabilimento dell’indipendenza del Belgio e della Serbia, con il corollario di un accesso al mare per quest’ultima. Ma si voleva anche altro. Sin dall’inizio la diplomazia francese, all’insaputa dei Britannici, reclamò la fissazione della frontiera occidentale tedesca sul Reno, l’annessione alla Francia, sotto forma da definire, dei territori lungo la riva sinistra del Reno, o almeno il loro distacco dalla Germania per farne uno o più stati autonomi. Secondo Parigi la Saar, in particolare, doveva tornare francese come lo era stata prima del 1815.
E’ chiaro che questi obiettivi erano ben lungi dall’essere condivisi dall’alleato inglese. Anche la convenzione segreta franco-russa del 14 febbraio 1917 prevedeva l’annessione della Saar da parte della Francia e il distacco dalla Germania degli altri territori della riva sinistra del Reno. Questi obiettivi di guerra furono mantenuti fino al termine dei lavori della conferenza di pace.

La questione dell’Austria-Ungheria

Fino al 1916 né la Francia né il Regno Unito avevano in mente la scomparsa dell’Impero Austro-ungarico che, a detta della maggior parte dei diplomatici, rappresentava un fattore di stabilità al centro dell’Europa. L’entrata in guerra dell’Italia nel 1915 e della Romania nel 1916 indusse i paesi dell’Intesa a interessarsi dell’avvenire della duplice monarchia, tanto più che le promesse fatte a questi nuovi alleati riguardavano proprio territori che facevano capo a Vienna e Budapest. Da quel momento a Londra, come a Parigi, si cominciò a prendere in conto seriamente le rivendicazioni dei due rappresentanti dell’emigrazione ceca, Tomas Masarik ed Edvard Benes. Questi avevano come obiettivo l’indipendenza dei Cechi della Boemia, sudditi austriaci, e la loro unione con i vicini Slovacchi, sudditi dell’Ungheria.
Masarik e Benes riuscirono a portare dalla loro parte intellettuali e personaggi influenti. A Londra Masarik ottenne il sostegno dello storico del mondo slavo Robert William Seton-Watson e del redattore capo dell’influente giornale “Time”, Wickham Steed. A Parigi, Benes, al quale la giornalista Luisa Weiss aveva fatto conoscere Milan Stefanik, uno slovacco favorevole all’unione con i Cechi, godeva del sostegno di un diplomatico di alto rango, Philippe Berthelot e dei suoi aiutanti, Jules Laroche e Pierre de Margerie. Benes era anche in relazione con giornalisti influenti come André Tardieu, del “Temps”, e Jules Sauerwein, del “Matin”, entrambe testate molto critiche nei confronti dell’Austria-Ungheria (soprattutto da quando avevano iniziato a ricevere finanziamenti da parte dei governi russo e serbo). Benes e Masarik godevano inoltre del sostegno incondizionato delle logge massoniche, per le quali la monarchia asburgica, clericale e conservatrice “prigione dei popoli”, rappresentava il male assoluto. Una ben curiosa prigione dei popoli se dalla fine del XIX secolo accoglieva migliaia di ebrei fuggiti dai pogrom in Romania e dalla Russia, e anche numerosi Polacchi che rifiutavano l’oppressione russa.
La prima vittoria di Benes e di Masarik fu la nota del 10 gennaio 1917 indirizzata al presidente americano Wilson, nel quale si comunicava che uno degli obiettivi della guerra dell’Intesa era quello di “liberare dalla dominazione austro-ungarica le popolazioni slave, italiane e rumene”. Dopo la defezione della Russia, nell’ottobre 1917, l’Intesa aggiunse ai suoi obiettivi di guerra anche la ricostituzione dello Stato polacco che le potenze centrali, avevano già pensato di mettere in atto. L’arrivo al potere in Francia, nel novembre 1917, di Clemenceau, preceduto dal rifiuto franco-italiano di dare seguito alle offerte di pace separata avanzate dall’imperatore Carlo d’Asburgo, indicano chiaramente che la Francia e l’Italia avevano già preso in considerazione lo smembramento dell’Austria-Ungheria. Tutto ciò fu confermato in occasione del Congresso delle nazionalità oppresse che si tenne a Roma dall’8 al 10 aprile 1918, sotto l’egida dei governi italiano e francese. In quell’occasione fu riaffermato il diritto delle nazionalità all’indipendenza politica ed economica, e l’incompatibilità di questo diritto con la monarchia degli Asburgo. Un mese più tardi, gli alleati riconobbero il Comitato nazionale cecoslovacco come governo legittimo di una Cecoslovacchia che ancora esisteva solo sulla carta. Il 5 giugno gli alleati riconobbero in anticipo l’indipendenza della Polonia. In tal modo, già dall’estate del 1918 la sorte dell’Impero austro-ungarico era segnata.

Il ruolo di Wilson

L’entrata in guerra degli Stati Uniti, nell’aprile 1917, complicò la questione degli obiettivi di guerra delle “potenze alleate e associate”. Wilson, in linea di massima, provava poca simpatia per le monarchie. La caduta dei Romanov non l’aveva minimamente emozionato e molti sapevano che le banche americane avevano sostenuto finanziariamente i rivoluzionari russi. Per Wilson, la vittoria delle potenze dell’Intesa doveva necessariamente passare attraverso l’eliminazione delle monarchie dell’Europa centrale, Hohenzollern e Asburgo, fatto preliminare alla democratizzazione della Mitteleuropea.
Wilson nei suoi 14 punti del 10 giugno 1918 riprese, con qualche piccola variante, gli obiettivi di guerra dell’Intesa. Ma sull’Austria-Ungheria apparve più moderato. I punti 10, 11 e 13 raccomandavano uno “sviluppo autonomo” per i popoli dell’Austria-Ungheria, la ricostituzione di uno stato serbo con un accesso al mare e la creazione di una Polonia costituita da territori indiscutibilmente polacchi, ma con un accesso al mare. C’era abbastanza da rassicurare le potenze centrali. Tuttavia, l’atteggiamento di Wilson subì una rapida evoluzione: sotto l’influenza della moglie, che aveva ascendenze cecoslovacche, si allineò alle decisioni del Congresso di Roma. Per contro, Wilson immaginò una nuova concezione dei rapporti fra le nazioni. Egli propose la creazione a Ginevra della Società delle Nazioni (SdN), garante della pace, in cui le dispute fra gli stati sarebbero state regolate per arbitraggio, nel contesto di un sistemo di sicurezza collettiva. Ma tutto questo faceva parte di un programma che mal si inquadrava con le idee di Clemenceau sulla pace a venire.

Per saperne di più
François Fejtő, Requiem per un impero defunto. La dissoluzione del mondo austro-ungarico, Milano, Mondadori, 1991.
Aviel Roshwald, Ethnic Nationalism and the Fall of Empires: Central Europe, the Middle East and Russia, 1914-23, Routledge, 2002.
Giovanni Bernardini, Parigi 1919. La Conferenza di pace, Bologna, Il Mulino, 2019