ROMA E LA CONQUISTA DELLA BRITANNIA

di Massimo Iacopi -

Nel mondo romano, l’occupazione dell’isola viene considerata come la conclusione logica dopo la conquista della Gallia. Nell’agosto del 55 a.C. una flotta romana appare al largo delle coste inglesi. Le truppe sono al comando di Giulio Cesare.

Circa due millenni fa, il mondo civilizzato occidentale – dominato per la gran parte da Roma – si articolava intorno al Mediterraneo. Gli eserciti romani, le migliori forze militari del tempo, avevano occupato in successione tutti i paesi di quest’area. Al di là di questa, si trovano territori molto poco conosciuti e, secondo il pensiero delle popolazioni del Mediterraneo, abitati da popoli primitivi, senza cultura e pericolosamente aggressivi. I cosiddetti “barbari”.
Tuttavia, i Romani conoscono le incursioni di questi popoli da lungo tempo, in particolare quelle dei Galli la cui regione, all’epoca, inglobava l’insieme dei territori a ovest del Reno. Nel 390 a.C. i Galli stanziati nel nord della penisola italiana sono arrivati persino a saccheggiare Roma, senza riuscire però a conquistare la fortezza del Campidoglio. Tre secoli e mezzo più tardi, la potenza romana risulta in piena espansione e la sua attenzione si orienta ormai verso la Gallia. Il sud di questo paese, parzialmente civilizzato già dai Greci, è successivamente diventato una provincia romana. Più a est si trovavano altre regioni sconosciute e abitate da barbari: a nord dell’attuale Italia, Austria e del Danubio nei Balcani.
Per gli strateghi romani alla vigilia della nascita dell’’Impero queste aree rappresentano una sfida di grande ampiezza. Nel Medio Oriente e verso est, l’Impero persiano costituisce una minaccia costante, seppure sia un rivale civilizzato e abbastanza lontano. Incursioni da parte di guerrieri barbari in cerca di bottino e di saccheggio nel cuore dell’Europa erano, invece, fenomeni purtroppo costanti.

Secondo le conoscenze geografiche dell’epoca, se si riuscisse a rendere sicure e mantenere le frontiere dell’Impero lungo il Reno e il Danubio si otterrebbe, a quel punto, una linea difensiva che inizia sulle rive dell’Oceano Atlantico a est della Manica e che termina sulle rive est del Mar Nero. Non si tratta, in effetti, di un piano strategico elaborato a tavolino, ma piuttosto del frutto di una lunga pianificazione della politica da seguire, che tiene conto delle conquiste e degli avvenimenti politici nel corso della storia romana. In quanto tale, si tratta di un programma difensivo considerevole che impegnerà gli eserciti e i governi di Roma per un periodo di alcuni secoli.
Per arrivare a tale scopo, era inizialmente necessaria una politica offensiva che si è tradotta con l’invasione e l’occupazione da parte dell’esercito romano di tutto lo spazio a ovest e a sud di questa linea Reno-Danubio. Circa alla metà del I secolo a.C. la maggior parte della frontiera che costeggia il Danubio risulta in via di romanizzazione. Per contro, la frontiera ovest resta per la gran parte in territorio barbaro, popolato da Galli e, a est del Reno, da Germani.
A partire dall’anno 58 a.C., la nomina del console Giulio Cesare a Governatore della Gallia e dell’Illiria verrà a trasformare la situazione strategica. L’ambizione di Cesare è quella di conquistare la Gallia dei Barbari fino al Reno e annetterla ai domini di Roma. Così facendo, egli si coprirà di gloria, tanto da rivaleggiare vantaggiosamente sul terreno politico con il console Gneo Pompeo, già salutato come conquistatore dell’Oriente. Cesare si rivela, a quel punto, un generale eccezionale: eccellente tattico, capo giusto e convinto della necessità di una stretta disciplina, egli valuta perfettamente l’importanza della logistica per le sue truppe. L’organizzazione che mette in opera in questo settore gli assicurerà la supremazia sul nemico. Dopo otto anni, nonostante una resistenza accanita e spesso eroica da parte delle popolazioni galliche, Cesare riesce a conseguire il suo obiettivo e nel periodo successivo tutta la Gallia verrà romanizzata. La sua frontiera est diventerà il Reno.

Cesare in Britannia

Giulio Cesare sbarca in Britannia, incisione di Edward Armitage

Giulio Cesare sbarca in Britannia, incisione di Edward Armitage

Cesare, durante le sue campagne nel nord, arriva sulle rive della Manica. Egli sa senza dubbio che esiste una grande isola denominata Britannia; avrà certamente osservato, come anche le sue truppe, le bianche falesie di Dover, visibili dalla costa francese quando il tempo è clemente.
Al tempo di Giulio Cesare ben poche informazioni affidabili su tali aree risultano conosciute nel mondo romano. Si sa, ad esempio, che esse sono abitate da “barbari” verosimilmente feroci, somiglianti ai Galli. La Britannia gode di grande fama per le sue miniere di stagno, di piombo e di ferro, oltre che per la produzione di grano. Il commercio, la cultura, le credenze religiose, le istituzioni politiche e i legami di parentela collegano strettamente il sud della Bretagna con il nord della Gallia. Questo spiega anche perché numerosi Belgi si siano insediati soprattutto nel sud dell’isola. Cesare, durante le sue campagne nella Gallia, si informa nel dettaglio sulla Bretagna e sui Bretoni. I seguenti paragrafi tratti dai suoi Commentari, costituiscono le migliori informazioni sul paese e sui suoi abitanti a quel tempo.

«La parte interna della Bretagna è abitata da popoli che si dice, secondo la tradizione, nati nella stessa isola, e il litorale da razze venute dalla Belgica per saccheggiare e combattere e che, quasi tutti hanno conservato il nome delle città da cui provengono; dopo aver portato la guerra in Bretagna, tali popolazioni vi si sono insediate e si sono messe a coltivare. La popolazione è considerevole: le abitazioni sono molto numerose e più o meno simili a quelle dei Galli e vi si incontra una grande quantità di bestiame. Gli abitanti si servono di pezzi di cuoio, di monete d’oro o di placche di ferro, il cui valore è determinato dal peso. Nella parte centrale dell’isola si trova il piombo bianco (stagno) e nella parte vicina alle coste si ricava il ferro, ma in limitata quantità. Il rame, di cui si servono, viene importato dall’esterno. Ad eccezione del faggio e del pino, le varie specie di alberi sono le stesse della Gallia. Essi credono che non sia permesso di mangiare la lepre, il pollo e l’oca e tuttavia li allevano per piacere e per divertimento. Il clima risulta più temperato di quello della Gallia e il freddo meno vivo.
L’isola ha la forma di un triangolo, di cui uno dei suoi lati fronteggia la Gallia e uno degli angoli questo stesso lato, verso il paese del Kent (sud est dell’Inghilterra) e dove tutte le navi attraccano, arrivando dalla Gallia, è orientato verso est, mentre l’angolo inferiore guarda a mezzogiorno. L’isola, in questa parte, si estende per una lunghezza di circa 500 mila passi. L’altro lato del triangolo guarda la Spagna e il ponente e nella stessa direzione si trova l’Hibernia (Irlanda), la cui dimensione è valutata circa la metà della Bretagna e che è separata da questa da un braccio di mare uguale in larghezza a quello che separa la Bretagna dalla Gallia. Un’isola chiamata Mona (l’isola Anglesey) è situata nel mezzo di questo stretto; si pensa che vi siano diverse altre isole più piccole; qualche scrittore, parlando di queste isole, dice che in inverno, esse rimangono per trenta giorni consecutivi immerse nelle tenebre. Noi abbiamo cercato di avere maggiori informazioni su questo aspetto senza avere nessun risultato significativo e ci siamo assicurati solamente, secondo misure esatte prese per mezzo della clessidra, che le notti sono più corte che sul continente. Questa lato dell’isola, secondo alcuni scrittori con cui abbiamo parlato è lungo circa sette cento mila passi. Il terzo lato del triangolo è orientato verso nord e non esiste alcuna terra di fronte, solo che uno degli angoli è direttamente orientato sulla Germania. Si attribuisce a questa terza parte dell’isola una lunghezza di 800 mila passi e in modo che l’isola ha nel suo insieme una circonferenza di circa 20 volte cento mila passi».

«Di tutti i popoli della Bretagna, quelli che abitano la regione di Kent, posta sul litorale risultano molto più civilizzati: essi hanno all’incirca gli stessi costumi del Galli. La maggior parte delle popolazioni dell’interno non coltivano la terra; esse vivono di latte e di carne e sono vestiti di pelli. I Bretoni si passano sulla pelle dei colori pastello che da loro una pelle color azzurro e rende il loro aspetto ancora più orribili sul campo di battaglia. Essi portano i capelli pendenti e si rasano tutte le altre parti del corpo, ad eccezione della testa e del labbro superiore. Le stesse donne sono in comunità a dieci o a dodici per volta e questa promiscuità avviene soprattutto frequente fra i fratelli, così come fra i padri e i figli; per quanto riguarda i figli, che nascono da questi amori, essi vengono considerati come appartenenti a quelli che hanno ricevuto per primi nella loro casa la madre, ancora ragazza».

L’interesse di Cesare nasce dal fatto che egli sta valutando l’ipotesi di una incursione in quella terra. Nel mondo romano, l’occupazione dell’isola viene considerata come la conclusione logica dopo la conquista della Gallia. Nell’agosto del 55 a.C. una flotta romana appare al largo delle coste inglesi. Essa trasporta la 7a e la 10a Legione, per un totale di circa 10 mila uomini. Le truppe sono al comando di Cesare che ha trionfato nella Gallia e che desidera continuare i suoi successi oltre Manica. Ma i Bretoni l’attendono a piè fermo e lo stesso sbarco dei legionari romani viene fortemente disturbato dalle migliaia di guerrieri riuniti sulla spiaggia. Molti legionari risultano esitanti, temendo non solo il nemico, ma anche la profondità del mare. Alla fine, secondo il racconto di Cesare, l’aquilifero della 10a Legione grida: «dopo aver invocato gli dei affinché la legione abbia l’onore del successo: compagni – dice – saltate in acqua, se non volete lasciare l’aquila della legione al nemico; per quanto mi riguarda certamente avrò fatto il mio dovere nei confronti della Repubblica e il generale. Dopo queste parole, pronunciate con voce forte, il legionario si slancia dalla nave e porta l’aquila verso il nemico. A quel punto i nostri, esortandosi mutualmente a non accettare questo affronto, si gettano tutti fuori dal vascello. A questa vista, quelli delle navi vicine li seguono e marciano contro il nemico». Le navi abbordano le rive e migliaia di legionari romani mettono piede per la prima volta sul suolo britannico.

Cesare deve affrontare una resistenza accanita; egli rimane particolarmente impressionato dai combattimenti condotti dai carri bretoni: «Ecco la loro maniera di combattere con i carri: Inizialmente essi li fanno correre su tutta la fronte lanciando dei giavellotti e con la sola paura che ispirano i cavalli e il rumore delle ruote, essi riescono spesso a infrangere i ranghi della legione. Quando essi riescono a penetrare nell’unità, essi saltano dai loro carri e combattono a piedi. I conduttori a poco a poco escono dalla mischia e schierano i loro carri in modo tale che se i combattenti risultano pressati dalla superiorità avversaria, essi possano facilmente risalire su di essi. In questo modo essi riuniscono nel combattimento l’agilità del cavaliere alla fermezza del fante; e tale risulta l’effetto dell’abitudine e dei loro esercizi giornalieri, che persino, lungo ripide pendenze essi sanno arrestare i loro cavalli al galoppo, moderarli e cambiare immediatamente direzione, correre sul timone, tenersi aggrappati al giogo e, da questa posizione, slanciarsi rapidamente nei loro carri».

L’esercito bretone viene sconfitto, ma non distrutto. Tenuto conto dell’approssimarsi della stagione fredda e la resistenza ancora viva di numerosi guerrieri bretoni, Cesare decide, a quel punto, di ritirare il suo esercito in Gallia. L’anno seguente (54 a.C.) il generale romano ritorna in Inghilterra alla testa di circa 25 mila uomini, ovvero cinque legioni e la sua cavalleria. La resistenza risulta altrettanto vigorosa di quella dell’anno precedente, ma ancora una volta i Bretoni vengono sconfitti, ma anche questa volta non vinti definitivamente. Cesare e il suo esercito arrivano fino al Tamigi, si fanno consegnare degli ostaggi e ottengono vantaggi commerciali e alla fine dell’estate, decidono comunque di evacuare la Bretagna.Secondo Cesare, la Britannia non merita di diventare una provincia romana, essendo popolata da barbari senza grande rilievo e, per di più, senza ricchezze. Va in ogni caso sottolineato che gli ufficiali romani sono convinti che, tenuto conto della ferocia e della tenacia dei guerrieri bretoni, il paese non può essere mantenuto con poche forze. In effetti le legioni romane devono sorvegliare non solo le frontiere del Reno ma anche le popolazioni della Gallia e questi ultimi potrebbero sollevarsi di nuovo di fronte ad una diminuita presenza romana sul territorio.

La conquista definitiva della Britannia

La conquista della Britannia (43-84)

La conquista della Britannia (43-84)

La Britannia, assente dall’universo romano per circa un secolo, ritorna a essere l’oggetto delle ambizioni territoriali romane nell’anno 41 d.C., quando l’imperatore Claudio accede al trono (41-54). A quest’epoca, risulta organizzata, già dal regno dell’imperatore Augusto (27 a.C.-14 d.C.), la struttura di un vero esercito imperiale. Lo schieramento delle unità imperiali ha assunto una disposizione territoriale tale da coprire l’insieme dell’Impero, secondo i settori (fronti) dell’interno (Italia, Illiria, Dalmazia, Macedonia), del nord (Gallia, frontiere del Reno e del Danubio), dell’est (Medio Oriente e Palestina) del sud (Egitto, Africa), della Spagna (regione autonoma).
All’inizio del regno di Claudio, il settore del nord conta 19 legioni, delle quali 11 risultano schierate lungo il Reno e in Gallia. Gli altri settori dell’Impero contano complessivamente 10 legioni, per un totale di 19 Legioni in tutto l’Impero. Tutto questo senza contare le truppe ausiliarie e la cavalleria, Pertanto, riunire un potente esercito per conquistare la Britannia non costituisce effettivamente un problema enorme. Questo è infatti quello che avviene nell’anno 43, quando numerose navi romane sbarcano un corpo di spedizione romano nel sud dell’isola. Il contingente conta circa 40 mila uomini al comando del senatore e generale Aulo Plautius. L’imperatore Claudio si trova sul posto, ma preferisce affidare il comando delle operazioni ai generali. Gli effettivi dell’esercito d’invasione comprendono le seguenti legioni: la 2a (Augusta), la 9a (Hispana), la 13a (Gemina Martia Victrix) e la 20a (Valeria Victrix). Queste unità speciali vengono supportate da 20 mila soldati “auxilia” (auxiliares) dell’esercito regolare romano. Questi ausiliari forniscono un prezioso sostegno alla fanteria pesante delle legioni, in quanto le loro coorti sono formate da fanteria leggera e cavalleria.

La resistenza britannica di fronte a questa invasione si traduce nella riunione di circa 17 mila guerrieri a Medway sotto il comando dei capi Caracatos e Togodumnus, che vengono attaccati dai 24mila uomini di Aulo Platius. Il combattimento risulta feroce e dura due giorni, ma la superiorità tattica e tecnica dell’esercito romano è senza appello. Le perdite dei Bretoni vengono stimate intorno ai 5 mila uomini e quelle dei Romani ad appena 850 uomini. Il capo Togodumnus scompare dalla scena e l’esercito romano conquista facilmente il sud della Britannia. Caracatos continua la resistenza nell’ovest, mentre l’imperatore Claudio rientra a Roma. La campagna si conclude con un pieno successo e, una volta decisa l’occupazione del paese, Claudio viene onorato del titolo di “Britannicus”. Nel periodo successivo le truppe romane riescono a catturare Caracatos, che decide di fare atto di sottomissione a Roma, davanti alla coppia imperiale. I Romani, metodicamente, estendono la loro conquista; nell’anno 47 il generale Vespasiano invade il Galles, che viene conquistato dopo una resistenza, accanita.

Ribellioni ed espansioni

Tuttavia, per certi aspetti, la sottomissione dei Britannici non è che apparente e numerose ribellioni si verificano un po’ dappertutto. Nel 60 d.C. una rivolta più importante mette in grave difficoltà i Romani: Baodicea (Baudicca), regina delle tribù degli Iceni, assume la guida di una grande rivolta. Le tre legioni romane nel paese vengono prese alla sprovvista e i fautori di Baodicea ottengono numerosi successi, che si trasformano in massacri su grande scala. «Essi hanno braccato e circondato i nostri soldati sparsi nei fortini – ci dice Tacito – hanno distrutto le nostre guarnigioni, hanno invaso la colonia (romana), simbolo per essi di asservimento. La collera dei vincitori non rinuncia a nessuna forma di crudeltà tipica dell’animo dei Barbari».
Alla fine, le truppe romane riescono a riunirsi e a vincere i guerrieri bretoni in un’epica battaglia e la regina, vinta, si suicida. Ci si può domandare come qualche decina di migliaia di soldati romani siano riusciti ad avere ragione di una moltitudine di coraggiosi guerrieri bretoni (alcuni cronisti valutano il loro numero a più di 100 mila).
La tecnica della “macchina militare” romana riveste un ruolo molto importante, associata a un altro elemento: la costruzione di strade. Dopo il loro arrivo, i romani organizzano nell’isola una infrastruttura fino ad allora inesistente; si tratta principalmente di solide “vie romane” pavimentate, che costituiscono un sistema di comunicazioni, scaglionato da fortini, che si irradia attraverso il sud e il centro del paese. Queste strade convergono su un punto centrale: Londinium (Londra), che diventa il centro principale di rifornimento e il più importante centro commerciale della Britannia.

L’espansione romana raggiunge il suo apogeo negli anni 78-84. Gnaeus Julius Agricola è a quel tempo il governatore romano della Britannia; si tratta di un soldato esperto che conosce il paese, in quanto ha comandato la 20a Legione. Il sud del paese diventa più tranquillo e si romanizza. Secondo Tacito, Agricola «dà preferenza al genio naturale dei Bretoni rispetto al quello colto dei Galli; di modo che questi popoli, che prima disdegnavano la lingua dei Romani, diventano appassionati per la loro eloquenza. Per la stessa ragione, l’abbigliamento romano diventa comune e la toga risulta in auge. In maniera impercettibile essi adottano le delicatezze dei nostri vizi, i bagni, i portici ed i pasti sontuosi».
Tuttavia, il nord dell’isola risulta ancora non sottomesso e barbaro e da quelle regioni provengono numerosi raid sulle comunità del sud che si stanno romanizzando. Agricola, che dispone di quattro legioni e di truppe ausiliari, decide quindi di marciare a nord e invade la Caledonia (Scozia). La campagna è dura e difficile, ma coronata da successo (anno 83) con la disfatta dei Caledoniani nella battaglia di Monte Graupius. In ogni caso, quando Agricola viene richiamato a Roma, nell’84, i suoi successori decidono di non occupare stabilmente questo territorio montagnoso.
In tale contesto, viene deciso di stabilire una linea di difesa nel nord dell’Inghilterra al fine di bloccare le incursioni di questi temibili guerrieri caledoniani. Ma non viene effettuato nessun lavoro campale e per decenni, bande di Caledoniani effettueranno incursioni nella parte romanizzata del paese. Nonostante la presenza di quattro legioni e di truppe ausiliarie i Romani non riescono a debellare questa minaccia per le popolazioni del sud.
L’esercito romano cerca, comunque, di adattarsi. La sua struttura prevede non solo la fanteria delle legioni, ma anche le coorti di cavalleria, nella speranza di poter disporre di uno strumento adatto a intercettare e cacciare i guerrieri caledoniani che si avventurano nel sud. Tuttavia, l’esercito romano non risulta completamente schierato sulla frontiera nord del paese. Esso ha anche il compito di sorvegliare il resto del territorio per assicurare la “pax romana”. La minaccia di rivolta dei Britannici, anche se non può essere esclusa a priori, diventa meno probabile col passare del tempo, in quanto la popolazione dell’isola scopre i vantaggi della civiltà romana.
All’epoca dell’imperatore Traiano (98-117) risultano stanziate in Britannia tre legioni, su di un territorio relativamente ridotto. Con il tempo e la romanizzazione delle popolazioni, la minaccia di rivolta dei Galli e dei Bretoni si attenua gradualmente. Questo spiega la riduzione degli effettivi romani, anche se va evidenziato che il numero delle legioni romane nell’isola di Britannia rimane comunque importante rispetto all’estensione del territorio da controllare. Non vi è dubbio che con questa disposizione lo stato maggiore imperiale considera ancora la Britannia come una zona particolarmente vulnerabile.
Le tre legioni presenti nell’isola sono acquartierate in grandi basi permanenti. La 2a Augusta si trova ad Isca (a Caerleon, presso Exeter nel sud-ovest), la 6a Victrix è nel nord-est ad Eburacum (York) e la 20a Valeria Victrix a nord-ovest a Deva (Chester). Queste due ultime legioni sono dislocate in maniera da poter marciare rapidamente verso nord in modo da dare man forte alle truppe ausiliarie, che sorvegliano la linea di difesa relativamente flessibile che attraversa il paese dalla baia di Solway, a ovest, fino al mare del Nord, a est.

Il “limes” e il muro

La Britannia settentrionale al tempo della costruzione del vallo di Adriano

La Britannia settentrionale al tempo della costruzione del vallo di Adriano

Nell’anno 122 l’imperatore Adriano (117-138) visita la Britannia, Vi ordina alcune riforme amministrative al fine di sanare la gestione del paese. Per quanto riguarda la frontiera del nord, considerata come vero e proprio “colabrodo”, ordina, secondo quanto narra la cronaca di Aelius Spartianus, la costruzione di un muro «al fine di separare i Barbari dai Romani». Si tratta, effettivamente, di impedire definitivamente le incursioni dei barbari Caledoniani verso il sud. La costruzione, in definitiva, di quello che sarà chiamato “muro di Adriano”, che avrà inizio poco dopo. Si tratta di un’opera difensiva che rientra nella logica della strategia militare dell’imperatore e che viene applicata all’insieme del mondo romano.
In tale contesto, Adriano, per meglio garantire la sicurezza delle frontiere, preconizza l’organizzazione dei “limes”, una sorta di percorsi di pattugliamento regolare ed organizzato lungo le frontiere. Le frontiere vengono di norma protette per mezzo di palizzate di legno o, più raramente, da muri in pietra, il tutto punteggiato da forti e torri. In determinati casi, è la stessa strada che individua e costituisce la linea di difesa. In questa ottica, verranno organizzati dei “limes” di migliaia di chilometri lungo la frontiera nord. Si tratta di quelli della Germania, del Danubio e della Britannia. La frontiera orientale comprende quelli dell’Armenia, della Cappadocia (nell’attuale Turchia), della Mesopotamia e dell’Arabia (fra l’Eufrate e il Mar Rosso).
In Britannia, la situazione, considerata abbastanza pericolosa, suggerisce la costruzione di un muro di pietra che attraversa il paese per una lunghezza di 117 chilometri. Questa fortificazione viene dotata di tutte le novità dell’arte militare romana dell’epoca, con un’imponente muraglia, numerosi “castelli”, torri, fossati e, naturalmente, strade. Il tutto inizia da Solway sull’oceano Atlantico fino alla foce del Tyne sul mare del Nord. Grazie ad un dispositivo di questa portata, molto più importante di quello realizzato negli altri “limes” che circondano l’Impero, Roma spera finalmente di bloccare le incursioni dei feroci Caledoniani.

Per saperne di più

Cristiano Bettini, Oltre il fiume oceano. Uomini e navi romane alla conquista della Britannia – Laurus Robuffo, 2015
Leonard Cottrell-Coward-McCann, The Great Invasion – New York, 1962.
Tacito, Historiae, Annali e De vita et moribus Iulii Agricolae.
John Manley, A.D. 43 – Tempus, 2002.
Peter Salway, Roman Britain – Oxford, 1986.