LA CHIESA E IL CULTO VODUN IN BENIN

di Pier Luigi Guiducci -

In Benin sono presenti circa quaranta gruppi etnici: il maggiore è quello dei Fon, seguono gli Yoruba, gli Adja, i Somba, gli Ani e altre etnie. La maggior parte di questi nuclei ha una propria lingua; le più importanti tra quelle indigene sono il fon e lo yoruba. A livello religioso esistono comunità di credenti della religione tradizionale africana, di cattolici, di musulmani, e di protestanti. In tale ambito conserva a tutt’oggi una particolare rilevanza il culto Vodun, presente nel sud del Benin.

Il Benin

Posizionata in Africa occidentale, la Repubblica del Benin [1] è affacciata a sud, sul Golfo di Guinea, di fronte all’oceano Atlantico, con una costa che si estende per circa 120 km. Il Paese confina ad ovest con il Togo [2], ad est con la Nigeria [3] e a nord con Burkina Faso [4] e Niger [5]. La capitale è Porto-Novo, ma la sede del governo è Cotonou. Il Benin è membro della Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale (CEDEAO), la lingua ufficiale è il francese. Il suo nome storico (mantenuto fino al 1975) era Dahomey, derivante dall’antico regno sorto intorno a una tribù chiamata Fon [6]. Nel XVII secolo il territorio, governato da un monarca Yoruba, si estendeva oltre gli attuali confini; il Paese era prospero, in relazione commerciale con gli europei [7] specie per la tratta di schiavi. Nel XVIII secolo il Dahomey cominciò a perdere la sua forza politico-amministrativa, ne approfitteranno i francesi che assunsero il controllo dell’area nel 1892. Nel 1899 il territorio entrò a far parte della colonia dell’Africa Occidentale Francese, conservando il suo nome storico. Nel 1958 si arrivò a garantire un’autonomia al Paese, divenuto Repubblica del Dahomey. La piena indipendenza venne proclamata il 1° agosto del 1960 dal presidente francese Charles De Gaulle.

Le religioni nel Benin. Il Vodun

Circa quaranta gruppi etnici differenti sono attualmente presenti nel Benin; il maggiore è quello dei Fon, seguono gli Yoruba [8], gli Adja, i Somba, gli Ani e altre etnie. La maggior parte di questi nuclei ha una propria lingua; le più importanti tra quelle indigene sono il fon e lo yoruba [9]. A livello religioso esistono comunità di credenti della religione tradizionale africana, di cattolici, di musulmani, e di protestanti. In tale ambito conserva a tutt’oggi una particolare rilevanza il Vodun [10], sorto nel sud del Benin. Si tratta di un culto che esprime un’articolata visione del mondo. Collegato storicamente con le religioni africane ‘primitive’, si manifesta in modi diversi: verso molteplici divinità e verso il culto degli antenati. È pure vicino all’animismo, in quanto pone in essere una relazione tra il mondo visibile e quello invisibile. In epoca moderna, dalle terre del Golfo di Guinea [11] venne diffuso in terra americana dagli schiavi trasportati con navi negriere [12]. Il Vodun è stato talvolta presentato come un fenomeno di estasi collettiva, alcuni studiosi [13] tendono a indicarlo come una religione, individuando – a loro avviso – elementi che ne confermano un valore teologico. Dal 1992 è una delle religioni ufficiali del Benin, e ogni 10 gennaio è celebrata una Festa Nazionale del Vodun.

Il Vodun nel Benin

Altare vodun con feticci

Altare vodun con feticci [Dominik Schwarz]

La cultura Fon-Adja afferma che ogni essere umano è in relazione permanente con i morti; sussiste infatti la credenza che – dopo la morte – la vita della persona non s’interrompa ma prosegua in modo diverso. Per tale motivo si trova nei villaggi una piccola costruzione ove sono conservati resti di defunti; è un ambiente di culto dei morti (Vodun [14]). Al riguardo, una citazione è illuminante: “Un j’avulumingbéto Nu ma s’aten Bo do vodunglaglanyiwè[15] (“Omaggio a voi uomini che siete menoche [niente] ma qui siete dei Vodun potenti”). Viene in tal modo riconosciuta a Vodun una forza trascendentale; l’interazione che intercorre tra gli abitanti di un dato territorio e questa entità diventa anch’essa un’esperienza trascendentale.
In tale contesto si è cercato di trovare delle definizioni di Vodun. Tenendo conto del carattere e delle sue manifestazioni, gli studiosi ritengono in genere Vodun una realtà segnata dal politeismo, dall’animismo. Alcuni etnologi, noti per le loro ricerche, quali l’abbé Gabriel Kiti (1900-1948;) uno dei primi studiosi del Dahomey) [16] e Bernard Maupoil (1906-1944) [17], individuano nel Vodun varie entità a cui si attribuiscono nomi diversi: Lisa, Sakpata, Xévioso, Avlékété, Fa, Gu, Toxosu, Mawu… Tali Vodun sono diversi perché mutano con i luoghi e con le esperienze dei nativi.
Il Vodun concepisce la molteplicità dell’universo come una realtà illusoria, intendendo il cosmo come un “tutt’uno”. I tanti aspetti che costituiscono il mondo non sono slegati e distinti tra loro, la differenziazione è solo un velo che copre la realtà. L’ente supremo è creatore, motore, fonte mistica di tutta l’esistenza, essenza che nutre la materia dell’universo, nonché la potenza che dà forma alla sostanza. Questa, senza la forma conferitale dalla divinità suprema, non sarebbe altro che caos. Nel Vodun esistono molte divinità; se ne contano fino a 260. Ne indichiamo alcune.
- Achin è un “ta Vodun” cioè “Vodun della testa” nel senso che viene poggiato sulla testa dell’adepto in forma di amuleto, può anche essere posizionato sulle spalle. Colui che lo porta ha un proprio nome e un ruolo nel convento ove risiederà fino alla morte.
- Bognaho è un “dirigente di onomastico” nei conventi del sud-Benin soprattutto dai Ouémenou [18]. Questo Vodun dà i nomi ad ognuno secondo la sua funzione spirituale nel convento. Ad esempio Hounkponou significa capo spirituale e protettore del convento.
- Hèviosso è il Vodun dei tuoni, dei fulmini; i suoi seguaci fanno uso di una spada a due tagli.
- Legba è un Vodun a volte generoso, in altri casi pericoloso. Un suo simulacro in terra è posto all’ingresso del villaggio come segno di protezione.
- Toxosu è una divinità che si incarna nel seno di una donna chiamata “innocente” la quale partorisce bambini segnati da profonde malformazioni. Questi, sono considerati causa di ricchezza, e per tale motivo sono accolti con cerimonie e rituali. Se ciò non viene fatto la famiglia s’impoverisce progressivamente.
- Vodun Dan [19] è il Vodun della ricchezza. È rappresentato da un serpente [20] che striscia e si nasconde nel terreno, ma ascende poi in cielo in forma di arcobaleno, essendo chiamato in modo completo Dan Ayidohwedo. È un Ayi-Vodun, anche se può essere associato a Ji-Vodun, perché si dice che porta Heviossô, le nubi per seminare la pioggia benefica. Il culto di Dan è originario della provincia Mahi sull’altopiano di Abomey e, anzi, può essere considerato I’m Vodun, divinità nazionale di Mahis. Il Vodun Dan corrisponde ad una famiglia completa, dove ci sono 41 aspetti maschile e femminile della divinità. Forse perché è legato alla fertilità e alla ricchezza, Dan ha molti adepti ed iniziati che cercano benedizione.
Nell’insegnamento Vodun le divinità sono considerate entità indescrivibili, senza aspetto o caratteristiche fisiche, semplici essenze della divinità suprema. Per questo motivo, per rappresentarle in modo ufficiale (ad esempio per le decorazioni dei templi Vodun) vengono utilizzati i veve, che sono dei disegni geometrici sacri. Si tratta di forme sintetiche e simboliche di funzioni e caratteristiche che contraddistinguono gli spiriti della natura.

Le aggregazioni Vodun

In ambito territoriale il Vodun si presenta in genere con un’organizzazione costituita da un sistema di aggregazioni religiose. Nel Benin esiste, in particolare, un’istituzione ufficiale che amministra le comunità, dirige i riti di culto, assume ruoli di responsabilità nei luoghi di formazione dei seguaci, gestisce servizi di interesse generale (ospedali, scuole, college…), garantisce interventi solidali verso i poveri. Al vertice di ogni aggregazione Vodun si collocano gli alti sacerdoti (papaloa) e le alte sacerdotesse (mamaloa). Sono persone con anni di esperienza; svolgono le medesime funzioni; i sacerdoti di sesso maschile sono chiamati Vodungan [21], le donne Hunno. I sacerdoti e le sacerdotesse distribuiti sul territorio operano in diversi luoghi di culto e in templi.
Per esistere e per manifestarsi il Vodun deve essere nominato. Ci sono parole anonime, ordinarie, neutre, che pronunciate senza “atchè” non hanno effetto. Ci sono, invece, delle espressioni “pesanti”, efficaci, cariche di atché, che – pronunciate secondo un certo rituale – con determinati gesti, incantesimi, diventano efficaci ex opere operato (per la loro stessa azione). Il Vodun esiste ed agisce solo tramite l’essere umano e in favore di quest’ultimo. Gli iniziati, consacrati, hanno in sé il Vodun, sia perché posseduti, sia come possessori del Vodun (vodunnon), capaci cioè di nominarlo, di chiamarlo. Non c’è Vodun senza chiamata, senza un ordine verbale potente ed efficace. Il potere, in definitiva, risiede nel nome pronunciato, nella parola. Per ogni seguace, diventato vodunsi, avviene lo stesso: è l’imposizione di un nuovo nome che completa e sancisce l’iniziazione, la sua rinascita.

La vita dopo la morte, aspetti etici; la formazione

Mercato con feticcio vodun in Togo [Dominik Schwarz]

Mercato con feticcio vodun in Togo [Dominik Schwarz]

Il Vodun è per la vita terrena e in essa rimane. Si entra nel mondo dopo la morte [22] con qualità morali personali. Il Vodun si avvicina talvolta a elementi cristiani, ad esempio nella convinzione che esiste una vita dopo la morte. Nel Vodun tuttavia la concezione dell’anima è diversa. Nel Cattolicesimo questa viene considerata il “principio spirituale dell’uomo” (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 363), o la “forma del corpo” (CCC, n. 365), destinata a ricongiungersi ad esso dopo la morte con la risurrezione, (cf CCC, n. 990); nel Vodun l’anima è concepita come entità distinta in due corpi. La prima parte – considerata la più materiale – è così legata al corpo da lasciarlo solo dopo la morte. La seconda – ritenuta più sottile – è in grado di lasciare spesso il corpo (anche durante il sonno), ed è più soggetta ad influssi esterni, tanto che la può “catturare” chi pratica la magia nera. In questo caso, i sacerdoti Vodun proteggono il malcapitato preparando un “vaso della testa[23], una sorta di amuleto nel quale racchiudono la parte più sottile dell’anima. Quando una persona muore, la sua anima ascende in un luogo di pace, senza spazio e tempo.
Sul piano etico si riscontrano nel Vodun diversi valori. Ricordiamo ad esempio: la lealtà, l’importanza che viene attribuita al celibato, il senso del sacro, la purezza, la grande discrezione. Con riferimento al valore della vita, il Vodun attribuisce particolare importanza alle persone con handicap fisico o mentale. Tali soggetti sono amati e sostenuti nelle comunità perché qualsiasi cosa che appare speciale o solo diversa viene considerata sacra, è ritenuta una potente manifestazione della divinità. Durante la vita ogni essere umano possiede inoltre un proprio “maestro della testa[24], una divinità che porta consiglio e protezione. Con riferimento invece alla natura, i seguaci Vodun – sulla base di una visione panteistica – la considerano sacra e permeata dalle divinità.
Nella cultura tradizionale del Benin ci sono luoghi chiusi, segreti, chiamati hounkpamin [25]. In tali ambienti si formano, in genere per un triennio, i fedeli Vodun che sono vincolati dalla credenza nella divinità. Nell’ambito dei diversi insegnamenti avviene l’apprendimento di una nuova lingua (a uso interno), delle danze, delle conoscenze medicinali, dei riti. Il capo [26] del hunkpamè è un sacerdote, maestro del culto e custode delle tradizioni, riti e segreti. Chi assiste ai rituali è scelto dallo stesso Vodun tramite un sacerdote che si fa interprete della volontà divina. In queste strutture o aree segrete sono diversi i trattamenti scelti dal sacerdote Vodun per determinati rituali; con frequenza è usato il potere curativo delle piante associandolo con altre componenti minerali ed organiche. Evidentemente, nell’ambito dei hounkpamin esiste una rigorosa disciplina. Ogni fedele Vodun è legato a un segreto su quanto ascolta, vede e impara, inoltre solo il sacerdote e i suoi collaboratori conoscono gli elementi delle composizioni e le formule da pronunciare. È proprio nel contesto di determinati rituali che avviene la materializzazione di spiriti. Le conoscenze dei sacerdoti Vodun sono trasmesse di generazione in generazione.

La Chiesa Cattolica nel Benin

L’opera svolta dai missionari cattolici nel Benin [27] viene oggi studiata tenendo conto di quattro periodi:
- epoca della prima evangelizzazione: in questa fase assumono rilievo i rapporti dei missionari e dei catechisti con la religione tradizionale;
- epoca della missione con il clero locale: si tratta del periodo 1914-1960 (seminaristi e primi sacerdoti fino alla fine del periodo coloniale), poi ruolo importante anche dei catechisti;
- epoca della missione con il clero locale: è un periodo temporale che va dal 1961 al 1994 (primo Sinodo sull’Africa);
- epoca della nuova evangelizzazione dell’Africa: dal 1994 in poi. L’orientamento è impresso dalle Esortazioni Ecclesia in Africa e Africae Munus.
A livello cronologico, la prima presenza cattolica nel Paese è legata all’opera dei missionari portoghesi che nel 1680 costruirono una cappella a Ouidah. Ma un’opera di evangelizzazione vera e propria ebbe inizio solo con l’arrivo dei missionari della Società delle Missioni Africane (SMA.) nel 1861, e con la fondazione delle missioni di Porto-Novo e Agoué. Il 26 giugno 1883 fu eretta la Prefettura Apostolica del Dahomey. Risale al 1901 l’istituzione del Vicariato Apostolico. Un particolare impulso alla formazione di un clero indigeno si verificò con la promozione del seminario regionale di Ouidah che conserva il merito di aver preparato i primi sacerdoti del Togo, della Nigeria, della Costa d’Avorio e che mantiene a tutt’oggi il suo carattere regionale. Nel 1925 il padre Francis Aupiais (1877-1945) invitò i primi seminaristi del Paese ad aprire il loro cuore agli aspetti positivi della loro cultura locale anche attraverso la rivista ‘La Reconnaissance Africaine’ [28]. La Chiesa del Benin cercò poi di proseguire in questa linea di dialogo.
Nel 1928 fu ordinato il primo sacerdote indigeno. Il 14 settembre del 1955 Pio XII eresse (Bolla Dum tantis) – in modo contemporaneo – le prime due diocesi del Paese (Cotonou e Porto-Novo) stabilendo la gerarchia cattolica. Nel 1957 Bernardin Gantin divenne il primo vescovo beninois [29]. Nel 1971 (29 giugno) fu istituita da Paolo VI la nunziatura apostolica del Dahomey (Breve Magnum semper). All’inizio la sede era posizionata nella città di Dakar (Senegal); fu poi trasferita ad Abidjan secondo quanto stabilito dal Breve Quantum prosperitatis di Papa Montini (1º maggio 1973). Nel 1975 ha assunto il nome di nunziatura del Benin.
Nel 1982 e nel 1993 Giovanni Paolo II visitò il Benin. Lo accolse festosamente l’episcopato locale, che è riunito nella Conferenza Episcopale del Benin (Conférence Episcopale du Bénin, CEB). La CEB è membro della Conférence Episcopale Régionale de l’Afrique de l’Ouest Francophone (CERAO).

Chiesa Cattolica e Vodun

L’attività missionaria nel Benin ha richiesto ai diversi missionari un impegno non indifferente. S’incontravano due visioni diverse del mondo: i primi evangelizzatori si renderanno presto conto che la religione Vodun aveva (e conserva ancora) un carattere antropocentrico. Malgrado ciò, i credenti della religione tradizionale africana non mostreranno comunque ostilità davanti all’annuncio di un Dio supremo, imperscrutabile, che comunica con gli esseri umani attraverso dei messaggeri, perché tale elemento di fede era già contenuto nella loro religione. Evidentemente i missionari cattolici cercheranno di eliminare quegli elementi del Vodun che innestavano delle oggettive “dipendenze” psichiche, mantenendo gli indigeni in uno stato di soggezione che aumentava la loro vulnerabilità. Nello stesso tempo l’annuncio del Vangelo era attento a valorizzare quegli aspetti positivi locali che facilitavano un’intesa, un dialogo. Il cammino percorso ha incontrato ostacoli ma ha tracciato anche dei percorsi che oggi consentono alla Chiesa cattolica del Benin di essere una presenza talmente rilevante da ricevere la visita di due Pontefici: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. In particolare, nel 1993 Giovanni Paolo II si è recato in Benin, Uganda e Kartoum. Nell’ambito di questo viaggio apostolico, il 3 febbraio 1993 ha rivolto un discorso ai Vescovi della Conferenza Episcopale del Benin presso l’arcivescovado di Cotonou [30]. Ne riportiamo alcuni passi interessanti questo studio.
“Cari fratelli nell’Episcopato,
1. (…) “La nuova evangelizzazione”: questo è il tema generale che avete scelto per la visita del Papa in Benin. È dunque a questo argomento di attualità che si riferiscono le mie proposte, che si iscrivono nella linea dell’enciclica Redemptoris missio (…).
3. Dopo le iniziative dei primi missionari e dei loro successori, la Chiesa in Benin è cresciuta con l’aiuto dei suoi stessi abitanti. Essa ha ormai i suoi sacerdoti, i suoi vescovi e anche un Cardinale, a cui è stata affidata a Roma la responsabilità di un dicastero di grande importanza e del quale apprezzo la collaborazione. (…)
4. Nel corso degli anni difficili che il vostro paese ha conosciuto, non avete rinunciato a portare la luce del Vangelo al vostro Popolo. Nel 1989, lo avete invitato alla conversione con un documento che, a detta di molti, ha profondamente segnato la vita nazionale; l’avete incoraggiato a partecipare alla ricostruzione del paese; e, un anno fa, l’avete aiutato a riflettere sulle esigenze della democrazia. (…)
6. L’evangelizzazione, che è al centro del ministero episcopale, passa attraverso l’inculturazione della fede. È un tema che vi è caro ed è oggetto delle vostre riflessioni, anche in prospettiva dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per l’Africa. Il messaggio evangelico gioca un ruolo profetico e critico. Esso vuole rigenerare, passare al vaglio ciò che sarebbe ambiguo o appannato, tanto nei costumi ancestrali che nelle pratiche recentemente importate dall’estero. Così potrà essere assunto tutto ciò che è buono, nobile e vero, affinché il mistero cristiano sia espresso secondo il genio africano. Quest’opera d’inculturazione richiede molto tempo, lucidità teologica, discernimento spirituale. (…) Il Concilio Vaticano II ha offerto un triplice criterio di discernimento per l’assunzione dei valori culturali dei popoli, e cioè: la loro attitudine a contribuire alla gloria di Dio Creatore; la loro attitudine a mettere in luce la grazia del Salvatore; e infine la loro attitudine a ben ordinare la vita cristiana (cf Ad gentes, 22). Fondata sulla tradizione apostolica ed ecclesiastica, l’inculturazione appare come la grande sfida della Chiesa Cattolica in Africa, alle soglie del terzo millennio. (…)
8. Cari fratelli, condividete con le vostre comunità diocesane questo tesoro di unità e questa coesione, “perché il mondo creda” (Gv 17, 21). In questo modo, potrete meglio fare fronte all’assalto delle sette, che si sono moltiplicate e che danno un’idea deformata del cristianesimo. (…)
10. Attenta a un evidente “segno dei tempi”, la Chiesa considera che il dialogo entra naturalmente nel suo programma d’azione. “Il dialogo interreligioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa. Inteso come metodo e come mezzo per una conoscenza ed un arricchimento reciproci, non è in contrapposizione con la missione ad gentes, anzi ha speciali legami con essa e ne è un’espressione” (Redemptoris missio, 55). Nella convinzione che la carità di Cristo può superare tutti gli ostacoli (cf Rm 12, 21), continuate a sviluppare con i credenti di altre religioni un’atmosfera che permetta di preservare per tutti le condizioni di un’adesione alla fede data in piena libertà. Incoraggiate la conoscenza e il rispetto reciproci, in una ricerca comune della crescita della persona umana, che non può essere raggiunta senza determinazione per evitare ogni violenza psicologica, morale o fisica (…).
11. Sull’esempio del Salvatore, pieno di misericordia e di compassione per i suoi fratelli, abbiate per tutti, e soprattutto per i giovani, una parola di speranza. Il vostro popolo, lo riconoscete, ha bisogno di essere liberato dalle antiche paure: paura degli antenati ai quali si sarebbe stati infedeli, paura degli stregoni, paura dei “gris-gris”, egli ha bisogno di sentirsi dire che è amato da Dio, che è liberato da Cristo dai mali che affliggono l’umanità e che ha talenti particolari da sviluppare, a vantaggio dell’Africa e del resto del mondo (…)”.

L’incontro di Giovanni Paolo II con i seguaci Vodun (1993)

Giovanni Paolo II nel 1993

Giovanni Paolo II nel 1993

Il 4 febbraio del 1993 Giovanni Paolo II si incontrerà a Cotonou con una rappresentanza dei seguaci Vodun del Benin [31], e rivolgerà loro un discorso che riportiamo qui di seguito [32].
“Cari amici,
1. Sono lieto di avere questa occasione d’incontrarvi e vi saluto molto cordialmente. Come sapete, sono venuto in Benin, innanzitutto per rendere visita alle comunità cattoliche, per incoraggiarle e confermarle nella fede. Inoltre, ho sempre pensato che il contatto con persone che appartengono a tradizioni diverse fosse una parte importante del mio ministero.
Infatti, la Chiesa Cattolica è favorevole al dialogo: dialogo con i cristiani di altre Chiese e Comunità ecclesiali, dialogo con i credenti di altre famiglie spirituali, e dialogo anche con coloro che non professano alcuna religione. Essa desidera instaurare rapporti positivi e costruttivi con le persone e con i gruppi umani di diverso credo in vista di un arricchimento reciproco.
2. Il Concilio Vaticano II, che ha tracciato il cammino della Chiesa per la fine di questo millennio, ha riconosciuto che nelle diverse tradizioni religiose c’è del vero e del buono delle semenze del Verbo. Esso ha esortato i discepoli di Cristo a scoprire “quali ricchezze Dio nella sua magnificenza ha dato ai popoli” (Ad Gentes, 11). Questi sono i fondamenti di un dialogo fruttuoso, come diceva l’Apostolo Paolo ai primi cristiani: “tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4, 8). Da ciò il nostro atteggiamento di rispetto: rispetto per i veri valori, dovunque essi siano, rispetto soprattutto per l’uomo che cerca di vivere di questi valori, valori che lo aiutano ad allontanare la paura. Siete fortemente attaccati alle tradizioni che vi hanno tramandato i vostri antenati. È legittimo essere riconoscenti verso i più anziani che vi hanno trasmesso il senso del sacro, la fede in un Dio unico e buono, il gusto della celebrazione, la considerazione per la vita morale e l’armonia della società.
3. I vostri fratelli cristiani apprezzano, come voi, tutto ciò che è bello in queste tradizioni, poiché sono, come voi, figli del Benin. Ma essi sono altrettanto riconoscenti ai loro “avi nella fede”, a partire dagli apostoli fino ai missionari, per aver portato loro il Vangelo. Questi missionari hanno fatto conoscere loro la “Buona Novella” che Dio è Padre e che è sceso fra gli uomini attraverso suo Figlio, Gesù Cristo, portatore di un gioioso messaggio di liberazione. Se andiamo più indietro nella storia, constatiamo che gli antenati di questi missionari giunti dall’Europa avevano essi stessi ricevuto il Vangelo quando avevano già una religione e un culto. Accogliendo il messaggio di Dio, essi non hanno perduto niente. Al contrario, hanno avuto la possibilità di conoscere Gesù Cristo e di divenire, in Lui, per mezzo del battesimo, figli e figlie del Dio d’Amore e di Misericordia.
4. Tutto ciò è stato fatto nella libertà. Infatti i Vangeli sottolineano che Gesù non ha costretto nessuno. Agli apostoli, Cristo ha detto: “Se vuoi, seguimi”; ai malati: “se vuoi, puoi essere guarito”. Ciascuno deve rispondere all’appello di Dio, liberamente e in piena responsabilità. La Chiesa considera la libertà religiosa un diritto inalienabile, un diritto che si accompagna al dovere di ricercare la verità. È in un clima di rispetto per la libertà di ognuno che il dialogo interreligioso può svilupparsi e dare i suoi frutti. 5.Questo dialogo non è rivolto soltanto ai valori del passato e del presente. Esso guarda anche all’avvenire. Esso implica la collaborazione allo scopo di “difendere e promuovere insieme, per tutti gli uomini, la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà” (Nostra aetate, 3). Queste parole del Concilio Vaticano II, malgrado siano situate in un contesto diverso, delineano un programma per i credenti di un Paese come il vostro, in cui i cristiani e i musulmani vivono insieme ai membri della religione tradizionale africana. Il Benin, per svilupparsi, ha bisogno della partecipazione di tutti i suoi figli e nessuno deve chiudersi in se stesso. Cristiani, membri della religione tradizionale e musulmani sono chiamati a rimboccarsi le maniche per operare insieme per il bene del Paese. Quest’azione solidale dei credenti è importante per lo sviluppo integrale, la giustizia e la liberazione umana. Quest’opera sarà portata avanti meglio se accompagnata da una preghiera fervente a Dio, Creatore e Padre, fonte di ogni bene. (…)”.

Alcune considerazioni di sintesi

  1. Per i suoi seguaci il Vodun è la forza segreta che presenzia in tutte le cose, e che si manifesta all’essere umano con profondi rituali, caratterizzati da simbolismi esoterici e da un’enfasi estatica. I riti permettono ai fedeli di entrare in contatto con la divinità, contemplandola ed intravedendone il mistero. Lungi dall’essere un qualcosa di semplicistico, il Vodun incarna una saggezza filosofica che si estende oltre gli ambiti individuali per accogliere dimensioni più ampie della vita, della mente, e dell’universo. Concepisce il cosmo come un tutt’uno: ciò che esiste nella creazione è parte e manifestazione di un’entità ancestrale, ineffabile ed eterna, le cui varie sfaccettature si esprimono attraverso le forze del cosmo quali il fulmine, gli alberi, il mare. Gli adepti del Vodun riconoscono la presenza di un ente supremo che è creatore, motore, fonte mistica di tutto ciò che esiste, è l’essenza che nutre la materia dell’universo, nonché la potenza che dà forma alla sostanza.
  2. Il Vodun è sempre al servizio di una collettività, di una comunità, sia essa nazionale, regionale, tribale o famigliare. Se non si parte da questa constatazione-chiave, l’ottica del ricercatore più onesto o dell’etnologo più coscienzioso, viene automaticamente falsata. L’errore principale di molti, infatti, è quello di considerare il Vodun solo dal punto di vista personale, partendo cioè dal presupposto che questo è per l’individuo. In realtà, al contrario della nostra società moderna tendenzialmente individualista, la società così detta “primitiva” è comunitaria: l’individuo non conta, o se conta lo è solo per il fatto che il suo posto e il suo ruolo gli sono dati dalla comunità.
  3. Il Vodun è a volte confuso con la stregoneria. Occorre quindi chiarire. Se con quest’ultimo termine si intende l’arte di “fare fatture” per nuocere ad altri o per uccidere, allora questo culto non solo non entra in tale categoria, ma un suo obiettivo è quello di lottare contro tali pratiche. In particolare il Vodun rappresenta la potenza benefica (“atshè”), incaricata di lottare contro quella malefica (“azé”). Non è un’arte per guarire, né una specie di ordine dei “medici” tradizionali; erbe e piante fanno parte dei riti Vodun, ma non in funzione curativa.
  4. Aspetti da tener conto nel Vodun sono: la ricchezza del simbolismo, l’attenzione alle fasi formative dell’iniziato, il senso della festa, lo spirito comunitario, e il senso del bene pubblico. Realtà “a rischio” sono: le dinamiche che alimentano le paure umane, la non considerazione di alcuni diritti della persona specie a livello di libertà personale.
  5. Il Vodun è una religione? Può essere utile al riguardo un chiarimento. La natura di un oggetto è l’adorazione di Dio e la salvezza dell’anima, la sua ragion d’essere è puramente materiale: garantire un nutrimento alla popolazione, la salute alle persone, l’umana fertilità, una positiva economia al villaggio, buoni raccolti alle famiglie, una convivenza pacifica tra etnie, un ordine nella comunità… In tale contesto non c’è problema ad ammettere che il Vodun ha l’apparenza e le forme di una religione, utilizza cioè preghiere, riti sacrificali, offerte, relazioni segrete o rituali con il mondo invisibile, con il sacro in genere… ma in tutto ciò non c’è mai un riferimento a Dio.
  6. È possibile un dialogo inter-religioso? Sì, ma presenta aspetti di reale difficoltà: esige molta pazienza e simpatia reciproca. Per il clero cattolico locale, che nella quasi totalità è cresciuto al di fuori delle tradizioni locali non-cristiane, e che in alcuni casi non riesce a superare la paura atavica del Vodun, l’impegno è tutto in salita. Il fatto, poi, di manifestare della simpatia e dell’amicizia verso i seguaci del Vodun rischia talvolta di apparire agli occhi delle popolazioni locali come un’intesa su contenuti di fondo, in definitiva: come un accordo equivoco.

 

Per saperne di più

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Zinzindohoue B., Traditional religion in Africa: the Vodun phenomenon in Benin, in http://afrikaworld.net/afrel/zinzindohoue.htm

 

Ringraziamenti

L’A. esprime riconoscenza per i contributi ricevuti, durante la stesura di questo lavoro, da mons. Mellon Djivoh della Congregazione Vaticana per la Dottrina della Fede, da don Adekambi Moise, sacerdote della diocesi di Porto (Benin), da suor Cecile Tabe dell’Istituto Suore Immacolatine di Alessandria, e dal religioso vocazionista p. Florent Hounkponou. Tutte queste persone sono native del Benin.

Note

[1] M. AIME, Nel paese dei re, Nicolodi, Rovereto 2003. R. CAFURI, In scena la memoria. Antropologia dei musei e dei siti storici del Bénin, L’Harmattan Italia, Torino 2003. C. DOTTORI, Benin. Economia, società e sviluppo etico, L’Harmattan Italia, Torino 2005. B. PLANKENSTEINER, Benin, 5 Continents Editions, Milano 2010.

[2] La Repubblica Togolese confina a ovest con il Ghana, a est con il Benin, a nord con il Burkina Faso. Si affaccia per un breve tratto sul Golfo di Guinea a sud; in questo tratto di costa si trova la capitale Lomé. La lingua ufficiale è il francese (è membro dell’associazione dei paesi francofoni) ma vi si parlano molte altre lingue africane. Col nome di Togoland fu colonia prima della Germania e poi della Francia, da cui ottenne l’indipendenza nel 1960.

[3] La Repubblica Federale della Nigeria confina con il Benin ad ovest, il Ciad e il Camerun ad est, il Niger a nord e a sud si affaccia sull’Oceano Atlantico nel Golfo di Guinea. Settimo stato al mondo per popolazione, fa parte del Commonwealth of Nations. Le principali città, oltre all’attuale capitale Abuja (dal 1991) e a quella precedente, Lagos, sono: Abeokuta, Ibadan, Port Harcourt, Kano, Kaduna, Jos e Benin City.

[4] Stato privo di sbocchi sul mare, confinante con Mali a nord, Niger a est, Benin a sud-est, Togo e Ghana a sud e Costa d’Avorio a sud-ovest. È una Repubblica semi-presidenziale, la lingua nazionale è il francese. Dopo essere stata colonia, otterrà l’indipendenza dalla Francia nel 1960 divenendo Repubblica dell’Alto Volta. Il nome attuale, Burkina Faso, verrà istituito il 4 agosto 1984 dal presidente Thomas Sankara, e significa “la terra degli uomini integri” nella lingua more e nella lingua bamanankan, parlate rispettivamente dall’etnia mossi e dell’etnia dioula.

[5] Il Niger è uno Stato senza sbocco al mare. Confina a nord con l’Algeria e la Libia, ad est con il Ciad, a sud con la Nigeria ed il Benin, e ad ovest con il Burkina Faso e il Mali. Deve il suo nome al fiume Niger che l’attraversa. La capitale è Niamey.

[6] Dahomey era il nome di un antico regno con capitale Abomey. A livello etimologico significa: Dan ho mè = “nel ventre di Dan”. Dan era un famoso re locale. Dopo la sua uccisione sarà piantato un albero sopra la sua tomba, simbolo del regno. Questa pianta verrà allora indicata come”piantata nel ventre di Dan”). Quanto descritto deriva da un racconto orale. W. J. ATGYLE, The Fon of Dahomey: a history and ethnography of the Old Kingdom, Clarendon P., Oxford 1966.

[7] Portoghesi e olandesi erano giunti per primi in Dahomey nel tardo XV secolo.

[8] Il Paese Yoruba occupa la parte sud-occidentale della Federazione Nigeriana.

[9] La lingua Yoruba è la base comune delle diverse lingue “sacre” usate nel Vodun, soprattutto nei riti divinatori del “fa”; rito che domina sugli altri, poiché sta all’inizio di ogni celebrazione e intervento Vodun.

[10] AA.VV., Vaudou-Voodoo-Vudù, “Catalogo della mostra (Benin 17 giugno-2 settembre 2007)”, edizione italiana, inglese e francese a cura di J.D. BURTON, 5 Continents Editions, Milano 2007. J. R. HINNELLS, A new dictionary of religions, MA: Blackwell Publishing, Cambridge 1997. S. PRESTON BLIER, African Vodun: art, psychology, and power, The University of Chicago Press, Chicago 1995.

[11] Il Golfo di Guinea è una vasta insenatura dell’Oceano Atlantico in corrispondenza dell’Africa Occidentale. Si estende dal capo Palmas, in Liberia, fin oltre il capo Lopez, in Gabon, ed è considerato il centro geografico della Terra poiché l’Equatore in corrispondenza del Golfo si incontra con il meridiano di longitudine zero.

[12] Cf anche B. MAUPOIL, La Géomancie à l’ancienne Côte des Esclaves, Institut Ethnologie, Paris 1988.

[13] Si rimanda ai diversi studi in merito tra i quali: L. DUBOIS, Vodou and History, in “Comparative Studies in Society & History”, 43 (1) 2001, p. 92s.

[14] J. ADANDÉ, L’animisme au Bénin, texte introductif sur le Vodoun, anno di divulgazione: 2003, date de consultation du site: juin 2005; www.bj.refer.org/benin_ct/tur/vodoun/present.

[15] Cit. invocazioni ai Vodun raccolte da Nouréini TIDJANI-SERPOS, in “Bulletin de l’Institut Fondamental d’Afrique Noire” (I.F.A.N.), 1943, pp. 129-133.

[16] Cf anche: A. HUANNOU, La littérature béninoise de langue française, Karthala et ACCT, Paris 1984, p. 14.

[17] Cf anche: M. AUGÉ, Il dio oggetto, Meltemi Editore, Roma 2002, p. 10ss.

[18] Gli Ouémenou sono i diretti discendenti degli abitanti del regno di Abomey, fuggiti durante la tratta degli schiavi. Per evitare i negrieri avevano trovato riparo nella valle di Ouémé, non lontano del regno di Hogbonou (nemici del regno di Abomey).

[19] Cf al riguardo: H. OWUSU, Rituels et symboles vaudou, Guy Trédaniel Éditeur, Dornecy 2009.

[20] Nel culto Vodun il serpente è figura sacrale. Come questo animale si avviluppa intorno alle sue prede, così l’entità suprema circonda il cosmo con il proprio spirito, e adempie perennemente al processo della manifestazione molteplice. Le spire del serpente rappresentano la forza mistica con la quale la divinità esprime la propria luce, emanando l’universo che permea e nutre in eterno con il suo spirito.

[21] Anche ungan o houngan.

[22] E. OKWUI, Life&afterlife in Benin, Phaidon, London 2005.

[23] In francese pot de tête.

[24] Mettet, derivato dal francese maître tête.

[25] Sarebbe il convento o monastero, adoperando un’espressione occidentale, ovvero in francese le temple.

[26] Chiamato hounno nella lingua fon del Benin. Questo nome cambia secondo le località o i clan.

[27] CONGREGATIO PRO GENTIUM EVANGELIZATIONE (a cura), Guida delle missioni cattoliche 2005, Urbaniana University Press, Roma 2005. Cf anche: P.H. DUPUIS, Il Vodun del Benin: un approccio empatico, in “Afriche”, n. 39, 1998 (3).

[28] BALARD M., Dahomey 1930: mission catholique et culte vodoun. L’œuvre de Francis Aupiais (1877-1945) missionnaire et ethnographe, Paris, L’Harmattan, Paris 1999.

[29] Creato poi cardinale nel 1977. Cf al riguardo: G. CERCHIETTI – G. GRIECO – L. LALLONI, Cardinale Bernardin Gantin. Missionario africano a Roma, missionario romano in Africa, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010.

[30] Acta Apostolicae Sedis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993.

[31] L’incontro si è svolto presso la sede del Comité pour l’Organisation et le Développement des Investissements en Afrique et à Madagascar (CODIAM).

[32] Acta Apostolicae Sedis, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1993.