KALININGRAD: NUOVE E ANTICHE TENSIONI NEL BALTICO

di Massimo Iacopi –

Territorio ormai autenticamente russo, creato a partire da una tabula rasa etnica e storica con l’espulsione dei tedeschi della Prussia orientale nel 1945, l’attuale regione federata ha radici multiple che affondano anche nella storia dell’impero zarista, della Lituania, della Polonia e della Bielorussia.

Kaliningrad (ex Königsberg) non è stata ripopolata per la prima volta nel 1945: essa lo era già stata a partire dal XIII secolo dai Tedeschi a spese del Baltici pagani della Borussia. Al termine del secondo conflitto mondiale la supremazia colonizzatrice e universalista teutonica ha semplicemente lasciato spazio a un’altra, quella dell’URSS, di cui la Russia è oggi l’erede diretta.
La regione di Kaliningrad costituisce l’oggetto di rivendicazioni territoriali più o meno dichiarate di tutti i suoi vicini, fratelli ex proprietari: Lituania, Polonia, Germania, Bielorussia. A riguardo va notato persino l’interesse della Cina nel contesto delle diramazioni della sua strada della seta. Come dire che questa terra suscita, più di ogni altra, nel Baltico, memorie e tentazioni di radicamento nazionale o imperiale. A suo tempo, baltica, germanica, slava e sovietica, Kaliningrad costituisce una vera linea di faglia dell’Europa dove si gioca l’esito del grande scontro atlantico-euroasiatico.

L’Oceano, la vittoria e i Romanov

Kaliningrad è nata perché l’URSS desiderava, da sempre, ottenere nel Baltico un porto il più a ovest possibile per raggiungere facilmente gli stretti danesi e quindi gli oceani. Lo scopo era strategico, ma non esclusivamente militare. Di fatto, è stata la pesca industriale condotta nell’Atlantico e oltre il motore del nuovo sviluppo socio economico e scientifico di una regione totalmente devastata dalla guerra. Kaliningrad è stata a lungo un grande porto sovietico mondiale, il cui ruolo è diminuito solamente con la perestrojka.
Questa dimensione ovest-russa di Kaliningrad è fondamentale. Etnicamente russa, ma costruita sull’ex Prussia germanica, la città fa parte di un insieme di regioni russe orientate verso l’Europa, insieme a San Pietroburgo e l’Ingria, Pskov e Smolensk. Quella che noi denominiamo “Europa russa” gioca un ruolo importante nel posizionamento geopolitico della Federazione, che sembra sempre soprattutto orientata verso ovest, perlomeno culturalmente. Kaliningrad – geo-storicamente un pezzo dell’Europa centrale – vi attira la Russia e ve la àncora definitivamente, aggiungendole una dimensione tedesca che è stata molto spesso alla guida dello Stato russo a partire da Pietro I il Grande (1672-1725). Emmanuel Kant (1724-1804), il filosofo di Königsberg, rappresenta il simbolo rivendicato di questo legame con l’Europa. Ebbene, è con questo passato che la Russia attuale, politicamente molto san pietroburghese, si rinnova nella dirigenza russa a spese della controversa eredità sovietico-comunista.
Kaliningrad è anche un luogo di memoria russa. E’, in primo luogo, il simbolo territoriale della vittoria sul Terzo Reich: l’URSS voleva ancorare la sua avanzata nel territorio del nemico e questo in nome di una coalizione di tutti gli Slavi (Russi, Polacchi e Cechi) contro il pangermanesimo. Dal 1991, solo questa regione, con un piccolo pezzo della Carelia e le isole Kurili, ricorda che la Russia ha trionfato sull’Asse. Un aspetto di non poco conto, dato che la vittoria del 1945 costituisce una delle rare memorie che raccolgono largo consenso nella società russa. Il 9 maggio è la principale festa nazionale. E Kaliningrad ne rappresenta l’incarnazione geografica. Questa terra è dunque direttamente legata alla ridefinizione dell’identità russa e al suo prestigio ereditato dall’URSS, come anche alle sue ambizioni europee e mondiali. Da qui, e in modo reciproco, un vero accanimento mediatico atlantista contro la regione dal 1991.
Ma attraverso Kaliningrad si ritrova in Russia la memoria della vittoria di Gumbinnen (settembre 1914) e forse soprattutto quella delle battaglie napoleoniche (Eylau, Friedland nel 1807) che fanno parte della letteratura di Lev Tolstoj, che ogni russo conosce.
Questa dimensione storica ricorda anche allo Stato che la Prussia orientale del centro nord non è diventata russa per la prima volta nel 1945: essa era stata conquistata e già annessa ufficialmente (1759 al 1762) dall’Impero degli zar durante la guerra dei Sette Anni e abbandonata per un cambio di alleanze. Ancora prima, la Prussia orientale sembra essere stata la culla dei Romanov: un principe baltico pagano di Prussia (Borussia) del XIII secolo, Mikhail Glanda Kambila di Divon (nato nel 1280) cacciato dai Teutonici (quindi non di origine russa) risulta il primo antenato conosciuto dei boiardi moscoviti, che sono saliti sul trono russo nel 1610, sotto il cognome di Romanov. Leibnitz non esitava a dire a Pietro I il Grande che la Prussia “era un suo feudo ereditario”. In effetti, gli ultimi Romanov sono stati canonizzati dalla Chiesa ortodossa russa nel 2000, diventando un riferimento storico utilizzato dal Cremlino alternativo al comunismo. In maniera indiretta, ma storicamente fondata, la Prussia orientale russa conserva qualche cosa di profondo in comune con il cuore della Russia attuale: Europa russa come San Pietroburgo, tropismo occidentale, origine di una dinastia santificata e identificata con il popolo russo nel suo insieme.

La Lituania e la Lituania minore

La Lituania ha fatto parte (suo malgrado) dell’Impero di Russia, quindi dell’URSS, insieme alla Russia. Malgrado o a causa di questa comunità di destino storico, La Lituania nutre ancora oggi rivendicazioni territoriali sulla regione di Kaliningrad, che oggi, e in modo forzato, costituisce un’entità monoetnica russa. Queste rivendicazioni sono antiche e ci riportano alla difficoltà dei Lituani a concepire i limiti, fluidi e ampi, del territorio e dell’etnia alle quali essi si riferiscono. Nel XIII secolo, al tempo della conquista teutonica e del principe di Prussia Kambila, la Lituania serve da rifugio ai pagani baltici perseguitati dai monaci cavalieri. Sembra che la Prussia orientale, all’epoca baltica e denominata Borussia o Prutenia, abbia esercitato una supremazia religiosa pagana sui Lituani che da allora non hanno smesso di rivendicarla fino alla fine dell’Ordine Teutonico nel 1525.
La costruzione etnolinguistica della Lituania alla fine del XIX secolo ha rinfocolato tali rivendicazioni. I nazionalisti lituani formulano la loro identità nazionale sulla base di una lingua codificata entro i confini prusso-lituani nel XIV secolo dai pastori luterani. Si tratta di una lingua intermedia fra il dialetto lituano e quella che mantiene il prestigio dello scritto. Essa fornisce l’appiglio per una rivendicazione su tutta la Prussia orientale, già di lingua baltica, e soprattutto su tutti i territori a nord del fiume Pregel, denominati Lituania minore. Dal 1919 questa rivendicazione viene avanzata a spese del Secondo Reich sconfitto, con l’annessione della regione di Klaipeda (Memel) nel 1923. Ma rimane ancora la metà sud, fra il Niemen e il Pregel, che rimane tedesca. Durante l’era sovietica, questo problema viene posto diverse volte dai comunisti lituani, ma senza successo. A partire dal 1991 i deputati nazionalisti, i diplomatici e il capo dello Stato Vytautas Landsbergis, se ne fanno promotori, nonostante il riconoscimento delle frontiere russo-lituane, mutualmente ratificato nel 1997. Questa rivendicazione si traduce simbolicamente con il nome che questi nazionalisti attribuiscono a Kaliningrad: ”Regione Karaliaucius”, versione lituanizzata del nome tedesco Königsberg. Un modo come un altro per rifiutare il riconoscimento del fatto che la regione è stata integralmente ripopolata.
Dal 2016 si assiste al parossismo delle rivendicazioni lituane. Esse riguardano ora tutto il complesso federato di Kaliningrad e a tale riguardo, alcuni portavoce della NATO, specialmente polacchi, le hanno sostenute ufficialmente. Ma queste rivendicazioni hanno un fondamento? In tempi di pace esse rimangono in sospeso a livello di sogno ultranazionalista. Le capacità di azione politica lituane sono molto deboli, anche con le sue frontiere immediate. Tuttavia, nel contesto di una guerra NATO-Russia, la Lituania risulterebbe la prima interessata e potrebbe, tenuto conto dei sostegni che ha potuto ricevere dai diversi Paesi di questa alleanza, ottenere dei vantaggi. Tuttavia, occorre tener conto di una situazione “de facto”, ovvero del milione di Russi che abita il territorio in questione. In effetti, per lo Stato lituano, questi Russi sono “occupanti” e quindi “da espellere”. La Lituania si trasformerebbe, a quel punto, in ricolonizzatrice delle terre dei suoi antichi fratelli di Borussia.

La Polonia: fra ritorno economico e ruolo storico

Così come la Lituania, l’interesse specifico della Polonia per la Prussia orientale è molto antico. E’ proprio un polacco, il duca Corrado I di Masovia o Konrad Mazowiecki (1187-1247), che chiama i Teutonici per sottomettere i Baltici pagani della Borussia. I Teutonici conquistano l’essenziale della Borussia, ma si rendono indipendenti; la Polonia da allora non cesserà di ricordare i suoi diritti su tutta la Prussia orientale, fino a ottenere la sovranità indiretta (1525) sul territorio. E’ in tale contesto che il re di Polonia, Sigismondo II Jagellone (1520-1572), crea un ducato di Prussia centrato su un territorio pari all’incirca a quello rappresentato dalla regione di Kaliningrad e conserva il diritto di revocare il duca germanico. Ecco perché la Polonia si rifiuterà categoricamente di riconoscere il Regno di Prussia degli Hohenzollern fino alla spartizione mortale della Polonia: l’unico re in Prussia non può essere che quello di Polonia. Nel 1918, una volta ottenuto l’indipendenza, i Polacchi rivendicano un pezzo della Prussia orientale, ma non l’attuale Kaliningrad. Sarà solo nel 1944-45, nel quadro dei negoziati internazionali sulle nuove frontiere della Polonia, che rivendicherà tutta l’attuale Kaliningrad, come compenso delle perdite subite a est. Successivamente i Polacchi ripiegano sui territori a sud del fiume Pregel. Infine, essi abbandonano la questione sotto la pressione dell’URSS.
A partire dal 1989 l’apertura delle frontiere favorisce una forte influenza economica e linguistica polacca su tutta la metà sud della regione russa, compresa la città di Kaliningrad. In effetti, è soprattutto dalla Polonia che arrivano le importazioni. Questa integrazione progressiva nell’economia polacca è, del resto, reciproca: le regioni della Prussia polacca sono anch’esse dipendenti dal commercio con Kaliningrad. Gli interessi polacchi risultano abbastanza importanti perché si possa riproporre la questione di possibili rivendicazioni, che ricalcherebbero quelle del 1944 e del XVII secolo. Associazioni politiche minoritarie le hanno formulate nel corso degli anni Novanta; oggi appaiono tanto più forti in una Polonia che si vede come un gendarme dell’Europa del centrorientale. Ma esse non sono state riproposte in maniera ufficiale e la Polonia ha sostenuto quelle della Lituania nel 2016. Di fatto, la Polonia, fra tutti gli attori implicati, è quello che ha molto più da perdere, in quanto riaprendo la questione delle antiche frontiere tedesche rischia di condannarsi a perdere la metà nordoccidentale del suo territorio, acquisito sulla Germania nel 1945.

La Germania: una doppia politica culturale

Anche la Germania occupa un ruolo nella questione della Prussia orientale. Beninteso, tutto il territorio di Kaliningrad gli è appartenuto dal 1255 al 1945, tra l’altro, con un ruolo particolare; proprio in quel territorio si trovava il cuore simbolico dello Stato e della dinastia prussiana degli Hohenzollern, che incornavano re e si facevano tumulare a Königsberg-Kaliningrad.
I due milioni di Prussiani espulsi nel 1945 e rifugiati nella RFA hanno aggiunto un significato in più a questo importante simbolo reale e nazionale: la Prussia orientale, martire della guerra con i suoi letali spostamenti di popolazioni. E’ in questo contesto che fino al 1990 la Prussia orientale come tutti i territori a est dell’Oder-Neisse appaiono su tutti gli atlanti della RFA come “territori tedeschi sotto occupazione”. Il trattato sulle frontiere del 1990 mette fine a questa incertezza. Ma dal 1985, i Länder si lanciano in una ambiziosa politica culturale in direzione degli antichi domini tedeschi. Questa politica porta, a partire dal 2000, a un recupero del prestigio del patrimonio regionale. Gli agenti tedeschi finanziano il restauro degli edifici, la riscoperta della letteratura, della storia e dei grandi uomini tedeschi della regione.
Il risultato è rappresentato, a Kaliningrad, da una ricomposizione identitaria che fa apparire il nuovo gruppo regionalista russo come portatore dell’eredità prussiano-tedesca. Questi Russi sono raramente germanofoni ma, sotto l’aspetto culturale lo sono e insistono sulla loro specificità culturale o sulla loro qualità di sub-ethnos. Questo stesso fenomeno di ri-germanizzazione della coscienza culturale è, del resto, osservabile in Slesia, Pomerania e Prussia polacca. Nello stesso tempo, la RFA ha mantenuto una riservatezza esemplare sulla questione: non esiste alcuna rivendicazione da parte sua. Ma l’attivismo intenso dei Länder che la compongono potrebbe, alle volte, a far pensare il contrario. E, soprattutto, una politica così efficace non ha più bisogno di rivendicazioni: sono gli stessi locali, per quanto siano tutti Russi, che tendono a rivendicarsi del mondo germanico e potrebbero, al momento giusto, chiedere di entrarvi.
Nel 2016 cambia la situazione. Con la crescita delle tensioni Russia-NATO, missioni militari atlantiche vengono inviate nei paesi baltici e quella in Lituania è comandata da un ufficiale della RFA. Fatto che, all’improvviso, piazza i militari tedeschi sulla frontiera dell’antica Prussia orientale. Il passaggio da una relazione culturale privilegiata e interna a una relazione militarizzata esterna con Kaliningrad rievoca lo spettro di una riannessione, meno lontana di quanto poteva apparire nel 2010. In effetti, la presenza economica e politica tedesca risulta molto forte, come anche nella Prussia polacca e nella stessa Lituania. Questo accerchiamento tedesco de facto di Kaliningrad fa riflettere, anche se solo una guerra paneuropea potrebbe spingere la RFA ad andare più lontano nella ri-germanizzazione.

La Bielorussia: l’altro erede dell’URSS e della Borussia

La Bielorussia viene sistematicamente dimenticata quando si parla di Kaliningrad. A torto, perché si tratta di un attore importante e molto implicato nella sua creazione. I nazionalisti bielorussi stimano che Kaliningrad sia stata in maggioranza bielorussa nei primi anni del dopo guerra sovietico. Comunque sia, la Bielorussia ha una storia comune con la Prussia orientale: la Bielorussia occupa il territorio del Granducato di Lituania. Più profondamente ancora, la vecchia Borussia pagana si estendeva anche sul nord-ovest bielorusso (Rutenia nera). Anche la Bielorussia può, in tale contesto, considerarsi, al pari della Lituania, come uno degli eredi di questa Borussia. Ma la Bielorussia non rinnega il suo passato sovietico e quindi cumula anche questo aspetto nella sua corsa per Kaliningrad.
Questa regione russa ha in effetti un interesse fondamentale per la Bielorussia: rappresenta lo sbocco marittimo più vicino; d’altronde, è attraverso la Prussia orientale che passava, storicamente, il commercio bielorusso. Lo stesso presidente Aleksandr Lukashenko ha mantenuto un atteggiamento ambiguo sulla regione a partire dagli anni 2000, manifestando un interesse specifico per le terre agricole. La Bielorussia non è certamente pronta a disputare Kaliningrad alla Russia. Ma non può disinteressarsene, figurando, pertanto, nella lista dei pretendenti in caso di ritiro russo (molto improbabile), soprattutto perché si tratta di uno snodo obbligato per le comunicazioni terrestri Mosca-Kaliningrad e, potenzialmente, Pechino-Kaliningrad. In effetti, nel 2020 è stata proclamata l’unione rafforzata della Russia e dalla Bielorussia, che potrebbe captare a suo profitto una regione di cui essa, per la sua geografia, ha un reale bisogno. Rimane da conoscere che cosa rappresenterà questa unione tanto agognata, ma anche tanto aleatoria, a partire dalla sua roboante proclamazione nel 1999.

Kaliningrad: uno sbocco per la via della seta?

Nel 2017, nel contesto delle tensioni NATO-Russia e per la prima volta nella storia, navi da guerra cinesi hanno navigato al largo di Kaliningrad dimostrando un interesse per la regione. Sapendo che la via della seta passa per la Bielorussia e che termina già in Polonia, una presenza cinese a Kaliningrad non sarebbe così sorprendente a breve. Questo interesse è la dimostrazione lampante di quanto il valore attribuito a Kaliningrad superi i confini della piccola regione russa e quanto le tensioni che progressivamente vi si accumulano da ogni lato possano diventare esplosive.
Kaliningrad resta, come a suo tempo la Prussia orientale, un fronte strategico culturale fra i mondi dell’Ovest (cristiano cattolico, Reichs, UE-NATO) e dell’Est (pagani, Rus ortodossi, Impero mongolo islamico, quindi Eurasia sino-russa).