In libreria: Non siamo brava gente

cattura1Nel febbraio del 1943 a Domenikon, paesino della Tessaglia, le camice nere della divisione Pinerolo uccisero oltre cento civili come rappresaglia a un’imboscata costata la vita a nove italiani. Per 12 ore, dal pomeriggio del 16 febbraio alla notte del 17, i nostri soldati misero a ferro e fuoco il villaggio greco sterminando completamente la popolazione maschile, fatta eccezione per i vecchi e i bambini. Come scrisse nella sua relazione il generale Benelli, ispiratore del massacro, «la distruzione del paese di Domenikon s’imponeva come lezione salutare a tutti gli abitanti della zona che hanno dato un fortissimo aiuto alle bande».  Non fu il primo eccidio messo in atto dal nostro esercito di occupazione, e non sarebbe stato l’ultimo: Eleftherochoron, Neapolis, Fatar, Driscoli, Farsala, Titorea sono solo alcuni dei nomi entrati nella memoria del popolo greco al pari delle nostre Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto, Fosse Ardeatine, Padule di Fucecchio… Nomi accomunati oltre che dalla immane scia di sangue e di odio anche dal dato dell’impunità concessa agli autori (fatta salva qualche rara eccezione). Il giornalista Vincenzo Sinapi prende proprio le mosse dalla giustizia negata per i crimini nazisti in Italia per inserire il tassello di Domenikon in una strategia più ampia che coinvolse le nostre istituzioni e la magistratura competente. La mancata celebrazione dei processi contro i nazisti, con relativi fascicoli insabbiati nel cosiddetto “armadio della vergogna”, è stato infatti il prezzo pagato per risparmiare ai vertici militari italiani richieste di condanna da parte di Paesi come la Grecia o la Yugoslavia, salvaguardando al tempo stesso l’onore dell’Esercito e il mito degli “italiani brava gente”.
Tuttavia, le carte sulla strage di Domenikon non erano nascoste in un armadio. Lassismo, insipienza e inefficienza talvolta provocate ad arte, uniti ai tempi biblici del nostro sistema giudiziario hanno fatto sì che gli accertamenti avvenissero con decenni di ritardo. E Sinapi ha ricostruito con rara efficacia, non solo il tragico episodio del 1943, mettendo in risalto i passaggi cruciali che portarono la catena di comando a decidere immediatamente per un massacro “salutare”, ma la ben più articolata e bizantina vicenda giudiziaria, in cui si intrecciano come in un cold case inchieste giornalistiche, un esposto della magistratura militare per aprire il procedimento e ben due archiviazioni. L’ultima seguita all’iniziativa mossa dal nipote di una delle vittime, che consentì nuove e più circostanziate indagini. Ma nel 2018, il gip si vide costretto ad accogliere la richiesta dei pm perché i responsabili erano rimasti ignoti o erano ormai deceduti.
Come ha ricordato il presidente Mario Draghi nelle recenti celebrazioni per il 25 aprile, noi italiani «non fummo brava gente». E in cuor nostro vorremmo attribuire questa amara constatazione a un imbarbarimento operato dal regime fascista o all’insana alleanza con il nazismo. Alla base però c’è quello stesso “sistema Italia” che si macchiò dei crimini per “pacificare” la Libia dopo la conquista del 1911 o che praticò le decimazioni dei soldati durante la Grande guerra. Mutatis mutandi, lo stesso “sistema” che sul fronte giudiziario è abile a trasformarsi, a seconda delle circostanze, in porto delle nebbie o in  strumento partitico contro l’avversario di turno (caso Palamara docet). Non fummo brava gente. Non lo eravamo prima di Domenikon. Non lo siamo ora.
Vincenzo Sinapi, Domenikon 1943: quando ad ammazzare sono gli italiani, Mursia, Milano 2021, pp. 232, euro 18,00

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Vittorio Criscuolo, Ei fu: la morte di Napoleone – il Mulino, Bologna 2021, pp. 232, euro 16,00
Napoleone morì il 5 maggio 1821 a Sant’Elena, isoletta sperduta nell’Atlantico dove gli inglesi lo avevano confinato sei anni prima. La notizia della sua morte giunse in Europa a luglio, suscitando vasta emozione e dando occasione a poesie, canzoni, opuscoli, stampe che celebravano la sua straordinaria vicenda. Il clima oscurantista della Restaurazione aveva riguadagnato molte simpatie allo sconfitto imperatore, ma poi il «Memoriale» pubblicato da Las Cases nel 1823 sulla base di riflessioni e ricordi di Napoleone, presentandolo come il difensore dei principi liberali e nazionali, ne rafforzò il mito che trovò la sua apoteosi nella grandiosa cerimonia del ritorno delle ceneri a Parigi nel 1840. A partire dal racconto dei giorni estremi di Napoleone a Sant’Elena, il volume segue la successiva costruzione della leggenda napoleonica che ha segnato nel profondo l’immaginario ben oltre l’Ottocento.

Andrew Roberts, Napoleone il Grande – UTET, Torino 2021, pp. 1072, euro 29,00
Nel marzo 1807, lontano dalla Francia, Napoleone Bonaparte scriveva alla moglie Giuseppina: «So fare altre cose oltre a condurre guerre, ma il dovere viene per primo».
E nell’arco di vent’anni appena, dall’ottobre 1795, in cui era un giovane capitano di artiglieria mandato a sedare tumulti a Parigi, fino al giugno 1815 e alla sconfitta finale di Waterloo, Napoleone ebbe modo di mostrare in quante forme questo senso del dovere poteva manifestarsi: conquistato il potere con un colpo di stato, pose fine alla corruzione e all’incompetenza in cui si era arenata la Rivoluzione, e se da una parte reinventò l’arte della guerra in una serie di battaglie folgoranti, dall’altra ricreò dalle fondamenta l’apparato legislativo e amministrativo, modernizzò i sistemi di istruzione e promosse la fioritura dello “stile impero” nelle arti. Poi l’impossibilità di sconfiggere il suo nemico più ostinato, la Gran Bretagna, lo spinse verso campagne estenuanti e alla fine fatali in Spagna e Russia. L’epilogo in sordina della sua vita avventurosa, in esilio a Sant’Elena, per ironia della sorte e della Storia si salda con i suoi esordi, con quel quaderno di geografia dove da ragazzo annotava, a margine di un lungo elenco di possedimenti imperiali britannici: «Sainte-Hélène: petite île».
Andrew Roberts ha attinto al corpus completo delle 33000 lettere napoleoniche, tuttora in corso di pubblicazione, e ha visitato quasi tutti i campi di battaglia e i luoghi della sua vita, mostrandoci per la prima volta “l’imperatore dei francesi” così com’era davvero: incredibilmente versatile, ironico, ambizioso, ferocemente determinato ma anche disposto al perdono, ossessionato dalla discendenza e scostante in amore. Perché Napoleone il Grande non fu una sorta di antieroe destinato alla nemesi, un moderno personaggio da tragedia greca o un’altra delle immagini che gli hanno ritagliato addosso dozzine di ricostruzioni storiche. Come scrisse nelle sue memorie George Home, guardiamarina a bordo della nave inglese che lo prese in consegna, sconfitto e prigioniero, dopo Waterloo, Napoleone «ci ha mostrato che cosa può fare una semplice creatura umana, come noi, in un arco di tempo così breve».

Sergio Valzania, Napoleone e la Guardia imperiale – Mondadori, Milano 2021, pp. 276, euro 22,00
I grandi condottieri della storia, Alessandro come Cesare, Annibale come Carlo Magno, sono stati dei solitari. Hanno però avuto, tutti, un rapporto intenso con i loro soldati, reparti scelti che costituirono lo strumento della vittoria in battaglia e contribuirono a forgiare una leggenda capace di proiettarsi nel tempo. Ad accompagnare Napoleone «nel percorso di occupazione non solo militare dell’Europa e di creazione dell’ultima grande figura di conquistatore prodotta dall’Occidente» furono i grognards, i brontoloni, come lui stesso li battezzò affettuosamente, i soldati della Guardia imperiale. Sergio Valzania è andato alla ricerca della loro storia, dalla nascita in terra italiana come scorta personale del generale Bonaparte allo scioglimento avvenuto alcuni mesi dopo la battaglia di Waterloo, per opera di Luigi XVIII che diffidava, a ragione, di un esercito che dopo avergli giurato fedeltà lo aveva abbandonato per seguire Napoleone nella sua ultima impresa.
Napoleone cercò sempre di evitare perdite nella Guardia, che considerava preziosa. Perciò ogni suo intervento in combattimento risultò significativo. A Marengo, nella seconda campagna d’Italia, quando la battaglia sembrava perduta la Guardia consolare resistette agli assalti austriaci «come una colonna di granito», nelle parole dell’imperatore; ad Austerlitz la cavalleria della Guardia travolse l’ultima resistenza dell’arciduca Costantino sul centro alleato; a Eilau salvò Napoleone dalla cattura da parte dei russi; in Spagna, a Somosierra, ancora la cavalleria aprì ai francesi la strada per raggiungere Madrid; durante la campagna di Francia, al comando diretto dell’imperatore, la Guardia vinse cinque battaglie in sei giorni. I grognards non potevano mancare all’ultimo appuntamento dell’epopea: a Waterloo, quando ormai tutto era perduto, i soldati del primo reggimento granatieri si chiusero in quadrato a protezione di Napoleone e lo scortarono al sicuro lontano dal campo di battaglia.

Jared Diamond, Crisi: come rinascono le nazioni – Einaudi, Torino 2021, pp. 512, euro, 14,50
Quali sono le caratteristiche che permettono all’individuo e alle nazioni di sopravvivere o di soccombere a eventi catastrofici? Attraverso un’analisi comparativa e persuaso della convinzione che, come asseriva Nietzsche, «quello che non ti uccide ti fa piú forte», Jared Diamond prende in esame le vicende disastrose che si sono abbattute su alcuni Paesi e descrive come siano riusciti a riprendersi da sconvolgimenti epocali, utilizzando processi di trasformazione «selettivi» – un’efficace strategia di adattamento piú comunemente associata ai traumi personali. Allo stesso tempo, volgendo lo sguardo al futuro, cerca di capire se il nostro mondo stia sperperando i vantaggi acquisiti, imboccando le vie del conflitto politico e del declino. Infine, aggiungendo la dimensione psicologica alla formidabile comprensione della storia, della geografia, dell’economia e dell’antropologia tipica di tutto il suo lavoro, Diamond ci aiuta a comprendere di quali strumenti nazioni e individui debbano dotarsi per diventare piú resilienti e consapevoli.

Duccio Balestracci, Stato d’assedio: assedianti e assediati dal Medioevo all’età moderna – il Mulino, Bologna 2021, pp. 376, euro 25,00
Gli assedi sono stati un elemento sempre presente e centrale nelle guerre delle età passate. Borghi e città erano murati, contro l’arrivo di un nemico la miglior difesa era per l’appunto rinchiudersi; al nemico, se mancava l’effetto sorpresa, non rimaneva che porre l’assedio. Centrandosi sui secoli che vanno dal Medioevo alla fine del Settecento, ma senza trascurare i principali episodi dell’età antica, Balestracci passa in rassegna le tattiche messe in opera da assedianti e assediati, i mezzi a disposizione, siano le macchine per dare l’assalto alle mura oppure le catapulte e più tardi l’artiglieria, i proiettili infuocati, lo scavo di gallerie. Ma anche la guerra psicologica, fatta di minacce e beffe tra nemici che stanno a tiro di voce, gli assedianti sotto gli occhi degli assediati. Attraverso una messe amplissima di esempi, una fenomenologia dell’assedio nelle sue tattiche, ma anche nella vita quotidiana, fuori e dentro le mura.

Roberto Cattani, Biblioteche in fiamme – Einaudi, Torino 2021, pp. 234, euro 21,00
Dalle tavolette sumere d’argilla alla prima biblioteca di Alessandria, dall’alchimista di Baghdad che tinse di tutti i colori i dorsi dei suoi libri alla Biblioteca del Futuro, i cui libri potranno leggersi solo nel 2114, dalla biblioteca delle donne di Fez a quella dei libri proibiti o perduti, dalle biblioteche resistenziali di Sarajevo o della Shoah al progetto circolare di Aby Warburg… Da sempre infatti le biblioteche, lungi dall’essere semplici teorie di scaffali, sono luoghi vibranti di sogni, scoperte, incontri e drammi, popolate di personaggi fantastici. Teatro di accese controversie sui fondamenti del sapere, bersaglio prediletto dell’odio etnico e religioso, le biblioteche accompagnano la storia dell’umanità. Al pari di imperi, popoli e individui, esse sorgono, rifulgono, languiscono e scompaiono, per tornare ogni volta a stringere con le loro raccolte di argilla, pietra, legno, papiro, bambú, carta e megabyte il patto di ogni epoca con il passato e il futuro.

Wolfram Kinzig, La persecuzione dei primi cristiani – il Mulino, Bologna 2021, pp. 160, euro 14,00
Subito dopo la morte in croce di Gesù di Nazareth, i suoi seguaci iniziarono a essere perseguitati. Fino al IV secolo il cristianesimo rimase una religione a rischio di estinzione, esposta non solo agli attacchi di intellettuali romani e greci, ma anche alla brutale persecuzione delle autorità: Pietro e Paolo sarebbero stati giustiziati a Roma, e l’imperatore Nerone avrebbe usato i cristiani come torce viventi per illuminare i suoi giardini. Altri cristiani furono condannati a finire sbranati dai leoni nel circo o altrettanto crudelmente puniti per la loro fede. Il volume spiega le ragioni di questa antica fase di persecuzione, illustra martiri e apostati, persecutori e perseguitati, e offre un panorama di un mondo di fede che oggi ancora, dopo duemila anni, è parte costitutiva dell’immagine di sé della Chiesa.

Federico Canaccini, 1289 La battaglia di Campaldino – Laterza, Roma-Bari 2021, pp. 256, euro 22,00
L’11 giugno 1289, a Campaldino, nella angusta valle del Casentino, si scontrano due grandi eserciti capeggiati da Firenze e da Arezzo. 20.000 fanti e oltre 2.000 cavalieri divisi da rivalità ideologiche, volontà egemoniche e interessi economici. Infatti le città toscane sono tutte guelfe e Firenze è ormai assurta al rango di vera e propria potenza regionale, i Ghibellini sono ridotti all’esilio e trovano rifugio in sparuti capisaldi come Pisa e Arezzo. La guerra che si apre allora è per una parte una guerra di sopravvivenza, a fronte di un contesto internazionale che vedeva il campo imperiale in gravissima difficoltà, per l’altra è di affermazione di un dominio e di una centralità che non accettano rivali o resistenze. Dopo due anni dall’andamento incerto e dalle sorti altalenanti, il conflitto si decide in un unico scontro. Una battaglia entrata nella storia perché non si trattò soltanto dell’ennesima guerra tra Comuni, così frequenti nel Medioevo italiano, ma anche tra fazioni e persino di guerra civile, militando fuorusciti nell’uno e nell’altro schieramento. A Campaldino, tra i cavalieri della prima schiera, quelli che avrebbero dovuto eseguire le azioni più temerarie, vi è un giovane Dante Alighieri che non dimenticherà facilmente le scene agghiaccianti di quel giorno di sangue, lasciandone traccia nella sua Commedia.

Federica Formiga, L’invenzione perfetta: storia del libro – Laterza, Roma-Bari 2021, pp. 216, euro 22,00
Il libro è stato paragonato da Umberto Eco a un cucchiaio: un oggetto perfetto e non ulteriormente migliorabile. Ma come si è arrivati a questo risultato? Federica Formiga spiega quali siano gli elementi che identificano il prodotto librario e propone, in un percorso sistematico attraverso i secoli, le tappe del suo sviluppo e i suoi maggiori protagonisti. È tra Quattrocento e Cinquecento che si stabilizza un’accezione di libro come oggetto in grado di contenere testo in quantità considerevoli, prodotto a costi relativamente bassi e capace di resistere nel tempo. Il Settecento e l’Ottocento sono invece i secoli di svolta per gli autori, che iniziano a vivere del lavoro della propria penna, mentre gli editori si aprono alle nuove tecniche di stampa, che hanno lanciato il libro verso la modernità, passando dalla censura e dai diritti editoriali. Infine, agli e-book è riservata l’ultima parte, in cui si cerca di capire quali, forse, nuovi scenari asp