In libreria: L’eredità di Adriano

cover_carandini_d83225b713f912c0b9fd3ccfb758df65Nel pantheon degli imperatori romani che la storiografia antica ci ha tramandato, Adriano è una figura eccezionale, così esuberante e poliedrica da ispirare i romanzieri e sfidare gli studiosi, anche a distanza di quasi due millenni.
Di origine ispanica, pupillo di Traiano, appassionato di musica e poesia, filosofo, mecenate e perfino astrologo, secondo Andrea Carandini ed Emanuele Papi Adriano fu soprattutto un imperatore “architetto”: un princeps illuminato e smisuratamente ambizioso, che, pur senza promuovere nuove grandi conquiste, concepì il potere come un instancabile moto progettuale e costruttivo destinato a imprimere segni profondissimi sulla fisionomia del mondo romano.
Se la vita di Adriano fu un viaggio continuo da un confine all’altro dell’impero, due città ne costituiscono però i sicuri capisaldi: in nessun altro luogo la sua opera trasformatrice è riconoscibile come a Roma e ad Atene. In questo libro Carandini e Papi, tra i massimi conoscitori della storia antica di queste due città, mettono finalmente a disposizione del lettore un’inedita, duplice mappa della monumentale eredità che questo imperatore ci ha lasciato. Dal Pantheon all’Hadrianeum, dal Sepulcrum – trasformato nei secoli in Castel Sant’Angelo – al sarcofago imperiale riadattato in fonte battesimale barocco, passando per templi e biblioteche, archi trionfali e basiliche, terme e anfiteatri: ciascun sito archeologico è indagato alla luce delle scoperte più innovative e ricostruito nel dettaglio con l’aiuto di minuziose tavole grafiche.
Nel racconto, storia e architettura si fondono per rievocare anche la vita e i personaggi che hanno abitato quei luoghi: la poco amata moglie di Adriano, Vibia Sabina, e l’amato Antinoo, e alcune figure finora rimaste in ombra come Plotina – la moglie di Traiano che fece adottare il futuro principe dal marito già morto, garantendogli così una discussa successione – o la suocera Augusta Salonina Matidia.
Tassello dopo tassello, a ricomporsi davanti ai nostri occhi è così un sorprendente ritratto bifronte dell’imperatore. Dove su tutto domina il suo sguardo, in grado di coprire le distanze che separano Occidente e Oriente, in una sintesi forse irripetibile che non ha mai smesso di nutrire una civiltà, la nostra, radicata nella classicità adrianea.
Andrea Carandini, Emanuele Papi, Adriano: Roma e Atene – UTET, 2019, pp. 368, euro 20,00

 

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Annalisa Urbano, Antonio Varsori, Mogadiscio 1948: un eccidio di italiani fra decolonizzazione e guerra fredda – il Mulino, Bologna 2019, pp. 296, euro 27,00
Il trattato di pace del 1947 aveva previsto la rinuncia dell’Italia alle proprie colonie, che già durante la guerra erano passate sotto l’amministrazione militare britannica. Londra, che mirava a imporre la propria influenza sull’ex impero italiano, in Somalia aveva incoraggiato la nascita di un movimento nazionalista. L’Italia aveva puntato invece al «ritorno in Africa», sostenendo gruppi filo-italiani. Le tensioni si acuirono: l’11 gennaio 1948, nel corso di incidenti circa cinquanta italiani e una decina di somali vennero uccisi, mentre le autorità britanniche si rivelarono incapaci di mantenere l’ordine. Nonostante la gravità dei fatti e le reazioni immediate, l’eccidio di Mogadiscio sarebbe ben presto caduto nell’oblio. Sulla base di un’ampia documentazione, il volume ricostruisce quella tragica vicenda, inserendola nel contesto degli eventi coevi: dalle elezioni del 18 aprile ’48 allo scontro Est-Ovest, alle difficili relazioni italo-britanniche, alla realtà politica e sociale somala, al processo di decolonizzazione.

Gastone Breccia, Corea, la guerra dimenticata – il Mulino, Bologna 2019, pp. 408, euro 25,00
Tre anni di combattimenti, centinaia di migliaia di perdite tra i militari dei paesi belligeranti e almeno un milione e mezzo tra i civili; un paese devastato, il mondo sospinto a un passo da un conflitto nucleare; una pace mai firmata e dunque una crisi irrisolta, che ancora oggi, a tratti, fa salire la tensione internazionale al livello di guardia: ciò nonostante la guerra di Corea è per eccellenza «la guerra dimenticata» del XX secolo. Eppure il nostro mondo ne è l’erede diretto, perché essa segna il ritorno della Cina tra le grandi potenze; ed è con il rapido riarmo del 1950-53 che inizia la trasformazione della società statunitense in una «macchina bellica» destinata a contrastare l’espansione comunista e a «combattere per la libertà e la democrazia». La guerra di Corea ci appare oggi quasi un tragico laboratorio dei conflitti contemporanei.

Alberto Asor Rosa, Machiavelli e l’Italia: resoconto di una disfatta – Einaudi, Torino 2019, pp. 296, euro 28,00
La leggendaria figura di Niccolò Machiavelli, – pensatore, teorico, interprete profondo e appassionato degli avvenimenti politici e statuali del suo tempo, – viene in questo libro ricollocata nella sua dimensione piú umana e nel moltiplicarsi senza fine delle sue vocazioni. Ne esce un personaggio a tutto tondo, in cui corpo e cervello, intelligenza e passioni, invece di muoversi su binari paralleli e non comunicanti, convergono e continuamente si fondono fra loro. Il fascino di una ricostruzione condotta con questi criteri consente di cogliere meglio, e con maggiore concretezza, anche lo svolgimento processuale di un momento importante, anzi decisivo, della storia italiana, quello che Asor Rosa definisce la «grande catastrofe»: quando, in un breve volgere di anni (1492-1530), si sarebbero determinati e forgiati i destini della Nazione fino ai nostri giorni. Il talento narrativo dell’autore, ben noto per precedenti esperienze, fa di questo ricchissimo e complicato intreccio di temi, problemi, personaggi, decisioni giuste e decisioni avventate, lotte eroiche e imprese sciagurate, un racconto continuo e appassionato, di cui non si perde mai il filo. Vi si legge la storia del passato come se si trattasse della storia piú coinvolgente dei nostri tempi.

Giovanni Kezich, Carnevale, La festa del mondo – Laterza, Roma-Bari 2019, pp. 232, euro 20,00
L’origine dei riti mascherati si perde nella notte dei tempi. Corrisponde al ciclico ritorno degli antenati, che all’avvio del nuovo anno si manifestano ai vivi come figure bizzarre, inquietanti, sfarzose, esagerate per portare un augurio di prosperità e di fertilità. Cacciati dalla cittadella sacra di Natale ed epifania, questi personaggi ancestrali se ne sono andati a spasso per il calendario, trovando rifugio là dove non recavano disturbo. Così, in luoghi remoti del continente europeo e nelle date più impensate del semestre invernale, vediamo tornare alla ribalta gli scampanatori paurosi dei lupercali, i bianchi salterini degli ambarvali, i burleschi birboni dei saturnali…
Da rito che era, nel regime religioso cristiano la mascherata si è trasformata in farsa, in un presunto tripudio di gola e licenziosità legittimato quale necessaria antifona della successiva espiazione quaresimale. Forte di questo salvacondotto, carnevale diviene il protagonista della cultura popolare della rinascenza europea, di cui seguirà le sorti, per prendere infine il piroscafo e andare a conquistare le grandi città della sponda orientale dell’America Latina e della Louisiana, dove avrà inizio il suo inarrestabile incedere sulla scena globale in atto ancora oggi.

James Hawes, La più breve storia della Germania che sia mai stata scritta – Garzanti, Milano 2019, pp. 256, euro 15,00
Davanti alle nuove ondate di populismo che minacciano l’Occidente, la Germania sembra essere rimasta l’ultima roccaforte a difesa della prosperità europea e dei valori civili su cui si basa la nostra società. È davvero così? Oppure l’Unione europea e la moneta unica sono state e sono tuttora gli strumenti di una nuova egemonia tedesca, come da più parti si sente argomentare? James Hawes risponde a questo e a molti altri interrogativi ripercorrendo gli ultimi duemila anni del paese: risale alla conquista di Giulio Cesare nel 58 a.C. chiedendosi se le popolazioni germaniche hanno distrutto la cultura di Roma o l’hanno invece ereditata; si domanda com’è nata la Prussia e se Bismarck ha unificato o conquistato il paese; individua le radici del nazismo; e spiega in che modo la Germania è arrivata agli attuali livelli di ricchezza rinascendo dalle macerie della seconda guerra mondiale. Con verve narrativa e spiccato senso dell’umorismo, James Hawes racconta in modo irresistibile la storia del paese più ammirato e temuto d’Europa, il cui destino è decisivo anche per il nostro futuro.

Corrado Stajano, Il sovversivo: vita e morte dell’anarchico Serantini – Il Saggiatore, Milano 2019, pp. 208, euro 21,00
Pisa, 7 maggio 1972, ore 9.45. Franco Serantini, vent’anni, muore in carcere dopo essere stato trattenuto e interrogato per due notti e un giorno, senza ricevere le cure di cui ha un evidente bisogno.
Due giorni prima, nel centro della città, una manifestazione degenera in guerriglia urbana, tra barricate, molotov, fumi di lacrimogeni. All’angolo tra Lungarno Gambacorti e via Mazzini, Franco – che è solo come sempre – viene accerchiato e aggredito da una decina di poliziotti suoi coetanei, tempestato di calci, pugni e manganellate con una ferocia che non risparmia neppure un lembo del suo corpo.
Fino ad allora quella di Franco Serantini è stata un’esistenza priva di luce, trascorsa nella più assoluta povertà e assenza di affetti. La sua storia è quella di un orfano che ha perso anche la madre adottiva, costretto a passare da un brefotrofio a un istituto, fino a ritrovarsi in riformatorio a Pisa anche se non ha commesso alcun reato. Proprio qui, in una città che gli appare come un bellissimo teatro, perso fra tanti altri ragazzi, Franco vive i suoi anni più felici. Gli ultimi.
Sembra la trama di un romanzo ottocentesco, ma nel Sovversivo l’indagine sulla morte dell’anarchico Serantini è condotta attraverso un coro di documenti e testimonianze reali, componendo una narrazione civile di limpido rigore e grande partecipazione emotiva. Come sempre accade nelle opere di Corrado Stajano, la vicenda di un solo individuo svela il male di un paese intero, e nel corpo di un ragazzo si rintracciano i segni di un tempo spietato, lacerato dai conflitti politici e sociali.

Gino Agnese, Marinetti/Majakovskij 1925: i segreti di un incontro – Rubbettino, Soveria Mannelli 2019, pp. 114, euro 10,00
Un grande scenario: quello dell’Exposition Internationale des Arts Décoratives et Industriales Modernes a Parigi nel 1925, che rilancia il décò e richiama il meglio del nuovo che si fa nel mondo. Architettura, arte, arts appliqués à l’industrie, pubblicità. E artisti, letterati, esponenti dell’import-export, scenografi, registi, gente di teatro. Un tavolo per tre in un ristorante di rue Saint Honoré, il 20 giugno. A cena, Marinetti, Majakovskij ed Elsa Triolet, giovane scrittrice russa. Il fondatore del Futurismo e il “poeta dell’Ottobre rosso” si erano incontrati soltanto una volta, Mosca 1914. Quali motivi li inducono a un vis-a-vis undici anni dopo? Da allora, c’è stata di mezzo la “grande guerra”. La rivoluzione dei bolscevichi ha vinto in Russia, il futurista Majakovskij era sulle barricate. In Italia c’è il fascismo, Marinetti tra i fondatori. Entrambi però sono delusi dalle proprie passioni politiche. Prima del vis-à-vis, Majakovskij dà un’ultima occhiata a un questionario battuto a macchina. Sono domande per Marinetti, volte a conoscere l’evoluzione del suo rapporto con il fascismo. Chi ha scritto quelle domande in sequenza? Potrebbe averle dettate un ministro di Lenin e di Stalin, un innamorato dell’Italia, un estimatore di Marinetti. Quale ruolo gioca a quel tavolo la giovane russa? Elsa Triolet (diventerà famosa scrittrice in Francia) è la devota sorella della celebre musa di Majakovskij, Lili Brik, fine intellettuale inserita nel regime e, al momento, amante di Agranov, vice capo del servizio segreto sovietico. Lili prepara un viaggio in Italia. Farà i fanghi a Salsomaggiore, andrà a Parma a osservare Mussolini da vicino. Sarà a Roma il giorno dopo il mancato attentato di Zaniboni al Duce. Una ricerca lunga e meticolosa, pagine avvincenti.