In libreria: Italiani in guerra, andata e ritorno

Warehouse VERSION 5048«La maggior parte di coloro che vennero travolti dalla guerra, fossero soldati al fronte o donne mobilitate nelle retrovie, fece la propria parte fino in fondo. Come ciò sia stato possibile, è uno dei quesiti a cui ho tentato di dare una risposta. Perché, dopo anni di combattimenti e morte e dopo una vittoria così duramente pagata, le emozioni dominanti in Italia siano state non l’orgoglio bensì la disillusione e il senso di fallimento, è un altro». Così Marco Mondini, ricercatore nell’Istituto storico italo-germanico di Trento e insegnante di Storia contemporanea nell’Università di Padova, in questo volume che da vita a un racconto nuovo e avvincente dedicato agli italiani in guerra. Nel panorama delle opere che guardano all’esperienza dell’Italia nel primo conflitto mondiale questo libro sceglie infatti di adottare come prospettiva la storia culturale, sulla scia dei più aggiornati contributi internazionali. Facendo ricorso a un ventaglio amplissimo di fonti, dai giornali alle memorie, dalle fotografie alle cartoline illustrate, l’autore mette a fuoco tre aspetti essenziali: l’attesa della guerra e la mobilitazione totale nei mesi e anni precedenti il 1915; l’esperienza del fronte così come è stata raccontata dai combattenti in memorie e diari e come è stata interpretata e reinventata da giornali, riviste, film; infine il peso della guerra sul dopo, dal culto dei caduti ai monumenti, alla costruzione del mito.
Marco Mondini, La guerra italiana. Partire, raccontare, tornare 1914-18 – il Mulino, Bologna 2014, pp. 472, euro 28,00

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J. A. Davis, Napoli e Napoleone. L’Italia meridionale e le rivoluzioni europee (1780-1860) – Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 576, euro 29,00
Durante l’età napoleonica, gli stati italiani furono interessati da ambiziosi progetti di riforma che ebbero un impatto traumatico sulle strutture dell’Antico Regime, percorse già da lungo tempo da una crisi profonda. Il volume di John Davis si concentra sulla situazione del Mezzogiorno, cercando di superare le letture settoriali e faziose che si sono susseguite negli ultimi decenni, offrendo una prospettiva complessa, capace di fondere i temi principali della storia economica, sociale, politica, militare, la storia delle idee, la storia “culturale” e quella religiosa. Sovvertendo alcuni luoghi comuni tendenti a ingabbiare il Sud in un quadro di persistente immobilità e arretratezza, l’autore guarda con rinnovata attenzione alle trasformazioni che ebbero luogo nel corso del XVII e del XIX secolo. Ne viene fuori un quadro originale e sorprendente, che invita a guardare in una prospettiva totalmente nuova l’intero processo di unificazione della penisola italiana.

C. Cencini (a cura di), Guerra e Amore. Lettere dal fronte della prima e della seconda guerra mondiale – Stampa Alternativa, pp. 128, euro 14,00
“Per anni ho girato per mercatini, e non solo, alla ricerca di lettere d’amore dal fronte delle due guerre e quelle che mi toccavano fino alle lacrime le ho acquistate per non disperdere un patrimonio di sentimenti germogliati dal fango, dalle pietre del Carso, dalla polvere delle trincee. Ricordo la faccia di un rigattiere che mi squadrava come se avesse di fronte una mezza pazza intenta a rovistare tra mazzette di cartoline militari con la foga di chi cerca un tesoro. Non sa che l’ho trovato ed è dentro a queste pagine”.

V. Ferrone, Storia dei diritti dell’uomo. L’Illuminismo e la costruzione del linguaggio politico dei moderni – Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 554, euro 45,00
Furono gli illuministi per primi a ridefinire un’etica dei diritti cosmopolita, razionale, mite, umanitaria, fatta dall’uomo per l’uomo, capace di dar vita a un potente linguaggio politico dei moderni contro il secolare Antico regime dei privilegi, delle gerarchie, della disuguaglianza e dei diritti del sangue. Furono gli illuministi a far conoscere al mondo intero che i diritti dell’uomo per definirsi tali devono essere eguali per tutti, senza alcun tipo di distinzione di nascita, ceto, nazionalità, religione, genere, colore della pelle; universali, cioè validi ovunque; inalienabili e imprescrittibili di fronte a ogni forma di istituzione politica o religiosa. Ed è proprio ponendo l’accento sul principio di inalienabilità che la cultura illuministica – vero laboratorio della modernità – trasformò radicalmente gli sparsi e di fatto inoffensivi riferimenti ai diritti soggettivi nello stato di natura in un linguaggio politico capace di avviare l’emancipazione dell’uomo.
Spaziando dall’Italia di Filangieri e Beccaria alla Francia di Voltaire, Rousseau e Diderot, dalla Scozia di Hume, Ferguson e Smith alla Germania di Lessing, Goethe e Schiller, sino alle colonie americane di Franklin e Jefferson, Vincenzo Ferrone affronta un tema di storiografia civile che si inserisce nel grande dibattito odierno sul nesso problematico tra diritti umani e autonomia dei mercati, tra politica e giustizia, diritti dell’individuo e diritti delle comunità, dispotismo degli Stati e delle religioni e libertà di coscienza.

M. Bellabarba, L’impero asburgico – il Mulino, Bologna 2014, pp. 248, euro 18,00
A inizio Ottocento l’impero d’Austria è la più affascinante organizzazione pluralistica del vecchio continente, un coacervo di territori e di popoli – tedeschi, ungheresi, polacchi, italiani – che occupa il cuore dell’Europa. Ma con la rivoluzione del 1848-49 inizia per Vienna la sfida con il modello vincente del resto d’Europa, quello nazionale: l’impero poco a poco la perderà. Nella seconda parte del secolo, un clima politico avvelenato dalle sconfitte militari con Italia e Germania esaspera i conflitti fra grandi e piccole nazionalità, ma anche all’interno di ogni gruppo nazionale. La Prima guerra mondiale sarà solo l’ultima pagina, la più tragica, di questi conflitti.
Marco Bellabarba insegna Storia moderna nell’Università di Trento. Fra i suoi libri: «La giustizia ai confini» (Il Mulino, 1996) e «La giustizia nell’Italia moderna» (Laterza, 2008).

U. Roberto, Roma capta. Il Sacco della città dai Galli ai Lanzichenecchi - Laterza, Roma-Bari 2014, pp. 357
I fatti, i miti, la memoria dei Sacchi di Roma: devastazioni che avrebbero lasciato una traccia indelebile nell’immagine della città ma anche nei comportamenti, nei pensieri, nelle paure più profonde dei suoi cittadini.
“Un’avvincente indagine storiografica che ricorda come Roma si sia guadagnata la sua ‘eternità’ al prezzo di dolorosissime vicissitudini. Nel 386 i Galli la assalirono e conquistarono mettendola a ferro e fuoco per sette mesi. Nel 410 fu la volta dei Goti di Alarico che si gettarono con furia per le strade di Roma, avidi di bottino e di facili prede. Nel 455 e nel 472 i Vandali devastarono indisturbati la città. Poi, i cinque assedi avvenuti tra il 535 e il 552, fino al Sacco dei Lanzichenecchi nel 1527. Per oltre un millennio, il mito della Città Eterna si è rovesciato nel suo più drammatico epilogo”. Giuseppe Serao, la Repubblica.
“Il saggio di Umberto Roberto ricostruisce le ricorrenti spoliazioni subite dalla città degli imperatori latini e dei papi a partire dal Sacco gallico del 386: un trauma terribile, presagio infausto della decadenza che avrebbe colpito l’Italia intera nei secoli successivi”. Antonio Carioti, Corriere della Sera.

H. Belloc e C. Chestertonpp, Partitocrazia – Rubbettino, Soveria Mannelli 2014, pp. 180, euro 12,00
Che cos’è la democrazia? O meglio in cosa si è trasformata la democrazia oggi? Partitocrazia cerca di rispondere a questa domanda. E non lo fa in modo teorico, bensì calandosi, con sguardo ironico e spietato, nella realtà della moderna società occidentale. Cos’è diventata la democrazia ai nostri occhi… e agli occhi dei politici? I luoghi comuni e meno comuni, la noia e la boria della vita politica vengono qui descritti e analizzati con lucidità fino a rivelare una sola, sconcertante verità… la democrazia non è altro che la maschera dell’oligarchia, il modo più efficace che la classe dirigente abbia trovato per dominare le nazioni senza poter essere scacciati dal popolo o tacciati di tirannia. The Party System è stato scritto nel 1911 ed è una descrizione della vita politica inglese di quel periodo. Eppure la forza profetica di questo libro è indiscutibile. L’ennesima dimostrazione di come un uomo, guardando con attenzione il suo passato e il suo presente, possa aiutarci a comprendere il futuro, il nostro tempo.

J. M. Najemy, Storia di Firenze 1200-1575 – Einaudi, Torino 2014, pp. 646, euro 42,00
Firenze è universalmente nota come la culla del Rinascimento, centro della rifioritura negli studi, nella letteratura e nelle arti. Ma la patria di Machiavelli fu anche una repubblica autonoma, dove si sperimentarono forme di governo che a molti sono sembrate annunciare le moderne democrazie, come pure il teatro di conflitti sociali che sono apparsi anticipare le lotte di classe che l’Europa ha conosciuto su vasta scala molti secoli dopo. La straordinaria ricchezza dei suoi cittadini maggiori, la vitalità delle attività economiche e l’eccezionale tradizione culturale della città sull’Arno infatti hanno costituito una miscela unica nella storia dell’Occidente che ha lasciato splendide tracce in monumenti e opere d’arte che ancora oggi guardiamo come capolavori. In questa Storia di Firenze l’illustre storico John Najemy discute tutte le fasi principali della storia fiorentina tra il 1200 e il 1575. Il suo racconto intreccia gli sviluppi intellettuali, culturali, sociali, economici, religiosi e politici, seguendo la trasformazione di Firenze da comune medievale a repubblica aristocratica fino alla trasformazione in un principato territoriale che è durato fino all’Unità d’Italia.
Firenze potrebbe sembrare l’ultima città ad aver bisogno di una presentazione, data la sua fama leggendaria: patria natale del Rinascimento e culla della moderna civiltà occidentale. Questo libro offre tuttavia un’interpretazione di circa quattro secoli di storia fiorentina da una prospettiva diversa da quella della leggenda che presenta Firenze come un miracolo inspiegabile, sostanzialmente senza storia e contesto. Da tempo gli storici dell’arte e della letteratura hanno inquadrato le opere della Firenze rinascimentale nel loro contesto storico. Ma altrettanto va fatto per sradicare l’idealizzazione dei detentori della ricchezza e del potere nella Firenze di quei secoli. La sua storia fu piena di conflitti, sia all’interno dell’élite sia fra questa e le altre classi sociali. La sua storia e cultura si svilupparono attraverso controversie e antagonismi di classe. Durante il XIII secolo nelle città italiane il «popolo» organizzato nelle arti di mestiere e nelle compagnie militari di quartiere, imbevuto dei concetti di cittadinanza e di bene comune assorbiti dalla Roma antica, lanciò la prima sfida politicamente efficace e ideologicamente fondata a una élite di detentori del potere; una sfida, nel caso di Firenze, che riuscí, non a rimpiazzare l’élite, ma a trasformarla. Lo straordinario libro di Najemy unisce analisi tematiche della società, dell’economia, della cultura e delle strutture familiari, affrontate in precisi contesti storici, con il filo conduttore di una narrazione dell’evoluzione politica delle istituzioni e delle contese per il potere.

G. Busi e R. Ebgi, Giovanni Pico della Mirandola. Mito, magia, qabbalah – Einaudi, Torino 2014, pp. 454, euro 80,00
Lorenzo de’ Medici, tra i pochissimi che riuscirono a confrontarsi con lui (quasi) alla pari, lo definí «istrumento da sapere fare il male et il bene» e Pico, di cui tanto si è parlato e scritto, ci appare ancora come un enigma. L’Orazione sulla dignità dell’uomo è considerata uno dei testi piú rappresentativi del Rinascimento, ma il resto della sua opera – in tutta la sua lussureggiante erudizione – rimane quasi inaccessibile, tanto ricco da sconcertare e confondere. Con questo libro viene per la prima volta individuata una chiave interpretativa forte, che pone al centro delle riflessioni pichiane l’intreccio tra mito, magia e qabbalah: i tre gradini piú alti della scala sapienziale disegnata dal Conte. Dal Bacio al Vino, passando per Bacco, Muse e Veneri, il volume è organizzato come un dizionario, per lemmi, e a ogni voce corrisponde una selezione di brani di Pico sul tema. In un commento apposito si offre poi un’analisi del «Pico visivo», ovvero del rapporto tra le idee del Conte e alcuni capolavori dell’arte quattrocentesca. Con lo strumento dell’antologia dell’antologia, Busi ed Ebgi affrontano l’aggrovigliata matassa del pensiero di Pico. E riescono a districarla come finora non era ancora successo.