In libreria: Fidel, el último rey católico

cover_zanatta_castro-piattoNé icona marxista, né frutto della guerra fredda: Fidel Castro, l’ultimo Re cattolico, è il più coerente erede, nell’età contemporanea, della cristianità ispanica in America Latina.
Galiziano e cubano, gesuita e comunista, la sua parabola umana e politica è la continuazione ideale dell’eterna lotta della Spagna cattolica contro l’illuminismo prima e la modernità liberale poi, figlie del mondo protestante.
La sua biografia, la sua formazione, il suo universo morale, il suo immaginario politico e sociale, il suo regime, esprimono la concezione organica del mondo tipica di quel retaggio; il suo viscerale odio per il liberalismo, la democrazia rappresentativa, le libertà individuali, l’economia di mercato e i paesi occidentali ne sono il naturale corollario. Fidel Castro emerge in questo volume come un leader religioso, più che politico; come Re e Pontefice di un ordine confessionale che fuse ciò che il liberalismo aveva separato: politica e religione, individuo e comunità, Stato e società.
La natura totalitaria del suo regime non imitò gli alleati socialisti, ma fu frutto spontaneo della matrice antiliberale del populismo latino: falangismo, peronismo, chavismo sono i suoi più stretti parenti. Il suo Stato fu uno Stato etico dedito a catechizzare i fedeli e convertire gli infedeli con la croce della sua fede e la spada dei suoi eserciti. Il suo comunismo è un’utopia cristiana, culminata nell’invocazione dell’unione di cristiani e musulmani contro il peccato liberale e capitalista. Aveva promesso prosperità, morì intonando lodi alla povertà evangelica: il frutto dei suoi disastri economici.
Loris Zanatta, Fidel Castro: l’ultimo “re cattolico” – Salerno Editrice, Roma 2020, pp. 448, euro 23,00

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Fulvio Bernacchioni, 1915-1918 Notizie dal fronte: la Prima guerra mondiale nei comunicati ufficiali tra propaganda e censura – Tralerighe Libri, 2019
“Non ero deluso che questa guerra fosse perduta. Lo ero però dalla gente che tanto a lungo aveva sofferto: non capivo perché nessuno si fosse levato e avesse seguito le poche voci che s’erano battute contro il massacro di massa”.
Così scriveva Georg Grosz, soldato e pittore, nella sua autobiografia ricordando, con una visione dalla parte dei vinti, la Prima Guerra Mondiale.
Una visione soggettiva quella del noto pittore tedesco, decisamente antimilitarista, ma che solleva un tema che riguarda tutti i popoli coinvolti in quel conflitto: come è possibile che l’idea di uno scontro su vasta scala, come unico modo di dirimere le questioni geo-politiche del vecchio mondo, abbia potuto attraversare quasi in modo uniforme gli strati sociali dei Paesi europei fino ad avere vasti consensi verso l’avventura bellica che sarebbe costata milioni di morti?
Un interrogativo che da oltre un secolo fa discutere gli storici e che si trascina dietro anche altri interrogativi. Tra questi la domanda su quanto abbia inciso il condizionamento dell’opinione pubblica attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione.
Una risposta arriva dal libro “1915-1918 Notizie dal fronte. La Prima Guerra Mondiale nei comunicati ufficiali tra propaganda e censura”, recentemente edito da Tralerighe Libri e scritto dal giornalista e ricercatore Fulvio Bernacchioni.
Il saggio, già vincitore del premio letterario Nabokov 2018, prende in esame, partendo dal caso italiano, il ruolo determinante della stampa nel creare consenso attorno ad una avventura bellica voluta da una ristretta cerchia politica e militare, in barba ad un sentimento tendenzialmente ostile alla guerra da parte dell’opinione pubblica nazionale.
Leggi che limitavano fortemente la libertà di stampa e di espressione, abbondante ricorso a notizie che non facevano informazione ma subdola propaganda, abile occultamento di fatti che celavano enormi interessi privati o corporativi dietro ai più accesi fautori della guerra: questi gli ingredienti che alimentavano la fabbrica del consenso, emersi dall’analisi comparata dei bollettini ufficiali, le memorie dei protagonisti e le più recenti ricerche storiche. Dinamiche rintracciabili non solo in Italia, ma anche in altre nazioni interessate al conflitto.
Un libro “1915-1918 Notizie dal fronte” che prende in esame una fase fondamentale della storia d’Italia per gettare uno sguardo sul presente, sui rischi per la democrazia in un mondo in cui le “fake news” hanno ormai assunto una forma tentacolare e circolano su una molteplicità di mezzi d’informazione… Conoscere la storia per riflettere sul presente.

Mario Avagliano, Marco Palmieri, I militari italiani nei lager nazisti: una resistenza senz’armi (1943-1945) – il Mulino, Bologna 2020, pp. 464, euro 26,00
La storia degli IMI (internati militari italiani) è la storia dei circa 650mila soldati che, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, furono catturati e deportati dai tedeschi. L’offerta di aderire alle SS o alla repubblica di Salò ed essere rimpatriati fu accettata solo da una piccola parte; la massa scelse di rimanere prigioniera nei lager, come autentico atto di resistenza. Grazie a una ricchissima mole di diari, lettere e testimonianze dirette, edite e ancor più inedite, il libro ne racconta la vicenda complessiva, dalla cattura alla liberazione e al ritorno, scoprendo anche aspetti poco noti della violenza nei lager, nei campi di lavoro coatto e di punizione, del loro bagaglio di ideali e di umanità, del rapporto con la popolazione civile e con le donne. Una pagina a lungo trascurata e sottovalutata recuperata qui, attraverso le voci dei protagonisti, in un quadro vivido e dettagliato.

Luca Gorgolini, Giovani rivoluzionari: il movimento giovanile socialista italiano dal 1903 al 1921 – Salerno Editrice, Roma 2020, pp. 296, euro 22,00
Al momento della sua fondazione nel gennaio 1921, il Partito comunista d’Italia era segnato dall’affermazione di un gruppo dirigente composto da giovani che avevano compiuto il loro apprendistato politico negli anni compresi tra la guerra di Libia e lo scoppio del primo conflitto mondiale. Un “partito di giovani” alla cui costruzione partecipò attivamente la Federazione giovanile socialista che a Firenze, qualche giorno dopo la scissione di Livorno, decise di aderire al neonato Partito assumendo la denominazione di Federazione giovanile comunista.
In questo libro la storia della FGSI viene ripercorsa rintracciando alcuni snodi decisivi – guerra di Libia, Grande guerra e rivoluzione bolscevica – che condussero i giovani socialisti ad abbracciare la causa rivoluzionaria e internazionalista e che consentirono all’organizzazione italiana di affrancarsi dal provincialismo politico che caratterizzava, in negativo, il socialismo italiano all’interno della II internazionale e di assumere così un ruolo di primo piano nella costruzione dell’Internazionale giovanile comunista.
Una vicenda ricostruita prestando particolare attenzione alle biografie politiche dei maggiori protagonisti di quei passaggi: Vella, Bordiga, Tasca, Gramsci, Togliatti, Terracini, Fortichiari, Grieco, Leonetti. E lo stesso Mussolini, il quale ebbe una parte importante nello spingere la Federazione giovanile lungo la strada del massimalismo rivoluzionario.

Egidio Ivetic, Storia dell’Adriatico: un mare e la sua civiltà – il Mulino, Bologna 2019, pp. 456, euro 32,00
Un mare chiuso, un mare di passaggio, una frontiera tra Oriente e Occidente; un mare che ad un tempo unisce e divide; nell’Adriatico si sono intrecciate e sovrapposte molteplici vicende di natura politica, culturale, religiosa, nazionale. Anche i mari hanno una storia, come ci ha insegnato Braudel con il suo grande Mediterraneo. Questo libro ci racconta la storia dell’Adriatico dall’antichità a oggi: storia dei popoli che vi si sono affacciati, che da sponda a sponda hanno commerciato e navigato, hanno imposto il loro dominio, come Bisanzio e poi Venezia e gli Ottomani; e volta a volta hanno convissuto o si sono scontrati, come l’Impero asburgico e l’Italia, il mondo occidentale e il mondo comunista, i paesi generati dalla ex Jugoslavia. Una storia millenaria di rotte e traffici, guerre e convivenze, che compone il ritratto di una civiltà che si è fatta sul mare, grazie al mare.

Enzo Ciconte, Chi ha ucciso Emanuele Notarbartolo? Il primo omicidio politico-mafioso – Salerno Editrice, Roma 2020, pp. 236, euro 14,00
Sicilia, 1° febbraio 1893, sera. Un uomo rientra dal lavoro in treno. A casa lo aspettano. Con la complicità del buio e del frastuono di una galleria, qualcuno si avvicina e lo ferisce a morte con dodici coltellate. La vittima del feroce omicidio viene ritrovata riversa ai margini delle rotaie, senza documenti.
Si scoprirà presto la sua identità: si tratta di Emanuele Notarbartolo, ex direttore del Banco di Sicilia ed ex sindaco di Palermo, personalità incorruttibile in una Sicilia di fine Ottocento dove politica e potere, nobiltà, borghesia e magistratura, non sempre hanno comportamenti cristallini.
Chi ha ucciso Notarbartolo? Ma soprattutto, perché è stato ucciso? Enzo Ciconte ripercorre le indagini e i processi che seguirono a quel crimine, attraverso la ricostruzione del clima e del contesto politico di una Italia che, per certi aspetti, non appare così diversa da quella di oggi.
In primo piano troviamo Crispi, Giolitti, Rudiní, Zanardelli, Turati, i Florio, Codronchi, Mirri, Pelloux, Sangiorgi. Seguendo l’appassionante trama di un saggio storico scritto come un giallo giudiziario, l’autore scopre, tramite la lettura di documenti d’archivio inediti, risvolti poco noti, misfatti, depistaggi e moventi del primo omicidio politico-mafioso della storia italiana.

Giovanni Brancaccio, Calabria ribelle. Tommaso Campanella e la rivolta politica del 1599 – Franco Angeli, Milano 2019, pp. 356, euro 32,00
Nel 1598, tornato in Calabria, Tommaso Campanella mette a punto un programma ideologico-politico antiasburgico, volto a fondare una “repubblica comunista e teocratica”, che verrà presto schiacciato per la denuncia dei suoi accusatori. Il volume contestualizza la rivolta nel quadro della grave crisi di fine XVI secolo e valuta lo straordinario credito presso ampi strati sociali arriso al suo promotore grazie alle sue accese prediche sulla “fine del mondo e della renovatione” del secolo, sulle aspettazioni apocalittiche e millenaristiche.
Mediante una minuziosa cronaca degli eventi del moto, del processo politico, di quello religioso e della lunga detenzione inflitta al Campanella, mostra come la rivolta del 1599 in Calabria fosse espressione di una ramificata sollevazione antispagnola e antifeudale, dotata di un suo concreto fondamento, che non la confinava ad un contesto puramente profetico.
Una congiura la cui portata politica e sociale è rimasta a lungo inesplorata proprio perché stroncata sul nascere.

Richard J. Evans, Alla conquista del potere: Europa 1815-1914 – Laterza, Roma-Bari 2020, pp. 1040, euro 38,00
Il secolo che va dalla battaglia di Waterloo allo scoppio della Prima guerra mondiale è stato una fase decisiva per la storia del mondo. In questi cento anni l’Europa ha allargato il proprio dominio a tutto il pianeta e ha tracciato un solco al cui interno ancora ci muoviamo: dalla nascita della civiltà industriale alla volontà di controllo sulla natura, dalle lotte dei lavoratori a quelle delle donne, dalle sfide degli artisti alle accademie sino alle rivolte dei servi contro i padroni. Questo affresco affascinante ci racconta l’Europa del XIX secolo, intrecciando storia politica, economica e culturale, a partire dai rapporti di forza interni ed esterni al continente. Particolare attenzione è dedicata alla ricostruzione della dimensione umana di questa storia, per cui ogni capitolo si apre con la vita di una persona, ognuna di un paese europeo diverso. «Verso l’inizio degli anni Trenta dell’Ottocento, lo scalpellino Jakob Walter si mise a scrivere le sue memorie. Era stato un soldato semplice nella Grande Armée dell’imperatore Napoleone Bonaparte, arrivando fino a Mosca. Dell’unica occasione in cui vide Napoleone scrive: “Osservava passare il suo esercito, che era in condizioni disastrose. Impossibile immaginare cosa provasse. Il suo aspetto esteriore sembrava indifferente riguardo al miserabile stato dei suoi soldati; solo l’ambizione poteva fare effetto sul suo cuore.”».