IL PRIMO RE BORBONE DI NAPOLI

di Ciro Pelliccio -

Jacques de Bourbon, conte di La Marche, fu nel 1416, e per poco meno di un anno, re di Napoli e Sicilia. Questa è la sua storia.

 

Tutti sanno che Carlo di Borbone, figlio di Filippo V di Spagna e della seconda moglie Elisabetta Farnese, fu il primo re di Napoli della dinastia dei Borbone che regnò nel mezzogiorno d’Italia fino al 1860. Molti meno, invece, conoscono la vita e la figura di un altro Borbone che divenne, sia pur per poco meno di un anno, re di Napoli e Sicilia quasi tre secoli prima: il conte di La Marche Jacques de Bourbon.
Fu un uomo del suo tempo. Appartenente all’alta nobiltà francese, un ramo collaterale della linea diretta dei Duchi di Bourbon, fu religioso, avido, valente ma sfortunato uomo d’arme; irascibile, impaziente, e francese fino al midollo. Se solo avesse saputo gestire alcuni aspetti di questa personalità complessa, la dinastia dei Borbone sarebbe ascesa al trono di Napoli e Sicilia oltre tre secoli prima, determinando un destino, probabilmente, molto diverso da quello che poi la storia ha riservato al mezzogiorno d’Italia nei secoli successivi.

Chi era questo Jacques de Bourbon conte di La Marche? Nacque nel 1370 da Jean de Bourbon, secondo conte di La Marche e da Catherine de Vendôme. Apparteneva quindi a quel ramo dei Bourbon capostipite dei Vendôme che nel 1589 ascesero al trono di Francia, poi di Spagna, di Napoli e del ducato di Parma. Alla morte del padre nel 1393 assunse il titolo di conte di La Marche che tenne fino alla morte nel 1435, fu altresì conte di Castres dal 1403 alla morte, Principe di Taranto dal 1414 al 1420 e nel 1416 Re di Napoli. Rimasto giovanissimo orfano di padre, fu ordinato cavaliere e partecipò come volontario alla spedizione che Jean de Bourgogne, conte di Nevers, organizzò in soccorso a Sigismondo de Lussemburgo re d’Ungheria che stava per soccombere contro le forze del sultano di Tures Bajazet Iderim. Dopo qualche iniziale successo, come la presa di Bandins, dove Jacques si distinse particolarmente, l’armata francese, composta da appena un migliaio di uomini, cominciò a subire un rovescio dopo l’altro dagli oltre duecentomila uomini del sultano. Aiutato anche da truppe locali, pose sotto assedio Nicopolis, ma Bazajet gli piombò addosso sbaragliandolo. Jacques era allora forse uno dei più giovani combattenti, poiché fonti dell’epoca lo descrivono ancora come un imberbe, ma si comportò con coraggio e, seppur nella disfatta, fece onore alle armi francesi. Pochi scamparono alla morte; i prigionieri furono decapitati ad eccezione del conte di Nevers, di Jacques, dei Principi di Bar, dei marescialli Boicocuat e La Trèmoüille, che furono riscattati con il pagamento di seicentomila livres da parte della Francia.

Al ritorno di questa sfortuna spedizione ebbe la carica di Gran Ciambellano, una delle più importanti del regno, e fu fidanzato a Bèatrix de Navarre, figlia di Charles III de Navarre e di Eléonore de Castille. Il matrimonio ebbe luogo nel 1406 a Pamplona, il 14 settembre. È in quel periodo che, come alcune fonti riportano, guidò una spedizione contro i mori in Spagna. Nel 1402 secondo Désourmeaux, o nel 1406 secondo altri, fu messo a capo della spedizione, dove partecipò anche il fratello conte di Vendôme, di un’armata inviata in soccorso del principe di Owin che rivendicava l’indipendenza della Cornovaglia dall’Inghilterra. La spedizione fu sfortunata: battuta da una tempesta, i francesi non riuscirono ad attraversare la Manica e solo dopo tanto navigare riuscirono a ripiegare nel porto di Plymouth saccheggiandolo. All’arrivo degli inglesi, riprese il mare e approdò prima all’isola di Falmouth, poi a quella di Jersei, dove subì una sconfitta campale che lo costrinse a rientrare in Francia, non prima di aver fatto un bottino abbastanza consistente di sette velieri inglesi. Due anni dopo il re lo inviò a trattare con il principe del Galles una politica comune contro il re d’Inghilterra, e gli fornì un’ armata di ottocento uomini e una borsa di centomila scudi d’oro per le spese della campagna. La campagna non fu più fortunata della precedenti. La flotta affondò per oltre la metà in una tempesta nella Manica, e l’altra metà rientrò in Francia. Ma Jacques non consegnò la cassa, e molte fonti indicano che l’abbia sperperata in lussi e piaceri sfrenati, al punto che gli studenti d’Orléans, lo accolsero in malo modo, tanto che al suo passaggio gli voltarono le spalle e cantarono a voce alta: Mori, vidi et fugit.

Intorno al 1411 si avvicinò alle posizioni dei borgognoni, allettato anche dalla pensione di 10.000 livres annue che il duca di Bourgogne gli concesse affinché comandasse la sua avanguardia e portasse un violento attacco contro gli orleanisti. Nel farlo, a Puiset, nel Bauce, rimase prigioniero e rinchiuso nella torre di Bourges. Proprio durante questa prigionia morì la madre Catherine de Vendôme che divise il patrimonio tra lui e il fratello minore Louis al quale andò la contea di Vendome (da cui discendono gli attuali Borbone) mentre a Jacques, benché il maggiore, ebbe la ben più modesta contea di Cartres. Quando ricevette la notizia, accecato dalla rabbia, marciò contro suo fratello, lo fece prigioniero e lo rinchiuse per più di otto mesi. Inutili le intimazioni del re e del delfino affinché lo liberasse, anche perché nessuno dei due era poi in grado di concretizzare le minacce lanciate contro Jacques. Ma poco a poco il rimorso per quell’azione si fece strada: un giorno aprì lui stesso le porte della prigione, liberò il fratello e gli restituì tutto quanto gli spettasse.
I fratelli di Sainte-Marthe lo vogliono al fianco del re nell’assedio di Compìegne, ma Jacques, spavaldo, d’animo, inquieto, ambizioso e dissipatore era, forse, troppo impegnato a procacciarsi un trono, anziché combattere. L’occasione sembrò presentarsi nel 1415. L’anno precedente era rimasto vedono di Eleanor de Navarre che morì senza dargli eredi maschi, e a mille chilometri morì Ladislao, ultimo re di Sicilia della prima Maison degli Anjou, lasciando quale unica erede dei suoi vasti possedimenti e dello stesso regno di Sicilia la sua unica figlia Jeannelle, meglio conosciuta a Napoli come Giovanna II. Aveva pretensioni anche sugli stati del Papa, su larga parte della Toscana e sulla stessa città di Roma. Aveva ormai 44 anni ed era vedova del duca d’Austria, ma la sua condotta molto poco irreprensibile l’aveva resa la favola dell’intera Europa e pertanto sembra molto improbabile combinare un altro matrimonio. I suoi cortigiani, stanchi del suo cinismo e della sua condotta licenziosa, ogni oltre limite, premevano affinché si sposasse, affinché il regno potesse essere guidato con mano ferma da un re.

Giacomo II e la moglie Giovanna II in una vetrata nella Cappella Vendôme della Cattedrale di Chartres (Francia)

Jacques e la moglie Giovanna II in una vetrata nella Cappella Vendôme della Cattedrale di Chartres (Francia)

Fu così costretta a scegliere marito. Tra i molti candidati, scelse proprio Jacques, non solo perché uomo affascinante nonostante i suoi 45 anni, ma anche perché era un potenziale pretendente al trono di Francia. Ma dettò delle condizioni che furono ritenute lesive da Jacques: il solo titolo di Principe di Taranto e quello di Amministratore del Regno. Il suo seguito fece opera di convincimento, sperando in una quasi certa futura abolizione di quella clausola.
Nel 1415 Jacques con un largo seguito di nobili francesi attraversò l’intera Italia per recarsi a Napoli. All’ingresso del regno la regina gli inviò, tuttavia, solo un nobile gentiluomo a sua rappresentanza, mentre i baroni del regno si presentarono tutti con segni di profonda reverenza. Ancora prima di arrivare in città, premevano affinché Jacques ascendesse al trono e prendesse subito in mano le redini dello Stato in modo da porre finalmente fine alla condotta della regina.
Da Castel Nuovo il 18 settembre 1418 Giovanna dichiarò che «in considerazione delle virtù del conte di La Marche e della sua alta nobiltà di nascita, con il consenso dei Principi, dei Baroni e dei Grandi Ufficiali della corona, gli concedeva il titolo di Re di Sicilia, e di poter compiere tutti gli atti della regalità». Non rimaneva che esercitare il potere reale.
Ma Jacques era troppo ambizioso, e non mancò subito di far sentire il suo peso sulla condotta della regina. Scacciò da corte tutti i nobili napoletani per sostituirli con quelli francesi, contrariamente a quanto convenuto; torturò Alope, un giovane amente della regina, per poi ucciderlo; rinchiuse la regina nel castello sottraendola al contatto con i propri sudditi.

La condotta dei francesi, la loro avidità, violenza, creò una frattura insanabile con la nobiltà napoletana e con gli stessi sudditi. Scoppiò una sommossa che costrinse Jacques a riprendere Giovanna con sé e a condurre, per il momento, una parvenza di vita coniugale. Ma le divisioni tra i due era forti: una intima avversione e antipatia, una costante volgarità nei rapporti personali, non poteva far durare molto questa riconciliazione.
Giovanna, non meno vendicativa di Jacques, celò dietro una certa affabilità la sua vendetta contro il marito che fu costretto a rifugiarsi a Castel dell’Ovo. Fu liberato qualche giorno dopo dai baroni del regno, che ancora speravano in una riconciliazione tra i due sposi, ma la regina ne ordinò di nuovo l’arresto dopo un vivace alterco tra i due. In breve, lo dichiarò decaduto dal trono di Sicilia e lo tenne prigioniero per due anni, durante i quali Jacques si abbandonò ad una vita lussuriosa e altrettanto scandalosa, se non più, della stessa regina, al punto che la stessa Santa Sede intervenne per porre fine allo scandalo.Ancora una volta ci fu una riconciliazione, senz’altro con la speranza che fosse stato incoronato re, come la regina aveva promesso. Giovanna mantenne la promessa. Si avviarono i lunghi preparativi per la cerimonia di incoronazione, ma proprio la sera prima, senza alcuna discussione e ragione apparente, lasciò il castello con il suo seguito di nobili francesi. Li congedò a Mola di Gaeta dove si imbarcò su una nave genovese che lo portò a Taranto. Qui vendette il Principato alla vedova degli Ursini ed errando per l’Italia rientrò in Francia in preda al pentimento e allo sconforto. Consapevole di non aver alcuna possibilità nella società francese, si accontentò del governo della Linguadoca rendendo grandi servigi al re Carlo VII. Mantenne la carica per alcuni anni, poi si dimise.
In tutto il suo girovagare non aveva smarrito la fede, il cui richiamo negli ultimi anni di vita fu forte. Entrò in contatto con suor Colette dell’Ordine di Santa Chiara che lo esortò ad abbandonare la vanità del mondo, e così, a 65 anni, divenne frate francescano morendo due anni dopo. Nel suo testamento del 24 gennaio 1435 lasciò numerosi legati a vari monasteri, istituì sua figlia Eleanor de Bourbon, contessa di Pardiac, sua unica erede, e alla sua morte il nipote Jacques d’Armagnac, a condizione che portasse le sue armi e i suo nome. Morì il 24 settembre 1438 all’età di 67 anni e fu sepolto nel convento di Saint François e Sainte-Claire in Besançon nella cappella che fui poi detta del re Jacques.

L’11 settembre del 1406 aveva sposato a Pamplona Bèatrix di Evraux che lo lascò vedovo nel 1415 e gli diede tre figlie femmine: Isabelle, monaca a Besançon, Marie, monaca a Amiens, ed Eleanor che andò in sposa al duca di Pardiac. Gli si attribuisce anche un figlio naturale Claude d’Aix che dopo una vita militare al servizio del re si fece monaco nel convento di Dol, dove morì novizio e senza discendenza.
Ma vi erano concrete possibilità che inaugurasse una nuova dinastia sul trono di Napoli? In linea diretta senz’altro no! Giovanna era ormai troppo avanti con l’età per sperare di mettere al mondo un erede e Jacques aveva avuto tre figlie femmine dal precedente matrimonio. Secondo le leggi feudali del tempo però, Giovanna gli aveva riconosciuto il diritto di trasmettere il trono alla sua discendenza, il che significa che il fratello minore Louis, conte di Vendôme e famoso compagno d’armi di Jeanne d’Arc, avrebbe potuto legittimamente reclamare il trono, e far giungere ad una linea reale gli stessi Vendôme già nel 1435 anziché nel 1589 quando Henri IV de Navarre, un Borbone-Vendôme per linea paterna, ascese al trono di Francia.

Per saperne di più
Pelliccio C., I Bourbon di Francia- Mille anni di una dinastia tra storia e cronaca, Edizioni Scientifiche Italiane. 2014;
J.M de La Mure, Histoire des ducs de Bourbon, Perrin Editeur, Paris, 1868;
Désormeaux, Histoire de la Maison de Bourbon, Parigi, 1788