IL POPULISMO ARMATO DELLA “NARODNAJA VOLJA”, 1879-1887

di Renzo Paternoster -

La storia russa di fine XIX secolo vede la coesistenza del dispotismo zarista e della intellighenzia rivoluzionaria. In questo contesto nasce il gruppo Narodnaja Volja che, “armando” le idee populiste, riesce ad assassinare lo zar Alessandro II.

Prima pagina dell'Editto di emancipazione dei servi della gleba, 19 febbraio 1861

Prima pagina dell’Editto di emancipazione dei servi della gleba, 19 febbraio 1861

La Russia della seconda metà dell’Ottocento era caratterizzata da un notevole sottosviluppo in campo economico, da disparità sociale e dal dominio autocratico dello zar in campo politico.
In campo economico il sottosviluppo era dovuto in larga parte all’esistenza di antichi rapporti sociali e produttivi, incentrati sulla servitù della gleba e su una proprietà terriera aristocratica restia all’innovazione.
Lo zarismo dava segni di debolezza interna ed esterna. Attraverso il capitale europeo, esso non solo si era armato della tecnologia militare occidentale, ma aveva allo stesso tempo diminuito notevolmente la sua dipendenza dalle relazioni economiche interne del Paese. In questo modo tendeva all’autosufficienza per erigersi sopra tutte le classi della società russa, allontanandosi ancor più dal popolo.
Lo zar Alessandro II, salito al trono nel 1855, cercò di mitigare l’arretratezza politico-sociale dando l’avvio a numerose riforme interne, tra cui l’istituzione di assemblee provinciali elettive (Zemstvo), l’avvio della riforma giudiziaria, la riorganizzazione del sistema scolastico e dell’esercito, la soppressione della punizione corporale, l’abolizione della servitù della gleba e l’attenuazione della censura. Proprio queste ultime due riforme crearono una situazione che, di fatto, si rivelò fatale per lo zar Alessandro.
L’abolizione della servitù della gleba nel 1861, che riguardò oltre venti milioni di mugik legati ai proprietari privati, e la redistribuzione della terra ebbero effetti modesti. L’assegnazione delle terre agli ex schiavi non solo avvenne con criteri non uniformi e comunque tali da salvaguardare le grandi proprietà, ma non fu accompagnata da provvedimenti che facilitassero il pagamento del riscatto delle terre da parte degli ex mugik. Inoltre, i terreni ridistribuiti non erano sufficienti per i bisogni degli ex servi della gleba e comunque erano meno fertili rispetto a quelli rimasti nelle mani degli aristocratici.
L’attenuazione della censura, invece, incoraggiò il dibattito politico e sociale, permettendo agli oppositori dello zar di denunciare pubblicamente l’imperialismo dello Stato russo e le condizioni di vita indecenti del popolo.

Lo zar Alessandro II

Lo zar Alessandro II

Il dibattito politico si divise sostanzialmente in due correnti: gli occidentalisti e gli slavofili. I primi ritenevano necessario applicare in Russia il modello occidentale dell’economia capitalistica e della democrazia, i secondi giudicavano il modello occidentale un errore per i danni che la Rivoluzione industriale e il capitalismo avevano arrecato al popolo. Per questi ultimi lo sviluppo della Russia doveva necessariamente partire dalle campagne, alfabetizzando i contadini e favorendo le comunità agricole. Questa corrente di pensiero politico-sociale, che non solo prospettava l’emancipazione delle masse contadine ma anche la fine dell’autocrazia zarista e la creazione di una società socialista, prese il nome di “populismo” (narodničestvo). All’interno di questo movimento si crearono molte correnti di pensiero, tra cui alcune orientate verso la prospettiva di un rovesciamento, anche violento, dello zarismo.
Quando l’insurrezione polacca del 1863 arrestò il programma riformistico di Alessandro, spingendolo su posizioni reazionarie, alcuni narodniki (populisti) si organizzarono in un movimento rivoluzionario con l’intento dichiarato di dare l’avvio a un movimento di massa che avrebbe rovesciato la Stato zarista e istituito il social-liberalismo attraverso la strategia dell’andare al popolo, per ascoltarlo, vivere con esso per istruirlo alla rivoluzione e vedere in esso la più nobile espressione politica.

Andrej Ivanovič Željabov

Andrej Ivanovič Željabov

Negli anni 1873 e 1874 centinaia di idealisti-populisti “andarono al popolo”, recandosi nelle campagne nel tentativo di creare un movimento di massa tra i contadini. La prima tappa della rivoluzione fallì a causa sia della diffidenza dei contadini per tutto ciò che veniva dalla città sia perché il governo incominciò a ritenere pericolose tali attività dei populisti, arrestando molti di loro e deportandoli in Siberia.
Decimato il gruppo iniziale, i più risoluti riconsiderarono allora la loro strategia e, nel 1876, formarono l’organizzazione rivoluzionaria Zemlja i Volja (Terra e Libertà), che proponeva anche l’uso degli attentati nella lotta politica, sino all’uccisione dello zar. All’interno si crearono subito due fazioni, una detta “campagnola”, poiché rinviava l’assassinio dello zar a quando i contadini fossero stati pronti a una sollevazione generale, e perciò insistevano nella necessità di continuare il lavoro di propaganda nelle campagne, l’altra detta “dei politici”, più ansiosi di passare ai fatti e propensi alla propaganda nelle città.
Zemlja i Volja era un’associazione clandestina, organizzata in gruppi regionali, che aveva a disposizione una stamperia e una vasta rete di propagandisti. All’interno esisteva anche un “gruppo di disorganizzazione”, con il compito di proteggere i militanti dalla polizia e di favorire, in caso di necessità, la loro fuga.
Il 6 settembre del 1879, a seguito di un congresso tenutosi a Pietroburgo, le componenti delle due fazioni di Zemlja i Volja si accordarono per la scissione: i beni della vecchia organizzazione furono divisi in parti uguali e si stabilì che il nome di Zemlja i Volja non potesse essere utilizzato da nessuna delle due frazioni sorte dalla scissione. Il gruppo dei campagnoli, a sottolineare la volontà di continuare il suo programma sociale a favore dei contadini, guidati dall’intellettuale Georgi Plekhanov prese il nome di Čërnyj peredel (Ripartizione nera), richiamandosi all’uso di appellare i contadini “popolo nero”, mentre la frazione dei politici, guidata da Andrej Ivanovič Željabov, per esprimere la volontà del popolo russo di abbattere lo zarismo chiamò il nuovo partito Narodnaja volja (Volontà del popolo).

Il periodico "Cernyj peredel"

Il periodico “Čërnyj peredel”

Il primo gruppo si avvicinò progressivamente allo studio del marxismo cercando di adattarne i dettami a una società pre-capitalista, rivendicando la distribuzione della terra ai contadini. Il secondo gruppo si orientò all’azione armata, con una gerarchia rivoluzionaria e un programma militare. Mentre il circolo di Čërnyj peredel operò nelle campagne la tradizionale attività di propaganda populista, anche attraverso un periodico chiamato con il nome del gruppo, Narodnaja volja si pose l’obiettivo del passaggio al socialismo, da ottenere con una vasta azione terroristica mirante alla distruzione del regime zarista, da sostituire con una federazione di comunità autogestite basate su regole di tipo comunitario, quindi sul trasferimento delle terre al popolo e delle fabbriche agli operai.

Nell’ottobre dello stesso anno il secondo movimento politico si presentò pubblicamente con il suo organo ufficiale “Narodnaja Volja”, sottotitolato “Rivista social-rivoluzionaria”. Nell’editoriale furono resi pubblici gli obiettivi dell’organizzazione: realizzazione del socialismo in Russia e lotta contro l’autocrazia zarista.
Nel terzo numero del periodico fu reso pubblico il programma politico per raggiungere questi obiettivi:
1. fine dello zarismo ed elezione di una rappresentanza permanente del popolo con pieni poteri su tutte le questioni nazionali;
2. suffragio universale, senza limitazioni di classe e di censo;
3. libertà di coscienza, di parola, di riunione, di associazione, di propaganda elettorale e di stampa;
4. appartenenza della terra al popolo;
5. appartenenza delle fabbriche agli operai;
6. indipendenza economica del popolo;
7. autonomia del “Mir” (l’organo decisionale di origine medievale delle comunità rurali russe, le cosiddette obščina);
8. sostituzione dell’esercito permanente con una milizia territoriale.
Per realizzare questi punti, l’organizzazione si proponeva una propaganda politica, per istruire e sollevare la popolazione, e un’attività terroristica, per eliminare gli elementi ritenuti nocivi al popolo, in primis lo zar.
Il manifesto ideologico-strategico del gruppo prevedeva così, dopo una prima fase d’indottrinamento fatto al popolo, l’insurrezione popolare. Il totale insuccesso della prima fase, assieme alla lunga attesa necessaria per formare una vera coscienza collettiva e creare un movimento di massa, convinse i più impazienti dell’utilità di passare alla “propaganda dei fatti”, attraverso azioni clamorose che in qualche modo avrebbero dovuto affrettare i tempi.

Sergei Michajlovič Kravčinskij, detto Stepnjak

Sergei Michajlovič Kravčinskij, detto Stepnjak

Nella loro campagna politico-militare, i militanti di Narodnaja Volja si dichiararono fieramente terroristi, perché, come riferì il narodovolec Andrej Ivanovič Željabov: «La storia è terribilmente lenta. Bisogna darle una spinta, altrimenti l’intera nazione marcirà e andrà in malora».
La formula del terrorismo è tutta racchiusa nelle parole di Lev Trotsky, che nell’articolo Il collasso del terrore e del suo partito (Sul caso Azef), apparso originariamente nel 1909 su giornale polacco “Przeglad Socyal-demokratyczny”, scriveva a proposito dei populisti di Narodnaja Volja: «Le rivoltelle di eroi individuali al posto di forconi e randelli del popolo. Bombe invece di barricate».
L’attivismo della Narodnaja Volja diede corpo a un movimento sotterraneo che influì molto sulla popolazione, almeno in linea teorica, contribuendo a far maturare l’idea che in Russia una rivoluzione era insieme necessaria e inevitabile. Questo, tuttavia, non indebolì in misura rilevante il carattere autocratico-repressivo dello zarismo che, anzi, si acutizzò. L’idea degli attentati ai rappresentanti di questo potere, in primis all’esponente principale, allo zar, divenne una priorità per il movimento, da perseguire a tutti i costi.
Gli atti terroristici si fecero sempre più audaci. In pieno giorno a San Pietroburgo, Sergej Michajlovič Kravčinskij, conosciuto come Stepnjak, uccise il generale Mezencov, eroe della campagna militare in Crimea e capo della Terza sezione dell’esercito. A Charkov, il terrorista Gol’denberg uccise il principe Kropotkin, cugino dell’anarchico omonimo e governatore generale della città.
L’obiettivo di assassinare lo zar, già condannato a morte nel 1879 dal gruppo, restava comunque una tappa fondamentale per iniziare a raccogliere successi politici. Furono organizzati almeno sette attentati alla vita dello zar, prima di riuscire nell’intento.
Il 14 aprile 1879, ancor prima della nascita di Narodnaja Volja, il rivoluzionario Aleksandr Solov’ëv tentò di uccidere lo zar al termine della sua passeggiata nel Letnij sad (Giardino d’estate a San Pietroburgo), sparandogli vari colpi di pistola. Lo zar riuscì a mettersi in salvo e l’attentatore, catturato, fu impiccato il 28 maggio dello stesso anno.

Vera Figner

Vera Figner

Il primo tentativo di Narodnaja Volja fu preparato da Vera Figner, Aleksandr Kviatkovskij e Nikolaj Kibal’čič nel settembre del 1879. L’intenzione era colpire lo zar durante il suo viaggio verso Livadia, in Crimea. Nikolaj Frolenko e sua moglie Tatiana Lebedeva avrebbero dovuto piazzare gli esplosivi sulla ferrovia Odessa-Mosca, gli altri avrebbero fatto esplodere l’ordigno. Il piano fu sospeso perché il treno imperiale non sarebbe più passato dal luogo in cui erano stati piazzati gli esplosivi.
Il secondo tentativo fu organizzato dal narodovolec Andrej Želiabov che intendeva colpire lo zar il 18 novembre mentre transitava in treno sulla linea ferroviaria che collegava la Crimea con Charkov. L’attentato fallì per il cattivo funzionamento del detonatore elettrico.
Il terzo tentativo avvenne il giorno successivo, il 19, con una procedura identica alle prime: una bomba sulla ferrovia a una quindicina di chilometri dalla stazione ferroviaria di Mosca. Un ritardo nella deflagrazione salvò la vita allo zar. A seguito del fallito attentato la repressione contro i populisti si acutizzò. In una delle retate fu arrestato Aleksandr Kviatkovskij (poi impiccato il 4 novembre 1880), che stava preparando un altro attentato ad Alessandro II, questa volta da realizzare nel Palazzo d’Inverno, la residenza dello zar. Il comando del nuovo attentato passò a Andrej Ivanovič Željabov.
Anche l’attentato nel Palazzo d’Inverno, il quarto tentativo, si rivelò un fiasco. Il 5 febbraio 1880, nella sala da pranzo del palazzo fu fatto scoppiare dell’esplosivo con un meccanismo a orologeria, precedentemente piazzato da Stepan Chalturin, che nel settembre 1879 era riuscito a farsi assumere come ebanista sotto la falsa identità di Batičkov. La quantità insufficiente di esplosivo e il ritardo dello zar fecero fallire il progetto. L’attentato, che aveva dimostrato la capacità della Narodnaja Volja di colpire fin dentro le stanze del potere, provocò una crisi politica che portò alla nomina a ministro degli Interni, con poteri eccezionali, del risoluto generale Mikhail Tarielovich Loris-Melikov.
Il quinto attentato prevedeva ancora un atto dinamitardo, questa volta a Odessa, al passaggio del corteo imperiale sull’Ital’janskaja ulica (il viale d’Italia). Nikolaj Sablin e Sof’ja Perovskaja, sotto falsa identità, affittarono un negozio che si affacciava su quella via e, insieme ad altri tre compagni, iniziarono a scavare una galleria che, arrivando al centro del vialone, avrebbe dovuto custodire l’esplosivo. Alessandro II arrivò però a Odessa prima del previsto, quando lo scavo era ancora in corso, e il progetto fu abbandonato.
Un sesto tentativo fu organizzato ancora da Andrej Ivanovič Želiabov per il 16 agosto 1880 a San Pietroburgo, sul ponte Kamenny, lungo il tragitto che dalla residenza dello zar conduceva alla stazione ferroviaria di Tsarskoe Selo. L’attentato fallì per mancata sincronizzazione tra i militanti e perché parte dell’esplosivo cadde nelle acque del fiume.

Pietroburgo, 3 aprile 1881: l'impiccagione dei responsabili dell'attentato fatale allo zar Alessandro III

Pietroburgo, 3 aprile 1881: l’impiccagione dei responsabili dell’attentato fatale allo zar Alessandro III

Il primo marzo del 1881 arrivò finalmente per i terroristi la fine dello zar, ma non dello zarismo. L’attentato fu programmato con un’azione congiunta di due terroristi, Nikolai Rysakov e Ignatij Ioachimovič Grinevickij, il primo avrebbe dovuto lanciare una bomba verso la carrozza dello zar, mentre il secondo sarebbe intervenuto, come accadde, lanciando una seconda bomba se la prima avesse fallito l’obiettivo. Lo zar Alessandro fu ferito a morte dal secondo ordigno e morì dopo tre ore dall’attentato.
Rysakov, interrogato a lungo e sperando di aver salva la vita, finì per rivelare quanto sapeva della congiura, permettendo l’arresto di alcuni complici: Andrej Ivanovič Želiabov, Gesja Gel’fman, Timofej Mchajlov, Sof’ja Perovskaja e Nikolaj Kibal’cič (l’artificiere del gruppo).
Il 12 aprile Željabov, Perovskaja, Kibal’cič, Michajlov e Rysakov furono condannati a morte per impiccagione e la sentenza fu eseguita la mattina del 15 aprile 1881. Il nuovo zar Alessandro III si rifiutò di commutare la pena del “pentito” Rysakov, mentre la Gel’fman, in quanto incinta, fu condannata all’ergastolo.

Simbolo del movimento Zemlja i Volja

Simbolo del movimento Zemlja i Volja

Dopo l’assassinio, i terroristi scrissero una lettera al figlio del defunto zar e suo successore, Alessandro III, per invitarlo a considerare alcune richieste al fine di evitare «un disperato sussulto rivoluzionario in tutta la Russia». La prima richiesta riguardava un’amnistia generale dei prigionieri politici; la seconda, chiedeva la convocazione dei rappresentanti del popolo per una reale revisione delle strutture della vita sociale, assieme a una sua riorganizzazione secondo le aspirazioni del popolo. Il gruppo si dichiarò disponibile ad abbandonare la lotta armata e di sottomettersi a un’assemblea eletta dal popolo nella più perfetta libertà. Ecco alcuni passaggi della lettera:
«Pur comprendendo perfettamente lo stato d’animo di Vostra Maestà, il Comitato esecutivo non si crede autorizzato a cedere a sentimenti di naturale delicatezza, che avrebbero senz’altro richiesto un rinvio della dichiarazione che segue…
[…] il governo può continuare a imprigionare e a impiccare a suo piacimento, così come può anche annientare questa o quella organizzazione rivoluzionaria. Ammettiamo pure che riesca a distruggere le più importanti: non per questo l’idea di rivoluzione cesserà di diffondersi. Una terribile eruzione, una lotta sanguinosa, un disperato sussulto rivoluzionario di tutta la Russia porterà a compimento la distruzione del vecchio ordine.
[…] Maestà, nel nostro paese non esiste attualmente un governo nel vero senso della parola. Un governo deve essere, secondo il principio della sua natura, l’espressione di quel che desidera il popolo… Da noi invece il governo – scusateci l’espressione – è degenerato in una totale camarilla e merita molto più di noi di essere definito una banda di usurpatori… Per venir fuori da questa situazione ci sono solo due vie d’uscita: o una rivoluzione o sennò un volontario appello al popolo da parte della più alta autorità. Nell’interesse della patria… il Comitato esecutivo si rivolge a Vostra Maestà col consiglio di prendere la seconda strada. Siate sicuro che non appena il potere avrà cessato di essere arbitrario, non appena avrà mostrato la ferma volontà di prestare orecchio alle esigenze della coscienza popolare e della sua coscienza morale, e di conseguenza voi avrete licenziato le spie che compromettono il governo e mandato il loro convoglio nelle caserme, potrete allora bruciare i patiboli che demoralizzano il popolo. In tal caso il Comitato esecutivo cesserà spontaneamente la propria attività… Vogliamo sperare che il sentimento del rancore personale non soffocherà in voi né il sentimento del dovere né la volontà di prestare orecchio alla verità. Anche noi abbiamo motivo di provare risentimento. Voi avete perduto il padre: noi non abbiamo perduto soltanto i nostri padri, ma anche i fratelli, le mogli, i figli e i migliori amici. Ma siamo pronti a far tacere i nostri sentimenti personali poiché il bene della Russia lo esige, e ci aspettiamo altrettanto da voi.
Non vi poniamo nessuna condizione: vi ricordiamo semplicemente le attuali possibilità, che a nostro avviso sono due: 1) amnistia generale per tutti i criminali politici degli ultimi tempi, in quanto essi non hanno perpetrato dei crimini ma si sono soltanto limitati a compiere il loro dovere di cittadini; 2) convocazione dei rappresentanti del popolo per una revisione delle attuali strutture della vita pubblica e sociale e sua riorganizzazione secondo i desideri del popolo. Consideriamo tuttavia necessario farvi notare che una legalizzazione del potere mediante una rappresentanza popolare potrà essere ottenuta solo se le elezioni avranno luogo nella più perfetta libertà… È questo il solo mezzo per ricondurre la Russia nella via di un pacifico e regolare sviluppo. Dichiariamo solennemente e davanti al mondo intero che il nostro partito si sottometterà da parte sua senza riserve a una assemblea nazionale eletta sulla base delle condizioni suddette e non si permetterà più in avvenire di esercitare un’attività violenta di qualsiasi genere contro il governo sanzionato dall’assemblea nazionale. E ora, Altezza, prendete una decisione! Vi sono offerte due strade. Siete voi che dovete decidere!».

Il nuovo zar non solo non risposte, ma reagì fermamente, intensificando la repressione e stabilendo misure speciali per i reati di matrice politica, tra cui processi dinanzi a corti marziali e adozione dell’esilio anche per i soli sospettati. Nel contempo, il movimento terroristico perse l’appoggio (in ogni caso passivo) del popolo.
A seguito dell’attentato e della dura repressione, il primo nucleo di Narodnaja Volja fu irrimediabilmente distrutto e solo otto rivoluzionari rimasero in libertà. Nei due anni seguenti quello che restava dell’organizzazione continuò la lotta armata, ma senza azioni militari clamorose. Quello che rimaneva del gruppo iniziale fu raggiunto da una nuova repressione ordinata da Alessandro III e la storia del gruppo giunse al suo epilogo. Nel 1883 fu arrestata Vera Figner nel suo rifugio di Charkov. Con lei cadeva l’ultimo esponente del Comitato esecutivo di Narodnaja Volja.
Lo zar Alessandro III dovette però fare i conti con gli epigoni della Narodnaja Volja, che prepararono un attentato da mettere a segno il 1° marzo 1887, sesto anniversario della morte di suo padre. La polizia riuscì a sventare il piano e cinque degli organizzatori furono arrestati e condannati a morte. Questo segnò il declino definitivo dell’organizzazione populista armata.
Durante il processo, uno degli ultimi arrestati, Aleksandr Ul’janov, figlio di un ispettore scolastico distrettuale di Simbirsk, riuscì a sintetizzare le posizioni del gruppo: «La nostra intelligencija è così debole fisicamente e così disorganizzata che, attualmente, non può schierarsi in campo aperto, ed è solo per mezzo del terrore che può difendere il suo diritto al pensiero e alla partecipazione intellettuale alla vita della società. Il terrore è la forma di lotta creata dal XIX secolo, ed è la sola forma di difesa consentita alla minoranza che è forte solo spiritualmente e convinta della bontà della propria causa contro il potere materiale della maggioranza. […] Nella Nazione russa troverete sempre dieci persone che sono fedeli alle loro idee e pienamente consapevoli della infelicità del loro Paese, a tal punto che, per loro, non sarà un sacrificio in favore della causa in cui credono. Non c’è nulla che possa intimorire gente del genere».
La condanna a morte di Aleksandr impressionò notevolmente il fratello diciassettenne Vladimir, che giurò vendetta. Vladimir Il’ič Ul’janov influenzato dagli scritti di Chernyshevsky, aderì anch’esso al pensiero della Narodnaja Volja, per poi iniziare lo studio del marxismo influenzato dalle idee di Plekanov. Poco dopo iniziò l’attività clandestina usando lo pseudonimo di Lenin.
Trent’anni dopo, nel 1917, il giuramento fu mantenuto.

Per saperne di più:
F. Venturi, Il populismo russo. Dall’Andata nel popolo al terrorismo – Einaudi, Torino 1972.
V. A. Tvardovskaja, Il populismo russo da Zemlja i volja a Narodnaja – Editori Riuniti, Roma 1975.
F. Battistrada, Marxismo e Populismo – Jaca Book, Milano 1982.
D. Saunders, La Russia nell’età della reazione e delle riforme 1801-1881 – il Mulino, Bologna 1997.
R. Sinigaglia, L’intelligencija russa nel secolo XIX tra ribellismo ed emigrazione, in «Clio», vol. 34, n. 1, 1998.
R. Risaliti, Storia della Russia. Dalle origini all’Ottocento – Bruno Mondadori, Milano 2005.
R. Paternoster, Terrore e Terrorismi. La storia a mano armata – Edizioni Associate, Roma 2010.