IL LAICISMO DI GIUSEPPE COMPAGNONI

di Massimo Ragazzini -

Contenimento degli “eccessi” della rivoluzione francese, uguaglianza degli individui e dei sessi, tolleranza religiosa ma assoluta separazione tra Stato e Chiesa. Il pensiero di Compagnoni segna uno dei punti più alti raggiunti dalla coscienza laica nella storia civile e politica italiana.

Giuseppe Compagnoni

Giuseppe Compagnoni

(da Annali Romagna 2016, supplemento al n. 83 di “Libro Aperto”; si ringrazia il direttore Antonio Patuelli per la gentile concessione)

Giuseppe Compagnoni, giurista, politico, letterato e storico, nato a Lugo di Romagna il 3 marzo 1754 e morto a Milano il 29 dicembre 1833, è a ragione ritenuto “una figura unica del panorama culturale italiano del periodo napoleonico e della Restaurazione”[i]. Ordinato sacerdote nel 1778, partecipò con slancio morale e impegno intellettuale ai vorticosi avvenimenti che si verificarono in Italia dal 1796 al 1815. Fu protagonista del Triennio rivoluzionario in Emilia e a Milano, dapprima come segretario generale della Confederazione cispadana e deputato per Ferrara al Congresso di Reggio Emilia (dove il 7 gennaio 1797 fece votare la proposta di adottare come bandiera nazionale quello che diventerà il tricolore italiano), successivamente come membro del Corpo legislativo cisalpino. Ebbe ruoli di prestigio nella Repubblica cisalpina e nel Regno d’Italia, ricoprendo per anni anche la carica di segretario del Consiglio di Stato, e fu un intellettuale di rilievo nella Milano della Restaurazione.
La sua produzione, vasta ed eclettica, spaziò dai trattati di giurisprudenza ai sermoni letterari, passando dalla grammatica, alla morale, alle traduzioni, a opere caratterizzate da complessità di struttura e contenuti come la Storia dell’America, pubblicata in ventinove volumi tra il 1820 e il 1823.
L’abbandono da parte del Compagnoni dell’abito talare risale al 1796[ii]. Nelle sue Memorie ammise che era diventato sacerdote per necessità: “Soltanto per accontentare mio padre io mi piegava ad entrare in quella carriera, per la quale non mi sentiva vocazione veruna”. Ciò a cui, invece, aspirava era lo studio del diritto. Pur arrivando a riconoscere alcuni aspetti positivi degli studi teologici, la conclusione fu: “La teologia non poteva essere la mia professione”[iii]. Nonostante ciò, non fu mai miscredente e parlò sempre con rispetto della Chiesa, ringraziando Dio di averlo fatto cattolico[iv]. Tanto è vero che la Chiesa non pronunciò contro di lui né anatemi né scomuniche[v]. Il pensiero politico di Compagnoni è tuttavia rigorosamente laico[vi].

L’emancipazione degli ebrei

La sua coscienza laica si manifesta con chiarezza nella XIV lettera delle Lettere piacevoli se piaceranno, scambio epistolare fra Giuseppe Compagnoni e il commediografo Francesco Albergati Capacelli. L’intellettuale lughese è il primo in Italia che dichiari e sostenga apertamente che gli ebrei sono uguali agli altri uomini e hanno diritto alla completa emancipazione e alla parità dei diritti[vii]. Si tratta di un’idea affermata in modo netto e perentorio, in polemica con la censura. Il saggio viene pubblicato dapprima a Modena, a cura dell’Albergati. Poiché il censore ducale era intervenuto alterando il senso dello scritto, Compagnoni successivamente fa ristampare la lettera a Venezia nel testo integrale[viii]. Poi la ripubblica, sempre a Venezia, con il titolo Saggio sugli Ebrei e sui Greci[ix].
Cosa scriveva di innovativo Compagnoni? “L’uomo che legge con riflessione la storia, si sente a un tempo stesso gelare di raccapriccio al racconto delle disgrazie sofferte dagli ebrei in ogni secolo; e rapire da altissima meraviglia, vedendo questo avanzo di popolo sciagurato non solo scampare all’intera sua distruzione, ma unito tuttora sotto l’antica disciplina, costante ne’ princìpi, negli usi, nella Religione paterna, unico esempio sulla terra di fermezza, e di immutabilità, senza mai attentare in nessun modo alla tranquillità dei Governi sotto cui vive, tendere tacitamente a recuperare il suo primitivo splendore (…) senza cittadinanza, senza prosperità, rigettati perfino dalla condizione miserabile, della schiavitù, attraverso mille infortunii ardiscono di conservarsi, e divenendo gli Agenti stessi dei loro persecutori, essi più d’ogni altro contribuiscono a far risorgere in Europa, ov’erano trattati peggio che altrove, le Arti e il commercio finito fino all’ultima traccia nella generale confusione recata da’ barbari. (…) In ogni secolo gli Ebrei hanno avuto uomini d’ingegno noti anche fuori dalla Sinagoga: e in questo secolo le più colte nazioni d’Europa si applaudono di avere illustri Ebrei nel numero de’ loro dotti. Quali nomi più conosciuti di quelli di Spinoza, di Limborchk, di Mendhelson, di Hertz? Eppure questi non sono che i primi di un lungo catalogo”[x].
Se si tiene presente che la Chiesa aveva considerato gli ebrei come sacrileghi deicidi e, dal quarto secolo in poi, li aveva sottoposti a un regime di minus habentes[xi], si può ben vedere quanto fosse rivoluzionaria questa posizione.
Ha osservato Sergio Romagnoli che Compagnoni, con il Saggio sugli Ebrei, dimostra di non essere uomo “disposto a seguire i tempi con moderato consenso ma, semmai, a cercar di anticiparli progettando riforme e nuove istituzioni con la mira di imporre il diritto di libera cittadinanza per tutti gli uomini al di là delle crudeli e incerte distinzioni millenarie e secolari di razza e di nazione”[xii].

La laicità e l’autonomia dello Stato nei confronti della Chiesa

Il tricolore della Repubblica Cispadana

Il tricolore della Repubblica Cispadana

Il suo laicismo si rivela in modo ancora più netto nel 1797. A Modena, nella Sessione del 25 gennaio del Congresso cispadano, il ‘cittadino’ Compagnoni, deputato del popolo ferrarese, pronuncia un discorso sulla libertà di culto. Per la prima volta appare tra gli scrittori dell’epoca una formulazione così risoluta, argomentata e coerente dell’idea separatista.
La maggioranza del Congresso è dell’opinione che nell’atto costituzionale della Repubblica cispadana si debba parlare della religione cattolica: il che equivale ad attribuirle un rilievo costituzionale e a sancire dei privilegi che da tale posizione giuridica sarebbero necessariamente derivati[xiii]. A sostegno di questa tesi il nobile bolognese Niccolò Fava Ghisilieri afferma che, essendo la maggior parte della popolazione incolta perché costretta al lavoro dalle necessità della vita, essa deve ricevere i princìpi morali dalla religione e ha bisogno di poche e chiare certezze, altrimenti “cade vittima dell’anarchia interiore e collettiva”[xiv]. Per quanti sforzi si possano fare, insiste il Fava, le masse sono condannate a vivere di lavoro e non possono necessariamente impiegare che poco tempo a educarsi e siccome “dall’educazione dipende la cognizione dei princìpi morali, dai princìpi morali ridotti alla pratica il ben essere della società, e quindi la felicità vera del popolo”, la religione è necessaria per il popolo come “la migliore e la più pronta scuola della morale”[xv]. E’ l’idea della religione come instrumentum regni, secondo un’antica dottrina: vale a dire che la religione è necessaria per tenere a freno e nell’ordine le masse.
Ma Compagnoni, assieme ad altri, non condivide questa impostazione; anzi, la pensa in modo opposto: la religione è un rapporto dell’uomo con Dio, non dell’uomo con l’uomo.
Egli ritiene che il compito dei deputati sia quello di redigere una Costituzione politica, “vale a dire di dichiarare i diritti, competenti agli uomini in società, e i rispettivi loro doveri”[xvi], e di ripartire i poteri sovrani del popolo in modo giusto ed equilibrato. Ciò consiste nel regolare i rapporti fra gli uomini, rapporti di un ordine del tutto diverso, e inferiore, a quelli dell’uomo con Dio, dei quali si occupa la religione. I due ordini di rapporti, e di doveri, sono fra di loro non soltanto diversi, ma separati. Qualsiasi religione, infatti, non esclude nessuna forma di governo: “essa è combinabile con tutte. Così, al pari, nessuna forma di governo esclude alcuna religione: può ammetterle tutte. Sotto il dispotismo di Pietroburgo e di Costantinopoli si esercitano il culto cattolico e l’islamismo”[xvii], senza creare problemi di sorta. Quindi non c’è nessuna connessione tra la forma politica e quella religiosa che obblighi il Congresso a stabilire una qualche regola fra i due ordini di rapporti. Se invece si nomina un culto nell’atto costituzionale, si indica una preferenza del legislatore che violerebbe il principio d’uguaglianza a danno degli altri culti: “Noi abbiamo promesso di fare una costituzione basata sul principio di libertà e d’uguaglianza e, dunque, nella costituzione dobbiamo tacere sulla religione” perché “se la Legislazione non può violentar le coscienze, essa è dunque costretta a  rispettar la volontà de’ cittadini in fatto di religione”. Ma non la rispetterebbe se nella costituzione ne proclamasse una. “Sull’articolo della religione noi dobbiamo tacere. Siccome a ciò ci obbliga il principio della libertà, così pure ci obbliga del pari quello dell’uguaglianza”. E subito dopo così continua: “Una religione costituzionalmente proclamata diventa una religione dominante; ed è intrinseca condizione di una religione dominante l’ottenere diversi essenzialissimi diritti sopra qualunque altra, che pur venga nel medesimo stato tollerata”[xviii].
Il discorso del 25 gennaio sulla religione contiene l’espressione più esplicita dell’assunto fondamentale del suo pensiero in materia religiosa, e cioè l’assoluta separazione di Chiesa e Stato. A ragione è stato evidenziato che la soluzione di Compagnoni ha preceduto di mezzo secolo la formula cavourriana ‘libera Chiesa in libero Stato’, che ha significato, “se non la piena attuazione, certamente la realizzazione storicamente più concreta del programma ideale dell’abate lughese”[xix].

L’uguaglianza dei diritti fra uomo e donna

Il laicismo di Compagnoni si conferma nell’opera Epicarmo, ossia lo Spartano[xx], dove espone l’idea dell’assoluta parità fra uomini e donne in applicazione di quanto viene affermato come principio indiscutibile: il diritto all’uguaglianza. Compagnoni ritiene giusto che alle donne sia riconosciuto anche il diritto al voto. La sua è una delle prime voci a levarsi, in Europa, in difesa dei diritti delle donne[xxi]: “Io mi sdegno assai, e credo giustamente, quando in tutta la storia della società ascolto sempre parlarsi degli uomini, dei loro diritti e bisogni, e non mai di quelli delle donne. Non pensi tu qualche volta che nella casuale unione che si è formata, una parte della specie umana abbia fatto torto all’altra, e che i maschi, abusando della forza muscolare, hanno oppresso le donne?” Se l’amore è cosa sacra e completa, conclude Compagnoni, lo è per entrambi; l’uno e l’altro dovrebbero potersi scegliere con consenso e soddisfazione reciproca[xxii]. L’intellettuale lughese è anche tra i primi a proporre l’annullamento della distinzione fra figli legittimi, illegittimi e adulterini[xxiii], a contestare l’indissolubilità del matrimonio e a parlare di divorzio[xxiv].

Il diritto costituzionale democratico

Melchiorre Gioia

Melchiorre Gioia

Nel 1797 Compagnoni viene nominato professore di diritto costituzionale a Ferrara. E’ la “prima cattedra di questo tipo istituita in Italia”[xxv], ma l’opposizione del clero fa sì che il corso si riduca alla prolusione e a poche altre lezioni.
Negli Elementi di diritto costituzionale democratico[xxvi], il testo che pubblicherà pochi mesi dopo il corso, appaiono ben chiare le sue idee laiche e la sua fiducia nella democrazia rappresentativa. La rottura con il passato è evidente: a un’Europa che si regge quasi ovunque su di un sistema basato sul concetto di sovranità discendente da Dio e ordinata e divisa fra il potere temporale e quello spirituale, e che su questo assunto ha fondato gran parte delle sue elaborazioni teoriche, l’intellettuale lughese oppone un modello di “repubblica parlamentare democratica di cui sovrano è il popolo, che elegge periodicamente i suoi rappresentanti”[xxvii]. Da questo angolo visuale egli passa in rassegna i diversi governi esistenti in Europa e afferma che il peggiore di tutti è quello della “teocrazia papale”[xxviii]. Loda invece la costituzione francese del 1795, che considera l’antitesi dei sistemi dispotici, poiché grazie a essa il popolo gode dell’esercizio della sovranità e degli atti del governo.
Secondo Antonio Zanfarino c’è in Compagnoni “un’autentica vocazione democratica ispirata agli ideali dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese”. Il suo obbiettivo è di “costituzionalizzare la democrazia” per non farne una generica perorazione demagogica che, evocando i poteri delle masse, trascuri i problemi di “una organizzazione liberale dell’autorità e di una tutela efficace dei diritti dei cittadini”. L’ordine costituzionale deve introdurre princìpi di garanzia nel governo democratico, in modo che i limiti di ogni autorità siano chiaramente definiti per impedire arbitrii e sopraffazioni. Il costituzionalismo democratico dell’intellettuale lughese fa dunque costante riferimento al fondamentale principio del rispetto dei diritti individuali e su di essi misura il grado di civiltà degli ordinamenti  politici, sociali e giuridici. Il principio di individualità è tuttavia strettamente collegato al principio della sovranità popolare: i diritti individuali e la volontà generale non sono visti come prospettive alternative. L’originalità della riflessione di Compagnoni “consiste appunto in questa ricerca di una sintesi tra la direzione individuale e la direzione popolare della politica”[xxix].
La sua antropologia lo porta a ritenere che l’indole intrinseca dell’uomo sia di essere necessariamente tratto a “star bene”. Ponendo a cardine del suo ordinamento “lo stato di interdipendenza della vita individuale da quella sociale”, egli “eleva il bisogno a ‘categoria’ e a ‘senso’ primo ed insopprimibile dell’uomo”[xxx]. Il bisogno è il presupposto, la misura e il movente di tutto l’operare umano. Tutto deriva dal bisogno, e in questa derivazione è compreso, in primo luogo, soprattutto il diritto. Più volte ribadisce che i diritti nascono dai bisogni. “Bisogno e diritto non sono, infatti, né un prius né un posterius di fronte all’uomo; sono la sua stessa natura; la sua condizione di vita; il suo modo d’essere”[xxxi]. Non esiste diritto che non abbia suo fondamento in un bisogno e viceversa. Uscire da questa impostazione, e porre altri princìpi a fondamento della ricerca filosofica e giuridica, è per Compagnoni un perdersi dietro fantasticherie assurde.
La vita è la base di ogni bene dell’uomo, ma i bisogni vitali non si risolvono nella semplice conservazione e richiedono invece un perfezionamento costante delle nostre condizioni. Il “diritto di perfettibilità è perciò la tensione costante degli ideali democratici”. Tale diritto presuppone un ‘diritto di indipendenza’, perché l’uomo deve prima di tutto appartenere a se stesso, e un ‘diritto di uguaglianza’, “necessario a fondare una obbligazione scambievole tra gli individui, ma che non esclude i differenti gradi delle sensibilità e capacità”. Si aggiunge a questi diritti anche un ‘diritto di sicurezza e di soccorso’, per sancire “l’esigenza di solidarietà coesistenziali”, da rendere tuttavia compatibili con la libertà individuale,  “valore costitutivo della democrazia e condizione indispensabile della libera cooperazione dei soggetti”. I diritti individuali, quindi, si devono conciliare con la sovranità popolare, facendo in modo che i primi non degenerino nel particolarismo, “ma anche che la seconda non si traduca in un abuso di autorità collettiva”. La sovranità popolare deve quindi legittimare la costituzione e l’esercizio delle funzioni pubbliche, ma deve anche “delimitare le funzioni di ogni potere ed emancipare progressivamente la società dalle categorie e dalla logica del dominio”[xxxii].
In questa prospettiva si colloca l’intransigente opposizione alla pena di morte. Secondo Compagnoni la società non ha mai, per nessun motivo, il diritto di sottrarre la vita a un cittadino.
Molto ferma è anche l’opposizione al cosiddetto “diritto di grazia sovrana”. Le motivazioni sono politiche e giuridiche. Quelle politiche partono dal presupposto che solo chi ha interesse ad asservire un popolo, “di procacciarsi de’ complici, de’ satelliti, degli schiavi”, tenta di comprarli “coll’impunità”. Le ragioni giuridiche sono altrettanto perentorie. Il diritto di grazia è “un sofisma della politica” che distrugge il principio d’uguaglianza e di sicurezza sociale[xxxiii].
Discostandosi dall’idea della democrazia diretta di Rousseau, in quanto non applicabile alle nazioni moderne, Compagnoni sostiene che la democrazia deve avvalersi di princìpi intermediari della politica, che sono quelli del governo rappresentativo. La rappresentanza consente di realizzare dei sistemi istituzionali nei quali la dialettica fra il popolo e il suo governo è equilibrata e produttiva. Nel sistema della democrazia rappresentativa debbono tuttavia esservi alcuni correttivi. A tal fine la costituzione deve disporre che le cariche elettive siano limitate nel tempo e, inoltre, deve contenere il diritto di petizione, “diritto santo e prezioso” per assicurare la libertà del popolo; esso consiste “nel chiedere alle autorità costituite qualunque cosa credesi giusta ed utile non tanto per privato cittadino, quanto per popolo intero”[xxxiv].
Nelle ultime pagine degli Elementi l’intellettuale lughese scrive che la presenza di “despoti vicini” obbliga noi italiani “a formarci in corpo di grande nazione”[xxxv]. Compagnoni condivide quindi la soluzione democratica unitaria sostenuta da Melchiorre Gioia nel celebre concorso in cui nel 1796 rispondeva al quesito Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d’Italia[xxxvi].

Conclusioni

Compagnoni è consapevole che la Rivoluzione francese ha operato un radicale capovolgimento. Capendo che una nuova era è cominciata, denuncia le antiche forme di legittimazione del potere per sostituirne altre, radicalmente nuove, che richiedono un’elaborazione specifica, capace di ‘contenere’ la Rivoluzione, da contrapporre a tutto il pensiero giuridico precedente. Egli è il primo a organizzare sul piano scientifico questi princìpi con un nuovo sistema concettuale[xxxvii].
Uno dei cardini della visione politico costituzionale di Compagnoni è il concetto dell’uguaglianza degli individui. Ubaldo Staico ha osservato che su questo concetto si fondano “la sua idea della democrazia, come pure il principio del separatismo assoluto tra Stato e Chiesa, oltreché la tesi dell’assoluta tolleranza religiosa”[xxxviii], intesa come libertà delle coscienze e libertà dei culti. Al medesimo concetto si collega anche la sua prospettiva dell’indipendenza e dell’unità italiane e, di conseguenza, la sua irriducibile opposizione all’esistenza di uno Stato della Chiesa. Le sue tesi sui rapporti fra potere civile e potere religioso conosceranno poi con Cavour una sia pur parziale vittoria.
Il pensiero di Compagnoni segna quindi uno dei punti più alti raggiunti dalla coscienza laica nella storia civile e politica italiana.

Note

[i] U. Staico, “Il pensiero politico religioso di Giuseppe Compagnoni”, in Giuseppe Compagnoni. Un intellettuale tra giacobinismo e restaurazione, a cura di S. Medri, Edizioni Analisi, Bologna, 1993, p. 306.
[ii] Ivi, p. 277.
[iii] G. Compagnoni, Memorie autobiografiche, a cura di A. Ottolini, Treves, Milano, 1927, pp. 112 ss.
[iv] Il 25 gennaio 1797, al Congresso cispadano, Compagnoni affermò: “Io sono pieno di un profondo rispetto per la Religione Cattolica: io ne adoro i sagri suoi dogmi, ammiro la purità della sua santa morale; e ringrazio la Provvidenza che m’abbia fatto nascere in un Paese, ov’essa ha libero culto, e copia di Maestri , e splendore di Sacerdozio, ed ogni maniera di decoro, e di forza. Riputerei la più alta sventura per Popolo Cispadano se fosse nel crudo esperimento d’acquistare la libertà mettendo a rischio il più alto dono che Dio abbia fatto agli uomini”. (Discorso letto nella sessione del 25 gennaio del Congresso Cispadano in Modena dal cittadino Compagnoni deputato del popolo ferrarese, Per gli Eredi di Bartolomeo Soliani, Modena, 1797, p. IX).
[v] Cfr. I. Mereu, “Giuseppe Compagnoni: giacobino e anticlericale del primo risorgimento”, in I castelli di Yale 3/III (1998), Firenze, p. 5.
[vi] Commentando il laicismo di Compagnoni Italo Mereu osserva: “D’altra parte è questo il nucleo portante di tutto il ‘primo’ risorgimento, ed ha un significato anche nel ‘secondo’. Anche qui, se escludiamo il neoguelfismo, tutti gli altri movimenti, dai monarchici ai liberali, ai mazziniani, ai massoni, ai garibaldini, ai federalisti, divergenti e in contrasto su tanti punti, hanno in comune l’anticlericalismo, necessario per rendere l’Italia libera, indipendente e padrona del proprio destino, liberandola dal potere temporale della Chiesa cattolica. Sarà questo il collante ideologico di maggior presa che terrà uniti movimenti ideologici fra loro diversi e spesso opposti e accomunerà personalità dissimili e diverse”. (I. Mereu, Giuseppe Compagnoni: giacobino e “anticlericale” del primo risorgimento, cit., p. 5).
[vii] Cfr. I. Mereu, Giuseppe Compagnoni, primo costituzionalista d’Europa, De Salvia Editore, Ferrara, 1972, p. 26.
[viii] Lettere piacevoli, se piaceranno, dell’Abate Compagnoni e di Francesco Albergati Capacelli, Edizione Prima Veneta, presso Giacomo Storti, Venezia, 1792.
[ix] Saggio sugli Ebrei e sui Greci, lettera del signor Abate Giuseppe Compagnoni a S.E. il signor Marchese Francesco Albergati Capacelli, presso Giacomo Storti, Venezia, 1792.
[x] Lettere piacevoli, cit., p. 218.
[xi] Cfr. I. Mereu, Giuseppe Compagnoni: giacobino e “anticlericale” del primo risorgimento, cit., p. 7.
[xii] S. Romagnoli, Giuseppe Compagnoni e le “Lettere piacevoli se piaceranno”, in Giuseppe Compagnoni. Un intellettuale tra giacobinismo e restaurazione, cit., p. 230.
[xiii] U. Staico, cit., p. 284.
[xiv] U. Marcelli, Costituzionalismo e utopia in Giuseppe Compagnoni, in Torricelliana, 41 (1990), Fratelli Lega Editori, Faenza, 1991, p. 252.
[xv] A. De Stefano, Rivoluzione e religione nelle prime esperienze costituzionali italiane: 1796- 1797, Giuffré, Milano, 1954, pp. 159 e 160.
[xvi] G. Compagnoni, Discorso, cit., p. V.
[xvii] G. Compagnoni, Discorso, cit., p. V.
[xviii] G. Compagnoni, Discorso, cit., p. VII.
[xix] U. Staico, cit., pp. 286 e 287.
[xx] Epicarmo, ossia lo Spartano. Dialogo di Platone ultimamente scoperto. Del cittadino Compagnoni, Dalle stampe del Cittadino Giovanni Zatta, 1797 Anno I Repubblicano.
[xxi] Si vedano: J. Millar, Osservazioni sull’origine delle distinzioni di rango nella società (1771), Franco Angeli, Milano, 1989; C. Lattanzi, Dissertazione sulla schiavitù delle donne, Milano, anno V; G. Sgargi, Discorso del 5 germinale anno VI, Bologna, Anno VI.
[xxii] Epicarmo, cit., p. 18.
[xxiii] Cfr. I. Mereu, Giuseppe Compagnoni, primo costituzionalista d’Europa, cit., p. 8.
[xxiv] Ivi, p. 108.
[xxv] G. Gullino, COMPAGNONI, Giuseppe, in Dizionario biografico degli Italiani, Volume 27, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma, 1982. Mereu, in Giuseppe Compagnoni: giacobino e “anticlericale” del primo risorgimento”, cit., p. 10, sostiene che quella attribuita a Compagnoni a Ferrara è stata la prima cattedra di diritto costituzionale in Europa.
[xxvi] G. Compagnoni, Elementi di diritto costituzionale democratico, ossia Principi di giuspubblico universale, Venezia 1797, ristampa anastatica curata da I. Mereu e D. Barbon, Analisi, Reggio Emilia, 1985.
[xxvii] I. Mereu, Giuseppe Compagnoni: giacobino e “anticlericale” del primo risorgimento”, cit., p. 10.
[xxviii] G. Compagnoni, Elementi, cit., p. 172.
[xxix] A. Zanfarino, “Diritti individuali e sovranità popolare in Giuseppe Compagnoni”, in Giuseppe Compagnoni. Un intellettuale tra giacobinismo e restaurazione, cit., pp. 85-87. In questo saggio Zanfarino afferma: “Compagnoni non vuole affatto sostituire al dispotismo tradizionale nuove forme di assolutismo popolare. La volontà generale costituisce e garantisce un diritto di cittadinanza che agisce come potente strumento di trasformazione dello stato naturale, ma questa cittadinanza serve per rafforzare e non per indebolire i diritti dell’uomo. La funzione della sovranità popolare non è per Compagnoni quella di massimalizzare il potere, ma è quella di valorizzare e tutelare tutti gli ambiti di esplicazione della libertà umana, nella logica di una reciprocità di doveri e diritti dei cittadini” (p. 88).
[xxx] I. Mereu, Giuseppe Compagnoni, primo costituzionalista d’Europa, cit., p. 59.
[xxxi] Ivi, p. 60.
[xxxii] A. Zanfarino, cit., p. 89.
[xxxiii] G. Compagnoni, Elementi, cit., p. 123.
[xxxiv] Ivi, p. 239.
[xxxv] Ivi, p. 246.
[xxxvi] M. Ragazzini, Gli ideali di libertà di Melchiorre Gioia, in Libro Aperto, 81 (2015), Ravenna, pp. 77-83.
[xxxvii] Cfr. L. Mannori, Giuseppe Compagnoni, costituzionalista rousseauviano, in Quaderni fiorentini, 15 (1986), Milano, p. 624.
[xxxviii] U. Staico, cit., p. 306.