IL GIOVANE DANTON, BOHÉMIEN E RIVOLUZIONARIO

di Giancarlo Ferraris -

Personaggio irruento e sbrigativo, la sua formazione giovanile è ispirata tuttavia a principi squisitamente illuministici: cambiare la società senza fare piazza pulita del passato, rispettando la natura umana e soprattutto la libertà di coscienza.

 

Un ragazzo turbolento

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Danton

Arcis-sur-Aube, nella seconda metà del XVIII secolo, era un’anonima cittadina della provincia del Nord della Francia con strade non selciate, case di legno, un calzificio basato per lo più sul lavoro a domicilio come unica attività economica ed una popolazione di poco più di mille abitanti. L’unica nota di colore di questa località, lontana dalle principali vie di comunicazione ed immersa nella solitudine della Champagne-Ardenne, era il fiume Aube, le cui acque alimentavano il mulino di un vicino castello e sulle cui sponde, unite da un rudimentale ponte di legno, crescevano boschi, boscaglie e prati dove solitamente pascolavano grosse mucche nere. In questo luogo agreste così dimesso, il 26 ottobre 1759 nasceva Georges Jacques Danton, uno dei protagonisti principali, insieme a Robespierre, Marat e il re Luigi XVI, della Rivoluzione francese.
Il padre di Georges Jacques si chiamava Jacques Danton (1722 – 1762) ed era figlio di un agiato agricoltore di Plancy che si era successivamente trasferito ad Arcis-sur-Aube e che era riuscito a garantire ai propri figli una buona istruzione. Uno di essi, appunto Jacques, studiò legge e divenne un procuratore di successo presso il Tribunale Distrettuale di Arcis-sur-Aube. Nel 1746 Jacques si sposò con Marie-Jeanne Bestelot: dalla coppia nacquero cinque figli, che morirono però tutti prematuramente. Rimasto vedovo, nel 1754 si risposò con Jeanne-Madeline Camut, figlia di un carpentiere ed appaltatore di lavori pubblici nel settore della costruzione dei ponti reali, dalla quale ebbe sette figli, di cui Georges Jacques fu il quinto. Nel 1763 Jacques morì e la moglie si risposò con Jean Recordain, un filatore di seta e commerciante di granaglie, con il quale ebbe altri quattro figli.
Georges Jacques, quindi, nacque e crebbe in una famiglia della piccola-media borghesia movimentata da matrimoni, nascite e morti che, tuttavia, non gli lasciarono nessun segno, contrariamente a quanto accadde al suo quasi contemporaneo Maximilien Robespierre le cui vicissitudini familiari lo turbarono profondamente. L’ambiente borghese garantì poi al giovane Georges Jacques, che fra l’altro mantenne sempre buoni rapporti con tutti i suoi numerosi parenti, un’istruzione adeguata, cosa che insieme alla sua età, all’origine provinciale e all’estrazione sociale piccolo-medio borghese lo accomunò alla maggior parte dei futuri rivoluzionari.
Sull’infanzia di Georges Jacques non si sa molto. Le uniche testimonianze sono i ricordi del suo compagno di scuola Béon e le notizie raccolte di seconda mano da un certo Roussellin de Saint-Albin, che egli incontrò da adulto e che fu un suo ammiratore.
Entrambe presentano Georges Jacques come un ragazzo vivace, robusto ed estroverso, che non amava molto la scuola preferendo ad essa le scorribande nelle campagne – pare che contasse solo le botte che distribuiva ai coetanei e non quelle, presumibilmente molte di più, che prendeva! – e le impetuose nuotate nell’Aube; un ragazzo che, soprattutto, non temeva affatto gli incontri-scontri con la fauna locale: si dice che fosse stato incornato da un toro geloso mentre era intento a succhiare il latte dalla mammella di una vacca, cosa che gli aveva lasciato una vistosa cicatrice sfigurandogli la bocca per sempre; si dice anche che in un’altra occasione ebbe il naso schiacciato dal colpo di zoccolo sferratogli sempre da un toro al quale si era avvicinato in cerca di vendetta dopo l’episodio precedente; e si narra che, un’altra volta ancora, venne travolto da un branco di maiali che egli aveva provocato con una frusta. Accanto a questi episodi bucolici, i quali gli lasciarono una faccia dalle fattezze non proprio classiche ed una comprensibile fiducia nella propria invulnerabilità, si aggiunsero gli effetti, frequenti per l’epoca, del vaiolo che gli deturpò in parte il volto. Questi tratti così peculiari del suo aspetto, insieme all’espressione degli occhi, alla voce tonante, agli ampi gesti delle braccia, ai suoi slanci e ai suoi modi ora brutali ora affabili, resero quanto mai affascinante e al tempo stesso inquietante la sua eloquenza durante gli anni della Rivoluzione.

La formazione

Encyclopedie_de_D'Alembert_et_Diderot_-_Premiere_Page_-_ENC_1-NA5Alla scuola elementare Georges Jacques imparò a leggere, scrivere e far di conto, ma si comportò così male tanto da essere ripetutamente picchiato dall’insegnante. A undici anni i genitori decisero di metterlo in un seminario, dove resistette faticosamente per un paio di anni, poi, nel 1773, lo iscrissero al Collegium Trecense di Troyes diretto dai padri oratoriani, per attendere agli studi superiori. Troyes era una città essenzialmente borghese, dedita alla produzione e soprattutto al commercio di stoffe e di panni, con una popolazione di almeno trentamila abitanti e divisa nettamente da un affluente della Senna in due parti: il quartiere religioso, che aveva il suo centro nella cattedrale gotica, ed era pieno di chiese, conventi e monasteri; il quartiere borghese, che aveva invece il suo fulcro nel municipio, ed era ricco di piccole manifatture e di abitazioni signorili oltre ad essere percorso da numerose strade.
Il Collegium Trecense a cui Georges Jacques era stato iscritto dai genitori, era una scuola particolare, molto democratica per l’epoca, cosa che non poteva sicuramente dispiacere al nostro Georges Jacques, e nella quale cultura ecclesiastica e cultura laica convivevano. Le attività dei padri della Congregazione dell’Oratorio, da quella religiosa a quella educativa, erano infatti regolate da uno statuto che tutelava i diritti di tutti, che obbligava i superiori a consultarsi con gli inferiori e che imponeva alle singole autorità di deporre il proprio potere davanti ad un potere superiore, quello rappresentato dal Parlamento della Congregazione stessa, la quale, in passato, non era rimasta affatto insensibile di fronte alle istanze innovative del razionalismo cartesiano e del movimento giansenista.
Il programma formativo degli oratoriani, accanto all’insegnamento del latino e del greco, riservava un certo spazio anche a quello delle lingue moderne, della storia e delle scienze, sicuramente molto più ampio rispetto a quanto accadeva nelle altre scuole francesi, dimostrando con ciò una notevole apertura, se non vera e propria adesione, al nuovo sapere, spesso considerato eretico, dell’epoca. Se i loro allievi, da un lato, si nutrivano di classicismo, dall’altro lato approfondivano la conoscenza della lingua nazionale e anche delle lingue straniere, della storia moderna e non solo greco-romana, della matematica, della fisica sperimentale, della meccanica, della cosmografia nonché dell’anatomia. Le stesse rappresentazioni teatrali, rigorosamente in latino, che avvenivano alla fine di ogni anno scolastico, proprio in virtù di questa apertura, trattavano frequentemente soggetti non sempre graditi alle autorità sia laiche che ecclesiastiche. Per il resto nel Collegium vigevano le stesse regole degli altri istituti educativi gestiti da religiosi, dalla levata alle cinque e mezzo della mattina alla ritirata alle otto e mezzo della sera, dal rito della messa la domenica e nelle altre festività di precetto alla comunione mensile: regole, pertanto, a cui Georges Jacques evitò di sottoporsi poiché i genitori, conoscendone la naturale esuberanza, fecero in modo che egli venisse ospitato per il periodo degli studi presso una pensione del luogo.
Nel 1775 approfittando proprio della libertà di cui godeva – l’episodio è relativamente vero – Georges Jacques invece di andare a scuola si recò a Reims per assistere all’incoronazione del re Luigi XVI il quale, al suo ritorno a Parigi insieme alla regina Maria Antonietta, trovò presso il prestigioso Collegio Luigi il Grande un allievo di nome Maximilien Robespierre che gli lesse un discorso in versi di benvenuto. I padri oratoriani chiusero un occhio sulla scappata del loro allievo, ma, ovviamente, non gli diedero nessun premio per il suo successivo resoconto dell’incoronazione.
Georges Jacques aveva di certo una buona inclinazione per le lingue moderne, la storia e le scienze e di certo serbò nel suo cuore e nella sua mente un ricordo gradevole del Collegium, tanto che nel 1793, in piena Rivoluzione, quando la Convenzione Nazionale procedette alla soppressione degli ordini religiosi, egli si oppose al provvedimento amnistiando, sia pure solo formalmente, i suoi vecchi insegnanti. Sicuramente non fu un allievo brillante, benché il suo profitto fosse in ogni caso buono: allo scritto faceva una certa fatica a causa di un problema di dislessia mentre all’orale era indubbiamente migliore, tanto da ottenere un premio al termine del secondo anno, anche se risultò essere ultimo dei dodici inter bonos nella classe di retorica.
Nella formazione di Georges Jacques oltre alla scuola contarono, in modo indubbiamente maggiore, le intense e frequenti letture – Rabelais, Montaigne, Molière, Dante, Shakespeare – che egli fece di nascosto negli anni di permanenza al Collegium Trecense di Troyes durante i quali ebbe modo anche di imparare l’italiano e l’inglese. Fu, insomma, un autodidatta, spesso incline ad ostentare il suo disprezzo per la cultura libresca, e durante la Rivoluzione non si considerò mai un moderno romano: i suoi discorsi, infatti, furono tutti piuttosto rudi e coincisi, ben lontani dai modelli e dalle metafore del parlar forbito tipici dell’oratoria antica e i testi classici di cui disponeva erano tutti traduzioni dal latino e dal greco in francese, inglese ed italiano. Georges Jacques, secondo Roussellin de Saint-Albin, conosceva bene Montesquieu, Voltaire, Buffon, Denis Diderot, Jean Jacques Rousseau e Cesare Beccaria; la sua biblioteca comprendeva pochi libri di diritto, ma un’ampia serie di opere dell’illuminismo: novantuno volumi di Voltaire, cinquantotto di Buffon, sedici di Rousseau, la maggior parte, cosa particolarmente significativa, dellEncyclopédie, diverse opere di Mably e di Helvetius oltre ad alcuni libri in italiano e diversi volumi in inglese, tra i quali opere di Alexander Pope, Adam Smith, William Blackstone ed anche William Shakespeare, che in quel tempo aveva ben pochi lettori in Francia. E proprio alla presenza di buona parte dell’Encyclopédie si deve, forse, quella fondamentale moderazione che contraddistinse, nonostante la violenza dell’evento, l’agire politico di Georges Jacques Danton negli anni della Rivoluzione durante i quali si crearono due poli in fortissima contrapposizione tra di loro: il binomio Encyclopédie-Danton, secondo cui si poteva cambiare la società francese e, probabilmente, il mondo intero senza fare piazza pulita del passato, rispettando, pur con tutti i suoi limiti, la natura umana e soprattutto la libertà di coscienza; il binomio Rousseau-Robespierre su posizioni diametralmente opposte.

La vita a Parigi

Gabrielle Charpentier, moglie di Danton

Gabrielle Charpentier, moglie di Danton

Nel 1779 Georges Jacques ultimò il ciclo di studi superiori ottenendo la valutazione di insignis. I familiari si chiesero, allora, quale carriera avrebbe potuto intraprendere il loro esuberante figlio. Inizialmente pensarono a quella ecclesiastica, idea quasi subito abbandonata considerandone il carattere vivacissimo, optando poi per quella giuridica, scelta condivisa pienamente dal diretto interessato. Nella primavera del 1780 Georges Jacques partì per Parigi dopo aver ceduto al suo patrigno, come forma di rimborso per averlo mantenuto agli studi, tutti i suoi diritti sull’eredità del padre defunto. Nella capitale francese Georges Jacques entrò a far parte della Basoche, una corporazione di studenti di legge che conducevano complessivamente una vita da bohémien, dividendo le loro giornate tra letture di codici, pratica legale e divertimenti di vario genere, dalla scherma alle nuotate nella Senna, dalle allegre bevute nelle taverne che si protraevano fino a tarda notte alle immancabili frequentazioni femminili di dubbia moralità Sembra che un giorno, durante una nuotata, avesse detto agli amici guardando la Bastiglia: “Quando la vedremo abbattuta? Quel giorno le darò una fiera picconata!”
Georges Jacques trovò inizialmente lavoro come copista presso lo studio dell’avvocato Jean-Baptiste François Vinot: lavoro che durò pochissimo considerando la sua pessima calligrafia, subito rimproveratagli dal Vinot al quale egli, però, prontamente rispose: “Maître! Non sono venuto qui per fare il copista, ma per diventare avvocato!”. L’audacia, mista all’indubbia intelligenza del giovane provinciale, piacquero al Vinot che lo inserì nell’organico del suo studio, fornendogli anche vitto e alloggio, e lo inviò direttamente nei tribunali ad assistere ai processi civili di cui si occupava lo studio medesimo. Si trattava, per lo più, di casi di malversazione e contenziosi che riguardavano membri della nobiltà, assistiti da famosi avvocati parigini dalle cui arringhe il giovane Georges Jacques imparò moltissimo. E nei momenti di riposo non si stancava mai di leggere le opere dei pensatori del suo tempo. Non era però ancora un avvocato, mancandogli il titolo di studio ufficiale, cosa a cui provvide subito iscrivendosi all’Università di Reims che rilasciava, sembra anche a pagamento, diplomi in pochi mesi. Dall’aprile al settembre 1784 frequentò la Facoltà di Diritto, ottenendo nello stesso mese di settembre la Licensié en Droit necessaria per esercitare la professione forense in piena autonomia ed essere, contemporaneamente, titolare di uno studio legale proprio.
Alla fine dello stesso 1784 Georges Jacques era uno dei seicento giovani avvocati che cercavano di affermarsi nella capitale francese. Aprì uno studio in Rue des Mauvaises-Paroles, in un quartiere popolare, e nonostante avesse iniziato bene la professione difendendo con successo un povero pastore in una causa contro il signore del villaggio, non riuscì a conquistare l’indipendenza economica a causa della mancanza di clienti, situazione che lo costrinse a chiedere aiuti finanziari alla famiglia.
Le sue condizioni erano sostanzialmente uguali a quelle di tanti altri giovani della sua epoca, che avevano tutti in comune una buona educazione, la laurea in legge, l’andare a caccia di fortuna nella capitale Parigi ed una vita oscura e da bohémien con poco denaro cosa che, tuttavia, non impediva loro di rinunciare totalmente a baccanali e ad altri chiassosi divertimenti. Molti di loro, trovando la strada sbarrata, rinunciavano alla carriera forense e per campare, pur di non fare ritorno nelle sonnolenti cittadine di provincia da cui provenivano, scrivevano da negri per borghesi e nobili oppure si dedicavano a generi letterari di infimo ordine. Il giovane di Arcis-sur-Aube, nonostante fosse un avido lettore, non aveva nessuna vocazione letteraria e preferì darsi da fare per trovare uno spazio adeguato, cosa che poi effettivamente accadde, nella società e nell’avvocatura parigina. In quest’ottica si colloca, tra le altre cose, la sua iniziazione alla Massoneria nella Loggia Les Neufs Soeurs all’obbedienza del Grande Oriente di Francia a cui erano affiliati Condorcet e Benjamin Franklin e della quale, una decina di anni prima, era stato membro anche Voltaire.
Negli anni del soggiorno nella capitale Georges Jacques diventò un disincantato osservatore della società francese del suo tempo, aiutato in questo non solo dal suo stesso carattere, che lo aveva sempre indotto a non accettare nulla come assoluto o immutabile, ma anche dalle sue origini provinciali e campagnole, che lo avevano dotato di una capacità di comprensione e di immaginazione del futuro quanto mai acute e penetranti. Si rese subito conto, in un conformismo politico, sociale e culturale pressoché assoluto nonostante il tambureggiare dei philosophes, delle condizioni disastrose, inaccettabili e assolutamente non più procrastinabili in cui si trovava la Francia: il popolo delle campagne e delle città oppresso dalla miseria e da un sistema fiscale profondamente iniquo; la borghesia, motore dell’economia e del progresso, in continua ascesa, ma senza alcun peso politico; la nobiltà e il clero smisuratamente ricchi, pieni di privilegi di ogni sorta e detentori, insieme alla monarchia, del potere. Abbiamo detto che Georges Jacques era un divoratore di libri e che tra i suoi numerosi volumi possedeva la maggior parte dellEncyclopédie, di cui si nutrì abbondantemente trovando in essa conferma della necessità assoluta di un cambiamento dello stato di cose vigente in Francia e dalla quale mutuò alcuni concetti che furono costantemente presenti nel suo essere, a un tempo, uomo, avvocato e poi anche rivoluzionario: quello di ragione, intesa come strumento di critica e di azione per verificare e giudicare tutto il sapere ed ogni verità imposta dalla tradizione o dall’autorità; quello di libertà, intesa non come libertà dei gruppi associati, ma come libertà dell’individuo in quanto tale, cioè un diritto assoluto e naturale, prima ancora che un diritto storicamente acquisito; quello di progresso, inteso come miglioramento dell’umanità e della società raggiunto anche attraverso il superamento delle disuguaglianze e la formulazione di una nuova giustizia.
Un’importante occasione formativa per Georges Jacques, accanto alla lettura degli autori più innovativi dell’epoca, fu la frequentazione dei cafés di cui Parigi abbondava e nei quali il pubblico, costituito quasi esclusivamente da borghesi dediti alle professioni legali, beveva, giocava, faceva conversazione e commentava, di solito animatamente, i fatti del giorno. In uno di questi locali, il Cafè Parnasse situato in Place de l’École conobbe Antoinette-Gabrielle Charpentier, la figlia del proprietario Jérôme-François Charpentier, un borghese benestante che oltre a gestire il Cafè Parnasse ricopriva anche la lucrosa carica di controllore delle imposte, intratteneva relazioni con importanti personalità parigine e conosceva alcuni esponenti della cultura del tempo, come lo scrittore Jean-Pierre Louis de Fontanes. Uno dei suoi figli, Jérôme, sposò Marie-Costance Blondelu, una brillante pittrice allieva di Jacques-Louis David, che ritrasse diversi componenti delle famiglie Charpentier e Danton, tra cui anche lo stesso Georges Jacques in un celebre dipinto attualmente conservato presso il Museo Carnavalet di Parigi.
Nella Francia del XVIII secolo il matrimonio era uno dei modi migliori per sistemarsi, ma l’operazione, se così la si può definire, non era affatto agevole dal momento che essa, perlomeno dalla parte maschile, presupponeva o nobiltà di nascita o influenza sociale o il possesso di una carica pubblica da proporre alla parte femminile, per la quale la cosa era, comunque, più agevole, essendo limitata al possesso di una dote più o meno sostanziosa.
Jérôme-François Charpentier non aveva pregiudizi nei confronti del corteggiatore di sua figlia anzi si preoccupò che il suo futuro genero non andasse alla ricerca di cause da discutere, ma trovasse una sistemazione stabile attraverso l’acquisto – la prassi era perfettamente legale nella Francia dell’ancien régime – di una carica pubblica, utilizzando il denaro della dote di Antoinette-Gabrielle e le poche risorse finanziarie di cui lo stesso Georges Jacques, pur magari chiedendole ai parenti di Arcis-sur-Aube, aveva comunque disponibilità. Fu così che il 29 marzo 1787 Georges Jacques comperò la carica di avvocato del Consiglio del Re dall’avvocato Huet de Paisy pagandola settantottomila lire, somma ottenuta mettendo insieme parte del denaro della dote di Antoinette-Gabrielle, i soldi chiesti in prestito ai parenti e quelli datagli da mademoiselle Duhauttoir originaria di Troyes e amante dello stesso avvocato Huet. Nel giugno Georges Jacques e Antoinette-Gabrielle si sposarono nella Chiesa di Saint-Germain-l’Auxerrois. Fu, da quello che sappiamo, un matrimonio d’amore allietato dalla nascita di tre figli: François (1788-1789), Antoine (1790-1858) e François Georges (1792-1848).
Gli avvocati del Consiglio del Re erano una corporazione di professionisti della legge che presentavano le cause direttamente al sovrano, oltre a consigliarlo nelle sue decisioni, oppure ad organismi delegati. L’appartenenza ad esso, che presupponeva anche una buona conoscenza dei meccanismi che regolavano l’amministrazione del Regno di Francia, era di per sé un prestigio considerando gli stretti rapporti che lo legavano alla Corte di Versailles. I colleghi di Georges Jacques rifiutavano quasi tutti le nuove idee che si andavano sempre più diffondendo e che lo stesso Georges Jacques sentiva invece come proprie. Il Consiglio decise di metterlo alla prova, chiedendogli di tenere un discorso in latino su un tema ben preciso: La situazione politica e morale della Francia nei sui rapporti con la giustizia. Il giovane provinciale, consapevole che la richiesta celava un inganno, si mantenne cauto, impressionando i colleghi per la sua padronanza della lingua latina, ma segnalando nello stesso tempo la necessità di tassare la nobiltà e il clero per far fronte alla gravissima situazione finanziaria e contenere il malcontento popolare. Il discorso rivela, oltre all’innata tempra rivoluzionaria di Georges Jacques, anche il fatto che egli avesse compreso il bisogno, per la salvezza della Francia, di ministri riformatori capaci di accostarsi al popolo e di aggirare, al tempo stesso, l’opposizione della nobiltà e del clero.
Dopo aver aperto un nuovo studio legale nella Cour du Commerce-Saint-André nel quartiere parigino de la Monnaie, Georges Jacques, in considerazione dell’estrazione aristocratica della sua clientela, iniziò a firmarsi D’Anton, come se fosse anch’egli un nobile, mantenendo questo vezzo fino a quando la Rivoluzione non iniziò a radicalizzarsi fortemente. In coincidenza con l’apertura del nuovo studio Georges Jacques, insieme alla novella sposa Antoinette-Gabrielle, andò ad abitare in Rue des Cordelieres affittando, nonostante la non leggera situazione debitoria, un appartamento composto da sala da pranzo, due salotti e tre camere da letto, convinto che la sua nuova situazione professionale richiedesse una dimora adeguata.
Anche “sistemato” Georges Jacques conservò sempre il suo carattere innato intriso di gaudente ribellione e di profondo senso di libertà, di ambizione e di grandiosità, nel suo sentire e nel suo agire sottilmente bohémien, pur nel significato aulico e non banale del termine. Tra il 1787 e il 1790 il giovane avvocato di Arcis-sur-Aube, abile anche nel coltivare relazioni all’interno del Consiglio del Re, discusse almeno ventidue cause, in gran parte con successo grazie alla sua eloquenza dura, ma espressiva. Alcune di esse, considerando il suo futuro da rivoluzionario, furono singolari: nel 1787, infatti, assunse la difesa di due clienti che volevano dimostrare la loro origine nobiliare; nel 1789 difese prima un orefice al quale era stata negata l’ammissione alla corporazione perché non aveva compiuto l’apprendistato, poi un agricoltore che reclamava una eredità; nel 1790 un cliente che aveva recintato un terreno demaniale. Di certo Georges Jacques a Parigi ebbe maggiore successo di altri giovani di provincia: basti pensare che nel suo studio lavoravano, come sottoposti, l’avvocato nonché amico d’infanzia Jules François Paré, futuro ministro degli interni e François Louis Deforgues, futuro diplomatico mentre un altro avvocato, Jacques Nicolas Billaud-Varenne, futuro membro del Comitato di Salute Pubblica, lo aiutava occasionalmente; Billaud-Varenne fu poi uno dei suoi avversari politici che nell’aprile del 1794 lo mandarono al patibolo.

I prodromi della Rivoluzione

Camille Desmoulins arringa la folla davanti al Palais Royal, 1789

Camille Desmoulins arringa la folla davanti al Palais Royal, 1789

Al Cafè Parnasse, il locale dove aveva conosciuto la moglie, Georges Jacques strinse amicizia con molti giovani che divennero famosi durante la Rivoluzione. Insieme a due di loro egli condivise le sue scelte politiche ed anche la sua tragica fine: Camille Desmoulins, avvocato e giornalista, e Philippe François Fabre d’Églantine, attore e drammaturgo. Georges Jacques era perfettamente solidale con le idee rivoluzionarie dei suoi amici ed avvertiva come un paradosso la sua professione di avvocato al servizio della monarchia, benché tale professione gli fosse assolutamente necessaria per mantenere la famiglia e onorare i debiti contratti. Iniziò, comunque, a frequentare ambienti rivoluzionari, benché la rivoluzione non fosse ancora scoppiata, come il Palais-Royal, che ospitava al suo interno locali, negozi e giardini al fine di attirare la borghesia parigina e guadagnarla alla causa rivoluzionaria, e soprattutto l’ex convento-refettorio dei frati francescani conventuali detti cordiglieri: quest’ultimo era uno dei sessanta distretti elettorali in cui era stata suddivisa Parigi e soprattutto uno dei luoghi dove si incontravano borghesi e popolani fermamente decisi a lottare per conquistare la libertà e porre fine all’assolutismo monarchico. Nei mesi precedenti la presa della Bastiglia (14 luglio 1789) una grande folla di parigini si recava ogni giorno al Palais-Royal, dove chiunque poteva salire su un tavolo e tenere un discorso pubblico. Georges Jacques comprese subito che aveva la possibilità di sfruttare appieno il suo fisico caratteristico ed imponente, la sua voce profonda e stentorea, il suo stesso spirito da bohémien che lo avvicinava, almeno in parte, alle condizioni della gente a cui si rivolgeva: i suoi frequenti sermoni suscitarono, infatti, sempre applausi scroscianti. Alla vigilia dell’evento che doveva trasformare la Francia, Georges Jacques fu però colpito da un lutto dolorosissimo: la morte del figlio François. Il piccolo fu seppellito ad Arcis-sur-Aube, dove lo stesso Georges Jacques si trattenne per alcune settimane. Ritornò poi a Parigi, per buttarsi a capofitto nella Rivoluzione durante la quale, nonostante la sua grande albagia e la sua immensa venalità, incarnò l’amore, la generosità, la moderazione e la tolleranza, soprattutto negli anni del Terrore che. a differenza del suo quasi coetaneo Robespierre. egli considerò sempre e soltanto come un’emergenza provvisoria. E il suo carattere ardente e spavaldo emerse anche il 5 aprile 1794 sul palco della ghigliottina, quando rivolgendosi al boia disse: “Non dimenticare di mostrare la mia testa al popolo: ne vale la pena”.

 

Per saperne di più

O. Blanc, Portraits de femmes, Paris, 2006
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
N. Hampson, Danton, il tribuno del popolo, trad. it., Milano, 1983
La Reveu des Deux Mondes, 1° settembre 1962
D. Lawday, Danton, Paris, 2012
L. Madelin, Danton, trad. it., Milano, 1934
A. Mathiez, Autour de Danton, Paris, 1926
J. Michelet, Histoire de la Révolution française, Paris, 1979, vol. I
J. F. E. Robinet, Danton, mémorie sur sa vie privée, Paris, 1865
A. Roussellin de Saint-Albin, Fragments Historiques, Paris, 1873
A. Soboul, “Danton” in I Protagonisti della Storia Universale. La Rivoluzione francese e il periodo napoleonico, trad. it., Milano, 1968, vol. VIII
G. Walter, “Table Analytique – Personnages” in J. Michelet, Histoire de la Révolution française, Paris, 1952, vol. II
H. Wendel, Danton, trad. it. Milano, 1931
C. Wolikow, “Danton Georges Jacques” in Dictionnaire Historique de la Révolution française, Paris, 2005, vol. II