I presunti silenzi di Pio XII

di Mattia Ferrari -

Una vibrata denuncia papale avrebbe potuto fermare o quantomeno ostacolare la soluzione finale? Forse Pio XII non fu esente da colpe o errori, ma non si può fare a meno di notare che la controversia sui “silenzi” ha assunto toni estranei a un sereno dibattito storico.

Il compito dello storico non è quello di esprimere giudizi morali, ma piuttosto quello di capire le motivazioni e le cause che stanno dietro agli avvenimenti del passato. Questa regola, teoricamente esatta, nella pratica viene tuttavia spesso infranta, soprattutto quando si parla di avvenimenti storici ancora sensibili. È il caso, ad esempio, del cosiddetto silenzio di Pio XII di fronte all’Olocausto che ha diviso la storiografia tra gli studiosi che ritengono che una pubblica denuncia avrebbe avuto conseguenze negative o positive per il salvataggio degli ebrei. Il dibattito è ancora ben lontano dal concludersi, e per poter esprimere un corretto giudizio sulle azioni del pontefice è necessario esaminare le motivazioni che lo hanno portato ad agire in questo modo di fronte ai massacri effettuati dagli uomini di Hitler.
La storica Susan Zuccotti (L’Olocausto in Italia e Il Vaticano e l’Olocausto in Italia) ha provato a fornire diverse spiegazioni per comprendere l’atteggiamento di Pio XII. Nonostante sia critica verso le scelte del papa1, la studiosa ammette che le accuse di non aver denunciato l’Olocausto per via del suo antisemitismo o per timore personale sono prive di fondamento. Sostiene inoltre che la paura del comunismo non è sufficiente a spiegare il suo silenzio di fronte ai crimini nazisti2. Per la Zuccotti, tra le cause che portarono il papa a non condannare pubblicamente le azioni antisemite dei nazisti vi fu il timore che una condanna pubblica potesse indurre i tedeschi ad occupare il Vaticano e ad invadere le chiese e i monasteri mettendo così in pericolo la vita dei rifugiati che avevano trovato nascondiglio all’interno dei luoghi di culto (nella sola Roma più di 4000 ebrei trovarono rifugio in conventi e monasteri, e oltre 400 all’interno delle enclavi del Vaticano). In aggiunta, Pio XII temeva che una condanna dell’Olocausto potesse provocare una rappresaglia nei confronti dei cattolici d’Europa e rendere ancora più terrificante la persecuzione degli ebrei. Infine, Pacelli credeva che la maggior parte dei cattolici tedeschi avrebbe respinto la sua denuncia della Shoah e che un interdetto contro la Germania nazista avrebbe portato a numerose defezioni dei fedeli in seno alla Chiesa3.

Queste sono le considerazioni per cui Pio XII decise di astenersi dal voler pronunciare una condanna pubblica verso lo sterminio. Altro discorso riguarda invece gli effetti di un’aperta denuncia, la cui efficacia è difficile da stabilire. Quest’ultima discussione rimarrà probabilmente irrisolta dagli storici perché, oltre ad essere una questione puramente ipotetica, vi sono episodi che sembrano dare ragione sia a chi sostiene che una denuncia papale avrebbe potuto fermare o quantomeno ostacolare la “soluzione finale”, sia a chi invece ritiene che una condanna pubblica non avrebbe avuto alcun effetto o avrebbe persino rischiato di aumentare il numero delle persone uccise dalla ferocia nazista4. Si può discutere se tale azione sarebbe stata la più adatta per fermare il genocidio, ma si dovrebbero evitare i toni di certa storiografia che indicherebbe il pontefice come corresponsabile per l’Olocausto proprio per non aver denunciato ad alta voce la Shoah; specie se tra le cause di questo silenzio vi era appunto l’intenzione di voler evitare il “male peggiore”(eventualità tutt’altro che impossibile)5. Con ciò non si vuol dire che Pio XII non fu esente da colpe o errori, ma non si può fare a meno di notare che la controversia sui “silenzi” di Pacelli sia spesso sconfinata dalla polemica storica a quella politica, causando la mancanza di un sereno dibattito e quindi di una corretta analisi per la ricostruzione di quel periodo. Non si può infine non osservare che una persona che durante il secondo conflitto mondale avesse voluto opporsi a Hitler e si fosse adoperata per salvare gli ebrei (cose che il papa fece)7, sarebbe stata generalmente lodata8. Il fatto invece che nel caso di Pacelli siano sorte delle feroci polemiche, che hanno persino portato a ipotizzare un suo presunto filonazismo o antisemitismo, sta ad indicare un atteggiamento preconcetto  o comunque animato da una pregiudiziale anticlericale.

 

Note

1    La Zuccotti nega che vi sia stata una direttiva del pontefice riguardante il salvataggio e nascondiglio degli ebrei in Italia appellandosi al mancato ritrovamento di una documentazione scritta, sebbene ammetta che il papa fosse a conoscenza e tollerasse o istigasse le attività del clero a favore degli israeliti. Altri storici invece non concordano con la sua opinione rifacendosi anche alle diverse testimonianze di prelati che parteciparono al salvataggio degli ebrei e che dichiararono di aver agito sotto le disposizioni di Pio XII.
2    Un luogo comune, portato avanti purtroppo anche da alcuni storici, afferma invece che la Santa Sede vedesse nel nazismo un baluardo contro l’avanzata del bolscevismo. Questa teoria ignora che il regime nazista attuò contro la Chiesa Cattolica una persecuzione che preoccupava il  pontefice non meno della repressione antireligiosa attuata dal regime di Stalin: «La vittoria del nazionalsocialismo rappresenterebbe il più grande pericolo di persecuzione per i cristiani» dichiarò Pio XII al ministro degli esteri spagnolo, Serrano Suner, nel 1942. Del resto, tale ipotesi non riesce a spiegare il motivo per cui il papa rifiutò di benedire la “Crociata antibolscevica” dei tedeschi o il fatto che Pacelli si mostrò favorevole all’invio degli aiuti americani a favore dei sovietici. Inoltre, non spiega il “silenzio” del papa nei primi anni di guerra quando i comunisti e i nazisti formavano un’alleanza stipulata con il patto Molotov-Ribbentrop. In definita, per la Chiesa la scelta tra il nazismo e il comunismo rappresentava una decisione  non tanto dissimile a quella di un uomo che doveva scegliere tra finire all’interno di una gabbia con dei leoni o in una vasca con degli squali.
3    Confronta Susan Zuccotti, L’Olocausto in Italia, Milano 2000 pagine 151-152. Alle seguente motivazioni dovrebbe essere aggiunta anche l’esigenza della neutralità: per poter svolgere il ruolo di mediatore nelle eventuali trattative di pace e per prestare soccorso alle popolazioni vittime del conflitto, la Santa Sede era convinta della necessità di rimanere sopra le parti ed evitare quindi denunce dirette che avrebbero potuto essere utilizzate da una delle parti in lotta a scopi di propaganda. Non è forse un caso che durante la guerra sia gli Alleati che le forze dell’Asse criticarono il pontefice per non aver condannato i crimini dei loro avversari.
4    Ad esempio, la sospensione del programma di eutanasia nazista decisa in seguito al clamore suscitato dalla denuncia fatta nel 1941 dal vescovo di Münster, Clement August Von Galen, sembra indicare che un pubblico pronunciamento avrebbe avuto qualche efficacia nel fermare le atrocità naziste. Tuttavia, il fatto che dopo la protesta pubblica per la deportazioni degli ebrei fatta dai vescovi olandesi nel 1942, i nazisti arrestarono gli israeliti convertiti al cattolicesimo pare invece dare ragione a chi afferma che una condanna aperta avrebbe rischiato di aumentare il numero dei morti provocati dal Terzo Reich.
5    Come aveva già denunciato il giurista ebreo Robert M. Kempner, assistente del pubblico ministero americano durante i processi di Norimberga, in seguito all’uscita del Vicario di Hocchuth, questo metodo rischia di ridurre la colpa di coloro che furono direttamente responsabili del genocidio perché si lascerebbe intendere che uno sterminio di simili proporzioni fu reso possibile dal fatto che il pontefice non avesse effettuato una protesta energica (Kempner fece notare che negli archivi del Ministero degli Esteri erano contenute una serie di proteste del Vaticano che il regime nazista non si era neppure degnato di considerare).
7    Anche gli storici critici sulle azioni di Pio XII sono a conoscenza del fatto che il pontefice svolse un ruolo di mediazione tra la Resistenza tedesca e gli inglesi riguardo ad un complotto avente l’obiettivo di spodestare Hitler. Allo stesso modo, praticamente tutti gli studiosi riconoscono che il papa aiutò degli ebrei: la loro critica non riguarda il fatto di non aver fatto niente, ma di non aver fatto di più. Critica che ha investito, seppur in tono minore, anche gli Alleati, la Croce Rossa e paesi neutrali come la Svizzera.
8    Non che queste, a dir la verità, siano mancate: noti sono stati gli attestati di riconoscenza rivolti al pontefice da parte di importanti personalità ebraiche durante e dopo il conflitto.

Per saperne di più
Susan Zuccotti, Il Vaticano e l’Olocausto in Italia, Milano, 2001
Susan Zuccotti, L’Olocausto in Italia, Milano, 2000
Daniel Goldhagen, Una questione morale, La chiesa cattolica e l’Olocausto, Milano, 2003
Mark Riebling, Le spie del Vaticano. La guerra segreta di Pio XII contro Hitler, Milano, 2016