I LONGOBARDI, UN GRANDE CAPITOLO DELLA STORIA D’ITALIA E D’EUROPA

di Goffredo Adinolfi -

Quando Alboino, il re sceso dal nord, conquista la pianura padana nel 568, il mondo post-romano è ancora confuso e i suoi equilibri tutt’altro che definiti.

(Da Storia in Network n. 75, gennaio 2003) La storia del popolo Longobardo si pone in un crocevia fondamentale per la storia d’Europa e d’Italia. Quando Alboino, re dei longobardi, conquista la pianura padana a partire dal 568 il mondo post-romano è ancora profondamente confuso e i suoi equilibri erano tutt’altro che definiti. Le invasioni delle popolazioni “barbare” arrivate dall’oltre Reno avevano sì determinato la caduta dell’impero romano d’occidente ma non erano riuscite a scalfire il potere dell’Impero romano d’oriente. Bisanzio, sotto egemonia culturale greca, possedeva ancora numerosi territori in Italia e non era allora del tutto fuori luogo ritenere che potesse tornare a essere la forza egemone su tutta la penisola. La chiesa di Roma era ancora profondamente influenzata da Bisanzio e ai tempi il papa non aveva ancora costituito un dominio territoriale molto ampio.
Eppure dopo appena due secoli il quadro politico del Mediterraneo e dell’Europa saranno radicalmente differenti. I musulmani cominceranno a erodere il potere Bizantino, la chiesa, grazie all’aiuto dei franchi, si distaccherà definitivamente dall’oriente, sovrapponendosi sui suoi territori d’Italia fondando così lo Stato della chiesa che cadrà solamente nel 1870 quando le truppe sabaude conquisteranno Roma. Carlo Magno re dei franchi oltre a sconfiggere i Longobardi sconfiggerà gli Arabi nella battaglia di Poitiers arrestandone definitivamente l’avanzata. L’Europa si chiuderà fino a dopo l’anno mille in se stessa determinando così un forte arretramento culturale rispetto a civiltà molto più fiorenti come quella Araba e quella Bizantina.

Nascita del popolo Longobardo

Paolo Diacono in un manoscritto medievale.

Paolo Diacono in un manoscritto medievale.

“Allo stesso modo mosse dall’isola chiamata Scandinavia pure il popolo dei Winnili, cioè dei Longobardi, che poi regnò felicemente in Italia, e che trae origini dai popoli germanici. I popoli che la abitavano, moltiplicatisi al punto da non potere oramai più vivervi insieme, si divisero in tre parti e affidarono alla sorte la scelta di quale di loro dovesse lasciare la patria e cercare nuove sedi. Il gruppo così designato ad abbandonare la terra natale e ad andare in cerca di paesi stranieri, si sceglie due capi, Ibor e Aio, che erano fratelli, nel pieno della giovinezza e più degli altri valorosi, e si mette in cammino, dicendo addio alla propria gente e alla patria, per trovare delle terre dove potere vivere e stabilirsi. Era madre di questi capi Gambara, donna fra loro forte di ingegno e provvida nel consiglio, sulla cui saggezza essi facevano grande affidamento per le situazioni difficili”.
Così Paolo Diacono, storico Longobardo, narra la saga delle origini del suo popolo nell’VIII secolo, cioè quando l’epopea del suo popolo si era appena consumata e Carlo Magno re dei franchi aveva appena conquistato l’Italia del nord. I Winnili, originario nome dei longobardi, muovono dalla Scania intorno al I secolo A.C. Occorre però sottolineare, come sostiene lo storico Jorg Jarnut e contrariamente a quanto narrato da Diacono, come più che per ragioni demografiche le ragioni della grande migrazione sarebbero da attribuire non tanto a motivazioni demografiche, bensì per voglia di avventura e bramosia di bottini, anche se, è difficile fare supposizioni vista la difficoltà a reperire fonti certe che possano avvalorare in modo definitivo le origini del popolo dei Longobardi.
Prima tappa di questo viaggio Scoringa dove i Winnili risiedono per alcuni anni e dove vengono in conflitto con i Vandali, potenza egemone nell’Europa centro orientale. Ancora Paolo Diacono ci racconta lo svolgersi di quella cruenta battaglia:
Si mossero quindi i duchi dei Vandali, cioè Ambri e Assi, con il loro esercito e dicevano ai Winnili: “pagateci dei tributi o preparatevi alla battaglia e battetevi con noi”. Risposero allora i condottieri Winnili, Aio e Ibor, con la loro madre Gambara: “per noi è meglio prepararci alla battaglia, piuttosto che pagare dei tributi ai Vandali”. Allora i duchi dei Vandali pregarono Wotan perché concedesse loro la vittoria sui Winnili. Wotan rispose loro dicendo: “a quelli che vedrò per primi al sorgere del sole, a costoro concederò la vittoria” In quel tempo medesimo, Gambara con i suoi due figli, Aio e Ibor pregarono Frea, moglie di Wotan, perché fosse propizia ai Winnili. Allora Frea consigliò che i Winnili venissero al sorgere del sole e le loro mogli venissero con i propri mariti con i capelli sciolti attorno al volto, a somiglianza di una barba. Quando il sole nascente si levò, Frea, moglie di Wotan, girò il letto su cui giaceva suo marito e fece sí che suo marito fosse rivolto verso oriente e lo svegliò. E quello, guardando, vide i Winnili e le loro mogli con i capelli sciolti attorno al volto e disse: “Chi sono quelle lunghe barbe?” E Frea disse a Wotan: “Come hai dato loro un nome, dà loro anche la vittoria”. Ed egli diede loro la vittoria… Da quel tempo i Winnili sono chiamati Longobardi.
In pochi anni, durante la loro discesa dalla scandinavia, i Winnili cambiano religione passando dal culto dei Vani diventando adoratori del dio degli eserciti e della guerra Wotan, cambiamento che si rifletterà anche sul cambiamento del loro nome che appunto diventarà Longobardi. I romani entrano in contatto con questo popolo intorno all’anno 0 della era cristiana. L’anno 5 D.C. Tiberio si spinge dal Lippe fino all’Elba che, secondo il volere di Augusto, doveva diventare il confine dell’impero a oriente. Sconfisse i Longobardi che si videro così costretti a fuggire sulla riva destra dell’Elba.
Popolo inquieto quello dei Longobardi, cambiano costantemente le loro tradizioni lasciandosi influenzare dai popoli con cui vengono a contatto e si trasformano così da contadini a feroci combattenti. Dopo la disfatta contro i romani i Longobardi si trasferiscono verso la Boemia sottomettendovi le popolazioni e costringendole a lavorare nei campi per loro. Ma la grande svolta avviene intorno al V secolo, quando, dopo la vittoria ottenuta contro gli Eruli, i longobardi riescono a impossessarsi dei loro tesori e del loro prestigio. Gli Eruli cancellati come popolo vengono integrati grazie a un’unione matrimoniale tra Vacone, re dei Longobardi, e la figlia del re degli Eruli. In soli trent’anni Vacone riesce a fare del suo popolo i signori di un grande dominio che si estende dalla Boemia all’Ungheria costituendo, accanto a Bisanzio e al regno dei Franchi, una delle più importanti potenze europee.
Il credo in una comune ascendenza dei Longobardi è il vero elemento che tiene unita la gens longobardorum e si riflette nella saga delle origini, per i Longobardi la cosiddetta Origo gentis Longobardorum. Durante le loro migrazioni annettevano sempre al proprio esercito quello di altri popoli stanziati nei territori attraversati o schiere di guerrieri che vagavano in quelle regioni. Oltretutto a chi si fosse unito a questo esercito si apriva la possibilità di prendere parte ai suoi successi e così sono moltissimi i guerrieri che si uniscono ai Longobardi seguendone le loro migrazioni. Negli anni cinquanta del VI secolo il re Alboino guidava un esercito formato da Gepidi, Unni, Sarmati, Svevi e Romani delle province di Pannonia e Norico. Un’autentica società multietnica unita dalla tradizione e dal re dei Longobardi.
In modo particolare l’istituzione regia era davvero molto importante per un popolo costretto da continui combattimenti ad una forte coesione ed è proprio in nome del re che vengono dedicate tutte le canzoni epiche celebranti sia le vittorie sia le straordinarie conquiste dei Longobardi. Il ruolo eminente del re come guida dell’esercito determinò il fatto che il regno Longobardo, in misura maggiore di quanto forse non sia accaduto per altri popoli germanici, rimase un regno basato sull’esercito.
I re longobardi, dapprima distinti da forti caratteri sacrali, cominciano con l’ingresso nell’area danubiana a essere scelti in base alla loro idoneità al ruolo di capi di un esercito costantemente impegnato in sanguinose lotte per la sopravvivenza. Per mantenere prestigio e comando il re doveva essere, oltre che un capo politico, un eroe, personificazione dei valori e dell’etica di una società militare.
Questo è a grandi linee la struttura sociale del popolo Longobardo alla vigilia della loro conquista dell’Italia, un popolo peraltro già in parte influenzato dalla cultura romano-bizantina, con i quali avevano già partecipato ad alcune battaglie. Dai Bizantini mutuano parte dell’organizzazione relativo all’esercito, come ad esempio l’istituzione degli ufficiali, dux e comes.
Esercito e tradizione restano comunque i due elementi fondamentali nella cultura Longobarda, soprattutto perché proprio la guerra era alla base della loro economia. Attraverso l’arte funeraria dei Longobardi noi possiamo inoltre comprendere quale importanza avessero le origini de longobardi e proprio i cimiteri diventano così i monumenti caratteristici, e unico lascito archeologico giunto fino a noi, dei Longobardi in Pannonia.

La conquista d’Italia

La migrazione del popolo longobardo.

La migrazione del popolo longobardo.

Il 2 aprile 568 i Longobardi, guidati dal loro epico re Alboino, danno inizio all’esodo dalla Pannonia e, dopo la traversata delle alpi raggiungono il Friuli per raggiungere poi, il 3 settembre 569 Milano. All’inizio del 570 tutta la regione padana compresa tra le alpi e il Po era conquistata, e Alboino appariva il dominus Italiae. Terminata la conquista Alboino pone la sua residenza a Verona nel palazzo che fu di Teodorico, intorno all’anno 572. Fu paradossalmente allora che i problemi per il glorioso capo dei Longobardi cominciarono e l’unità del suo popolo dovuta perlopiù all’ansia di conquista comincia a sfaldarsi. Fu una congiura a portare alla morte Alboino, una congiura che vede sua moglie Rosmunda pronta a vendicarsi di quello che non era solo suo marito, ma anche l’assassino di suo padre, il vecchio re dei Gepidi. Da allora e per dieci anni l’autorità regia sparì sostituita da quella dei duchi i quali approfittarono di un vuoto di potere per cercare di estendere e consolidare la loro influenza nelle zone appena conquistate.
I primi insediamenti longobardi in Italia ci lasciano pochi segni e poche costruzioni in modo peraltro analogo a quanto era avvenuto all’epoca della dominazione in Pannonia. Sono ancora i cimiteri a fornirci un’idea della loro struttura sociale, generalmente i Longobardi vivevano separati dalle popolazioni da loro assoggettate e fino al VII secolo l’unica costruzione che abbiamo di loro si riferisce al palazzo e alla chiesa voluti nella prediletta Monza da Teodolinda, addirittura dopo trent’anni dalla conquista.
Posizione scomoda quella che si scelgono i Longobardi, l’Italia infatti si trova proprio tra due imperi potentissimi: quello dei franchi a nord e quello dei Bizantini a sud. La mancanza di un’autorità regia rende fragili i neo-italiani e così i merovingi ne approfittano per assoggettare i longobardi che riescono così a darsi un altro re: Autari. Anche la cultura andava poco a poco mutando, da popolo di migranti i Longobardi scelgono di stanziarsi in Italia e così prestigio e ricchezza non venivano più determinate dalle conquiste ma da un quadro territoriale sostanzialmente stabile. In seguito a una nuova spedizione contro i longobardi da parte dei franchi Autari può dimostrare il proprio valore e ridare finalmente la dignità che il popolo longobardo aveva perduto dalle numerose sconfitte.
Ed è sotto il regno di Autari che i longobardi cominciano a mutare in profondità le proprie istituzioni e nell’ora della sua elezioni i duchi promettono il 50% dei beni prodotti nelle loro terre come base finanziaria del regno, introducendo così per la prima volta la fiscalità. Secondo la tradizione, ci spiega Paolo Diacono, Autari si spinse fino allo stretto di Messina e disse: “fino qui giungeranno i confini dei longobardi”. Secondo quel racconto egli avrebbe identificato l’estensione tendenziale del regno in un concetto geopolitico costruito dalla cultura classica: l’Italia come unità dalle Alpi allo Stretto. Dopo la morte di Autari Teodolinda, vedova di Autari, sposerà Agilulfo determinandone così la successione al trono. Agilulfo continuerà l’opera di consolidamento delle conquiste e del potere interno, procedendo ad una violenta ed efficace repressione di tutti quei duchi che gli facevano ancora resistenza, l’autorità ducale perderà così di carattere politico autonomo per tutto il periodo del regno Longobardo.

L’editto di Rotari

Piastrina in bronzo di uno scudo raffigurante un cavaliere longobardo.

Piastrina in bronzo di uno scudo raffigurante un cavaliere longobardo.

Morto Agilulfo i longobardi dovettero aspettare prima di tornare ad avere un re degno di guidare un popolo dal passato tanto glorioso, lo troveranno nel 636 in Rotari, duca di Brescia. A Rotari spetterà il compito di ridare prestigio alla corona dopo gli errori grossolani commessi dai suoi predecessori, Aldoloaldo e Arioaldo, e dopo le ribellioni di alcuni duchi. Movente della repressione fu un’idea nuova che il re aveva della compagine politica e della funzione regia: tra i longobardi doveva instaurarsi una pace, cioè un’ordinata convivenza di individui e gruppi, attraverso il dominio della giustizia garantito dal re e così il 22 novembre del 643, dopo anni di ricerche nella tradizione longobarda, nei codici germanici già scritti e, infine, nella tradizione giuridica romanica, venne pubblicato l’Editto di Rotari.
La società longobarda che traspare attraverso l’Editto si configura come una comunità retta da rapporti oggettivi di diritto. L’Editto distingue nei reati due livelli di offesa, uno consistente nel danno materiale e morale prodotto nell’offeso, l’altro nell’infrazione dei rapporti di convivenza sociale. Per quanto riguarda l’autorità regale vi sono alcune rotture rispetto all’epoca di Agilulfo, proclamandosi non re d’Italia abbandonando così un progetto tanto prestigioso quanto irrealizzabile, ma re dei Longobardi. La funzione del re veniva definita dai suoi rapporti con la legge, che non era da lui fondata, perché essa apparteneva alle tradizioni più caratteristiche del popolo. Della legge il re era però custode, colui che preservava la tradizione dalle manipolazioni arbitrarie ed aveva la capacità di perfezionarla nell’interesse della pace interna del popolo longobardo.
Il re e la legge divengono ora i fattori connettivi della comunità sociale e politica; questa è l’intuizione nuova che emerge dall’Editto e costituisce il tratto originale della matura concezione della regalità longobarda. Grazie al loro operare, ogni membro della comunità doveva “vivere in tranquillità, impegnarsi volentieri contro i nemici e difendere sé e il proprio paese”. I duchi perdevano grande parte del loro potere basato sull’amministrazione della giustizia nell’ambito dei territori da loro governati. E la tutela che la legge offriva all’autorità ducale era inglobata nella generale difesa dell’autorità pubblica della quale era esponente principale il re.
Il re amministrava e controllava la giustizia attraverso le “corti regie” dislocate su tutto il territorio longobardo. Le “corti regie” erano delle autentiche prefetture nominate dall’alto e attraverso le quali il potere dei duchi veniva ulteriormente sminuito o comunque posto sotto diretto controllo del re.
Ma l’Editto non regolava solo, come in una Costituzione, i rapporti tra gli organi dello Stato, in esso vi erano regolati minuziosamente i rapporti di “classe”, i rapporti economici e le relazioni di famiglia come in un moderno codice civile.
Troppo lunga sarebbe un’analisi dettagliata dell’Editto, possiamo però dire che per quanto riguarda i rapporti di classe la società longobarda era caratterizzata da una rigida divisione tra liberi, gli unici a essere titolari di tutti i diritti sanciti nell’Editto e i non liberi la cui dignità era notevolmente sminuita rispetto ai liberi. Ai romanici, ovvero o popoli preesistenti ai longobardi, era concesso lo statuto di liberi solo nel caso avessero abbandonato le loro vecchie tradizioni. Da un punto di vista del diritto di proprietà l’Editto risente in modo molto forte della struttura economica longobarda dell’epoca, basata sull’agricoltura, in esso viene regolato dettagliatamente ogni rapporto di cessione, acquisizione legato alla terra, i documenti scritti di possesso sostituiscono la semplice “notorietà”.
Occorre sottolineare come già all’epoca in cui l’Editto veniva redatto la società longobarda dava ampi segni di deterioramento, accanto a liberi ricchi e potenti vi erano liberi poveri; i territori controllati direttamente dal re si potevano riassumere, intorno alla metà del VII secolo semplicemente alla Liguria e alla pianura padana occidentale. I ducati del Friuli e di Trento, così come il ducato beneventano godevano già allora di una certa autonomia.

Il regno di Liutprando
Nel 712 Liutprando succede al trono longobardo, proprio alla vigilia di grandi sconvolgimenti internazionali. I musulmani cominciavano in modo piuttosto inquietante la loro espansione nel mondo mediterraneo mettendo così in una posizione di difficoltà l’Impero Romano d’oriente. Nei primi vent’anni del suo regno Liutprando svolge un’assidua opera di legislazione per aggiornare, interpretare, integrare l’Editto di Rotari, adattandolo alle mutate caratteristiche della società, e nelle proclamazioni preposte ai suoi numerosi editti, oltre che nelle singole disposizioni, formulando una cosciente teoria della regalità cattolica.
Il concetto di peccato entra a fare parte della legislazione, trasformando il reato rotariano – lacerazione della convivenza tra liberi – nella più grave infrazione della legge divina. La religione entra così, a partire da Liutprando, a fare parte della legislazione longobarda, che dovrà addirittura tenere conto dei sinodi e delle deliberazioni tenute a Roma dal papa. Lo stesso corpo politico riceve una nuova qualificazione religiosa: l’esercito di Rotari diventa la “felicissima e cattolica” stirpe dei longobardi. L’ideologia cristiana non arriva a privare il regno della sua specificità e della sua autonomia. L’autorità della chiesa valeva a fornire valori morali e motivazioni ultime, ma accanto a esse agivano anche altre esigenze, sostenute dai nuovi spunti culturali, tra cui una migliore conoscenza della tradizione romana; il regno restava pienamente autonomo nella sua fondazione e nella sua consistenza.
La società longobarda che ci appare dalle modificazioni legislative di Liutprando è molto differente dai tempi di Rotari. Si era ormai cristallizzata l’articolazione in fasce di diverso potenziale economico e diverso prestigio sociale che, come abbiamo accennato, ai tempi di Rotari erano ancora allo stato di latenza. I liberi si distinguevano ora in due categorie, da un lato quella dei minimi, ovvero coloro che non possedevano né terre né case, all’altro estremo della scala sociale vi erano i primi, comprendenti giudici e nobili.
Addirittura le tradizioni decorative germaniche vengono abbandonate e la produzione artistica nel regno assume un linguaggio affatto analogo a quello contemporaneamente in uso nelle regioni romaniche, Esarcato e Roma, esprimendosi soprattutto nell’arredo delle chiese e nella decorazione plastica di transenne, plutei, cibori. Il nuovo segno caratterizzante diventa il tralcio di vite di tradizione antica, proprio nel repertorio decorativo di tutta l’area mediterranea.
Le città acquistano sempre più importanza, il commercio diventa un’attività economica di grande rilievo determinando così una osmosi tra la cultura longobarda e quella romana e addirittura la legge romana comincia a diffondersi all’interno del regno.
Anche i rapporti con l’individuo cambiano e così Liutprando comincia a proteggere la parte debole della società longobarda: le donne e i non liberi. La donna viene ammessa a succedere al padre e alla madre nella totalità dei beni, quando non vi fossero eredi maschi legittimi, e poi in quote significative anche in presenza di fratelli. Anche ai non liberi venne riconosciuta natura di soggetti giuridici. “Esclusivamente per motivi di misericordia” il re stabilì che la composizione dovuta per l’assassinio di un servo sarebbe stata percepita solo in parte dalla corte cui appartenevano, mentre l’altra parte sarebbe dovuta andare ai parenti, introducendo così una rottura con il passato che vedeva risarcita soltanto la corte di cui il servo ucciso faceva parte. La famiglia dei non liberi acquista poco a poco un carattere simile a quella dei liberi, e sebbene permanessero ancora residui delle consuetudini che consentivano al padrone la disponibilità sessuale della serva, proprio a limitare questi furono volte altre disposizioni del re.
I motivi che inducono Liutprando a difendere la dignità dell’individuo in tutte le condizioni giuridiche discendono dall’ispirazione cristiana. Ma erano le trasformazioni in corso nella società, originate dalle nuove condizioni del vivere, che si imponevano all’attenzione del legislatore e lo costringevano ad inquadrarle in nuove leggi. Eppure, nonostante la riscoperta dell’individuo all’epoca del regno di Liutprando, molte pene venivano addirittura inasprite, la società più libera e ricca si era fatta anche più inquieta e crudele.

La fine del regno longobardo
Come spesso succede alla storia degli Stati, ad un periodo di apogeo segue il momento del rapido declino. Dopo la morte del re Liutprando nel 744 seguiranno i tre decenni che porteranno lentamente ma inesorabilmente alla fine del regno longobardo. Ratchis, il re usurpatore del figlio di Liutprando Ildeprando, gestisce in modo paranoico il potere a lui attribuito. La mancanza di carisma e la mancanza di legittimità però gli rendono molto difficili le cose e così la giustizia, vanto dei re longobardi, viene gestita in modo sempre più arbitrario, il consenso dell’esercito, fondamento del potere regio, gli era sempre meno garantita e i disordini dovuti a sperequazioni sociali sempre più profonde, aumentavano di giorno in giorno.
In tutto questo sfacelo Ratchis cerca di trovare il consenso trai i romanici che costituivano ancora la maggioranza della popolazione. Occorre ricordare infatti che il problema della separazione tra romanici e longobardi non era ancora stato risolto e forse il tempo non era del tutto sufficiente per risolverlo. L’opposizione all’interno della gerarchia conservatrice era forte, Ratchis aveva sposato una nobildonna romanica, Tassia, la quale influenza in modo abbastanza forte la sua politica. Nel 749 Ratchis sarà sostituito dal fratello e, costretto all’esilio a Roma, si farà monaco, lui, sua moglie e sua figlia. Astolfo, il suo successore, riuscirà a ridare il prestigio perduto della corona, da subito riorganizza l’esercito e già nel 750 comincia la conquista dei territori dell’esarcato bizantino in Italia arrivando fino alle porte di Roma.
A partire dal 751 inizierà uno scontro che sarà determinante per la storia dell’Italia e di tutta l’Europa. La vittoria dei longobardi su Roma, con conseguente assoggettamento del papa ai voleri longobardi, avrebbe indebolito fortemente il potere dei franchi legati al papa, i quali, quindi, non avrebbero mai potuto permettere via libera ad Astolfo verso Roma, soprattutto perché Pipino, il re dei franchi, era ben conscio della volontà di Astolfo di appoggiare un colpo di stato da parte del fratellastro.
Nel 753 il papa Stefano II decide di intraprendere un viaggio verso Pavia per trattare con Astolfo e, vedendolo irremovibile sulle sue posizioni, proseguirà ancora più a nord verso i franchi accrescendo così la distanza tra il mondo orientale bizantino, ancora non completamente distaccato da Roma e dall’Italia, e il mondo nordico europeo. Il 6 gennaio 754 il papa Stefano II e Pipino stringono un accordo che impegnava i franchi a intervenire in Italia in aiuto del beato Pietro.
La vicenda si arricchisce di particolari inquietanti, in quanto Carlomanno, fratellastro di Pipino, diventa il principale oppositore di Pipino che si vedrà costretto, per paura di perdere il potere, di rinchiudere in un monastero Carlomanno, dove morirà dopo pochi giorni, si dirà, per una malattia. La strada verso il regno longobardo era così definitivamente aperta e nel 754 Pipino infligge una severa sconfitta ad Astolfo alla quale ne seguirono altre due. Astolfo dovrà cedere Ravenna e i territori dell’esarcato al papa e pagare un tributo annuo ai franchi in segno di inferiorità. Il vero vincitore era il papa, il quale, senza neppure dovere combattere, aveva allargato il suo potere che da allora cominciava a diventare oltre che spirituale anche temporale.
Nel 756 Astolfo muore e gli succede, grazie all’aiuto del papa e di Pipino, Desiderio, il quale, per garantirsi il trono, promette di rispettare i trattati di pace. Contro a tutte le previsioni Desiderio riesce invece a ingrandire il suo potere e a portare fuori dalle gravi difficoltà in cui versava il suo regno. Quando nel 769 muore Pipino, il regno dei franchi viene travolto da lotte fratricide per la successione e così Desiderio può farsi protettore del papa al posto dei franchi. Il potere longobardo trovava un suo effimero momento di gloria, ma la fine era davvero alle porte. In soli due anni, tra il 771 e il 772, sarebbero morte due figure chiave: Carlomanno (figlio di Pipino), a cui gli succede Carlo (Magno) e il papa Stefano III. Il papa torna ad allearsi con i franchi e, nel 773, Carlo scende in Italia e sconfigge un’altra volta i longobardi giungendo ad assediare la capitale Pavia, che cadrà irrimediabilmente nel 774.

 

Per saperne di più
Scipione Guerracino, Storia dell’età medievale - Mondadori, Milano, 1992.
Jorg Jarnut, Storia dei longobardi – Einaudi, Torino, 1995.
Stefano Gasparri, I duchi longobardi – Istituto storico italiano per il Medio Evo, 1978.
Paolo Delogu, Longobardi e Bizantini – UTET, Torino, 1980.