CONFLITTO RUSSO-UCRAINO: LA RIVINCITA DELLA GEOGRAFIA

di Massimo Iacopi –

 

Dagli inizi del conflitto il racconto militare si è focalizzato sulla conquista e la difesa delle grandi città, come se lo spazio fosse una distesa priva di importanza e come se la guerra moderna potesse prescindere dai condizionamenti di ordine naturale. Ma la geografia detta sempre le sue regole, anche in Ucraina.

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La carte del bacino del Dniepr lasciano apparire in filigrana la forma generale dell’Ucraina, con circa tre eccezioni. A nord, il Dniepr (Nipro) superiore che si estende in Bielorussia e in Russia; a est, il Donbass che si allunga nel bacino del Don; all’ovest, dove si distingue il bacino del Dniestr (Nistro). La sovrapposizione non è perfetta, ma il fatto che nel cuore dell’Ucraina scorre il Dniepr, rimane l’elemento più strutturante della geografia regionale. Dal nord al sud il suo corso segue la piana d’Ucraina, dividendo in due il paese, il cui nome slavo risalente al XII secolo si avvicina etimologicamente al termine “marca” (area di frontiera), nel senso di regione geopolitica sul margine di un impero.

L’Ucraina antica

Ma, storicamente, si può risalire molto più indietro. Già nel V secolo a.C., nel solco delle colonie greche, insediate a nord del Mar Nero, Erodoto descrive gli Sciti facendo riferimento ai suoi fiumi principali. A ovest scorre l’Istros (Danubio) e a est il Tanais (Don); per la storia greca il più grande fiume scita è il Boristene (Dniepr), che rivestirà un ruolo fondamentale nella storia della Rus di Kiev, primo stato di popolazione slava (IX-XIII secolo), diretto da Variaghi (Vichinghi) scandinavi, del quale Ucraini e Russi si disputano la filiazione. Ed è proprio lungo il suo corso tortuoso che si snoda la “grande rotta dei Variaghi verso i Greci”, arteria commerciale che collegava il Mar Baltico al Mar Nero e di cui si trova riferimento fin dal XIV secolo nella Prima Cronaca di Novgorod.
Più vicino a noi nel tempo, il Dniepr scorre nel cuore dell’Hetmanato dei Cosacchi Zaporoghi (Za Porogh: “al di là delle rapide”), quando sotto la guida di Bodgan Kmeltniskij nasce, nel 1649, un proto stato ucraino, dopo la vittoria contro la Repubblica delle Due Nazioni (Polonia e Lituania). Ma l’indipendenza dura meno di cinque anni. Dal 1658 e dallo scoppio della guerra russo-polacca, i Cosacchi si allineano allo zar Alessio I. Le incertezze della guerra determinano lo stabilirsi di una frontiera lungo il Dniepr in tutta la metà nord dell’Ucraina: a partire dal 1660 i Cosacchi della sponda sinistra si mantengono nel campo di Mosca, mentre quelli della sponda destra scelgono il campo polacco. Nel 1667, infine, il Trattato di Andrussovo sancisce questa separazione delle sponde e il passaggio di Kiev alla Russia.
A partire dal 1689, sotto lo zar Pietro il Grande e quindi la zarina Caterina II, la frontiera russa inizia a spostarsi verso ovest e i Russi arrivano a insediarsi stabilmente anche sulla riva destra del fiume. Nel giro di circa tre secoli, la storia militare russa si confonde con una lunga lotta allo scopo di conseguire il controllo del bacino del Dniepr. Il fiume non costituisce una frontiera di separazione dell’impero dal resto del mondo, ma rappresenta, al contrario, un largo spazio che dispone di una propria centralità, vestigia della Rus dei Riurikidi del IX secolo. Come il moto di un pendolo, il racconto della Grande Russia attirata dall’Oriente finisce per ritornare verso questo Occidente, associato alle origini e radicato nel bacino del Dniepr. Lo stesso Vladimir Putin, in un lungo articolo del luglio 2021 dal titolo “L’unità storica fra i Russi e gli Ucraini”, cita il Dniepr quattro volte, come in questo brano, molto significativo: «Il XVI ed il XVII secolo hanno visto apparire il movimento di liberazione degli Ortodossi del bacino del Dniepr».
Per molti aspetti, questo testo costituiva già un campanello d’allarme per quello che si è verificato 8 mesi più tardi: a partire dal 24 febbraio 2022 le rivendicazioni di Vladimir Putin assumono un aspetto secondario; la dimensione storica, ancorata nella geografia, la vince di gran lunga. Il presidente russo non parla più, se non brevemente della caduta dell’URSS, dell’avanzata della NATO verso est, dello scudo antimissile americano in Europa e dei trattati nucleari ereditati dalla Guerra fredda. Ossessionato dal flusso e riflusso della storia russa su ogni lato del Dniepr, tutta la sua attenzione rimane proiettata secoli indietro ai tempi dello zar Alessio I, di Pietro il Grande e di Caterina II. Si può, a questo punto, comprendere come, nell’immaginario collettivo del Cremlino, questa pseudo operazione di polizia militare potrebbe sovrapporsi, in filigrana, con questo lungo passato guerriero della Russia e il ricorrente Drang nach westen.

L’ostacolo dei corridoi umidi

dnieper_basin_river_town_italianoDall’inizi del conflitto, il modo di raccontare la guerra d’Ucraina ha fatto spesso astrazione dalla geografia: in particolare dai fiumi e dai corsi d’acqua che la attraversano. La narrazione si è principalmente focalizzata sulle grandi città, che le forze russe non sono riuscite a conquistare, come se lo spazio geografico interposto fra queste fosse una landa vergine senza importanza e come se la guerra moderna e le sue tecnologie potessero permettersi di fare a meno dei condizionamenti di ordine naturale. Orbene, a tale riguardo, si possono evidenziare alcune costanti nel corso dei secoli, che resistono al progresso delle macchine. La prima di queste resta quella che i militari chiamano “corridoi umidi ostacolo”. Strana espressione indubbiamente, che un glossario dello Stato Maggiore francese definisce in questo modo: «il corridoio che può essere definito come un ostacolo naturale o artificiale, secco o umido, suscettibile di limitare o di impedire il movimento». E in Ucraina il Dniepr costituisce un corridoio di una rara ampiezza, poiché la sua larghezza varia dai 200 metri ai tre chilometri, senza contare i diversi spazi lacustri artificiali a monte delle dighe con la funzione di laminazione, che allargano il suo corso fino a 25 chilometri.
Di fronte a corridoio umido di tali dimensioni, ogni ponte acquisisce un valore di valore tattico e strategico già solo per il passaggio da una riva all’altra. Certamente, veicoli anfibi e imbarcazioni leggere possono consentire il passaggio di gruppi di unità di fanteria, appoggiati da qualche blindato, ma effettuare l’attraversamento del Dniepr per un esercito di 200 mila uomini con logistica al seguito è cosa di non poco conto. In un caso simile, occorre inizialmente stabilire una testa di ponte, renderla sicura, quindi fare ricorso al genio per mettere in opera capacità di attraversamento con mezzi continui, sotto forma di ponti flottanti.
A partire dal 24 febbraio 2022, i Russi hanno, in tale situazione, tentato di insediarsi sulle due rive del Dniepr, in modo che il fiume ucraino non si trasformasse in un ostacolo invalicabile. A nord, la manovra sembrava più facile, almeno sulla carta, poiché a partire dalla Bielorussia vicina, le truppe russe potevano puntare diritto su Kiev, posta a 150 km dalla frontiera, discendendo, sia da una parte, che dall’altra del fiume. Eppure il seguito, ben noto a tutti ha mostrato uno scenario diverso: dagli ultimi giorni di marzo del 2022, i Russi sono stati costretti a ripiegare, incapaci di mobilitare una massa sufficiente di uomini per circondare la capitale ucraina, seriamente disturbati dalla guerriglia sulla retroguardia, presi nella morsa del freddo in pieno inverno e demoralizzati dallo scacco iniziale dell’operazione sull’aeroporto di Gostomel (Kiev). La logistica russa è stata fortemente disturbata dagli Ucraini, che hanno scaricato le riserve di acqua a monte della diga di Kiev, in modo da inondare le terre sulla riva destra del Dniepr. Abile manovra che ci ricorda come un corridoio umido non sia necessariamente rappresentato da un corso d’acqua (ma anche da vaste aree paludose).
A sud, l’operazione russa in partenza dalla Crimea risultava decisamente più delicata. Occorreva, in primo luogo superare la strozzatura a nord della penisola, quindi gettarsi verso ovest per raggiungere il Dniepr, distante 80 km, al fine di impadronirsi dei ponti di Kherson e di Nova Kakhova, prima che gli Ucraini li potessero distruggere. A tale riguardo, il fronte del sud, contrariamente a quelli nord ed est, ha raggiunto i suoi obiettivi iniziali. Nel giro di qualche giorno, i Russi sono riusciti a stabilire la loro testa di ponte, e questa prima tappa dell’azione ha rapidamente raggiunto il suo punto culminante. Verso ovest, la linea del fronte si è arrestata dopo Kherson e i Russi non sono riusciti ad impossessarsi del porto seguente, quello di Mikolaiev, a 50 km da Kherson, e ancor meno a raggiungere la foce nel Mar Nero del fiume Bug meridionale, subito dopo Mikolaiev, che avrebbe loro aperto la strada verso Odessa. Bloccati nella loro penetrazione, i Russi hanno avuto maggiore successo in direzione nord, risalendo le due rive del Dniepr, ma non sufficientemente per raggiungere Zaporijia, che si trova a nord del fiume, circa 250 km a nord-est della sua foce.

La sfida del Dniepr

Nel corso del mese di aprile 2022, i Russi hanno continuano la loro azione, occupando un’area di 6 mila km2 sulla riva destra del Dniepr, tanto da rivendicare la conquista della quasi integralità dell’Oblast (provincia) di Kherson, a cavallo delle due rive del fiume. Politicamente il risultato era importante ma non sotto il profilo militare. Una testa di ponte serve per progredire nell’offensiva, ma senza movimento conseguente diventa una trappola, in quanto rifornire i 30 mila uomini che si trovavano al suo interno si è trasformato in una scommessa rischiosa, perché dipendente da tre ponti sul Dniepr. Indubbiamente, la frontiera occidentale di questa testa di ponte poteva appoggiarsi parzialmente su un altro corridoio ostacolo umido, l’Inghulets, ma questo corso d’acqua non presentava le stesse dimensioni di un fiume ostacolo. A loro volta, gli Ucraini hanno potuto stabilirvi una loro testa di ponte, a Davydiv Brid e dare inizio a una lunga battaglia d’usura che finirà per avere ragione dei Russi. Questi ultimi hanno fatto saltare a colpi di missili la diga di Kryvyi Rih per far salire artificialmente il livello dell’Inghulets e far saltare i ponti flottanti ucraini, ma questa manovra non è stata sufficiente a spezzare il contrattacco. Agli inizi del mese di novembre 2022, il nuovo comandante dell’operazione militare speciale, il generale Surovikin, prende atto della situazione, ordinando la ritirata delle forze russe dalla riva destra del Dniepr e la distruzione definitiva dei tre ponti sul fiume, resi già largamente inutilizzabili dall’azione dei lanciarazzi HIMARS, forniti a Kiev da Washington.
Sul piano militare, la ritirata russa, condotta senza eccessive perdite, risultava un provvedimento razionale. La testa di ponte di Kherson non aveva più alcun interesse, dal momento che era diventata ormai inutile per la progettata avanzata a ovest fino a Odessa, per impadronirsi di tutte le coste del Mar Nero. Ma, da un punto di vista militare, questa ritirata consentiva ai Russi di trincerarsi dietro il Dniepr in un momento in cui il rapporto di forze sul terreno si stava modificando a favore degli Ucraini. In definitiva, un “corridoio umido ostacolo” serve sia a chi attacca, garantendo un fianco protetto, ma anche a chi si difende. Ormai, dei 900 km della linea del fronte, 200 sono naturalmente protetti da una muraglia di acqua. Questa, in linea di principio, non è totalmente invalicabile, ma rappresenterebbe un costo elevato per qualsiasi contrattacco ucraino. Nella stessa occasione, i 30 mila soldati russi della testa di ponte di Kherson sono stati ri-schierati, specialmente nel Donbass, centro nevralgico della guerra d’Ucraina, a partire dalla fine dell’offensiva di Kiev del 1° aprile 2023.
Anche in questo caso, questa battaglia non può essere compresa senza tener conto dei corridoi umidi ostacolo, nel caso specifico del corso del fiume Donesk, che ha dato il nome alla città e alla provincia che attraversa. Si tratta, in effetti di un affluente del fiume russo Don, il cui bacino copre la regione orientale ucraina del Donbass, formata dai due oblast di Donesk e di Lugansk. Poiché la linea del fronte fra i separatisti pro-russi e le forze ucraine risultava solidamente fortificata dal 2014, i Russi hanno evitato di attaccarla frontalmente nell’offensiva iniziale del febbraio 2022. Essi hanno privilegiato una manovra di avvolgimento, attaccando da nord nella regione di Kharkiv, al fine di prende sul rovescio la Maginot ucraina e trasformare il Donbass in una fornace. Esisteva nondimeno una difficoltà: il fiume Donesk segue un percorso tortuoso formato schematicamente da due grandi anse. Da nord a sud, la prima si insinua lontano verso ovest nella regione di Kharkiv, mentre la seconda, sempre in direzione sud, gira verso est, stavolta nel Donbass. I Russi hanno utilizzato la prima ansa, ma senza riuscire a conquistarla interamente, fatto che avrebbe permesso loro di proteggere il loro fianco occidentale. Nel settembre, beneficiando sempre di una testa di ponte, gli Ucraini sono stati in condizione di lanciare la controffensiva nella regione di Kharkiv, riconquistando ai Russi la piazzaforte di Izyum, centro di gravità della manovra russa di avvolgimento del Donbass. I Russi, a seguito di questo controffensiva, sono riusciti in qualche modo a ricreare la linea una linea di difesa a est, inizialmente lungo l’Oskif, quindi lungo lo Zherebets, ma questi due affluenti del Donesk, decisamente più modesti, costituiscono un vantaggio difensivo minore.

Combattimenti del Donesk

Per contro, tenendo a lungo la seconda ansa del Donesk, che si inoltra nel Donbass, gli Ucraini potevano proteggersi dietro questo “corridoio umido ostacolo”, che i Russi hanno avuto una grande difficoltà a superare. Il 10 maggio 2022, un gruppo tattico di un battaglione russo è stato completamente distrutto a Bilohorivka, dopo aver superato il fiume. Agli inizi del mese di luglio, i Russi sono finalmente riusciti a passare sull’altra riva, conquistando la città di Lisishansk, ma adottando una tattica molto più lenta e costosa, quella a ondate di successive di fanteria lanciate contro le posizioni fortificate ucraine con l’appoggio di artiglieria e droni. Lo stesso metodo che verrà applicato a Backmut, il luogo dei più sanguinosi combattimenti dall’inizio della guerra.
A Kiev, Kherson e nel Donbass i corridoi umidi ostacolo hanno evidentemente giocato un ruolo decisivo e i combattimenti nel corso del 2023 hanno dimostrato che la logica non è cambiata. Una nuova offensiva russa nella regione di Kharkiv per raggiungere il Donesk o come minimo l’Oskif consentirebbe loro di consolidare la frontiera della provincia di Lugansk e di portare da nord la loro minaccia sulla parte della provincia di Donesk, ancora tenuta dagli Ucraini. Per contro, per quest’ultimi, rilanciare un’offensiva verso est per superare lo Zherebets, permetterebbe di raggiungere il cuore dei dispositivo russo nel Donbass, che potrebbe essere minacciato di sfondamento e crollo. Al centro, la linea del fronte nella zona di Zaporijia risulta l’unica, non presentando un “corridoio umido ostacolo” significativo, nella quale risulterebbe possibile una offensiva sia russa, sia ucraina. L’offensiva permetterebbe agli Ucraini di raggiungere il Mar d’Azov e di spezzare la continuità territoriale russa fra la Crimea e il Donbass, unico successo strategico ottenuto da Vladimir Putin dal febbraio 2022. Per i Russi, una offensiva coronata da successo consentirebbe di risalire verso nord per estendere la profondità di questo corridoio e tentare di nuovo una manovra di accerchiamento da sud del Donbass fortificato.

La posta della Crimea

Per quanto attiene al Dniepr esso rimane sempre il “corridoio umido ostacolo”, più strutturato. Il suo superamento da parte degli Ucraini a Kherson sarebbe un colpo per i Russi e una minaccia diretta per la Crimea. Tale ipotesi non può essere completamente esclusa, anche se la geografia avvantaggia l’occupante della riva sinistra: questa, in effetti presenta rilievi più elevati della riva destra, che di fatto domina tatticamente. I Russi lo sanno bene, in quanto la più grande battaglia del Dniepr, fino ad oggi, ha avuto luogo dall’agosto al dicembre 1943, quando 2,6 milioni di soldati dell’Armata Rossa furono costretti ad attraversare il fiume, mentre 1,2 milioni di soldati tedeschi si erano ritirati sulla riva sinistra. Le perdite accumulate sono state stimate fra i 700 mila e i 2 milioni di uomini.
Dal lato russo, la distruzione di ponti sul Dniepr – ne esistono una ventina – potrebbe costituire una azione decisiva, in quanto metterebbe gravemente in crisi la logistica ucraina. Allo stesso modo in cui la testa di ponte di Kherson era diventata per i Russi una specie di penisola non tenibile, essa potrebbe esserlo anche per gli Ucraini in tutto l’est, se i Russi riuscissero a realizzare una tale azione, che, peraltro al momento, non hanno mai iniziato. In ogni caso, in un contesto di consegna di armi pesanti occidentali a Kiev, questa ipotesi non è da escludere a priori. Nella misura in cui i bombardieri russi non hanno la libertà di volare fino al Dniepr, per conseguire un tal fine, a causa della difesa contraerei ucraina, rimane comunque da capire se i Russi dispongano effettivamente di missili e droni a lungo raggio d’azione, sufficientemente precisi ed in quantità notevole per conseguire tale obiettivo. Con una nuova ondata di mobilitazioni, la distruzione dei ponti sul Dniepr appare in ogni caso come uno dei soli mezzi della Russia per condurre una escalation convenzionale di fronte a Kiev e agli Occidentali.
Una tale azione sarebbe estremamente importante sul piano strategico e politico. Con questo gesto difensivo, che ridurrebbe certamente le probabilità di una disfatta russa nell’est dell’Ucraina, Mosca scarterebbe, però, quasi definitivamente l’ipotesi di un nuovo attraversamento del Dniepr (salvo a ripassare attraverso la Bielorussia), processo iniziato con il ritiro da Kherson. In termini di obiettivi di guerra, tutto questo significherebbe il riconoscimento, da parte di Vladimir Putin che il suo guadagno massimo si limiterebbe alla riva sinistra del fiume d’Ucraina, trasformato in frontiera naturale, come ai tempi dello zar Alessio I e del Trattato di Andrussovo. In definitiva, la Russia non potrebbe più pretendere nel contesto di questa guerra, il controllo dell’insieme del bacino del Dniepr, obiettivo che appare oggi completamente fuori portata delle forze russe, ma che, tuttavia, viene ancora regolarmente citato dai responsabili russi, desiderosi di una vittoria militare totale in Ucraina. Vladimir Putin rinuncerebbe, in tal modo, di porsi nel solco storico di Pietro il Grande, che aveva attraversato il Dniepr. Per contro, per i Russi, una vittoria minimale comporterebbe il controllo del Donbass, letteralmente la parte ucraina del bacino del Don. Dai corridoi umidi ostacoli, decisivi in materia tattica fino alla centralità strategica, politica e storica di un fiume, l’operazione militare russa in Ucraina, così impropriamente denominata, presenta tutte le caratteristiche di una vera guerra, quella del Dniepr, il cui corso, attira e allo stesso tempo blocca i Russi e i loro antenati da circa un millennio.