GLI STATI UNITI E LE ROTTE MARITTIME DELLA CINA

di Massimo Iacopi -

Secondo l’ammiraglio e stratega americano Alfred Thayer Mahan il controllo delle grandi rotte passa attraverso il controllo degli stretti o, più in generale, dei “mari stretti”. A oltre un secolo di distanza questa tesi viene sistematicamente applicata dagli USA, che controllano la maggior parte dei punti strategici per il commercio marittimo mondiale. La potenza cinese sarà in condizione di affrancarsi da questi vincoli?

Le principali rotte del commercio marittimo sono condizionate da numerosi “passaggi stretti”, artificiali o naturali. Si può citare, ad esempio, Malacca, Ormuz, Bab el Mandeb, Gibilterra, il canale di Suez e quello di Panama. Questi punti vitali sono presi in considerazione dalla maggior parte degli studi sulla sicurezza delle rotte del commercio a livello mondiale.

Le rotte marittime esistenti

Gli Americani grazie al potente strumento navale e alla rete di alleanze arrivano a controllare la totalità di questi passaggi. La disposizione geografica delle flotte americane è ben articolata da questo punto di vista e la 5a Flotta, responsabile per il Golfo Persico e il Golfo di Aden è la più importante di tutte.
Il sostegno di Washington ad alcuni Stati chiave è altrettanto importante: l’Egitto è il secondo destinatario del suo aiuto militare nel Medio Oriente dopo Israele, con il Canale di Suez nel mirino. Dalla parte dello Stretto di Malacca si possono citare gli accordi con Singapore, che consentono all’US Navy l’accesso a infrastrutture navali e aeronautiche di questa città-stato, che è anche una delle più importanti piazze portuali del pianeta.
Ma il miglior jolly per gli Americani rimane il Canale di Panama. Da un lato esso è un passaggio quasi obbligato per attraversare il continente americano, dato che il Passaggio a Nord Ovest rimane inaccessibile per una parte dell’anno e Capo Horn è un passaggio poco confortevole. Dall’altro, gli Stati Uniti svolgono un controllo quasi assoluto su questo canale.
Nonostante tutto la Cina si organizza come può sulle rotte esistenti. Da un lato, la sua strategia di controllo del mare della Cina gli fornirebbe, in caso di successo, il predominio sui flussi intra-asiatici. Dall’altra, la strategia denominata “collana di perle”, che consiste nel disporre di insediamenti sulla rotta fra la Cina e il Medio oriente, specialmente in Cambogia, Birmania, Bangladesh, Sri Lanka e Pakistan, gli permette di insediarsi lungo la rotta più importante.
Non bisogna sopravvalutare la capacità militare degli insediamenti cinesi, che per la stragrande maggioranza sono piuttosto simbolici. In gran parte di essi la Cina ha messo piede per non farsi precedere da eventuali rivali, in particolar modo l’India. E la creazione di una base a Gibuti può essere interpretata come il completamento di questa strategia. Ma tutto questo ci porta a interrogarci sui possibili ulteriori obiettivi di Pechino.

Paese continentale, soluzione continentale?

Per aggirare l’egemonia americana sulle rotte marittime, la Cina può sfruttare la sua natura continentale, creando dei corridoi di trasporto terrestre basati essenzialmente sul trasporto ferroviario. Si pensi, in primo luogo, al corridoio di Gwadar, fra il Pakistan e lo Xinkiang, o a quello di Sittwe, fra la Birmania e lo Yunnan, che evita alle merci destinate in Europa e Medio Oriente il passaggio per lo stretto di Malacca. Si pensi ugualmente ai corridoi euroasiatici, quali la transiberiana o la nuova rotta della Seta.
Ma un corridoio terrestre ha difficoltà a compensare il peso del trasporto marittimo. Di fatto occorrono un centinaio di treni per trasportare una quantità di merci equivalente alla capacità di una nave tipo ULCS (Ultra Large Containers Ship). Inoltre, su rotaia il costo per container trasportato è cinque volte più caro. Il solo vantaggio di questa modalità di trasporto è la velocità più elevata, ma questo aspetto pone il trasporto ferroviario su una posizione più complementare che concorrenziale rispetto al trasporto marittimo.
In definitiva, l’interesse di questi corridoi è piuttosto di ordine interno per la Cina: consentono di sviluppare regioni lontane dalla costa, lo Yunnan e soprattutto lo Xinkiang, che la Cina sta cercando di valorizzare. Tali regioni renderanno infatti il Paese meno dipendente dalle grandi rotte marittime.
In ogni caso, la creazione di corridoi continentali da parte dei Cinesi costituisce una delle strategie economiche di sviluppo, conosciuta sotto il nome di OBOR, “One Belt, one Road” (una cintura – una rete –, una via), che ha come scopo di creare un network di vie di trasporto che attraversa tutta l’Eurasia per consentire il trasferimento veloce di persone, merci e risorse attraverso la costruzione di moderne linee ferroviarie ad alta velocità. Poiché il trasporto di merci per via aerea risulta molto costoso, ed essendo il trasporto via mare, seppur efficace, molto lento, quest’ultimo non sarà abbandonato ma si punterà ad un miglioramento dei mezzi di trasporto via mare esistenti (“Nuova via della Seta”).
In definitiva, la strategia cinese di sviluppo economico futuro si baserà sostanzialmente sulla Belt and Road iniziative (BRI), che è sostanzialmente la combinazione di due progetti: una componente terrestre, cioè la Silk Road Economic Belt e una complementare marittima, la 21st Century Maritime Silk Road. Una strategia di aggiramento più che di scontro.

Le rotte future

Una delle strade possibili per la Cina consiste nel piazzarsi su possibili passaggi marittimi in divenire. Questi si possono individuare nelle rotte del Grande Nord – passaggio a Nord-Ovest e Nord-Est – o nella creazione di nuovi canali, come quello del Nicaragua (progetto già in fase avanzata) o dell’istmo di Kra in Thailandia, per aggirare lo stretto di Malacca.
Le rotte del Grande Nord comportano al momento più incertezze che reali potenzialità. Tuttavia, la Cina non ha mancato di piazzare le sue pedine nell’Artico. Da qualche anno la compagnia di stato COSCO invia navi lungo il passaggio a Nord-Est e la Cina dispone già di una nave di ricerca rompighiaccio, la Xue Long, inviata regolarmente nella regione. La chiave per comprendere l’interesse che hanno i Cinesi su questa rotta non può essere basata su un traffico incerto fra l’Europa e l’Asia, ma piuttosto su quello per la rotta che è sempre servita nell’epoca sovietica: dare accesso alle risorse naturali di cui è ricco il Grande Nord russo. D’altronde, le sanzioni occidentali hanno consentito ai Cinesi di sostituirsi agli Europei per il finanziamento e il sostegno tecnico del progetto di sfruttamento dei giacimenti di gas del Yamal.
Per il momento, il canale del Nicaragua non è ancora esattamente delineato. L’uomo d’affari che presiede la società di sviluppo responsabile dei lavori e che rappresenta il principale finanziatore, Wang Jing, avrebbe perduto il 90% della sua fortuna in occasione del crac borsistico cinese dell’estate 2015. E il progetto è a dir poco faraonico: il costo è stimato in 50 miliardi di dollari, ovvero l’equivalente di quattro volte il PIL della Cina.
Il canale di Kra in Thailandia rimane invece ancora allo stato teorico. È stata costruita una strada sull’istmo negli anni ’90, ma i porti che doveva collegare non sono stati ancora realizzati.
Per questi progetti attualmente si presentano due difficoltà: in primo luogo, la contrazione del traffico marittimo mondiale ne diminuisce l’interesse economico; in seconda battuta, il progressivo incremento delle dimensioni delle navi aumenta l’investimento necessario, una tendenza favorita dal recente allargamento del canale di Panama.
La strategia cinese sembra discendere dalla massima degli Shadoks: “Se la soluzione non si adatta al problema, occorre adattare il problema alla soluzione”. In sintesi, poiché risulta difficile sottrarre agli Stati Uniti la loro posizione egemonica, la Cina punta a modificare le grandi rotte commerciali verso zone che può modellare secondo le proprie esigenze.

Per saperne di più

Jon Tetsuro Sumida, Inventing grand strategy and teaching command: the classic works of Alfred Thayer Mahan reconsidered, John Hopkins University Press, 1999.
Alessandro Politi, Nicaragua contro Panamà: la guerra dei Canali, in “Osservatorio strategico”, Centro Militare di Studi Strategici, luglio 2013.
Sea navigation, challenges and potentials in South East Asia: an assessment of suitable sites for a shipping canal in the South Thai Isthmus, October 2007, Volume 70.
Cina-USA. La sfida, “Limes”, 1/2017.