FOUCHÉ, UOMO DAI MILLE VOLTI E DAI MILLE OCCHI

di Giancarlo Ferraris

Rivoluzionario, terrorista, congiurato, “mitragliatore di Lione”, poliziotto, agente segreto, doppiogiochista… tante le definizioni per una delle personalità più inafferrabili del tormentato ventennio che va dalla Rivoluzione francese alla Restaurazione.

Identikit di un segugio

Nome: Joseph.
Cognome: Fouché.
Luogo e data di nascita: Nantes, 31 maggio 1759.
Luogo e data di morte: Trieste, 26 dicembre 1820.
Professione: rivoluzionario, poliziotto, agente segreto.
Segni particolari: grande intelligenza, fiuto finissimo, sangue freddo in tutte le circostanze.
La figura di Joseph Fouché non è sicuramente conosciuta a molti, ma proprio in ciò, paradossalmente, risiede la grandezza diabolica di questo personaggio storico dal cui identikit che abbiamo tracciato si può benissimo capire che tipo di uomo, comunque straordinario, sia stato. D’altra parte, si sa, un poliziotto e soprattutto un agente segreto, proprio in virtù della sua professione, non ha bisogno di notorietà. Almeno in vita e, forse, anche dopo. Ma procediamo per gradi.

Il rivoluzionario, il terrorista, il congiurato

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Joseph Fouché, duca di Otranto

Joseph Fouché nacque da una famiglia piccolo-borghese della regione della Bretagna, nella Francia occidentale, dedita al commercio e alle professioni marinare. I suoi genitori, all’inizio, pensarono di fargli intraprendere la carriera nella marina mercantile, idea che abbandonarono quasi subito poiché il giovane Joseph era, o perlomeno appariva, come un ragazzo debole e svogliato. Nel 1770, undicenne, entrò in un collegio diretto dai padri oratoriani nel quale rivelò, inaspettatamente, una notevole attitudine per lo studio della matematica e della fisica. Divenne a sua volta, nonostante detestasse profondamente il mondo ecclesiastico, membro della congregazione degli oratoriani, senza tuttavia prendere i voti sacerdotali – sintomatico il fatto che già in questo frangente, oltre ad abbracciare segretamente le nuove idee dell’illuminismo e ad orientarsi sempre più verso l’ateismo, non volesse legarsi in modo definitivo a qualcuno o a qualcosa – e ricoprendo, in seguito, la carica di prefetto di collegio e di insegnante di scienze nei collegi oratoriani di Niort, Saumur, Vendôme, Parigi ed Arras. Nella cittadina di Arras fu iniziato alla Massoneria nella Loggia Sophie-Madeleine-Reine de Suède ed entrò a far parte del circolo letterario dei Rosati dove, probabilmente, conobbe Maximilien Robespierre della cui caduta, nelle giornate terribili del Termidoro, egli fu uno degli artefici principali. Nel 1789, allo scoppio della Rivoluzione, Fouché gettò la tonaca e non si rase più la tonsura, entrando nel contempo in politica, un mondo nuovo che si apriva ai più e che, lo intuì subito, offriva grandi opportunità. A Nantes, nel biennio 1790-91, divenne il principale animatore del Club dei Giacobini, di cui assunse anche la presidenza, mantenendosi però sempre su posizioni moderate, una linea di condotta che conservò pure nella vita privata, dal momento che sposò una giovane della classe media locale, dalla quale ebbe cinque figli, e visse secondo i canoni della borghesia, il ceto, aveva capito anche questo, destinato a guidare politicamente ed economicamente la Francia emergente dalla Rivoluzione. Esiste un breve ritratto del trentaduenne Joseph Fouché: «Alto e magro, dalla carnagione anemica, il viso lungo e sporgente dominato da occhi vitrei, sopracciglia e capelli rossastri. Nessuno lo ha mai visto arrabbiarsi».
Nel 1792 venne eletto deputato della Loira Inferiore alla Convenzione Nazionale schierandosi inizialmente, anche se non apertamente, dalla parte dei girondini, i rivoluzionari moderati, per poi passare, in modo deciso, nelle fila dei giacobini, i rivoluzionari radicali, tanto che nel gennaio 1793, durante il processo a Luigi XVI, votò per la condanna a morte dell’ex-sovrano di Francia.
Subito dopo si preoccupò di redigere, far stampare e diffondere un piccolo manifesto attraverso il quale, da un lato, proclamò i suoi ideali rivoluzionari e dall’altro volle anticipare e bloccare eventuali contestazioni al suo gesto: «I delitti dei tiranni hanno colpito tutti gli occhi e riempito di sdegno tutti i cuori. Se quel capo non cadrà sotto la mannaia, i masnadieri e gli assassini alzeranno la testa e saremo minacciati dal più terribile del caos… Questa è la nostra stagione ed essa si pone contro tutti i re della terra».
Sempre nel 1793 Fouché svolse alcune missioni nella regione della Loira Inferiore e in quella della Mayenne con l’incarico di controllare il reclutamento delle truppe destinate alla difesa della Francia impegnata nella guerra contro le potenze monarchiche europee. In questi territori ebbe anche modo di constatare il diffondersi delle rivolte federaliste che minacciavano pericolosamente l’integrità della neonata Repubblica francese. Nello stesso anno, dopo essersi schierato con i cordiglieri arrabbiati guidati da Jacques-René Hébert, la fazione estremista della Rivoluzione, fu inviato in missione nella regione della Nièvre, in Borgogna, dove sfogò tutto il suo odio verso il clero, la religione cristiana e manifestò apertamente il suo ateismo dichiarando pubblicamente: «Questo culto superstizioso va sostituto dalla fede nella Repubblica e nella morale. È proibito a tutti gli ecclesiastici comparire nei templi con indosso i loro costumi. È tempo che questa classe altezzosa, ricondotta alla purezza dei principi della Chiesa primitiva rientri nella classe dei cittadini».
Fouché abolì il celibato ecclesiastico, iniziò a celebrare e a sciogliere matrimoni, fece abbattere nelle chiese e negli altri luoghi pubblici e poi bruciare pubblicamente i simboli del cristianesimo, tenne infiammati discorsi sull’ateismo negando l’esistenza di Dio e l’immortalità dell’anima. Nella cittadina di Nevers divenne addirittura un taciturno e lugubre osservatore dei funerali, tanto che faceva arrestare chiunque osasse accompagnare i defunti al cimitero con le croci. Parallelamente a questa politica anticristiana Fouché iniziò anche a reclutare volontari per difendere la Repubblica francese in guerra contro l’Europa e adottò drastici provvedimenti in ambito economico contro la Chiesa, i cui templi furono letteralmente spogliati di tutti i loro averi ed inviati a Parigi, e contro le classi abbienti locali, imponendo una “tassa sulla ricchezza” e procedendo a requisizioni forzate di beni. A tale proposito scrisse: «Il vero repubblicano ha bisogno solo di ferro, pane e quaranta scudi di rendita».
In una successiva missione, quella che lo vide nella regione della Loira insieme a Jean-Marie Collot d’Herbois, un altro rivoluzionario estremista, redasse un vero e proprio manifesto radicale contro i ricchi, il quale venne pubblicamente affisso sui muri della città di Nantes:

Istruzione
Tutto è permesso a coloro che agiscono secondo la Rivoluzione.
Per il repubblicano non esiste alcun pericolo, fuorché quello di non procedere di pari passo con le leggi della Repubblica.
Finché esisterà anche un solo infelice sulla terra, la Rivoluzione dovrà continuare la sua marcia in avanti.
La Rivoluzione è fatta per il popolo.
Il popolo è l’universalità dei cittadini francesi che fornisce uomini alla patria, difensori alle frontiere, cittadini che nutrono la società con il loro lavoro.
La Rivoluzione deve creare un popolo compatto; un popolo di uguali.
Non illudetevi! Per essere veramente repubblicano ed appartenere al popolo ogni cittadino deve operare su se stesso una rivoluzione integrale come quella che ha cambiato il volto della Francia.
Pertanto chi possiede più del necessario deve abbandonarlo.
La patria esige ogni sovrabbondanza per ridistribuirla equanimamente, esige per sé oro e argento, metalli vili e corruttori per accorparli al tesoro nazionale, esige laicità e dedizione alla Repubblica, esige ferro ed acciaio per far trionfare la Repubblica.
Applicheremo con severità l’autoritas conferitaci.
Libertà o morte!
Riflettete e scegliete!

Lo zelo rivoluzionario di Joseph Fouché emerse però in tutta la sua durezza e in tutta la sua spietatezza in occasione della repressione della rivolta scoppiata a Lione, che nell’agosto 1793 si era ribellata al governo di Parigi. La Convenzione Nazionale inviò immediatamente truppe, rafforzate da molti cittadini fedeli alla Rivoluzione, che assediarono la città costringendola alla capitolazione. Nell’ottobre, nel clima del Terrore, la Convenzione emanò un terribile editto contro Lione:
«Articolo 1. La Convezione Nazionale eleggerà su proposta del Comitato di Salute Pubblica una Commissione Straordinaria composta di cinque membri, perché siano puniti militarmente e senza ritardo i controrivoluzionari di Lione.
Articolo 2. La città di Lione sarà distrutta. Tutte le case dei ricchi saranno demolite. Rimarranno solo le case dei poveri, le dimore dei patrioti e dei martiri, gli edifici pubblici e quelli industriali.
Articolo 3. Il nome di Lione sarà cancellato dalla lista delle città repubblicane. Il gruppo di case rimasto sarà chiamato Ville Affranchie.
Articolo 4. Nella zona distrutta verrà eretta una lapide che rechi il motto seguente: “Lione fece la guerra alla Libertà. Lione non esiste più”».
Inizialmente ad occuparsi di Lione avrebbe dovuto essere Georges Couthon, giacobino strettissimo collaboratore di Maximilien Robespierre, il quale era però contrario all’ abbattimento della città tanto che la Convenzione Nazionale finì per sostituirlo con un altro rivoluzionario che era invece disposto a sterminare i traditori della Rivoluzione e a distruggere Lione: Joseph Fouché. Il 4 dicembre 1793 ebbero così inizio le stragi di Lione che videro il massacro di circa duemila controrivoluzionari effettuato non più con la ghigliottina, considerata troppo lenta, ma con cannoni caricati a mitraglia, il cui uso fu così giustificato dallo stesso Fouché, soprannominato “Il mitragliatore di Lione”: «I re punivano lentamente, perché erano deboli e crudeli; la giustizia del popolo deve essere rapida come l’espressione della sua volontà». E pubblicamente affermò: «Le condanne di questo tribunale atterriscono i rei, ma consolano il popolo».
Anche in occasione di un evento così terribile Fouché, nonostante ne fosse il principale organizzatore, seppe però muoversi con grande abilità facendo apparire ai lionesi e al governo di Parigi il collega Collot d’Herbois, egocentrico e baldanzoso, come l’unico responsabile delle stragi ed attribuendosi al tempo stesso il merito di aver mitigato la violenza esasperata e fatto cessare le esecuzioni massa. Nell’aprile 1794 il governo rivoluzionario lo richiamò dalla sua missione. Fouché rientrò in una fosca Parigi, dove imperversava la dittatura di Robespierre l’Incorruttibile, che nel frattempo aveva eliminato i cordiglieri arrabbiati di Hébert e i cordiglieri indulgenti, la fazione moderata della Rivoluzione, guidati da Georges Jacques Danton e Camille Desmoulins. Immediatamente tenne un discorso, tanto audace quanto pericoloso, alla Convenzione Nazionale con cui espose e giustificò, in nome degli ideali rivoluzionari e repubblicani, le ragioni del suo operato. Riuscì così a controbattere efficacemente alle accuse che gli muoveva Robespierre, prima fra tutte quella di aver spinto il Terrore ad un feroce parossismo, e giungendo, paradossalmente, ad essere anche eletto presidente di turno del Club dei Giacobini, dal quale fu però espulso nel giugno dello stesso anno.
Comprendendo subito di essere pericolosamente compromesso davanti a Robespierre, le cui misure terroristiche però, soprattutto dopo l’inizio del periodo del Grande Terrore, stavano disgustando la Convenzione Nazionale e creando al suo interno una vasta opposizione, entrò nel complotto volto ad abbattere lo stesso Incorruttibile, il quale, com’è noto, finì sulla ghigliottina alla fine di luglio insieme ai molti altri giacobini. Tuttavia Fouché, dopo la caduta di Robespierre, si allontanò quasi subito dai cosiddetti termidoriani, i rivoluzionari che erano stati gli artefici della fine dell’Incorruttibile e con i quali si era schierato, poiché li giudicava sostanzialmente privi di intelligenza politica. Rimase un giacobino, o meglio un ex-giacobino, ovviamente nell’ombra, tramando con altri ex-giacobini contro la Convenzione Termidoriana, l’organismo politico subentrato alla Convenzione Nazionale che guidava la Francia ed alla quale egli non riconosceva alcuna capacità di governo.
La sua avversione alla Convenzione Termidoriana lo spinse a diventare, sia pure occultamente, come d’altra parte era nel suo stile, uno dei promotori dell’insurrezione giacobina e popolare del 12 germinale (1° aprile) 1795 contro la Convenzione stessa, insurrezione che tuttavia fallì, allontanandolo temporaneamente dalla vita politica parigina. Solo verso la fine del 1795, con l’avvento del nuovo governo del Direttorio, Joseph Fouché tornò alla ribalta. Ciò fu possibile soprattutto grazie ai buoni uffici di Paul Barras, presidente del Direttorio, uomo profondamente venale e corrotto che, forse, Fouché ricattava, ottenendone così favori e privilegi al punto da venire, alla fine, completamente riabilitato. Nel 1797 venne inviato a Milano come ambasciatore della Repubblica francese e successivamente nei Paesi Bassi, dove svolse alcune missioni.

Il poliziotto, l’agente segreto, il doppiogiochista

Il 21 luglio 1799, inaspettatamente, Joseph Fouché venne nominato, per la sua grande abilità e versatilità manifestatesi in più occasioni, ministro della Polizia dal Direttorio, il quale temeva rivolte aristocratiche, disordini popolari e colpi di mano da parte dell’esercito oltre ad avere la necessità di controllare il più estesamente ed efficacemente possibile l’intera Francia. Da quel momento per Fouché ebbe inizio un’altra sfolgorante ed altrettanto inquietante carriera. In soli tre mesi di lavoro, da luglio a ottobre, trasformò la Polizia da una specie di banda composta da individui violenti, infedeli, incapaci e corrotti in un’organizzazione non solo efficiente, ma anche e soprattutto potente al punto da preoccupare il governo del Direttorio, il quale tuttavia non riuscì a fare nulla per contenerne il potere e controllarne l’operato. Fouché, resosi perfettamente conto grazie al suo fiuto politico che il Direttorio era quanto mai debole ed incapace di guidare la Francia, appoggiò, impedendo ai membri del governo di rientrare da Saint-Cloud a Parigi, il colpo di stato del 18 brumaio (9 novembre) 1799 messo in atto dal giovane generale Napoleone Bonaparte, il quale rovesciò il Direttorio dando inizio al Consolato. Riconfermato nel ruolo di ministro della Polizia da Napoleone diventato primo console, sventò diversi complotti contro il nuovo padrone della Francia il quale, però, iniziò ben presto a temerlo per la delicatissima posizione che ricopriva ed anche per il notevole peso politico che esercitava occultamente e ambiguamente. Sembra che in più occasioni lo stesso primo console avesse detto: «Le tenebre sono il regno di Fouché».
Proprio per questi motivi nel 1802 Napoleone, con il pretesto che il nuovo assetto politico della Francia non richiedeva più un servizio di pubblica sicurezza, abolì il Ministero della Polizia congedando Fouché, il quale ottenne però la nomina a senatore. Tuttavia due anni dopo, nel 1804, Napoleone, alla vigilia della proclamazione dell’Impero, ripristinò il Ministero della Polizia di cui aveva urgentemente bisogno per il raggiungimento dei suoi obiettivi politici e che affidò di nuovo a Fouché, il quale, a sua volta, lo aiutò a diventare imperatore oltre a reprimere alcune rivolte di stampo realista ed aristocratico. Ben presto Joseph Fouché si convinse che l’Impero napoleonico era una costruzione fragile e si adoperò notevolmente per assicurare all’imperatore una discendenza, cosa che avvenne quando Napoleone, dopo aver divorziato da Giuseppina di Beauharnais che non poteva dargli figli, sposò l’arciduchessa Maria Luisa d’Austria.
Negli anni 1808-1810 Fouché, dopo essere stato nominato dall’imperatore duca d’Otranto per i servigi resi, condusse, era nella sua natura, due doppi giochi sui quali, tuttavia, non si hanno testimonianze storiche certe: sembra, infatti, che fosse implicato in un complotto volto a mettere sul trono di Francia Gioacchino Murat, cognato dell’imperatore nonché re di Napoli, e che intrattenesse una relazione epistolare con il duca di Wellington, il futuro vincitore di Napoleone a Waterloo. Destituito dall’incarico di ministro della Polizia e nominato in seguito governatore delle Provincie Illiriche, nel 1813, dopo la sconfitta subita da Napoleone a Lipsia, rientrò a Parigi dove restò, tuttavia, poco tempo poiché l’imperatore, temendo che potesse tramare contro di lui, lo inviò a Napoli per convincere Murat a restare fedele all’Impero. La precauzione adottata da Napoleone fu, però, del tutto inutile, dal momento che Fouché divenne dapprima sostenitore, poi artefice dell’alleanza tra il Regno di Napoli e l’Impero austriaco. Nel 1814, dopo l’abdicazione di Napoleone, rientrò a Parigi appoggiando il ritorno in Francia dei Borboni nella persona del re Luigi XVIII mentre nel 1815 sostenne Napoleone nel suo fallito tentativo di ritornare sul trono francese costringendolo però poi all’abdicazione definitiva dopo la sconfitta di Waterloo. Riconfermato ministro della Polizia dal governo di Luigi XVIII ricoprì, tuttavia, solo per breve tempo la sua carica poiché venne condannato all’esilio perpetuo da una legge del 1816 che bandiva dalla Francia tutti coloro i quali durante la Rivoluzione avevano votato la pena di morte del re Luigi XVI. Respinto dalle corti europee presso cui aveva chiesto asilo politico a causa della fama alquanto sinistra che lo accompagnava, morì a Trieste all’età di sessantuno anni solo, povero e perdente, dal momento che in tutta la sua vita, nonostante gli sfolgoranti ed insieme foschi successi mietuti, non si era mai schierato stabilmente e palesemente da nessuna parte.

Un grande inventore

Joseph Fouché fu l’inventore della moderna Polizia e del moderno Stato di Polizia (il termine va inteso dal punto di vista organizzativo-difensivo, non da quello politico-giuridico) articolato in molti e complessi uffici, spesso nascosti sotto sigle anonime e dimesse e funzionante grazie a diversi fattori: l’abilità e la competenza dei suoi membri; il turpe, ma indispensabile commercio delle informazioni tra Stato e malavita; l’amministrazione cinica, ma anch’essa necessaria delle impunità; l’uso di risorse economiche e finanziarie segrete; la capacità di rendere manipolabile ogni prova ed annullare, all’occorrenza, anche il valore della verità: da allora nessun innocente non avrebbe mai più potuto contestare documenti che lo dichiaravano colpevole.
Fouché, in sostanza, inventò i moderni servizi segreti, le cui radici risiedevano non solo nel sistema di potere e di controllo da lui stesso creati, ma anche in una certa tradizione culturale e in un certo stile di vita tipicamente settecentesco, veneziano in particolare, testimoniato, tra le alte cose, dall’Histoire de ma vie di Giacomo Casanova. Fouché inserì una fittissima rete di agenti segreti in tutti gli ambienti della società francese dell’epoca: i suoi uomini e le sue donne, tutti comunque ricattatati o ricattabili, erano presenti in ogni giardino, in ogni caffè, in ogni locanda, in ogni salotto, in ogni alcova, in ogni battaglione, su ogni nave e tutto ciò che riuscivano a sapere veniva raccolto, catalogato e conservato in sterminati archivi dalla grande macchina dei verbali, delle relazioni, delle confidenze e anche delle delazioni. Oltre ad espletare efficacemente le sue funzioni di poliziotto e di agente segreto al servizio di padroni diversi, Fouché fece della raccolta e del possesso di migliaia di informazioni riservate il fulcro del suo potere personale: ciò lo rese desiderato e al tempo stesso temuto dai potenti e gli permise di conservare, pur nel mutare dei tempi, posizioni e ricchezze e di muoversi con disinvoltura in situazioni difficilissime, nondimeno accompagnato in tutto questo dalla sua grande intelligenza, dal suo fiuto finissimo e dal suo sangue freddo che, come abbiamo detto all’inizio, riusciva a mantenere in ogni circostanza.
Il sistema poliziesco creato da Joseph Fouché, una volta scomparso il suo inventore, venne adottato con successo da ogni Stato europeo, che poté così dotarsi di una sua forza di polizia per prevenire e reprimere reati di natura politica, tutelare l’ordine pubblico e, in tempi più vicini ai nostri, combattere il terrorismo politico e religioso nazionale e internazionale nonché contrastare l’eversione dell’ordine costituito ad opera di gruppi estremistici. Anche oggi, quindi, chi opera nell’ambito della sicurezza del proprio paese, ha, forse o sicuramente, l’obbligo di ringraziare monsieur Joseph Fouché.

 

 

Per saperne di più
F. Furet – D. Richet, La Rivoluzione francese, trad. it., Bari, 1974
A. Necci, Il diavolo zoppo e il suo compare. Talleyrand e Fouché o la politica del tradimento, Venezia, 2015
S. J. Woolf, Napoleone e la conquista dell’Europa, Roma, 1990
S. Zweig, Fouché. Ritratto di un uomo politico, Roma, 2013