Editoriale: Una sola buona notizia, la cultura è in cripta

di Paolo M. Di Stefano -

Monsignor Buzzi, il Cardinale Scola e il Prof. Ornaghi

Monsignor Buzzi, il Cardinale Scola e il Prof. Ornaghi durante la conferenza per la riapertura della cripta

Riaperta la cripta di San Sepolcro a Milano, dopo cinquanta anni di oblio. Una notizia eccezionale per la cultura del mondo intero: mille anni di storia sono tornati. Sotto la Chiesa di quella che è la Biblioteca più nota del mondo, l’Ambrosiana, con la sua ricchezza di documenti leonardeschi, ed uno dei Musei più importanti in assoluto; nel centro del cuore di Milano, là dove l’ordo e il cardo si incontrano da duemila anni; nel punto esatto nel quale l’economia, la politica e la fede trovarono, mille anni fa, quel comune modo di essere che ha fatto di Milano una capitale di civiltà e di sviluppo; in quella piazza che agli inizi del secolo scorso vide la nascita di un partito che tanta parte avrebbe avuto nella storia e nella rovina dell’Italia e dell’Europa, la cripta di San Sepolcro accoglie di nuovo i visitatori e riafferma quel legame tra la Ambrosiana e Milano fortemente voluto, a suo tempo, dal cardinale Federico Borromeo e ricostruito, oggi, dal Prefetto Monsignor Franco Buzzi e dalle Istituzioni della città non ostante tutto ancora guida del nostro Paese e legame con l’Europa.
In “cattedra”, qualcosa di più.
Qui soltanto una annotazione: mentre al mondo c’è chi si dedica alla distruzione sistematica del patrimonio culturale della umanità – e quindi anche del proprio – a Milano (e non solo, mi auguro) silenziosamente lavorano persone e istituzioni tese a “ricostruire e cementare” la cultura e la storia.

La settimana santa si è aperta con un attentato a Bruxelles, rivendicato dall’Isis, che ha provocato numerose vittime e che ha dimostrato come gli attentatori possano arrivare dove vogliono, come vogliono e quando vogliono.
Le parole, oggi, sembrano l’unica vera risorsa alla quale ricorrere per difendere e diffondere una civiltà, la nostra, che non solo è sotto attacco, ma che sembra precipitare sempre più velocemente verso il capolinea: i punti di debolezza sembrano aver preso il sopravvento su quelli di forza, e, se non in stato preagonico, la civiltà occidentale appare gravemente ammalata.
Di eccessi, soprattutto, e di incertezze. E sembra anche che nessuno sia in grado di prenderne atto.
A mio parere, la nostra cultura e la nostra civiltà sono vittime degli eccessi che l’hanno sostenuta fino ad oggi.
Tra questi: l’individualismo portato a sistema in economia come in politica: nei rapporti tra individui come in quelli tra le istituzioni e degli Stati tra di loro; il convincimento che democrazia e autorità (e ordine) siano inconciliabili; che la libertà degli individui comporti l’impossibilità di limiti, come se la libertà stessa non fosse proprio un problema di limiti; che la Politica possa vivere di praticaccia e di improvvisazione; che l’Economia giustifichi qualsiasi comportamento, a qualsiasi livello, purché crei profitto; che la cultura e dunque la formazione siano un optional; che il valore delle persone, delle istituzioni, degli Stati si stabilisca in base alla ricchezza ed alla forza di cui si dispone; che la debolezza e la miseria siano vizi dell’anima e del corpo, quando non veri e propri reati…
E soprattutto che ciò che conta è affermare e difendere i propri interessi e ricostruire esattamente come era quanto è in crisi.
Con una conseguenza ulteriore: la concreta impossibilità di dar vita a quella Europa Unita della quale da tempo si favoleggia, neppure quando si tratti della pura e semplice sopravvivenza o della sicurezza.
Ed è parte della esondazione di parole il rumore vacuo circa i vantaggi del lavorare insieme tra Stati che mettono in prima linea la volontà, peraltro non dichiarata apertamente, di non cedere tutta o parte della sovranità, condizione essenziale a tutti i livelli perché si possa “fare insieme”.

Il responsabile della Reggia di Caserta è stato accusato di lavorare troppo. Tutto da ridere, se non fosse un rigurgito della tragedia che alcuni sindacalisti sembra continuino imperterriti a recitare, alla ricerca di una visibilità a qualsiasi costo al fine di guadagnare (o almeno di non perdere) quel potere da cui dipende – purtroppo – una parte non trascurabile della soddisfazione di interessi assolutamente privati.
Che è un vecchio vizio italiano, il gabellare per “valore universale” o almeno “sociale” o anche “di categoria” qualcosa che è solo una banalissima argomentazione di vendita nel perseguimento di interessi propri. Chi lavora seriamente in genere mette in evidenza che il lavoro di alcuni degli altri è poco o insufficiente o entrambe le cose, e per questo va sanzionato: si rischierebbe, non condannandolo, di costringere “gli altri” a lavorare di più e anche meglio, forse.

La Turchia ha chiesto e ottenuto sei miliardi di euro. Pare. Assieme a qualche altro vantaggio non del tutto trascurabile. Sarebbe interessante riuscire a capire come questo sarà in grado di avviare una soluzione al problema dell’arrivo in Europa di migranti – per ragioni diverse, ma quasi tutte drammatiche – dai Paesi dell’Africa e di un oriente alle porte di casa.
Tutto quanto ciò di cui la stampa e gli altri mezzi di informazione favoleggiano troverebbe più facile soluzione – ed anche più economica e vantaggiosa per tutti – se i Paesi interessati si organizzassero per raccogliere le persone alla partenza e immetterle in un progetto di gestione della distribuzione territoriale entro i confini di quella che continua a non essere una Europa Unita, ed anche a rifiutarsi di diventarlo, in nome di interessi nazionali che dovrebbero essere ormai fuori del tempo.
Un atteggiamento che costa migliaia di vite umane. Tra queste, centinaia appartengono a bambini.
Ed una soluzione – più che precaria – quella turca, che implica costi ingentissimi per decisioni e comportamenti del tutto eventuali, precari e inefficaci.

In vista delle amministrative ormai imminenti, i Partiti non hanno perso occasione di dimostrare come gli interessi del partito e – al suo interno – quelli di alcuni personaggi siano sempre e comunque prioritari rispetto a quelli di una “generalità” che pare ormai divenuta pura espressione lessicale, senza altro contenuto se non quello di strumento per la conquista del potere necessario alla bisogna.
In realtà, sembra che non esistano, nel nostro Paese – che vanta una antica e grande civiltà e dunque anche una antica e grande cultura – persone in grado di amministrare i Comuni. Dunque, i Partiti non possono che fare ricorso a compromessi, alla scelta di quello che, almeno a loro parere, è il meno peggio.
Con questo in più: lanciarsi nella opposizione aprioristica ai candidati degli altri ed ai metodi di scelta.
È lo sport preferito dei Partiti tra di loro e, all’interno di ciascuna formazione, tra le diverse fazioni. Facilissimo: copione già scritto ed eseguito da sempre. Ma in Italia e in Politica sembra non esistere più neppure l’improvvisazione di quella commedia dell’arte che pure riusciva a raggiungere risultati qualitativi tutt’altro c he trascurabili. Eppure, tutto si può dire meno che la politica non sia espressione di improvvisazione: indiscutibilmente lo è, ma della peggiore specie.
E c’è chi si stupisce della permanenza al potere dell’attuale Presidente del Consiglio!
Espressione – non so quanto conscia e volontaria – di quella che viene comunemente indicata come “la vecchia Democrazia Cristiana”, beninteso sotto mentite spoglie, il PD ne imita i comportamenti senza averne la “cultura” e, soprattutto, essendo carente di uomini politici degni di questa qualifica. Salvo rare, rarissime eccezioni, rimaste con quel “potere della cultura e della professionalità” che in Politica non paga certamente più.
Né più né meno di quanto accade per le persone educate al rispetto per gli altri, ed alla democrazia di fronte all’autoritarismo spinto e non di rado criminale.
Se il ricambio al potere è espresso dai leader attuali, perché cercare una ragione diversa al successo del Presidente del Consiglio? Nel bene e nel male, è il meno peggio; non c’è alternativa, all’orizzonte.
E se si dovesse prendere atto che non c’è più neppure un qualsiasi orizzonte?

Il Made in Italy è tornato alla ribalta, condito al pomodoro! I coltivatori italiani sono in rivolta perché l’Europa ha aperto le frontiere ai pomodori prodotti fuori dall’Unione. Costano molto meno di quelli prodotti in Italia, e dunque da noi si teme un crollo dei prezzi. Che ci narra ancora una volta dei rapporti distorti tra Politica ed Economia con in più della necessità di cambiare molte cose in un sistema economico che è giunto al capolinea e che noi tutti commettiamo l’errore di voler vivificare.
Se veramente esistono differenze tra le varietà dei pomodori – come degli olivi e degli oli di oliva (per non citare altre culture, pure importanti per la nostra economia) – il problema eventualmente si pone sulla capacità di “vendere” queste differenze al consumatore finale, in una con quella di garantire ai produttori un margini accettabile di guadagno.
Il Made in Italy null’altro è se non la sintesi di questi elementi: reale esistenza di una differenza organolettica ed eventualmente tecnologica; cultura della gestione degli scambi relativi ad ogni prodotto; cultura della produzione; cultura della distribuzione; cultura della comunicazione; cultura del consumo.
Fintanto che noi faremo del prezzo più basso la prima tra le argomentazioni di vendita…
Un significato reale, concreto, il Made in Italy non potrà che riscontrarlo nel momento in cui il consumatore sarà disponibile all’acquisto a prezzo superiore, perché lo ritiene giusto, adeguato alle caratteristiche del prodotto, a sua volta in grado di rispondere alla soddisfazione del bisogno di base.
A proposito: il Made in Italy è un marchio che indica una provenienza da una nazione sovrana e dunque in competizione soprattutto economica con tutte le altre, oppure un marchio regionale europeo, e dunque appartenente all’Europa prima ancora che all’Italia?
Per intenderci, banalmente: il cannolo alla siciliana – made in Sicily – è un marchio italiano oppure appartiene a quello stato sovrano chiamato Sicilia?

In Spagna, studentesse Erasmus sono rimaste vittime di un incidente stradale provocato, sembra, da un colpo di sonno o da un malore improvviso dell’autista del pullman sul quale viaggiavano verso Barcellona. Vorrei solo poter dare alle famiglie quel minimo di conforto che una consapevole solidarietà comporta. Quelle giovani hanno raggiunto il Grande Cantiere nel quale si producono idee e creatività nel continuo processo della Creazione. Ognuna di loro contribuirà realizzando al meglio il proprio sogno, quello stesso per concretizzare il quale hanno studiato. E per questo sarà felice. E ognuna di loro vivrà nel cuore dei genitori, e la loro presenza sarà di continuo stimolo a migliorare se stessi.
E forse non a caso tutto è successo a Pasqua, giorno della rinascita, del ritorno ad una vita fatta di conoscenza globale e di partecipazione alla creazione continua, infinita.
Quelle nostre figlie sono dentro di noi, e ci accompagneranno per il resto dei nostri giorni e saranno loro a venirci a prendere, quando sarà il momento.