Editoriale: Terrorismo e nazionalismo, e se fossero due facce d’una stessa medaglia?

di Paolo M. Di Stefano -

I terroristi hanno vinto. A fine Gennaio ne abbiamo avuto conferma. Sarebbe comico, se non fosse tragico: Stazione Termini in preda al panico; viaggiatori in qualche modo evacuati, immagino a forza di ordini dagli altoparlanti a tutto volume; forze armate in azione, mitra imbracciati e perentori inviti ad allontanarsi. Un pizzaiolo di Anagni aveva acquistato un fucile giocattolo per il suo bambino di nove anni. E a Termini ha preso il treno per tornare a casa. Una signora lo ha visto ed ha chiamato la Polizia che è ovviamente intervenuta prontamente, come suol dirsi.
Che è qualcosa di veramente preoccupante. Significa che la strategia del terrore funziona e che coloro che la utilizzano ai propri fini hanno fatto la scelta pagante. Non giusta, forse, e neppure etica, e neanche legale, ma efficace questo sì. Vivere nell’ansia e nella paura significa isolarsi sempre di più dalla comunità, cercare di non essere implicati negli eventi che non ci toccano direttamente e, se quanto accade dovesse mettere la nostra persona al centro, essere disposti a rinunziare a qualcosa a vantaggio del prepotente di turno. Significa un colpo mortale alla civiltà della quale ci vantiamo e nella quale viviamo.
Che è anche, però, la civiltà dell’individualismo esasperato, del profitto ad ogni costo e quindi anche del terreno fertile per quella violenza fisica ch’era rimasto il solo confine invalicabile almeno nel mondo delle così dette civiltà avanzate, che si vantano di escludere le mafie a forza di leggi, ma che questo fanno dimenticando che le mafie e il terrorismo non sono qualcosa di estraneo alla “civiltà”, bensì soltanto cose “proibite” e dunque punite.
Se scoperte e, soprattutto, se non vincenti.
Perché in questo caso – mafie e terrorismo vincente – il diritto cambierebbe faccia, rendendo legale quanto ha costituito la sorgente della vittoria.
Uno spaventoso arretramento della storia della civiltà.

Tra le cause dell’arretramento della civiltà gennaio ha confermato l’effetto perverso della unione della cretineria del singolo con l’abitudine generalizzata allo scaricabarile. Non c’è dubbio che la visita in Italia del Presidente di un Paese per noi importante anche (siamo sicuri che non sia soprattutto?) per ragioni economiche costituisca un evento degno della massima attenzione e dunque da organizzarsi con cura estrema, magari da parte di specialisti. Ma che questo si spinga fino all’imballare le sculture secolari per sottrarre la vista dei nudi femminili – in pieno duemilasedici! – credo sia francamente inammissibile: significa rinunciare per danaro a secoli di cammino verso la parità dei sessi e, sempre per danaro, a dare quanto meno del primitivo all’ospite illustre, ritenuto ovviamente incapace di distinguere tra un’opera d’arte e la blasfemia gratuita. Io credo che nel suo intimo quel Presidente si sia sentito offeso. E credo anche che abbia capito e apprezzato, invece, il comportamento dei francesi i quali, pur sapendo del divieto imposto all’ospite dalla sua religione circa il vino, non hanno rinunciato alle tradizioni della loro gastronomia. Liberissimo, ovviamente, l’ospite di non bere vino, gradendo le bevande alternative certamente offerte al suo posto.
Che significa anche: i francesi non hanno rinunciato ad una delle loro eccellenze – il vino, appunto – che concorre alla immagine della Francia nel mondo; noi italiani, abbiamo servilmente inscatolato e rese invisibili le sculture la cui presenza concorre in modo determinante a costruire l’immagine dell’Italia nel mondo quale paese ricco di opere d’arte.
Bel colpo!

Un’Audi gialla targata Canton Ticino ha seminato il panico sulle strade del Veneto. Lanciata a duecentosessanta chilometri l’ora, dicono, contromano sull’autostrada. Si è pensato a tre albanesi, a bordo. Ma uno di quelli, identificato, era a Torino, non c’entrava niente, si è presentato spontaneamente alla Polizia e pare che non avesse il permesso di soggiorno. Si è subito parlato di rimpatrio.
Il fatto è da segnalarsi per una sorta di interesse oggettivo, e per questo (o anche per questo) è divenuto notizia, cavalcato dai mezzi di comunicazione. Mi ha ricordato di quando, giovane giornalista in una redazione di provincia del “Giornale del Mattino” di Firenze, hanno tentato di insegnarmi a “montare la notizia”. E proprio questa memoria ha riportato a galla la mia idea che invece, se ignorato, probabilmente il fatto, intanto, non sarebbe diventato notizia, e, poi, questa non avrebbe spinto i protagonisti ad ulteriori bravate alla ricerca di una notorietà a loro avviso eccitante e avrebbe consentito, forse, la loro cattura.
Ora è solo rimasta l’idea – per quanto ne so non confermata – che i delinquenti fossero albanesi e probabilmente clandestini.
Con una annotazione: quei tre non cercavano notorietà personale. Per loro, era importante fare qualcosa di oggettivamente eclatante e dimostrare a se stessi di essere in grado di farsi beffe delle forze dell’ordine.

Che Schengen sia diventato uno dei lemmi più orecchiati in Italia a me pare incontrovertibile. E anche se da più di qualcuno mi sono sentito chiedere “chi” fosse Schengen, tutti, senza eccezione, sembrano associare il nome della località lussemburghese al confine tra Francia e Germania al trattato sulla libera circolazione tra i nostri Paesi ed al flusso migratorio che ha investito l’Europa e che sembra essere in continuo aumento, con conseguenze troppo spesso drammatiche e certamente non trascurabili.
A me sembra che il pensare che limitare o abolire – per qualche tempo soltanto o per sempre – la libera circolazione all’interno del fantasma Europa al fine di regolamentare, limitare e forse cancellare l’arrivo e l’accoglienza dei migranti sia una pura illusione, neppure pia. E forse, nemmeno intelligente più che tanto. Da nessun punto di vista.
Non servirebbe alla identificazione ed alla classificazione di coloro che si presentano ai confini: il fenomeno della clandestinità continuerebbe ad esistere, facendosi, anzi, più furbo e dunque ancor meno controllabile.
Non servirebbe alla lotta (alla partenza, al viaggio, all’arrivo ed al trasferimento dei profughi) contro le mafie diverse, le quali hanno sempre dimostrato di essere in grado di realizzare profitti importanti quali che siano le leggi da aggirare.
Non servirebbe ad alleviare le sofferenze di coloro che fuggono: al contrario, rendendo più rischiosa l’attività degli operatori, per i profughi aumenterebbero a dismisura i costi ed i pericoli.
Non servirebbe a rendere meno oneroso il pattugliamento delle coste e l’attività di soccorso da parte dei Paesi di arrivo, tra i quali il nostro.
Non servirebbe a diminuire i costi relativi alla accoglienza, alla identificazione, al mantenimento e al trasferimento di coloro che riescono ad approdare.
Non servirebbe assolutamente a niente.

Sospendere Schengen un vantaggio comunque lo avrebbe: dimostrare senza ombra di dubbio che l’Europa null’altro è se non un fantasma, una pura fantasia scaturita dalla mente “diversa” di pochi, e che, in quanto tale, non esiste, non è mai esistita. È solo una ulteriore occasione per alcuni di realizzare maggiori e più facili profitti a livello nazionale ed internazionale.
Il saperlo e il prenderne atto potrebbe costituire una interessante lezione per i nostri Politici, almeno per quei pochi che hanno veramente a cuore gli interessi della società degli uomini.
Con una nota a margine non secondaria: finché avremo una Politica che parla e agisce in nome e per conto degli interessi di un singolo Stato, non ne usciremo.

Di una possibile soluzione ai problemi (forse non a tutti, ma ad una buona parte certamente) creati dalla “invasione” dei disperati e dalle mafie organizzatrici abbiamo più volte scritto in queste pagine. Nel solo 2015, ce ne siamo occupati almeno in sette occasioni, anche delineando un possibile piano risolutivo: organizzare il viaggio dei migranti mettendo a disposizione navi ed eventualmente aerei, anche “privati”, gestendo l’imbarco, il viaggio, lo sbarco, lo smistamento all’arrivo verso i centri di accoglienza prima e verso i Paesi di destinazione finale poi. E questo, anche non a titolo gratuito, che sarà sempre meglio che spogliare i profughi degli averi portati all’arrivo e sempre meno oneroso per chi parte, se non diventeremo mafia noi stessi.
Che ancora una volta offre uno spunto di meditazione importante: persino Paesi che si vantano di una avanzata civiltà si uniscono alle mafie di ogni tipo nel sottrarre ai profughi i pochi spiccioli rimasti, in nome di un rimborso parziale delle spese sostenute per accoglierli.
Che unito alla costruzione di muri e di barriere di filo spinato descrive una civiltà talmente avanzata da aver compiuto un balzo indietro di secoli.

Gennaio è stato anche mese di morti: migliaia di persone, soprattutto (sembra) donne e bambini, hanno perso e perdono la vita nel Mediterraneo, ormai divenuto un grande cimitero; poi, di centinaia di migliaia di disperati che cercano una via di uscita dalla insicurezza e dalla fame, almeno per loro divenute caratteristiche dei Paesi di origine; e ancora, di diffidenza e di timore da parte degli autoctoni dei Paesi di arrivo, anche preoccupati dei risvolti economici e sociali che l’accoglienza offerta – sia pure “obtorto collo” e per quanto precaria e miserevole – comporta; infine, la tendenza a generalizzare a fronte di atti di delinquenza, sia nel senso di attribuirli in massima parte ai migranti, sia nel senso di ritenere questi in genere portati a commettere reati compiuti da pochi.
La notte di Capodanno a Colonia e non solo (assolutamente ingiustificabile: alcuni individui hanno infastidito pesantemente signore desiderose solo di festeggiare l’anno nuovo) è stata, da questo punto di vista, esemplare: tutti gli immigrati sono divenuti violentatori seriali ed istituzionali. E tra immigrati più o meno clandestini e terroristi più o meno improvvisati, a fine gennaio si è provveduto a cercare di evitare spiacevoli episodi in occasione del carnevale. In piazza San Marco, pare si possa entrare soltanto attraverso appositi varchi sorvegliati e a volto scoperto. Non so cosa è previsto nelle altre località italiane: forse nulla o forse troppo o troppo poco. Certo, c’è chi cavalca la paura degli immigrati e la generalizzazione anche verso il terrorismo.
E forse anche per questo, gennaio si è svolto sull’affermazione che è divenuta ineluttabile e urgente la necessità di intensificare i controlli e di chiudere i confini.
Con buona pace di una Europa che poco o nulla ha fatto, oltre il realizzare la libera circolazione delle persone e delle merci: il trattato di Schengen, appunto.

A Milano, la destra franco-italiana è stata civilmente ospitata – grande, Milano! – per sproloquiare sulla opportunità di cancellare Schengen, di prendere atto che l’Europa non esiste, di cancellare l’euro fonte di tutti i mali, di cacciare i rifugiati, di rafforzare i controlli ai confini dei singoli Stati.
L’Europa non decollerà mai finché non si prenderà atto che gli Stati membri devono cedere sovranità alla entità superstatale chiamata Europa, appunto. E l’Europa non può non costituirsi, in nome di quella unità che, sola, è in grado di garantire l’evolversi della cultura e della civiltà degli Stati membri. Azioni come quelle di fine gennaio possono essere tollerate in nome della libertà di opinione e di espressione, ma devono a mio parere essere combattute in ogni modo e sempre e ovunque. È ora di prendere atto che il nazionalismo è pura espressione di un individualismo riferito alla “persona Stato”, e che con l’individualismo e il nazionalismo si perpetuano tutti i mali del sistema economico e le conseguenti debolezze del diritto e dell’etica.
E della Politica, ovviamente, che di tutto questo dovrebbe essere responsabile, provvedendo ad indirizzare l’economia e il diritto verso la gestione della cosa pubblica al fine di soddisfare bisogni pubblici e dunque di una Politica che abbia quale punto di riferimento “la società umana” nella sua interezza.

Il vigile in mutande sorpreso mentre strisciava il badge dovrebbe essere premiato, non licenziato (come pare sia accaduto a gennaio). Uno che pur di esser presente non si preoccupa dell’abbigliamento merita il rispetto di tutti: è qualcuno che bada alla sostanza delle cose, e le spoglia di ogni e qualsiasi orpello. Forse il senso sarebbe stato più evidente se il vigile fosse stato nudo: mantenendo le mutande, ha dimostrato di non essersi liberato di tutte le convenzioni che avvelenano il cosiddetto “vivere civile”, e quindi di avere ancora della strada da compiere sulla via della libertà.

Gennaio è stato anche il mese delle coppie di fatto e dei diritti degli omosessuali. Un vecchissimo aneddoto narra di un predicatore – bravissimo e noto per la profondità della sua cultura e per la chiarezza della sua esposizione – chiamato a tenere un sermone in occasione della Quaresima. Non essendosi preparato, esordì così: “sono sicuro che non ricordate quanto ho detto da questo pulpito l’anno scorso. Perciò, lo ripeto.”
Lo faccio anche io. Sono sicuro che nessuno ricordi quanto ho scritto nell’ormai lontano 2003, per cui lo riporto in “cattedra”. In qualche parte non ho resistito alla tentazione di aggiornare il testo datato. Ma soprattutto, scrivo pensieri in libertà, meditazioni forse anche scorrette, poco informate, distratte, nella speranza che chi le legge sia spinto a pensare anch’egli, a correggere i miei errori, ad elaborare qualcosa di concreto e praticabile non basato su affermazioni di principio spesso lontane dalla realtà, quasi sempre incuranti del futuro.