Editoriale: Problemi forse falsi e soluzioni almeno discutibili

di Paolo Maria di Stefano -

Gerusalemme capitale di Israele ha avuto spazio non trascurabile nelle (dotte, disinteressate, storicamente fondate, religiose, economiche, sociologiche e politiche) disquisizioni a tutti i livelli, ONU compreso. Questa ultima ha respinto (sembra) l’azione di Trump bollandola come inopportuna se non illegittima. Per i Paesi democraticamente chiamati ad esprimersi e che hanno espresso voto contrario all’iniziativa, sembra sia stata chiaramente pronunciata una minaccia da parte dell’ambasciatrice USA all’ONU. Qualcuno si è scandalizzato. Ma quel qualcuno ha dimenticato (forse) che per molti (troppi) anche minacciare reazioni contro chi non è d’accordo è manifestazione di libertà e democrazia. E che gli Stati Uniti di Trump viaggino velocemente verso la realizzazione di una piena democrazia senza limiti alla libertà è un fatto. O no?
Io continuo a credere che l’esistenza di due stati sovrani (secondo me, necessaria, doverosa, etica) anche se realizzata con l’accordo del mondo intero (cosa quanto meno poco probabile) ed anche se caldeggiata, proprio in chiusura dell’anno, dal Papa non risolverebbe il problema di Gerusalemme, che rimarrebbe capitale contesa e, se e quando divisa, in equilibrio certamente instabile. E allora, non sarebbe meglio, più concreto e fattibile, fare di Gerusalemme la capitale di uno Stato dello Spirito, comune almeno alle religioni monoteiste (Ebraismo, Cristianesimo, Islamismo) che oggi se la contendono? Territorio, la città di Gerusalemme; struttura, quella di “entità al servizio alle fedi” (un po’ come la città del Vaticano); gestione, a turno affidata a cristiani, musulmani, ebrei (diciamo tre anni ciascuno); oppure (o anche) ai Capi delle tre religioni in diretta derivazione della carica occupata, “in seduta perenne”; assolutamente disarmata e sotto la supervisione “secolare” dell’ONU.

Sempre che l’ONU continui ad esistere, dopo il taglio dei fondi che gli Stati Uniti, nella persona del presidente Trump, hanno annunziato.
A tal proposito, è proprio inevitabile che il mondo intero debba subire il ricatto di Trump? Non si potrebbe cominciare a pensare ad una sede diversa dalla attuale, magari anche cogliendo l’occasione per rivederne l’organizzazione e la struttura al fine di correggere ciò che non va?
E non si potrebbe pensare addirittura ad una Gerusalemme Stato dello Spirito e della Pace, sede anche dell’ONU?
Follia? Ne siamo proprio certi?

Andiamo al quisibeve a prendere un ardenze è una espressione che alcuni – ormai vecchi e praticamente inutili perché rimbambiti – ricordano, assieme alla italianizzazione forzata dei cognomi di origine slovena e croata (soprattutto) e dei toponimi e, anche di lemmi quali Bar, opportunamente cambiato in mescita e, in omaggio alla democrazia, anche in “quisibeve” e quell’ “ardenze” chiamato a sostituire Brandy o Whisky assieme ad acquavite, mentre cocktail ebbe l’esaltante onore di entrare nel mondo della poesia ribattezzato “bevanda arlecchina”. E non va trascurata la circostanza che all’operazione contribuirono intellettuali e scrittori quali Gabriele d’Annunzio, al quale si deve il lemma “ardenze”, e Giovanni Gentile tra gli altri. Dunque, la ristrutturazione della lingua italiana fu condotta con la massima serietà, tanto che alcuni termini sono tuttora in uso. Tramezzino è uno di questi.
Naturalmente il linguista e storico Donald Trump non poteva non ricordare gli straordinari successi delle revisioni linguistiche in genere e di quella operata in Italia dal regine fascista in particolare. Ed eccolo, allora, proibire “l’uso di sette termini nei documenti ufficiali in materia di sanità: feto, transgender, diversità, vulnerabile, diritto, supportato da prove scientifiche, basato sulla scienza”. Ho citato da un articolo di Giuseppe Sarcina, corrispondente del Corriere della sera, apparso il 17 dicembre: leggetelo, se appena vi è possibile. E’ di una chiarezza esemplare. Un solo appunto: il giornalista non fa cenno alcuno alla coerenza del Presidente il quale è profondamente convinto di essere il solo a poter decidere su ogni materia, di avere il diritto di farlo perché dotato della preparazione culturale necessaria.
Che è esattamente la posizione di un “bravo” imprenditore: sapere di essere l’unico a saper gestire il tipo di affari di cui si occupa, e dunque giustamente colui che meglio è in grado di preparare il terreno perché la concorrenza non sia in grado di nuocere.
E poi: il modificare le lingue fino a confonderle non è prerogativa divina?

Le spoglie di Vittorio Emanuele III sono tornate a bordo di un aereo militare, e tumulate assieme a quelle della regina Elena nel Santuario di Vicoforte, nel cuneese.
Ed è stata subito polemica, nei meandri della quale io non intendo entrare se non per ricordare che Vittorio Emanuele III è stato re d’Italia per quaranta anni e che qualsiasi possa essere il giudizio sul suo comportamento e il suo regno una cosa è certa: la storia non si cancella abbattendo statue, distruggendo archivi, bruciando scritti o negando sepolture. E non si fa, la storia, ad appena settanta dalla morte di un protagonista: troppo breve il tempo per trasformare la cronaca, con tutti i suoi umori, in quel freddo racconto che è la storia, sola garanzia di possibile oggettività. Quale che sia il giudizio sull’uomo e sul sovrano, Vittorio Emanuele III, Re d’Italia e dell’Italia nel bene e nel male costruttore della Storia ha diritto ad essere sepolto in Patria. Né è a mio parere ammissibile che una parte del popolo italiano possa vendicare i torti subiti negando all’autore diretto o mediato di questi una tomba nella terra che lo vide certamente sbagliare, non ribellandosi alla volontà degli eroi da fumetti che detenevano il vero potere e lo utilizzavano con gli effetti che tutti conosciamo.
Quanto alle pretese della famiglia di una sepoltura al Pantheon, non conosco e non ho intenzione di approfondire le leggi in materia. Io credo che la cosa più importante sia che tra i danni che a Vittorio Emanuele III sono imputati per responsabilità oggettiva certamente, per incapacità personale forse, c’è anche quello di una immagine negativa proiettata sulla discendenza diretta, ad accrescere la quale, peraltro, sembra abbiano contribuito tutti i membri della famiglia, con la sola eccezione del figlio Umberto, Re per un mese soltanto, morto in esilio a Ginevra e sepolto nell’abbazia di Hautecombe, a Saint Pierre de Curtille, in Francia. A proposito di che, se fosse vero che i regnanti d’Italia hanno diritto ad essere sepolti al Pantheon, perché Umberto II, ultimo re d’Italia, è ad Hautecombe? E se il diritto esiste, credo che lo Stato italiano non debba farsi condizionare dalle opinioni di quella parte della popolazione che, perché ebrea, ha subito le persecuzioni nazi-fasciste, peraltro non sola.
Che non è affermazione di antisemitismo, ma tentativo di corretta visione della Storia.
Quanto alla polemica sull’uso di un aereo militare per il trasferimento della salma da Alessandria d’Egitto, siamo sicuri che lo Stato italiano non possa (debba?) addebitarne i costi alla famiglia? E siamo sicuri che i Savoia non sentano il dovere di rimborsare lo Stato di quelle spese? Cosa, questa, che tra l’altro in qualche modo potrebbe migliorare l’immagine deteriorata del casato, il più antico d’Europa.

Il serbo che si faceva chiamare (anche) Igor il russo è stato arrestato in Spagna dove, se non vado errato, ha commesso tre omicidi. Tanto per mantenersi in esercizio. E subito. si dice abbia chiesto di essere estradato in Italia. Cosa, questa, che mi ricorda una antica barzelletta sulle possibilità, dei condannati all’inferno, di scegliere tra quello di tipo francese, quello di tipo tedesco e quello di tipo italiano. Tutti scelgono quest’ ultimo, e per una ragione precisa: la certezza che comunque una volta sarebbe mancata la pinza per strappare le unghie; un’altra, il martello per picchiare sui denti: un’altra ancora, la corda per sospendere i dannati per i testicoli non sarebbe stata a disposizione, oppure si sarebbe fermato tutto per uno sciopero.

La Catalogna due giorni prima di Natale ha votato per l’indipendenza e dunque per il distacco dalla Spagna. Almeno, così sembra perché a quanto si legge e si sente, il partito più importante è costituito da coloro i quali, invece, con la Spagna intendono rimanere, ma non hanno conquistato i seggi e quindi il potere necessari. Scherzi della Politica e della lotta per il potere. Io continuo a pensare che gli indipendentisti siano antistorici (oltre a tutto il resto) e che proprio per questo costituiscano una grave minaccia. Per la Spagna e per l’Europa (e per il mondo, anche).
E ben fa, l’Europa, a non prendere in considerazione più che tanto quei “pezzi di Stato” che mirano a diventare Stati sovrani.
E a me resta anche quanto meno nebulosa la proposta di Puigdemont di una “mediazione internazionale con Madrid”, che l’Unione Europea dovrebbe favorire: ma l’espressione (l’attributo) “internazionale” non dovrebbe avere come riferimento “Stati Sovrani” in conflitto di interessi? Qui, c’è un solo Stato sovrano, la Spagna, ed è un momento storico in cui le nozioni di Stato e di Nazione tendono a coincidere, non fosse altro che nel comune interesse.

Per fortuna esiste l’Austria, nazione e Stato cui la creatività non manca. E’ sempre alla chiusura dell’anno che il Paese dei Bach e degli Strauss ha fatto la pensata di concedere il passaporto ai cittadini di lingua tedesca oggi parte integrante di Stati confinanti. Italia in testa. Voglio credere, per puro calcolo di politica spicciola. Oppure – o anche – per indurre i cittadini a meditare sulla discrasia esistente tra una Europa che non emette passaporti, limitandosi ad indicare possibili eguaglianze formali, e il concetto stesso di Europa.
Io credo che l’Unione dovrebbe decidersi ad intervenire radicalmente: i suoi membri (gli Stati) dovrebbero cedere il “potere di rilasciare passaporti” all’Unione, anche perché tra gli Stati membri il documento non è necessario, mentre lo è per uscire dall’Europa.
O no?