Editoriale: Una primavera di morte, fisica e della cultura, e di agonia della politica. Che cosa vogliamo di più?

di Paolo M. Di Stefano -

Aprile. Nel mondo accade di tutto, e si tratta quasi sempre di tragedie immani, alle quali non sembra sia possibile rimediare. Katmandu distrutta da un terremoto conta fino al momento in cui inizio a scrivere circa cinquemila morti, apprestandosi ad aggiungerne molti altri e, probabilmente, a dover riconoscere che non sarà possibile disporre del numero definitivo delle vittime. Nel frattempo, dichiara la propria impossibilità di soccorrere i sopravvissuti: manca tutto, dalle risorse alla organizzazione.
I terroristi proseguono nell’attuazione dei programmi di semina di insicurezza e paura, anche costringendo i nostri Paesi ad impegnare risorse ingenti nel cercar di garantire almeno un minimo di sicurezza; migliaia di persone fuggono dai Paesi di origine per raggiungere quell’ Italia che per loro è un Eldorado, e moltissime invece di una vita migliore e di un po’ di pace trovano la morte nel Mediterraneo, e forse una pace eterna; siamo probabilmente nel pieno di una terza guerra mondiale, atipica ma che appare non meno disastrosa delle altre due.
La Grecia, si dice, è molto vicina al fallimento, e parlare di default non è particolarmente consolante: fa soltanto più scena. Se dovesse fallire, le conseguenze per tutti noi “europei” sono difficilmente prevedibili. Sono quasi certo che non avverrà, il fallimento, e neppure l’uscita dall’euro. La Politica ed i politici in questo sembrano dimostrare saldezza e coerenza assoluta: sarebbe contrario ai loro interessi, personali e di partito. E poi, che gli aiuti ai nostri “fratelli di cultura” possano essere portati dalla Russia è troppo forte.

E noi che facciamo?

Continuiamo a sopportare che il calcio si confermi luogo e motivo di disordini, di violenze, di maleducazione e di imbecillità. Persino la Juventus – che qualcuno indica come “la” Signora – è rimasta nella rete della violenza, a Torino, in occasione del derby. E pare abbia partecipato attivamente con il lancio di una bomba carta. Sono in corso il riconoscimento e la denunzia dei colpevoli. Come se non bastasse, e tanto per confermare che la violenza nel calcio non ha ormai più limite, nel sottopassaggio dello stadio di Bergamo sono volate minacce di morte e cazzotti, autori due calciatori. E la lista non è completa. Se poi si ricorre alla storia…
Io credo – e ripeto – che l’abitudine italiana di giustificare e minimizzare e dimenticare debba assolutamente esser cancellata. La violenza degli “ultras” fuori e dentro gli stadi è purtroppo il segno dell’imbarbarimento della civiltà, del trionfo della ignoranza e della imbecillità. E della degenerazione dello sport a pura faccenda di affari milionari. E non importa se si tratta di una minoranza becera: occorre impedire che il fenomeno si ripeta e costringere i cosiddetti tifosi a frequentare corsi di educazione privata e pubblica. Non hanno tempo per partecipare, magari perché lavorano o studiano o devono pensare alla famiglia? Bene: le tre ore circa che ogni settimana si dedicano alla partita (al netto del tempo di trasferimento agli stadi) e le altre ore che si trascorrono davanti alla televisione e alla radio per assistere agli eventi, alle discussioni, ai commenti possono esser dedicate a “corsi di educazione sportiva e di comportamento negli stadi”. La frequenza si concluderebbe con un attestato il cui possesso diverrebbe condizione essenziale per ottenere la possibilità di acquistare i biglietti e di entrare negli stadi.
Basta bloccare il campionato.
Tra l’altro, forse ne beneficerebbe anche il lavoro, con il progressivo esaurirsi delle (ora) interminabili conferenze al vertice del lunedì e del venerdì davanti alla macchina del caffè.
E non è detto che il traffico cittadino non ne tragga beneficio anch’esso.

La soluzione dei problemi economici del nostro Paese é talmente semplice ed evidente da sfuggire alla nostra attenzione: basta copiare gli americani. Questo pare abbia affermato il Presidente del Consiglio al ritorno dal suo viaggio negli Usa dove ha incontrato Obama.
Personalmente, intanto avrei bisogno di una conferma: ma non è stato – copiare gli americani – il nostro atteggiamento creativo in economia da secoli a questa parte? Perché se così fosse, e se veramente la soluzione sta nell’imitare gli Stati Uniti, una considerazione si impone: quando abbiamo copiato, lo abbiamo fatto male.
Non abbiamo saputo nemmeno copiare, e dobbiamo quindi imparare a farlo. Che significa: si impone una formazione culturale alla gestione dell’economia che deve rivolgersi agli imprenditori, ai docenti, ai politici ed ai consumatori ed utilizzatori. In una parola, a tutti, senza distinzione di sorta.
E si badi bene: che non abbiamo saputo copiare è sotto gli occhi di tutti. Basta porre un minimo di attenzione a che cosa si insegna ed a chi lo fa quando nelle nostre Università e nei corsi di specializzazione si parla di marketing, per esempio, e di gestione d’impresa: perché non svolgiamo una ricerca che racconti le esperienze, la carriera e le pubblicazioni dei “docenti” di marketing e gestione d’impresa?
Di più: se veramente il Presidente del Consiglio ha suggerito di “copiare gli americani”, io credo che dovremmo preoccuparci e non poco. Gli americani si muovono all’interno del sistema economico capitalista e liberista, e lo fanno con la forza di cui dispongono. Dunque, sfruttano le ultime luci di una economia basata sulla affermazione dei più forti sui più deboli e quindi del divario crescente tra i detentori delle ricchezze e tutti gli altri i quali, comunque, quelle ricchezze concorrono a produrre.
Con questo in più: che il sistema è quello che ha inventato i derivati e dunque l’utilizzo del gioco d’azzardo al fine di consentire alle banche ed a chi su queste lucra di appropriarsi del danaro pubblico a condizioni che proprio le banche stabiliscono. E per quanto riguarda l’Italia, la trasmissione Report del 26 aprile, come al solito magistralmente condotta dalla Gabanelli, è stata più che illuminante: di fronte alla finanza, alla sua economia e all’arricchirsi di pochi a spese dei molti le coscienze si acquietano e le carriere arrivano a vertici di ricchezza e di potere.
Ma torniamo al Presidente del Consiglio ed al suo concetto di economia.
Dicevamo che in fondo il Presidente afferma di non avere soluzioni diverse, innovative, creative e di non essere in grado, per questo, di modificare il sistema attuale.
E la modifica del sistema è la sola via di uscita.

L’EXPO si è appena aperta, e già questo è un successo non trascurabile. Milano è stata un cantiere ad ogni angolo, e molte cose sono state rimodernate, abbellite, ristrutturate. A fine aprile, è stata inaugurata la nuova Darsena, e Milano sembra aver riconquistato un porto che è certamente più importante di quanto la gente non pensi. E con il porto, ha conquistato una vera e propria spiaggia cittadina. Tutta la città ha moltiplicato la velocità del suo ritmo proverbiale, pur di fare in tempo. Si è lavorato giorno e notte e… l’esposizione è stata inaugurata. A dispetto di tutto e di tutti. Come è sempre accaduto, qualcosa non è perfettamente a posto e bisognerà lavorare ancora perché tutto sia come previsto, ma si tratta di dettagli e comunque è sempre stato così, da che esistono le fiere, le mostre, le esposizioni di ogni genere e dimensione.
Il numero di espositori mi dicono sia un record e il successo di visitatori sembra assicurato: pare siano stati venduti alcuni milioni di biglietti.
Ancora una volta, Milano ha confermato d’essere un gran Milan!
Resta da scoprire quali proposte innovative usciranno dai padiglioni, ma non esiste dubbio che saranno molte e forse anche stupefacenti.
EXPO innovativa e motivante, dunque, alla quale credo tutti noi non possiamo che augurare il massimo dei successi.
Anche quello di rimanere nella storia degli eventi di portata planetaria.
Ma io un tarlo me lo porto dentro.
Questo: la manifestazione è espressione concreta di una filosofia che dice che la crisi del sistema economico nel quale viviamo e del quale conosciamo lo stato deve essere cancellata attraverso iniziative – che possiamo chiamare promozionali – atte a rilanciare i consumi e quindi l’intero sistema che sul continuo aumento dei consumi si regge.
Tutti si attendono che l’esposizione concorra a vivificare l’economia, e non solo quella italiana.
Ma è proprio qui il rischio: l’essere una delle tante iniziative promozionali a favore di una economia almeno in gran parte malata se non addirittura obsoleta. Nella migliore delle ipotesi, possiamo aspettarci un momentaneo rialzo “del fatturato Italia”, come accade per la maggior parte delle iniziative promozionali. Ma, proprio come accade per le promozioni delle vendite, il loro successo è tanto più precario e si rivela addirittura tanto più dannoso quanto meno il prodotto che ne è oggetto risponde alle esigenze del mercato. L’EXPO si occupa di alimentazione nel mondo e, credo, anche di sistemi per nutrirne gli abitanti, il cui numero oscilla ormai attorno ai dieci miliardi di persone, la gran parte delle quali è definibile povera. Il che è bello e istruttivo, ma dimentica che se non si cambia sistema, il divario tra poveri e ricchi si amplierà ancora.
Mi auguro sinceramente di sbagliare. Anche perché se dovessi avere ragione, Milano e l’Italia si dovranno leccare le ferite a cominciare dai mancati rientri degli investimenti e per molti anni a venire.

Di grandi modifiche e innovazioni sembra, invece, volersi accreditare quale autore il già silente Ministro della Pubblica Istruzione, ridotto al mutismo alla Festa dell’Unità, contestato da tutti coloro che in qualche modo hanno a che fare con la scuola.
Devo premettere che non condivido: per quanto possa essere inutile ciò che dice, il Ministro come chiunque di noi ha diritto di esprimere la sua opinione, e noi il dovere di consentirgli di farlo. Posso comprendere che lo stereotipato sorriso monoespressivo – mostra di denti in stile berlusconiano – non riscuota simpatia, così come non particolarmente simpatico e accattivante sia il suo modo di rispondere a qualsiasi interlocutore, basato sull’assunto “io so di che parlo e di aver ragione; tu né l’una cosa né l’altra”, ma non posso ammettere che le sia impedito di sonorizzare la sua presenza.
Tutto ciò premesso, a me par chiaro che quella proposta che qualche pubblicitario di secondo o terzo livello ha suggerito di chiamare “la buona scuola” in realtà di buono abbia molto poco e si affidi soprattutto alla assunzione di un centinaio di migliaia di precari ed a qualche intervento oscuro sui poteri dei presidi e sulla valutazione degli insegnanti.
Intanto, le scuole fisicamente crollano e la manutenzione è almeno discutibile; poi, la preparazione degli studenti è quanto meno precaria.
Continuo a credere che noi tutti ci si trovi di fronte ad un equivoco di fondo dovuto al fatto che la qualità del risultato del “prodotto studente” non è l’obbiettivo primo della attività dal Ministro, come non lo è l’eccellenza della scuola pubblica. E dunque si ragiona e si pianifica e si interviene partendo da basi quanto meno discutibili. E con “fini ultimi” che definire non chiarissimi è dimostrazione di ottimismo.
Io credo che il Governo, in materia, navighi in una nebbia alla densità della quale contribuisce non poco anche l’atteggiamento del Presidente e del suo Ministro nei confronti della “partecipazione” e del “convincimento”: entrambi sembrano credere fermamente di incarnare il verbo e l’autorità.
Se dovessi descrivere il Presidente del Consiglio – che non conosco – direi che è il Ministro (che, non dimentichiamolo, è una donna) vestito da uomo. Per convincersene, potrebbe essere sufficiente analizzare i comportamenti del Ministro nella veste di Rettore e i risultati della sua attività nella gestione della Università che se ne è onorata. Può darsi si scopra che in quella Università il Ministro ha operato con la massima obbiettività nella scelta dei docenti e nella loro valutazione e che l’unico interesse che ne ha guidato l’azione sia stata la qualità dell’insegnamento e del risultato, oltre che la correttezza della amministrazione “economica”, anche a costo di sacrificare le proprie ambizioni ed i propri interessi. E se così fosse, dovremmo tutti inchinarci al suo valore e credere che la scuola non potrà non giovarsi delle sue attività e delle sue proposte. E l’autorità del Ministro avrebbe una sua assoluta giustificazione.
Forse, uno dei problemi è che l’autorità non è vero debba essere considerata estranea alla democrazia, ma è verissimo che deve nascere da un riconoscimento convinto e deve essere assunta ed esercitata da persone che si sentano e siano al servizio della comunità più che di se stessi.

È in corso la votazione sul nuovo sistema elettorale. In materia, a me che da sempre predico di stare molto attenti ai particolari, ha colpito l’affermazione del Presidente del Consiglio: se non si approva la legge così come proposta, ne va della immagine del partito.
Che è l’ultima cosa della quale la gente si interessa.
Ma che pare essere la prima per il Presidente e Segretario.
Estremamente preoccupante, ma, purtroppo, descrizione della essenza più vera della nostra Politica: al primo posto, è l’interesse del partito. E non di rado, il Partito è nato per l’interesse di pochi.
Ogni commento è inutile.

Sulle morti dei migranti nel Mediterraneo, qualche accenno in “Cattedra”.