Editoriale: Novembre è stato nero, dunque c’è speranza

di Paolo M. Di Stefano -

Buon Natale e felice anno nuovo è formula di rito, e come tale troppo spesso priva di un vero significato. Io mi auguro ed auguro a voi tutti che le Feste significhino soprattutto la presa di coscienza che dobbiamo concretamente operare perché l’Economia e la Politica prendano la strada di quel profondo cambiamento che è indispensabile perché l’umanità tutta intera abbia un futuro. Attenzione: non un futuro migliore. Un futuro, soltanto un futuro, cosa che al momento appare molto improbabile.
Anche perché la Nazione Guida – quella alla quale tutta la nostra civiltà guarda come ad un faro – per bocca del suo Presidente eletto ha abdicato a cercare di influire sui cambiamenti climatici assieme al voler riaffermare con forza un tipo di economia di egoismo e rapina della quale ci si rifiuta di riconoscere i guasti.
E il futuro passa anche per quella Europa che non riusciamo a costruire, malati come siamo tutti di nazionalismo e di sovranità nazionale, di attenzione prioritaria agli interessi personali, di perdita di valori, di maleducazione anche personale, di spaventosa ignoranza circa i veri significati di libertà e di democrazia, di autoreferenzialità anche per la assoluta mancanza, non solo in Italia, di guide certe ed affidabili. E di sedicenti Politici salvatori della Patria cui manca anche la benché minima scintilla di creatività, capaci come sono soltanto di criticare coloro che lavorano, senza il minimo accenno ad una qualsiasi proposta alternativa.
Che per un popolo di eroi e di geni è il massimo.

Centocinquanta militari in più sono stati assegnati (e sono arrivati, dislocati in via Padova e piazzale Loreto) a Milano dopo i fatti che hanno visto protagoniste le bande di immigrati sudamericani con risse, feriti e (sembra) un paio di morti nel novembre appena conclusosi. Lo scopo, provare a garantire la sicurezza agli abitanti della zona, costretti – pare – a vivere pericolosamente e a vedere perdere valore rapidamente le proprie case, nelle quali sono obbligati a trascorrere la maggior parte dal tempo, dal momento che gli spazi pubblici sono ormai terra di nessuno, nella quale il pericolo di aggressioni è costante.
Non sono in grado di valutare quale sia il livello di insicurezza e neppure il grado di deterrenza della presenza delle pattuglie.
Credo però di poter dire che finché non si comprenderà che occorre trovare e requisire tutte le armi perquisendo casa per casa e bloccare l’ingresso in città (e in Italia) a chiunque sia sfornito di documenti ed a tutti coloro che hanno precedenti penali (in entrambi i casi respingendoli ai paesi di origine), i risultati avranno le caratteristiche proprie di un qualsiasi palliativo.
Sempre meglio di niente, si dirà, ma pur sempre di palliativo si tratta.
Occorre fare di più e di meglio, e tra le cose pensabili e possibili il rastrellamento a tappeto alla ricerca di armi e di droga a mio avviso occupa una posizione di tutto rilievo.
Il realizzarlo avrebbe effetti positivi anche sulla lotta al terrorismo e su quella alla criminalità organizzata.

L’Ordine dei Giornalisti della Lombardia pare sia stato vittima di un blitz dell’Ordine Nazionale, il quale ha impedito che si proseguisse in un aggiornamento professionale sul tema “dall’incunabolo al web”, realizzato di concerto con l’Accademia Ambrosiana, fiore all’occhiello della città e vanto dell’Europa tutta.  Di stupefacente, la motivazione: trattare questo tema in un consesso di giornalisti avrebbe creato una confusione inaccettabile tra formazione culturale e formazione professionale.
Il che autorizza a pensare che la professione di giornalista abbia ben poco a che fare con la cultura.
Che in qualche modo è anche vero, ma l’incultura di parte dei giornalisti in nessun modo dovrebbe ritorcersi contro coloro che la pensano diversamente i quali, solo a Milano, pare fossero almeno duecento quindici: cento partecipanti alla prima seduta, (cui ha arriso grande successo) e centoquindici in lista di attesa.
Ma c’è di più.
Le legge 148 del 2011 obbliga gli iscritti agli ordini professionali a seguire corsi di formazione che gli enti autorizzati sono legittimati a proporre anche a pagamento. E se la materia è di interesse professionale, l’Ordine dei Giornalisti – al pari di ogni altro Ordine professionale – non può opporsi a che vengano organizzati: si tratterebbe di una violazione alla legge.
Che si tratti di un rigurgito della contesa tra Roma e Milano? Oppure – o anche – che si tratti della punta di un iceberg che vede una lotta di potere che va al di là del giornalismo? E che magari ha per oggetto realtà prestigiose, risanate dopo anni di disinteresse, e dell’attività delle quali si possono ormai godere i vantaggi, anche prendendosene il merito?
Ho troppi anni e troppa esperienza per escluderlo, ma ancora l’ottimismo per sperare di sbagliarmi.

Certo è che la nostra cultura e la nostra civiltà sembrano essere in caduta libera. Prova ne è anche la fase finale della campagna referendaria che ha avvelenato il mese tutto.
E a vuoto, secondo me, vista l’assenza quasi totale di argomentazioni e, soprattutto, i modi della comunicazione ai votanti. Ovviamente, al momento in cui scrivo non so come le cose andranno a finire, ma credo di poter dire che quale che sia il risultato, la Politica italiana non cambierà.
Perché non cambierà la professionalità dei Politici, alla improvvisazione ed al dilettantismo quando non anche alla disonestà dei quali va fatta risalire ogni responsabilità: dalla inadeguatezza “concettuale” delle leggi al malfunzionamento della burocrazia.

I migranti sono diventati un’arma: il padrone della Turchia ha minacciato di aprire le frontiere e lasciare che i migranti attualmente in Turchia dilaghino per l’Europa, se questa non riprenderà i negoziati per l’ingresso del Paese.
C’è da chiedersi se sia meglio vedere arrivare in Europa le centinaia di migliaia di clandestini in fuga, oppure cedere alle istanze di un dittatore che, in buona sostanza, chiede che la Turchia sia accolta a pieno titolo nell’Unione anche se carente di diritti umani e dotata della pena di morte, e comunque in una situazione contraria ai valori per rendere concreti e difendere i quali l’Europa è nata.
Eppure, a me sembra che nella minaccia di Erdogan qualcosa di positivo si possa intravedere: se le frontiere turche si aprono, le rotte attuali dei migranti cambieranno, e forse diminuiranno la morti nel Mediterraneo.
E visto che noi Europei non siamo in grado di risolvere il problema…