Editoriale: A dicembre nulla sotto l’albero

di Paolo M. di Stefano -

3VD: il mese dei regali è stato aperto alla grande. Il comico ha dato a tutti noi la possibilità di una risata, proprio quando tutto sembrava tristemente perduto, e tutti noi ci preparavamo ad un Natale non particolarmente allegro, forse anche privo di regali. Per ovvie ragioni. Urla e strida e insulti, vagamente meno violenti, forse perché l’immagine di Genova è quella di una città orientata alla sobrietà; e poi, sette punti di un programma, tra i quali un referendum sull’euro, orientato – il programma – a quel godimento del popolo che fa la felicità delle nazioni. E il popolo trae motivo di felicità anche dal prendere atto che c’è qualcuno che lo capisce e ne parla il linguaggio.
E dunque, abbiamo riso e siamo felici.
Anche perché ci siamo accorti – forse non tutti, ma la cosa è palese – che è vero quanto afferma Jerome che è difficile fare la guerra a persone di cui si ride, e che tutti indistintamente i leader dei partiti stanno dando una mano al M5S perché vinca alla grande le prossime elezioni. Anche dando vita a battute tragicamente comiche, come quella che insiste nel presentare i segni di una ripresa che non ci sarà perché è impossibile, dipendendo anche dalla cultura economica di tutti noi, oltre che da quella dei nostri politici. Bella battuta, che Montesano avrebbe commentato più o meno così: “ne’, Cocò, come è cretina questa, come è cretina questa”.
La felicità è contagiosa, come le risate. L’Europa potrà ridere con noi.
O di noi?

La tragedia di Prato con la quale si è aperto il dicembre appena trascorso pare non aver insegnato niente a nessuno. Quei morti non sono esseri umani: sono ombre cinesi, e dunque apparenza soltanto. Ombre che vivono rinchiuse in locali angusti destinati ad accogliere ogni momento della vita di ciascuno di loro, ed ogni momento dedicato a lavorare ed a produrre qualcosa destinato a cacciare dal mercato i prodotti concorrenti in forza di un prezzo più basso grazie a costi ridotti al minimo. Ed anche, io credo, a profitti unitari assai contenuti.
Ombre che non sono mai esistite, e la cui morte è pura e semplice sparizione di un nulla subito sostituito da un altro nulla, là dietro o là sotto e comunque là dentro.
Una precisa scelta di conquista attraverso l’annullamento, e quindi almeno in apparenza imbattibile: non è possibile combattere il nulla. E la circostanza che – sembra per la prima volta in Italia – inaspettatamente quelle ombre abbiano acquistato un volto (non so se anche un nome) sembra dimostrare ancora una volta che l’eccezione conferma la regola.
Quel nulla produce comunque qualcosa di appagante per la nostra società: la possibilità di imbastire discorsi vestiti di pezze di economia, di morale, di etica e di diritto, anche. Pezze a colori, che noi tutti utilizziamo per sentirci migliori.
Ed invochiamo, talvolta, l’intervento di uno Stato che sembra assente, salvo le tradizionali eccezioni.
E condanniamo il neo schiavismo che le silenziose ombre cinesi evocano costantemente, e che realizzano a danno della nostra economia.
E pensare che basterebbe così poco…
Possibile che non venga in mente a nessuno che se ci rifiutassimo di acquistare prodotti che, per esprimere prezzi bassissimi, rinunciano ad ogni pretesa di qualità e seppelliscono vivi i lavoratori, forse riusciremmo non solo a dare una mano alla nostra, di economia, ma anche alle condizioni dei loro lavoratori ed alla qualità dei loro prodotti? E quindi al loro sviluppo sociale?
Noi, ciascuno di noi, non comperiamo i prodotti cinesi; i nostri imprenditori lavorano con noi, rifiutando la logica della massimizzazione del profitto ad ogni costo; nel contempo, lo Stato interviene per impedire alle imprese italiane di acquistare quei prodotti per rivenderli come “made in Italy”, operando in maniera decisa per definire e realizzare e difendere e vendere quella caratteristica – il “made in Italy” – che a parole definiamo come un plus irrinunciabile del nostro Paese.
Che sarebbe una bella dimostrazione della collaborazione tra Politica ed Economia, ed anche una bella manifestazione della funzione legislativa.

Legiferare – fare le leggi – si è ancora una volta dimostrato il risultato qualitativamente disastroso di un’attività svolta da personale impreparato, dotato di professionalità quanto meno discutibile. Oppure, ma spero non sia così, da “produttori di leggi” in perfetta mala fede, tesi a far sì che nulla cambi, se non in peggio, in modo di poter beneficiare in proprio della confusione che un sistema di leggi mal fatte non manca mai di creare. Da sempre. Ora, è pur vero che nella nostra economia “la moneta cattiva scaccia la buona”, ma è proprio necessario che lo stesso principio debba valere per le leggi e per la scelta dei legislatori? E forse anche per chi le leggi è chiamato ad interpretare e ad applicare?
La legge, ogni legge, è un prodotto destinato allo scambio, e in qualche modo si può sostenere che una legge sia “il principe dei prodotti”, destinato come è a “regolare” la vita intera dei destinatari.
A dicembre, è continuata la problematica di quella che al momento pare si chiamasse ancora IMU, particolarmente per l’aspetto che concerne la tassazione sulla casa, quella “prima casa” innanzitutto che non si capisce bene cosa esattamente sia, al di là della discutibile definizione di “stabile abitazione”, prescindente dalla proprietà della stessa.

Stabile abitazione pare sia divenuto, per centinaia di emigranti e rifugiati in Italia, il centro di accoglienza di Lampedusa. Nel quale, nei giorni immediatamente precedenti il Natale, la gestione ha pensato di regalare agli ospiti una salutare doccia a base di sostanze insetticide e curative. Contro la scabbia, pare. Il che è bello, anche perché l’innaffiare i corpi nudi ha in sé un significato religioso di purificazione assoluta: del corpo, perché la doccia comunque in qualche modo pulisce; dell’anima, perché un corpo nudo e pulito ne è la casa migliore.
Una prima casa assolutamente protetta. Dal sistema fiscale, almeno.
E anche una casa incapace di generare quei fastidiosissimi rumori che sono normalmente classificati come grida e slogan di protesta. In fondo, basta cucirsi le labbra.
Con il che si ottiene finalmente – sembra – il risultato di attirare l’attenzione e, forse, di farsi ascoltare. Quanto ad ottenere i risultati sperati…beh: è storia diversa.

L’abolizione del Senato si avvia a divenire un tormentone, quasi quanto quello dell’abolizione delle provincie. C’è un che di specioso e di strumentale, in entrambi i tormentoni. Peché una cosa è l’efficienza delle strutture, altra cosa è l’utilità dei loro prodotti, della loro attività.
A me sembra che in un mondo nel quale il legiferare è anche un problema di capacità una doppia lettura delle leggi possa costituire quanto meno un tentativo per commettere meno errori. Certamente i senatori ed i deputati sono troppi e troppo pagati e beneficiari di troppi privilegi, ma il problema non è abolire una delle Camere, bensì quello di diminuire il numero dei facenti parte di esse e, soprattutto, di assicurarsi che “i legislatori” siano preparati a svolgere il compito per il quale il popolo li ha scelti. Senza dimenticare che “i gettoni” pagati agli eletti ed alle corti di cui ciascuno si circonda sono eccessivi, senza altra giustificazione che non sia il privilegio e il profittare del potere. Fino al ridicolo di alcune delle disonestà scoperte a tutti i livelli.
E così per le Provincie (e per i Comuni e per le Regioni): quello che occorre rivedere è soprattutto la competenza, nel senso del “cosa fanno” e nel senso di “come lo fanno”. Abolire un ente tanto per l’illusione di un risparmio, senza preoccuparsi delle funzioni e delle relazioni con gli altri enti è un errore marchiano.
Ridisegnare, invece, i compiti di ciascuno potrebbe risolvere alla grande più di un problema. I comuni potrebbero gestire in toto il territorio; le Provincie dovrebbero risolvere i conflitti di interesse tra Comuni; le Regioni, quelli tra Provincie. Lo Stato dovrebbe trasformare le proposte di pianificazione di gestione in pianificazioni operative.
Con tutto quanto in termini di produzione, distribuzione e comunicazione questo comporta, a tutti i livelli.
Scommettiamo che funzionerebbe?

Tre milioni di elettori – forse simpatizzanti - hanno espresso il nome del nuovo segretario del PD. Il quale in pochi minuti ha nominato la segreteria che dovrebbe dargli una mano a cambiare, con la Politica, l’Italia.
La quale tutta, checché se ne dica, attende che il verbo si faccia carne ed abiti tra noi. Scusandomi per l’apparentemente irrispettoso riferimento, mi pare – a poche ore dall’evento – che le parole del Credo siano la migliore descrizione dell’accaduto.
Il sindaco di Firenze ha dimostrato una grande consuetudine con la parola. Anzi, con le parole, con ciò riuscendo ad accalappiare l’attenzione dei media i quali di lui si sono occupati di gran lunga di più di quanto non sia accaduto per i suoi concorrenti. Fattore indubbio di successo. Anche perché noi italiani siamo ormai divenuti puri e semplici orecchianti di rumori indifferenziati, e la circostanza che il neo segretario ripeta e prometta cose in gran parte vecchie di almeno vent’ anni è passata inosservata.
Dice: è vero, hanno detto tutto e il contrario di tutto, ma questa volta molto sarà fatto. Speriamo, ma non mi sembra che si sia parlato di quel “come” e di quel “quando” che sono sempre mancati e che pare continuino a mancare. Significa che si perpetua la discrasia tra promesse e programmi, da un lato, e pia unificazione operativa dall’altro. Che è cosa spiegabile per la vecchia classe politica – per intenderci, quella “rottamata” (?) –, ma che non ha giustificazione alcuna quando “i nuovi” non superano i quarant’anni di età.
E mi pare che tra i componenti la nuova segreteria non sia presente nessun professionista della gestione degli scambi e quindi delle pianificazioni che li sostanziano.
Invece, una di loro, che si occuperà della giustizia, ha ancora una volta detto che le hanno insegnato (cito a memoria) che la politica è l’arte del compromesso, e che in questo crede. Lo ha detto nel corso di un confronto con un filosofo ex politico militante rifugiatosi nel pensare, probabilmente perché unica area lasciata libera dai politici.
Ed ha così confermato, la componente della nuova segreteria, che niente o quasi è cambiato. Che vuol anche significare che nulla o quasi di veramente importante e sostanziale cambierà. Al massimo, la novità potrà essere un diverso colore di qualcuna delle pezze che tengono insieme i politici e l’Italia.
Ecco di nuovo il tormentone sull’abolizione delle Provincie (e forse anche delle Regioni). Ed ecco ancora la promessa di rivedere il sistema fiscale. E quella di combattere la disoccupazione giovanile. E l’abolizione del sistema bicamerale perfetto nonché del numero degli eletti. E forse anche la moralizzazione nella gestione degli enti pubblici, territoriali e non. E…

Questo e molto altro mi hanno ricordato toscani (fiorentini e pisani in prima linea) di una presunzione infinita e, soprattutto, di un’ambizione senza limiti. Dalla cantante che, richiesta di scrivere un articolo per una rivista milanese all’epoca prestigiosa, di fronte alla correzione di un errore marchiano di italiano, ebbe una reazione particolarmente accesa proclamando, tra l’altro, che il suo essere toscana garantiva la correttezza grammaticale e sintattica di quanto scritto. E anche mi ricorda la presunzione assoluta e violenta di un docente universitario, mediocre conoscitore della materia, ma strenuo difensore del diritto del figlio, iscritto alla stessa università, ad esser promosso e non soltanto con un pietoso quanto immeritato ventitré. E pure il comportamento di un docente assurto ai fasti del rettorato di un’università – forse atipica ma certamente di prestigio e notorietà internazionale – dopo una carriera brevissima costellata di colpi di mano utili alle proprie ambizioni, letali per l’immagine dell’ateneo e, mi dicono, anche per le sue finanze. E da ultimo – ma solo in termini di tempo – l’ira del presidente di circolo politico, incapace di prestare la benché minima collaborazione creativa alla sinistra, ma fermamente deciso a trarre dal circolo e dai partecipanti il massimo dei vantaggi per sé.
Eccezioni, io spero, probabilmente dovute ad un destino d’Italia cinico e baro, che troppe volte chiama a guidarla uomini della provvidenza che credono di avere il diritto e il dovere di essere la provvidenza di se stessi. E di un’Italia, anche, rispettosa interprete di un’economia che, tra i sacri principi fondamentali, ha quello secondo il quale la moneta cattiva scaccia la buona: valido comunque e in ogni settore, il principio non solo è vistosamente applicato nella politica, ma abbraccia con i suoi tentacoli tutti i settori della attività umana.
E torniamo al neo segretario PD: forse è vero che è stato scelto il meno peggio. Ma è mai possibile che non si possa operare la scelta tra le personalità che incarnino la parte migliore degli italiani, che pure esiste e che nulla ha da invidiare a nessuno?

E allora un augurio, del resto quasi obbligato agli albori del nuovo anno: che la parte migliore di noi italiani trovi anche in questo Paese il modo di entrare nella stanza dei bottoni.