ALGERIA: PROSPETTIVE DI UN REGIME IN AGONIA

di Massimo Iacopi -

 

Il paese è col fiato corto. Abelaziz Bouteflika si prepara a un quinto mandato presidenziale, senza un programma né prospettive condivise. Questa incerta transizione accresce l’instabilità geopolitica di tutta la regione. E l’inquietudine dei vicini aumenta, sia al sud sia al nord del Mediterraneo.

Poco si sa della salute del presidente Abdelaziz Bouteflika, isolato dai suo ambiente, afasico ed emiplegico, che il suo entourage presenta a rari e compiacenti visitatori… In carica dall’aprile 1999, è malato di cancro. Ricoverato in ospedale varie volte in Francia e dal 2005 in Svizzera, vive nella sua residenza trasformata in clinica, ad ovest di Algeri. Le speculazioni sulla sua malattia alimentano le possibili voci sulla sua successione. I 45 milioni di Algerini non sono i soli a porsi domande sull’avvenire del loro paese. L’Europa, i paesi del Maghreb e del Sahel sono inquieti di fronte ai rischi di una destabilizzazione di questo loro immenso vicino (2,4 milioni km2): fra le conseguenze più temute ci potrebbe essere anche un ingrossamento dell’ondata migratoria.

Un paese in deliquio… come il suo presidente

Bouteflika alle elezioni del 2012

Bouteflika alle elezioni del 2012 – Magharebia

Il critico stato di salute di Abdelaziz Bouteflika è sintomatico dell’indebolimento dell’Algeria e dell’agonia di un regime alla guida del paese dal 1962. L’Algeria, a suo tempo potente e rispettata, è col fiato corto, ingessata: l’economia subisce i contraccolpi di anni di errori, di confusione e di sperpero; la società è minata dal disincanto provocato dall’endemica corruzione dell’amministrazione.
Il clan riunito intorno al capo dello Stato cerca di bloccare ogni sviluppo. Alla sua testa, Said Bouteflika, 60 anni, fratello cadetto del presidente. È lui ad esercitare effettivamente il potere e a preparare l’elezione presidenziale del prossimo aprile 2019. Una gran parte degli Algerini ritiene che “Boutef” si ripresenterà o che sarà ripresentato – in sedia a rotelle – per un quinto mandato consecutivo. Al potere da 20 anni, alle prossime elezioni avrà 82 anni, fatto che accentua la distanza generazionale con il suo paese, dove più della metà della popolazione ha meno di 25 anni.
Oggi nel paese coabitano due Algerie. Le potenti nomenclature civile e militare (da 2 a 5 milioni di persone), legate al potere e agli interessi petroliferi, strenuamente attaccate ai loro privilegi. E il popolo “informale” della strada e delle campagne, i piccoli funzionari e gli impiegati, i senza lavoro e tutta l’immensa gioventù, spesso scolarizzata e senza prospettive (oltre il 20% dei diplomati sono senza lavoro).
Più si prolunga l’agonia del presidente, più le conseguenze della sua scomparsa potrebbero essere brutali. Il rischio di deflagrazione è concreto. Nell’ottobre 1988, una febbre sociale mal gestita ha provocato una forte spinta islamista nella società, spietatamente interrotta dal colpo di stato militare del gennaio 1992. La guerra civile che ne è seguita ha provocato quasi 200 mila morti, dal 1992 al 1999. Pochi in Algeria hanno voglia di rivivere un tale incubo. “Noi abbiamo avuto la nostra primavera circa 30 anni fa – dicono gli Algerini – e l’abbiamo pagata a caro prezzo”. Ancora non cicatrizzate, le ferite della guerra civile giustificano la prudenza della popolazione, nonostante la glaciazione politica e sociale di questi ultimi anni, che per certi aspetti ricorda la fine dell’URSS.
Il pilastro fondamentale della nomenclatura è rappresentato dall’Esercito e dai Servizi di sicurezza, che costituiranno i punti focali della transizione. I regolamenti di conti sono già iniziati, come dimostra la vasta purga lanciata nel settembre 2015 con il congedamento del Capo del DRS (servizi di sicurezza), il generale Mohamed Mediane, dopo 25 anni di potere assoluto, e il congedamento d’ufficio di una quindicina di generali, fra il giugno e il settembre 2018. I responsabili della Sicurezza Nazionale, della Gendarmeria, della Polizia, dell’Esercito e dell’Aviazione e delle grandi Regioni Militari, sono stati destituiti. L’esecutore di questo repulisti è stato il generale Ahed Gaid Salah, vice primo ministro della Difesa, Capo di Stato maggiore (SM) dell’ANP dal 2004, anch’egli pretendente alla successione, nonostante la sua non più giovane età (79 anni). Un solo Corpo è sfuggito all’epurazione: la guardia repubblicana, forza pretoriana del regime, eterna rivale dell’Esercito, comandata da un fedele del clan Bouteflika.

La paralisi geopolitica

Questo periodo di transizione suscita inquietudine in Africa e in Europa. La geopolitica regionale, di per sé stessa molto instabile, sta raggiungendo un livello di allarme. I timori per un indebolimento durevole di questo gigante militare e demografico induce le cancellerie a puntare sullo Statu quo, che, di fatto, si risolve in un aiuto al regime in carica. I timori sono tanto più vivi in quanto la glaciazione interna dell’Algeria si accompagna a un irrigidimento verso l’esterno.
A suo tempo molto attiva sul fronte diplomatico, settore d’eccellenza del vecchio presidente, quando era Ministro degli Esteri (1963-1979), l’Algeria si è ripiegata su sé stessa. A differenza del Marocco, il paese non sembra più avere una sua strategia africana. Nel Sahel ha fallito nel tentativo di manipolare i gruppi islamico-terroristici e, nonostante i suoi petrodollari, è rimasta isolata e ha perduto posizioni, soprattutto all’interno della Lega Araba.
A ovest, il Marocco non crede veramente in un cambiamento futuro nel regime algerino: “La vecchia generazione al potere dal 1962 – secondo Rabat – ha già preparato la sua successione. Gli eredi sono pronti. Il sistema è destinato a durare con facce nuove”. Rabat teme tuttavia che un aggravarsi della crisi possa generare un rischio di nuove spinte, capaci di infiammare le relazioni bilaterali, già abbastanza tese, e di provocare una forte pressione migratoria alla frontiera algerino-marocchina, chiusa dal 1994. L’eccessivo riarmo dell’Algeria non induce poi all’ottimismo. La prima potenza militare dell’Africa (forse la seconda dopo l’Egitto) allinea più di 500 mila soldati, ai quali vanno aggiunti circa 400 mila uomini dei diversi corpi di sicurezza, 500 carri armati e ben 240 aerei di fabbricazione russa.
Algeri dispone nella regione anche di “amico” utile e pericoloso: il Fronte Polisario, strumento della sua politica saharo-saheliana. Residuo della guerra fredda, questo Movimento di Liberazione del Sahara occidentale, a suo tempo impiegato per assillare il Marocco, è completamente controllato dai servizi algerini. Il Polisario, impegnato nei traffici transahariani, oggi è appena l’ombra di sé stesso.
Ad est di Algeri, la Tunisia e la Libia non si sono ancora rimesse dai catastrofici esiti della “primavera araba” del 2011. La Tunisia, incancrenita dalla presenza dei Fratelli Mussulmani, incontra notevoli difficoltà a conservare una parvenza di stabilità. La Libia, devastata da una decina di forze armate rivali, è nel caos. Le frontiere di entrambi i paesi sono estremamente porose, aperte a ogni tipo di traffici. Un eventuale indebolimento dell’Algeria e del suo dispositivo di vigilanza lascerebbe tutta l’area in mano alle reti di trafficanti di mercanzie, di droghe e di migranti clandestini, il più delle volte collegati alle bande islamico-terroriste.
A sud di Algeri, la Mauritania, il Mali e il Niger vivono la stessa inquietudine. Il controllo dei 2.750 chilometri di frontiere comune con l’Algeria risulta essenziale per sperare di limitare la loro instabilità cronica. L’aiuto o la neutralità algerina è indispensabile per evitare nuove infiltrazioni di bande armate.
L’esigenza di sicurezza coincide con quella della Francia, impegnata dal 2013 in una difficile operazione di controterrorismo e di stabilizzazione del Sahel. Ma i 4.500 soldati francesi dell’Operazione Barkhane non bastano a garantire una stabilità di lungo respiro e ancor meno a contribuire, posto che lo vogliano veramente, a un controllo dei flussi di immigrazione clandestina organizzata.
L’Algeria, anche se indebolita al vertice e spesso incerta nelle sue scelte, rimane comunque un interlocutore fondamentale della Francia e dell’Europa in qualsiasi strategia di sicurezza e di contenimento dei flussi migratori nel sud del Mediterraneo. Il regime algerino ne è cosciente e se ne serve per mantenere la presa sul paese. Verosimilmente il sistema di potere algerino continuerà a sopravvivere, con o senza Bouteflika.

Per saperne di più

Giampaolo Calchi Novati, Storia dell’Algeria indipendente. Dalla guerra di liberazione al fondamentalismo islamico, Milano, Bompiani, 1998.
Francesco Tamburini, L’Algeria di Abdelaziz Bouteflika: un regime e la sua crisi, in “Africana”, 2008.
Mohamed Benchicou, Bouteflika: une imposture algérienne, Paris, Picollec, 2004.