DAGLI ETRUSCHI ALL’ETRUSCOMANIA

di Max Trimurti -

Periodicamente, anche in concomitanza di nuove esposizioni e di nuove scoperte archeologiche, gli Etruschi tornano di moda. Tra XV e XVI secolo si ha la prima “riscoperta”, ma è il secolo dei Lumi a rilanciare definitivamente l’etruscomania.

Urna etrusca - G. Dall'Orto

Urna etrusca – G. Dall’Orto

Come la Fenice, che rinasce senza sosta dalle proprie ceneri, l’interesse del grande pubblico per la civiltà etrusca varia in funzione delle scoperte archeologiche e dell’eco incontrata dalle grandi esposizioni. Per noi contemporanei i Tusci – che hanno lasciato il loro nome all’attuale Toscana – si inscrivono nel tempo lungo degli etruscologi, ma anche nel tempo breve dei giornalisti e delle riviste, chiamate a coprire periodicamente “eventi culturali”.
Gli etruschi erano affascinati dalla misura del tempo: come la maggioranza dei popoli dell’antichità, essi lo vedevano scorrere secondo un ciclo nel quale il presente non era altro che una forma di ripetizione del passato.
La religione etrusca presenta invece una doppia originalità: di essere fondata sullo scritto e sulla rivelazione per mezzo di Teges, un fanciullo divino sorto da un solco. I Libri Fatales – un insieme di libri sacri che trattavano del destino, del fatum, e delle sue decisioni – assegnavano agli individui e ai popoli una durata di vita determinata. Ai primi la possibilità di vivere di dodici “settimane d’annata” di sette anni ciascuna; ai secondi, in particolare ad essi stessi, la durata di vita era fissata a dieci secoli. Sapendo che un secolo non è l’equivalente di cento anni, ma la durata di vita più lunga constatata presso in un individuo in una generazione: 119, 123 anni, dicono gli autori antichi. Sulla base di questo ragionamento, la civiltà etrusca si doveva estendere più o meno per un millennio…
Gli aruspici – sacerdoti che leggevano i Libri e decifravano i segni inviati dagli dèi esaminando il fegato di un animale offerto in sacrificio – avevano previsto correttamente? Contrariamente alla religione romana, essi praticavano la divinazione e potevano intravvedere l’avvenire. In tal modo, nel corso della spedizione dell’imperatore Giuliano contro i Persiani nel IV secolo, gli aruspici che l’accompagnavano avevano annunciato all’imperatore il fallimento della sua campagna e la sua stessa morte.

Quando, verso la fine del I secolo, l’Etruria diventa la VII Regio dell’Italia augustana, la sua civiltà si offusca, anche se, più tardi, una divisione amministrativa e dei magistrati (come il “pretore d’Etruria”, un titolo che porta l’imperatore Adriano) evocheranno l’antico paese etrusco. Le iscrizioni scompaiono e la lingua parlata si estingue. Solo gli eruditi si rivolgono a questo mondo dimenticato, alla sua storia, alla sua strana lingua scritta nell’alfabeto greco, ed ai suoi riti. E se l’Ordine dei 60 aruspici, riformato dall’imperatore Claudio, sopravvive fino al IV secolo, ciò è dovuto al fatto che era stato integrato alla religione romana. Gli aruspici erano diventati dei semplici maghi, che un Concilio riunito a Toledo nel 633 vieterà al clero di consultare. L’Etrusca disciplina – la scienza religiosa del popolo che i Romani consideravano come “il più religioso della terra” – era ormai morta e sepolta.
Per secoli il mondo etrusco scomparirà dalla memoria. Ogni tanto qualche ladro di tombe riportava – spesso anche a rischio della vita – oggetti preziosi trovati nei monumenti funerari. Questo è stato il caso di Orvieto, l’antica città etrusca Volsinii, dove è stato ritrovato lo scheletro di un tombarolo, schiacciato dai blocchi della volta della tomba. Qualche letterato sapeva ancora che il nome della Toscana derivava da quello dei Tusci, che venivano designati anche con il nome di Resenna o Rasna. I Greci li chiamavano Tirreni ed i Romani Etrusci, o Lydi nella lingua poetica.

Tomba etrusca a Populonia

Tomba etrusca a Populonia – AlMare

L’umanista e teologo domenicano, nonché falsario, Giovanni Nanni, alias Annio da Viterbo (1432 o 1437-1502) – noto anche come Joannes Annius Viterbiensis – era appassionato dagli antichi abitanti della sua provincia: di essi scoprì le tracce dagli autori antichi, scrivendone nel 1498 un trattato, l’Antiquitatum variarum, composto da 17 volumi. In esso, per convincere i suoi lettori, l’autore non esitava a inventare iscrizioni e testi: egli voleva provare che gli Etruschi discendevano da Noé, che la loro lingua era una lingua semitica, vicina all’ebraico e che essi avevano civilizzato l’Italia ben prima dei Greci e dei Romani. Poco dopo, Leonardo da Vinci disegnerà un tumulo etrusco scoperto nei pressi di Siena e Michelangelo realizzerà uno schizzo di un dio barbuto degli Inferi, con una pelle di lupo come copricapo, certamente scorto in una tomba (probabilmente quella dell’Orco a Tarquinia).
Qualche anno più tardi i lavori effettuati per migliorare le fortificazioni di Perugia portano alla scoperta di una serie di iscrizioni e di oggetti etruschi, rilevati dall’architetto Antonio da Sangallo il Giovane (1484–1546). Altri artisti, come Leon Battista Alberti (1404-1472) e Giorgio Vasari (1511-1574) si sono dedicati a questi toscani d’altri tempi, contribuendo a farli uscire dall’oblio.
I Medici, in particolare Cosimo I (1519-1574), hanno collezionato oggetti etruschi, fra i quali la famosa Chimera, ritrovata nel 1554 ad Arezzo, così come l’Arringatore o l’Oratore, scoperto nel 1566 a Tuoro, nei pressi del lago Trasimeno. Un mondo dimenticato ritornava in tal modo alla memoria ed assicurava ai Toscani una antichità storica superiore a quella dei Romani.
Nello stesso tempo tendeva a cristallizzarsi un mito fondatore prezioso, nel momento in cui il Papato cercava di estendere il suo potere temporale sulla penisola e Cosimo I de’ Medici, diventato Granduca nel 1569, dava alla Toscana la sua massima estensione territoriale. Nel 1541 egli creò a Firenze un’accademia nel cui ambito trovarono ampio spazio i lavori sugli Etruschi. A Cosimo I un erudito francese, Guglielmo Postel (1510-1581), dedicherà nel 1551 la sua opera intitolata Sulle origini, istituzioni, religione e costumi della regione dell’Etruria… o De Etruriae regione.

L’interesse per gli Etruschi, subisce una notevole flessione nel XVII secolo, anche se lo storico scozzese Thomas Dempster (1579–1625), professore di diritto a Pisa, redige fra il 1616 ed il 1618 l’eccellente lavoro De Etruria Regali Libri Septem (“Sette Libri sull’Etruria Reale”, in latino). L’opera verrà pubblicato un secolo più tardi grazie al mecenatismo di un nobile inglese, Thomas Coke (1697-1759), primo conte di Leicester, che effettuava allora, secondo la tradizione cara all’aristocrazia britannica, il suo “Grand Tour” dell’Europa e che l’aveva acquistato dal letterato fiorentino Anton Maria Salvini (1653-1729). Quest’opera, commissionata ufficialmente dal granduca Cosimo II (1590-1621) nel 1615, rappresentava il primo studio dettagliato di ogni aspetto della civiltà etrusca ed aveva lo scopo di mettere in primo piano l’antichità della famiglia regnante, facendo, altresì, il punto delle conoscenze riguardanti gli Etruschi. Ben documentata e riccamente illustrata per mezzo di nuovi apporti, il De Etruria Regali riunisce tutte le fonti allora disponibili e tenta anche una recensione sistematica delle antichità etrusche. Essa costituisce la prima grande monografia consacrata agli Etruschi, anche se rimane alquanto di “fantasia” su due questioni fondamentali: quella delle origini e della lingua di questo popolo.

Johann Joachim Winckelmann

Johann Joachim Winckelmann

Il secolo dei Lumi rilancia l’interesse per gli Etruschi e per l’etruscomania o etruscheria, che si sviluppa a quel tempo e coinvolge tutta l’Europa, da Berlino a Torino, passando per Londra e Versailles (dove la regina Maria Antonietta comanda nel 1788 alla manifattura di Sevres un servizio “all’etrusca”). L’Accademia Etrusca, ancor oggi fiorente, viene fondata a Cortona nel 1726 e il mercato delle antichità, con le Wunderkammer o collezioni raccolte da ricchi mecenati, testimoniano ampiamente l’infatuazione suscitata dagli antichi Toscani. Montesquieu, Voltaire e Johann Joachim Winckelmann fanno parte dell’Accademia, il cui Presidente porta lo storico titolo etrusco di Lucumone (Re etrusco). Il domenicano francese Jean Baptiste Labat (1664-1738) visita e descrive le tombe di Tarquinia, il sacerdote Jean Jacques Barthelemy (1716–1795) e un numismatico, il conte di Caylus (1692–1765) sono tra i pionieri degli studi etruschi. Mario Guarnacci da Volterra (1701-1785), letterato e famoso etruscomane, lascerà alla sua morte la sua biblioteca e la sua collezione etrusca alla città di Volterra, base dell’attuale Museo etrusco. Il gesuita Luigi Lanzi (1732–1810), archeologo, filologo e storico dell’arte e presidente dell’Accademia della Crusca, pubblica, nel 1789, il primo studio serio della lingua etrusca ed è considerato il padre dell’etruscologia.

Nella prima metà del XIX secolo si assiste a nuove scoperte. Gli scavi delle necropoli sono estesi a quasi tutta la Toscana e in particolare alla zona di Vulci, dove Luciano Bonaparte (1775-1840), principe “tombarolo” di Canino, possedeva delle terre. Vengono riportati alla luce migliaia di vasi, dispersi, successivamente, in tutta Europa. Lo scrittore e archeologo Prosper Merimée (1803-1870) pubblica nel 1830 una novella dal titolo Il vaso etrusco mentre Stendhal, console di Francia a Civitavecchia, a partire dalla stessa data, si offre come intermediario per i suoi amici parigini per rifornirli di vasi toscani. Qualche tempo prima Stendhal aveva fatto l’elogio della civiltà etrusca, che a suo giudizio era superiore a quella di Roma.
Tra il 1823 e il 1827 vengono scoperte alcune tombe con affreschi a Tarquinia: quella del Barone, quella delle Iscrizioni, quella delle Bighe. Altre tombe vengono scavate a Caere, l’attuale Cerveteri dove nel 1836 l’arciprete Alessandro Regolini e il generale Vincenzo Galassi scoprono in una tomba un corredo funerario intatto, con gioielli in oro e alcuni oggetti decorati con motivi orientali. Per esporre questo materiale, proveniente dalla tomba, ribattezzata Regolini-Galassi, papa Gregorio XVI apre l’anno seguente il Museo Gregoriano, il primo museo etrusco di Roma (il Regno d’Italia ne crea uno nel 1889, il Museo di Villa Giulia). Le tombe etrusche entrano anche nei circuiti turistici: due guide compaiono a Londra, una nel 1840, l’altra nel 1848.
Negli stessi anni il direttore del Monte di Pietà di Roma, Giovanni Pietro Campana (1808–1880), creato marchese di Cavelli, utilizzando dei fondi che non gli appartenevano, riunisce la più bella collezione privata di oggetti antichi, circa 15.000 pezzi. Processato per malversazione di fondi pubblici nel 1857, con condanna e confisca dei beni, il marchese viene condannato all’esilio con disonore e la sua collezione dispersa fuori dall’Italia. Napoleone III ne acquista la maggior parte, essenzialmente quella etrusca, di cui alcuni pezzi vengono esposti a Parigi nel Nuovo Palazzo dell’Industria, prima di essere spostati al Louvre.

Il più recente appuntamento espositivo, a Cortona nel 2014

Il più recente appuntamento espositivo, a Cortona nel 2014

Se il termine etrusco risulta sufficiente a garantire una esposizione pubblica, nel mondo scientifico inizia lentamente a farsi strada una etruscologia a carattere più scientifico. Il tedesco Karl Otfried Müller (1797-1840) pubblica nel 1828 il primo manuale. Rieditato, aggiornato, il lavoro rimane ancor oggi utilizzabile. Poi vengono i grandi lavori, come il corpus degli specchi etruschi, quello delle urne ed infine quello delle iscrizioni etrusche, a partire dal 1893.
Dopo la Prima guerra mondiale in Italia viene creato l’Istituto degli Studi Etruschi a Firenze. Nel 1926 si riunisce, sempre nella capitale toscana, il Primo Congresso internazionale etrusco e viene fondata la rivista Studi Etruschi, attiva ancora oggi. Un nome si impone, quello di Massimo Pallottino (1909-1995). Sulle questioni delle origini e della lingua, lo studioso propone nuovi approcci. Piuttosto che cercare un’unica origine, occorre analizzare, per quanto possibile, la formazione del popolo etrusco in Italia centrale, dove si è sviluppata questa civiltà. E piuttosto che ricollegare la lingua ad un’altra famiglia linguistica, occorre studiarla in sé stessa, un lavoro lungo ed ingrato tanto più che nessuna iscrizione bilingue risulta realmente utilizzabile.
Nel 1985, l’Anno Etrusco, le sue molteplici e brillanti esposizioni ed il suo coronamento con il 2° Congresso Internazionale Etrusco riunito a Firenze, mette in luce i progressi più recenti: costruzione delle città, modo di vita, artigianato, arte, eredità per Roma… Nel 1992-1993, una magnifica esposizione (Gli Etruschi e l’Europa), presentata a Parigi ed a Berlino, attualizza le nuove acquisizioni della ricerca e mette in evidenza il carattere internazionale della stessa.
Due enigmi persistono, tuttavia, a proposito di questa civiltà profondamente originale, quella della sua lingua e quella della sua supposta origine “lidia”, un’ipotesi fondata sulle similitudini rilevate fra certe pratiche augurali identificate in Toscana ed in Asia Minore.

Per saperne di più
V. Bellelli, Le origine degli Etruschi. Storia archeologia antropologia. Atti del Convegno – L’Erma di Bretschneider, 2012
L. Orlandini, Gli etruschi «ritrovati». Notizie storiche, aneddoti e curiosità – Ouverture, 2011
L. Magini, Controstoria degli etruschi. Viaggio alle sorgenti orientali della civiltà romana – L’Erma di Bretschneider, 2011
G. Camporeale, Gli etruschi. Storia e civiltà – UTET, 2011