COREA DEL NORD, IL REGNO EREMITA

di Renzo Paternoster -

 

Uno Stato con un regime feudale che, per difendersi dalle influenze esterne, ha “chiuso” i propri sudditi al mondo, attuando un controllo totale sulla popolazione.

Soldati lungo il confine

Soldati lungo il confine

Chosŏn Minjujuŭi Inmin Konghwaguk, ovvero Repubblica Popolare Democratica di Corea, o, come è meglio conosciuta nel mondo, Corea del Nord, è uno Stato diviso definitivamente dalla Corea del Sud al 38esimo parallelo dopo una lunga guerra (1950-1953).
La Corea del Nord appare nell’immaginario dell’Occidente come un “regno eremita”, ma in realtà è solo il popolo nordcoreano a essere tagliato fuori dai contatti esterni, mentre i leader nordcoreani hanno sviluppato nel corso degli anni una rete di amicizie con Cina (il primo partner commerciale), Cuba, Malesia, Tanzania, Angola, Congo, Uganda, Mozambico, Iran, Siria, Libia, Yemen, Egitto.
La paura del regime di vedere le influenze del mondo esterno avvelenare la propria unità ideologica ha determinato la chiusura di tutte le “finestre” per evitare che “correnti” corrotte potessero spirare all’interno dello Stato, infettando il popolo. Il giornalista Geri Morellini considera la situazione in Corea del Nord, seppur nella sua drammaticità, un grosso esperimento sociologico, che porta la gente a credere di vivere in un paradiso terrestre, solo perché non ha la possibilità di confronti con l’estero e perché la propaganda del regime fa credere che quello nordcoreano sia il miglior posto del mondo.
Tale chiusura per la realizzazione di un socialismo nordcoreano è teorizzata sin dal 1955 da Kim Il-sung, padre fondatore della Corea del Nord, e rientra nell’ideologia di Stato con il termine Juche, (Ju significa padrone; Che indica il corpo, il tutto), che rimanda all’idea dell’autosufficienza. Nella Costituzione nordcoreana si legge: “La Repubblica Popolare Democratica di Corea è la madrepatria socialista della Juche, che incarna l’ideologia e la direzione del Grande Dirigente, il compagno Kim Il-sung”. L’importante filosofia della Juche si è finanche materializzata in una imponente monumento a Pyongyang, il Juche Sasangtap.
I tre principi fondamentali su cui la Juche si sviluppa sono: jaju, l’indipendenza politica; jarip, l’autosufficienza; jawi, l’autodifesa. Tutti i nordcoreani sono chiamati a realizzare il socialismo di Stato, diventando di fatto ingranaggi di questa filosofia politica. Elemento di base per la realizzazione della “rivoluzione socialista nordcoreana” è inderogabilmente l’obbedienza al Leader supremo, che decide su ogni cosa.
La filosofia della Juche ha permesso alla Corea del Nord di dotarsi di un proprio calendario e di un proprio fuso orario. Nel 1997, infatti, è stato adottato il Calendario Juche: il primo Anno Juche inizia il 15 aprile 1912, giorno di nascita del Presidente Eterno Kim Il-Sung (di conseguenza il 1912 è l’Anno Juche 1 e così via). Mentre nel 2015 Kim Jong-un ha fatto spostare il fuso orario indietro di trenta minuti rispetto al corretto orario stabilito dai giapponesi durante l’occupazione. Solo nel 2018, in occasione dello storico incontro tra i due Presidenti delle due Coree tenutosi il 27 aprile, Kim Jong-un ha ordinato di allineare il fuso orario a quello corretto della Corea del Sud.

La dinastia Kim

La dinastia Kim

Basato su un governo della dinastia della famiglia Kim (dal fondatore Kim Il-sung al figlio Kim Jong-il, fino al nipote Kim Jong-un), il regime divide i suoi cittadini in tre grandi categorie, seguendo un sistema chiamato Songbun. Secondo la loro maggiore o minore lealtà verso il regime ci sono i fedeli, i sospetti e gli ostili. Questi ultimi sono a loro volta suddivisi in una cinquantina di sotto-categorie in base alla storia familiare e alle origini rivoluzionarie.
I membri della famiglia di Kim Il Sung rappresentano la cerchia più alta, ma il vertice supremo è l’erede designato a guidare il Paese (Suryŏng), il quale è il “padre supremo” (più di quello biologico) di ogni nordcoreano (il Partito del Lavoro di Corea raffigura invece la madre). Nella scala gerarchia segue la ristretta cerchia politica vicina al Leader supremo, poi ancora i veterani della guerra tra le due Coree e gli ufficiali che hanno partecipato ad azioni di sabotaggio contro la Corea del Sud. Gli ex collaborazionisti del Giappone e della Corea del Sud durante le guerre (e i loro familiari) sono nell’ultimo girone, quello infernale. L’appartenenza a una categoria sociale determina il destino, i privilegi e le opportunità di ogni cittadino nordcoreano: dall’accesso agli studi alla carriera militare, dalla residenza al tipo di lavoro, dall’accesso alle cure mediche a quello del cibo in caso di carestia.
Tale classificazione, rimaneggia più volte, è stabilità alla nascita, quindi è ereditaria, costituendo un forte impedimento alla mobilità sociale. Il passaggio da una categoria alta a quella più bassa è tuttavia molto frequente, poiché il regime applica la pratica della “colpa per associazione”, punendo i parenti di chi è sospettato di aver commesso dei crimini con l’accusa di essere soggetti non criminali contaminati dall’ideologia di un soggetto criminale convivente e, quindi, bisognosi di essere sanati attraverso la rieducazione attraverso il lavoro e lo studio. Se nel 1958 la colpa per associazione si estendeva sino alla terza generazione, pian piano è divenuta sempre più morbida, sino al 2000, quando diventa riservata solo ai casi più gravi.
Un efficace sistema di spionaggio interno controlla ogni aspetto della vita dei cittadini nordcoreani. Nella Chosŏn inmin’gun, l’Armata del popolo coreano, c’è un dipartimento per la sicurezza interna che assolve a una vasta gamma di funzioni: raccolta di informazioni, controllo degli orientamenti politici dei funzionari dello Stato, individuazione di soggetti coinvolti in attività anti-governative, monitoraggio degli “umori” della popolazione. Forte di una vasta rete di informatori che si estende su tutto il territorio, questo dipartimento si avvale degli stessi cittadini attraverso un sistema chiamato In-min-ban, traducibile come “quartiere”, “vicinato”, “gruppo di persone”. In pratica ogni cittadino è obbligato a far parte di un In-min-ban, che generalmente è costituito da un complesso di 30-40 famiglie residenti in un quartiere, e a partecipare a riunioni periodiche. Ogni In-min-ban ha almeno un informatore, che supervisiona costantemente ogni genere di attività del gruppo, dai discorsi alle abitudini private, segnalando qualsiasi anomalia ideologica ai dirigenti del dipartimento per la sicurezza.

Un congresso del Partito del Lavoro

Un congresso del Partito del Lavoro

Riguardo il sistema di repressione del dissenso, circolano strane e orribili cronache (mai dimostrate), sulle diverse “specialità” che il regime riserva ai suoi nemici politici, veri o presunti. Testimonianze di transfughi, veline di agenzie di informazione di Paesi vicini e voci anonime che provengono dall’interno della Corea del Nord, narrano di mostruosità compiute sugli avversari di Kim Jong-un. Ovviamente queste notizie sono da maneggiare con molta cautela.
Si racconta che nel dicembre 2013 Jang Song Thaek, zio acquisito ed ex tutore del Presidente, e alcuni suoi parenti e collaboratori, siano stati sbranati da un branco di 120 cani. Esautorato da tutte le cariche, l’ex tutore del Leader è arrestato a novembre del 2013 durante una riunione del Politburo nordcoreano, processato per aver progettato un colpo di Stato, è condannato a morte. È certo che Jang Song Thaek, la sua famiglia e i suoi più stretti collaboratori, sono stati giustiziati, non con un branco di cani affamati, ma probabilmente fucilati in una pubblica piazza della capitale.
Sempre nel 2013, la stampa cinese riporta la notizia dell’ex fidanza di Jong-un, Hyon Song-wol, notissima cantante, fucilata con mitragliatrici assieme ad altre undici persone della sua orchestra, perché accusata di aver filmato incontri sessuali in seguito raccolti in video e venduti sui mercati illegali del porno. Secondo gli analisti, è stata una vittoria dell’attuale moglie di Jong-un, anche lei un tempo nella stessa orchestra di Hyon Song-wol, per consolidare il potere del marito e la successione di suo figlio.
Nel 2014 tocca a Ma Won-chun, architetto del nuovo terminal dell’aeroporto di Pyongyang, capitale nordcoreana. Il progetto e la realizzazione non sono piaciuti al Leader, perché non rispettano gli ideali di bellezza dell’identità nazionale, e così, invece di fargli causa, lo fa giustiziare assieme ad altre cinque persone. Tutti sono accusati di corruzione e disobbedienza.
Sempre nel 2014 circola la voce di un ministro giustiziato a colpi di cannone anti-aereo. È Hyon Yong-chol, ministro della Difesa, colpevole di essersi appisolato o durante un comizio di Jong-un o durante una parata militare. Poco dopo si è appurato che Hyon Yong-chol è stato epurato, ma non messo a morte.
Pare che Kim Jong-un abbia fatto uccidere anche Kim Jong-nam, suo fratello più grande. Il movente e i mandanti dell’omicidio restano poco chiari, certa è la modalità dell’assassinio: il 13 febbraio 2017, mentre Kim Jong-nam si trova all’interno dell’aeroporto di Kuala Lumpur (Malesia) in attesa di imbarcarsi su un volo per Macao è avvicinato da due donne che riescono a fargli inalare il gas tossico VX (agente nervino). Kim Jong-nam, era stato designato dal padre, Kim Jong-il, per essere l’erede alla carica di leader della Corea del Nord, ma, nel corso degli anni, la sua immagine è caduta in disgrazia, probabilmente a causa dei suoi frequenti viaggi in Giappone e della sua permanenza a Mosca per assistere la madre malata, ex moglie di Kim Jong-il, fuggita dalla Corea del Nord. Kim Jong-nam avrebbe potuto essere l’alternativa a Jong-un.

Oltre alle sistematiche purghe in seno ai vertici militari e del Partito del Lavoro, epurazioni attuate da Kim Jong-un per preservare se stesso ed eliminare avversari personali, la repressione del dissenso è attuata soprattutto con l’incarceramento in prigioni politiche e l’internamento in campi di concentramento per la rieducazione politica e sociale.
I primi campi di concentramento nordcoreani sono creati negli anni Cinquanta del Novecento per “bonificare” la nuova società dai potenziali nemici: traditori del Partito, collaborazionisti dei giapponesi, cristiani, grandi proprietari terrieri, familiari di persone incarcerate sia durante la guerra sia subito dopo la divisione sovietico-americana del Paese in due.
Tre sono le tipologie di campi: le colonie politiche penali di lavoro (Kwan-li-so) per tutte le condanne all’ergastolo o per cittadini considerati molto pericolosi; i centri di reclusione per sentenze a termine (Kyo-hwa-so); i centri di detenzione per fuggitivi rimpatriati dalla Cina (Ji-kyul-so). Oltre queste tre tipologie di campi, ci sono le “zone di deportazione”, residenze coatte per i familiari di persone fuggite al Sud.
I kwan-li-so sono gestiti dalla “Kukgabowibu State Security Agency Police”, che ha a sua disposizione anche strutture per il fermo di polizia (Ao-wi-bu), mentre i kyo-hwa-so e i jip-kyul-so sono coordinati dalla “Inminboanseong People’s Safety Agency Police”, che ha sua disposizione strutture per gli interrogatori (An-jeon-bu). La maggior parte dei Kwan-li-so sono suddivisi al loro interno in due settori: una “zona di controllo totale”, per gli ergastolani, e una “zona di trasformazione rivoluzionaria” per le condanne a termine. Nel primo settore non sono previste lezioni di indottrinamento, poiché gli internati sono condannati a vita; nel secondo settore la durata dell’internamento dipende da quanto i prigionieri riescono a rinsavirsi dal loro comportamento considerato antirivoluzionario. Tuttavia, i pochi internati rieducati e poi rilasciati portano a vita il marchio di ex prigionieri: sul loro documento di identità è indicato il loro “soggiorno” nei campi, poiché è riportato nell’attività lavorative la dicitura “operaio dell’esercito”, che vuol dire appunto ex detenuto.
In questi luoghi di espiazione si finisce per crimini e atti pericolosi che violano il potere dello Stato, il sistema socialista, la legge, l’ordine e la morale. Queste accuse sono così generiche, che qualsiasi motivo potrebbe giustificare l’internamento. Infatti, si finisce nei campi di rieducazione anche per reati banali, come per esempio, per aver ascoltato una canzone occidentale o per essersi vestiti in maniera non conforme alle regole nordcoreane, per essersi sintonizzati sulla radio della Corea del Sud o per inefficienza nel lavoro statale, come successe alla nazionale nordcoreana di calcio nel 1966. Infatti, durante i mondiali di calcio di quell’anno, i nordcoreani si qualificarono ai quarti di finale sconfiggendo l’Italia. La successiva partita contro il Portogallo, però, fu persa e la squadra non passò alle semifinali. Kim Il Sung attribuì la colpa ai festeggiamenti che la squadra aveva fatto nei pub inglesi dopo la partita vinta contro l’Italia. Al rientro in patria, i giocatori furono imprigionati nel campo di Yodok perché colpevoli di “essersi abbandonati alla decadenza borghese in festeggiamenti corrotti”. Solo il calciatore Pak Doo-Ik, l’autore del gol della vittoria contro la nazionale italiana, non fu incarcerato poiché non partecipò sia ai festeggiamenti della qualificazione ai quarti di finale sia alla partita contro il Portogallo, essendo stato colpito da una forma di gastrite.
Il documentario The game of their lives, del regista britannico Daniel Gordon, realizzato nel 2002 in Corea del Nord smentisce questa ricostruzione. Il regista, infatti, è riuscito a intervistare l’allenatore e sette giocatori di quella squadra tutti pluridecorati con medaglie, che hanno negato di essere stati imprigionati nei campi. Il regista, tuttavia, ha dovuto attendere quattro anni per ottenere l’autorizzazione, questo potrebbe far supporre una “preparazione” da parte del regime.

Mappa dei campi di prigionia in Nord Corea, stilata dall'ONU

Mappa dei campi di prigionia in Nord Corea, stilata dall’ONU

Una serie di testimonianze di ex deportati, fuggiti dall’inferno dei campi e dalla Corea del Nord, hanno fatto conoscere al mondo la realtà delle colonie di rieducazione attraverso il lavoro. Tra queste quella di Shin Dong-hyuk, il primo fuggiasco della Corea del Nord a esser nato in un campo di prigionia, il campo numero 14; Kim Yong, ex tenente colonnello nell’agenzia di sicurezza nazionale della Corea del Nord poi inviato in un campo di lavoro nel 1993 per tradimento; Lee Soon-ok, ex manager in un ufficio governativo della Corea del Nord, poi imprigionata nel campo di concentramento di Kaechon per corruzione; Kang Chol-hwan entrato nel 1977 nel campo di Yodok a dieci anni con la sua famiglia perché suo nonno fu accusato di essere una spia giapponese.
Nel 2011 e 2013 alcune fotografie satellitari (cfr. https://www.amnesty.org.uk/north-korea-satellite-images-expose-scale-prison-camps) hanno comprovato l’esistenza dei campi di concentramento in Nord Corea. Attraverso queste immagini si è scoperto che la più grande colonia penale di lavoro rieducativo è il campo numero 16. Situato nel Nord-Est a Hwasong, nella omonima contea, il campo ha un’estensione di circa 549 chilometri quadrati con circa ventimila prigionieri. È il più duro del Paese perché la maggior parte degli internati ha ricevuto la condanna a vita. Il campo ha una recinzione elettrificata di oltre 120 chilometri, con 35 torrette di guardia armata, ed è posizionato ai piedi del monte Mant’ap, montagna di 2.205 m di altezza appartenente alla catena montuosa Hamgyeong Sanmaek. La posizione, dunque, assieme alla massiccia sorveglianza, scoraggia qualsiasi fuga. All’interno i prigionieri sono divisi in tre grandi “agglomerati umani” in base al loro grado di pericolosità. Tutti hanno l’obbligo di lavorare (nel settore minerario, nella ittiocoltura, nel disboscamento e nell’agricoltura) e la sera, al rientro devono assistere alle lezioni di indottrinamento politico-sociale. Queste consistono nella memorizzazione dei discorsi di Kim Il Sung e di Kim Jong Il, in sedute di critica e autocritica. Appena fuori dal perimetro del campo si trova l’area Punggye-ri, il sito sotterraneo dove il regime ha attuato i quattro test nucleari.
Un altro notissimo campo è quello contrassegnato con numero 15. Più conosciuto come campo di Yodok, è situato a 110 chilometri dalla capitale, precisamente nella contea di Yodŏk-gun. L’area di internamento copre circa 378 chilometri quadrati, è circondata da filo spinato ed elettrificato e ospita circa cinquantamila persone. Tutti sono obbligati a lavorare e ad assistere alle lezioni di indottrinamento. I lavori riguardano la miniera d’oro che si trova all’interno, la cava di gesso, i campi agricoli, la fabbrica tessile, il taglio della legna.
La zona di Kae’chŏn, situata nella provincia del Pyongan, ha ben due zone di internamento: il campo 1, una prigione rieducativa di novantamila metri quadrati, e il campo 14, un vero e proprio campo di concentramento di 155 chilometri quadrati con circa quindicimila internati.
Altri campi conosciuti grazie alle immagini satellitari sono il Kwan-li-so 18 di Bukchang, nella contea di Pukchang a nord di Pyongyang, e il grande Kwan-li-so 22 di Hoeryong, nella parte nord-orientale del Paese, con un’estensione di circa 225 chilometri quadrati. Il primo dipende direttamente dal ministro dell’Interno della Corea del Nord, il secondo – come gli altri campi – ricade nella giurisdizione della Kukgabowibu State Security Agency Police.

Una rara immagine di un campo di prigionia

Una rara immagine di un campo di prigionia

Lo sterminio dei deportati non è una misura contemplata dal regime, ma le dure condizioni di vita all’interno dei campi determinano un alto tasso di mortalità.
Come in tutti i campi di concentramento che la storia ha conosciuto, la fame è la classica tortura che perseguita i prigionieri, già debilitati dal duro lavoro e dalle angherie dei carcerieri.
Ancor più terribili sono le testimonianze riportate da chi è riuscito a fuggire dall’inferno dei campi, riguardo esperimenti scientifici sugli internati. Oltre alla testimonianza di Kwon Hyuk, ex dirigente del Kwan-li-so 22 di Hoeryong, che riferisce nel documentario This World uncovers the “gas chambre” of North Korea, trasmesso dalla BBC il 1° febbraio 2004, di aver assistito personalmente a uno di questi esperimenti su una intera famiglia gasata, c’è la testimonianza resa al Congresso statunitense di Soon-Ok Lee, imprigionata per sette anni nel Kwan-li-so 14 di Kaechon: «Un ufficiale mi ordinò di scegliere cinquanta prigioniere di buona salute. Una delle guardie mi diede un cesto pieno di cavoli trattati; non per me, ma per darne a quelle cinquanta donne. Ne diedi loro e sentii urla da quelle che ne avevano mangiato. Gridavano tutte e vomitavano sangue. Tutte quelle che avevano mangiato le foglie di cavolo cominciarono a vomitare violentemente sangue, e a gridare per il dolore. Fu un inferno. In meno di venti minuti erano pressoché tutte morte» [Congressional Record–Senate, vol. 155, Pt. 8, April 21, 2009, Documents of U.S. Government Printing Office, Washington, pp. 10113-10114]. Anche un atto ufficiale “top secret”, riuscito a sfuggire alla censura del regime, attesta questi esperimenti: il documento è una lettera di trasferimento datata febbraio 2002, in cui un certo Lin Hun-hwa, di trentanove anni è inviato «Campo 22 allo scopo di sperimentazione umana di gas liquidi per armi chimiche».
Ovviamente della presenza dei campi di rieducazione, della repressione politica in generale e, soprattutto, degli esperimenti su cavie umane, il regime nordcoreano ha sempre negato l’esistenza.
Il nuovo passo diplomatico tra le due Coree, con l’incontro tra Kim Jong-un e Moon Jae-in, presidenti rispettivamente del Nord e del Sud, avvenuto il 27 aprile nel villaggio di frontiera di Panmunjom, all’interno della zona smilitarizzata, non solo potrebbe portare a una distensione politico-militare, ma, è l’augurio, anche a un graduale avvicinamento del Nord al rispetto dei diritti umani.

Per saperne di più
R. Paternoster, Campi. Deportare e concentrare: la dimensione politica dell’esclusione, Aracne, Roma 2017.
B. Harden, Escape from Camp 14. One man’s remarkable odyssey from North Korea to freedom in the West, PanMacMilliam, London, 2012, trad. it., Fuga dal Campo 14, Codice Edizioni, Torino 2014.
Amnesty International, North Korea: new satellite images show continued investment in the infrastructure of repression, Amnesty International Publications, London 2013.
R. Collins, Marked for Life. Songbun North Korea’s Social Classification System, The Committee for Human Rights in North Korea, Washington 2012.
D. Hawk, The Hidden Gulag. Second Edition. The Lives and Voices of “Those Who are Sent to the Mountains”. Exposing North Korea’s Vast System of Lawless Imprisonment, Committee for Human Rights in North Korea, Washington 2012.
K. Yong, K. Suk-Young, Long Road Home. Testimony of a North Korean Camp Survivor, Columbia University Press, New York 2009.
J. Becker, Rogue Regime. Kim Jong Il and the Looming Threat of North Korea, Oxford University Press, Oxford (England) 2006.
T. Beal, North Korea: the struggle against American power, Pluto Press, London 2005.
A. Barnett, Revealed: the gas chamber horror of North Korea’s gulag. A series of shocking personal testimonies is now shedding light on Camp 22 – one of the country’s most horrific secrets, «The Guardian», Sunday 1 February 2004.
G. Morellini, Dossier Corea. Viaggio nel regime più isolato del Mondo, Cooper & Castelvecchi, Roma 2003.
C.-H. Kang, P. Rigoulot, Les aquariums de Pyongyang: dix ans au goulag nord-coréen, Robert Laffont, Paris 2000, trad. it, L’ultimo gulag: la tragedia di un sopravvissuto all’inferno della Corea del Nord, Mondadori, Milano 2001.
L. Soon-Ok, Eyes of the Tailless Animals: Prison Memoirs of a North Korean Women, Living Sacrifice Book Company, Bartlesville (Oklahoma) 1999.
B. Cumings, The Origins of the Korean War. Liberation and the Emergence of Separate Regimes, 1945-1947, Princeton University Press, Princeton (New Jersey) 1981.