Cattedra: Tra cronaca e storia, la cattedra. Ne vale ancora la pena?

di Paolo M. Di Stefano -

Quando, molti anni orsono, con il fondatore di questa rivista – Franco Gianola – decidemmo di dar vita ad un “editoriale” immerso nella cronaca e ad una “cattedra” destinata ad approfondire alcuni degli accadimenti del mese precedente avevamo chiarissimo il rapporto tra cronaca, appunto, e storia, consci che la cronaca è seme e radice della storia e che questa ultima altro non è se non la cronaca filtrata e “interpretata” nella sua realtà più vera, proprio perché cristallizzata nel tempo e dal tempo. E dunque oggettivata e proprio per questo divenuta immutabile. E la nostra idea era offrire agli appassionati di storia lettori assidui e colti la possibilità di intravedere una sia pur piccolissima parte del futuro, di provare ad “immaginare la storia” ed anche di acquisire la consapevolezza di poter essere “costruttori” di essa.
Che era, è e rimane una realtà, soltanto in qualche modo riservata ai più attenti, e quindi ad una minoranza.
Trarre dalla cronaca elementi di conoscenza che ci consentano di “immaginare” e forse “costruire” il futuro è quanto di più affascinante ci possa impegnare, nella consapevolezza che nulla è scritto ed immutabile, ma tutto è forgiabile, e che dunque dalla capacità di analisi e dalla azione di ciascuno di noi dipende il futuro. E non soltanto quello individuale, poiché dal futuro degli individui dipende quello delle comunità e dal futuro di queste quello del genere umano. Con questo, in più; che la comunità concorrendo al modo di essere del futuro degli individui ne condiziona la qualità della vita e dunque il benessere e la felicità. Il tutto, ovviamente, nei limiti di un possibile che, peraltro, almeno in parte ha confini determinati dalla cultura e dalla volontà di ognuno.
In altre parole, l’essere umano non è onnipotente e immortale neppure, ma entro i limiti della cultura raggiungibile può e deve modificare il futuro.
E dunque, “fare” la storia.
Che a me sembra cosa più concreta e facilmente raggiungibile di quanto possa non apparire.
A condizione che si cominci a ragionare in termini più vasti di quelli che costituiscono gli egoismi personali, degli individui, dei gruppi, degli Stati.
Ecco, allora, che la cronaca consente di disegnare le vie della storia.
Da noi, più di qualcuno fa della sovranità dello Stato di appartenenza un limite invalicabile, con questo impedendo alle Unioni di Stati di meglio raggiungere obbiettivi che per definizione diventano e sono propri dell’Unione di riferimento. Perché se così non è, l’Unione, qualsiasi unione in qualsiasi forma è inutile, precaria e forse anche dannosa. E quando si pensi che oggi, ventunesimo secolo inoltrato, almeno da noi si è ancora in attesa di una definizione dei compiti dello Stato cui apparteniamo e dunque anche dei modi di gestione di esso…
Che è o dovrebbe essere una spinta a modificare non soltanto la nostra cultura, quella di ciascuno di noi, ma anche a cominciare a guardare a quanto accade con occhi diversi e spirito costruttivo.
Intanto, individuando e cercando di eliminare tutti quegli elementi di individualismo e di egoismo che sviliscono il nostro modo di essere. Che può anche consistere nel rifiutarsi di far esercitare la sovranità di cui siamo titolari da individui che pensano che quelli che credono essere i nostri interessi debbano essere affermati contro tutti e tutto.
Ne abbiamo parlato più volte, proprio in “cattedra”. Le soluzioni possibili, ad esempio, al problema degli immigrati sono sotto gli occhi di tutti: è vero o non lo è che la cronaca quotidianamente mette in evidenza lo sfruttamento dei migranti da parte delle mafie, la tragedia dei minori, soprattutto di quelli non accompagnati? E non è forse vero che sosteniamo costi imponenti per ciascuno degli aspetti di questo flusso che peraltro – dobbiamo farcene una ragione – è inarrestabile ed è destinato ad aumentare? E allora, perché non pensare ad aprire corridoi legali, etici, soprattutto pianificati e gestiti correttamente?
O ancora: tutti blaterano sulla necessità di creare posti di lavoro, anche prendendo lo spunto dalla “nobiltà” e dalla “etica” del lavoro, anche affermando che è il lavoro a dare dignità alla persona. Se così è – e lo è, almeno a mio parere – perché invece di inventarci redditi di cittadinanza di stampo nettamente caritativo e – sempre a mio parere – anche pericolosi, non si riconosce (non è che un esempio, di cui abbiamo parlato proprio in questa rubrica) che l’attività delle casalinghe è un lavoro vero e proprio ed anche talvolta pesantissimo e come tale, perché lavoro, va retribuito? Con effetti collaterali forse importanti: liberare posti di lavoro diversi, ai quali le casalinghe sono oggi costrette…
Forse, un chiarimento: il reddito di cittadinanza non è solo razzista, ma può anche diventare una spinta a non lavorare. Ricordo alcuni corsi in Sicilia frequentati dai giovani destinatari solo a titolo formale: erano pagati, quei giovani, e non interessava loro arricchire la conoscenza.
Cominciando a fare ragionamenti “creativi” perché in qualche modo diversi attorno a questi temi, ci accorgeremmo anche della necessità o almeno della opportunità di modifiche radicali al nostro sistema economico che – ricordiamocelo tutti – è un sistema di rapina che sta ormai raggiungendo il massimo della ingiustizia e della iniquità: le ricchezze del mondo sono sempre più in mano di pochissimi, sempre meno numerosi.
Il che crea, tra le altre cose, servilismo, che potrebbe anche rivelarsi il destino di tutti noi, se non corriamo ai ripari.
E quando si pensi che Wilfredo Pareto lo aveva previsto, due secoli fa…
Da parte mia, io mi sto anche chiedendo se non varrebbe la pena di aprire un canale di discussione e di fare di “cattedra” una palestra di ragionamento su temi specifici suggeriti dalla cronaca e che potrebbero concorrere a realizzare una storia diversa.