Cattedra: Terremoti, guerre e comunicazione

di Paolo M. Di Stefano -

 

Una cosa appare più che certa: l’Italia non brilla certo per la capacità di pianificare ed attuare attività di prevenzione e di manutenzione. E neppure, ovviamente, di ricostruzione, come più che ampiamente dimostrato dalla storia recente.
Da noi il tempo e le risorse si impiegano a disquisire sul come prevedere i terremoti e su chi debbano essere coloro cui spetta il compito. Sarebbe cosa non malvagia e neppure inutile se il tutto fosse orientato alla pianificazione ed alla organizzazione delle attività di geologi, ingegneri, architetti, geometri e cantieri e fornitori e di quanti altri nella costruzione secondo criteri antisismici e nella manutenzione e trasformazione dell’esistente secondo gli stessi criteri. Sembra che dove qualcosa è stato fatto i risultati siano stati positivi, ma sembra anche che l’improvvisazione continui a farla da padrone.
Sembra anche, però, che le operazioni di consolidamento e di prevenzione in più di un caso siano state pure e semplici speculazioni ad opera di imprenditori che qualificare criminali è quasi un onore. Ad Amatrice, è crollata una scuola, da poco ristrutturata e sulla quale si contava per un rifugio in caso di calamità. Pare che dalle pareti distrutte sia affiorato anche del polistirolo, notoriamente accettato da tutti i trattati di architettura e di ingegneria come materiale più che affidabile. Come la sabbia, in fondo.
E tutt’intorno, una serie infinita di costruzioni recenti ha fatto la fine dei castelli di carta. Ora si cercano i responsabili, e il tutto con molta probabilità finirà con un nulla di fatto, salvo qualche eventuale capro espiatorio. Tanto per salvare la faccia.
All’Aquila e in Emilia si attende ormai da anni un intervento risolutivo. Il terremoto in Umbria e Marche e Lazio ha ampliato il campo.
Voglio sperare che le esequie solenni significhino l’impegno reale dello Stato in tutto quanto concerne la gestione delle zone sismiche del Paese, e che le immancabili dispute (colte e sottili e morali e politiche) portino a quella “pianificazione di gestione” che è concetto e pratica ignoti ai politici come ai burocrati d’Italia.

Gibellina

Gibellina

Un “bel Paese” che si sgretola soprattutto per ignavia, incapacità, disonestà.
E per soluzioni fantasiose, quale quella tuttora visibile a Gibellina, travolta dal terremoto del Belice del 1968, di intensità 6.1 e dunque minore di quello di agosto al Centro Italia. Soluzioni troppo spesso prive di senso, ma che senza dubbio hanno prodotto utili a favore di più di qualcuno.
Nel 1968 il mondo della comunicazione non era “avanzato” come quello di oggi, e forse il bombardamento mediatico è stato diverso. Non sono in grado di dirlo, ma posso ben sostenere che in merito al terremoto di agosto la comunicazione è stata impegnata ed utilizzata senza risparmio. Praticamente senza soluzione di continuità, tutti hanno parlato dell’evento e tutti i media possibili e immaginabili sono stati impegnati…a dire e mostrare tutti le stesse cose nello stesso modo. Unica differenza, qualche sfondone linguistico in più da parte di qualche commentatore più frettoloso.
Una considerazione, sommessa: forse non sarebbe poi tanto male ricordare che anche la comunicazione ha due facce, e an he per la comunicazione, come per tutti i prodotti, il rischio dell’eccesso è reale e vicinissimo. E che se non si hanno chiari gli obbiettivi – in genere limitati nel caso dei giornalisti a “dare la notizia” magari prima degli altri -, e non si dispone di cose diverse da comunicare, in grado di mantenere viva l’attenzione, “la gente” – cioè tutti noi – dopo un po’ diviene preda dell’assuefazione ed è portata a dedicare la propria attenzione ad altro. E comunque a diminuirne il livello per la materia in corso.

Vaison la Romaine

Vaison la Romaine

Abbiamo tutti subito un’orgia di rovine e di parole, tutte eguali, con rarissimi accenni alla identificazione dei problemi ed alle possibili soluzioni, al di là del generico.
I nostri “maestri comunicatori” non sembra si rendano pienamente conto della “forza” della comunicazione e dei suoi effetti. E neppure, ovviamente, della differenza tra il fatto e la notizia.
Se avessero piena coscienza della professione, ad esempio, non continuerebbero a dedicare tempo e spazio e mezzi ai terroristi in genere e all’Isis in particolare: saprebbero che ormai anche il solo accennarvi significa fare il loro gioco. Che non vuol dire tacere: significa anche e soprattutto comunicare in modo diverso, cosa assolutamente possibile.
Nel caso dei disastri naturali, l’insistere sulle macerie certamente significa alla lunga diminuire l’attenzione su questioni di importanza vitale, delle quali troppo spesso si parla per slogan.
“Ricostruire come era e dove era” è uno di questi. Un puro slogan, nella maggior parte dei casi, poiché non sempre è possibile, non sempre è opportuno, e questo al di là delle questioni economiche.
Noi tutti dovremmo essere educati a sapere che tutto ha un suo ciclo di vita e dunque tutto è destinato a morire. Possiamo certamente cercare di prolungare la vita delle nostre opere, ma un giorno esse moriranno, e dobbiamo saperlo. Perché così potremo prepararci, non solo, ma an che guardare ai fenomeni da un angolo in qualche modo diverso.
E intanto, così potremo considerare in modo più sano l’eventualità di un trasferimento.
Confesso di non comprendere a fondo il senso della ricostruzione ex novo e con criteri diversi di borghi medioevali o ancora precedenti: immaginate una Pompei o una Ercolano o una Vaison la Romaine ricostruite e rese abitabili oggi?
Cosa conserverebbero del loro essere state? Cosa diverrebbero se non maschere e finzioni?
E’ pura opinione, naturalmente.
Forse sull’argomento sembra essersi acceso un lumicino: il Presidente del Consiglio pare abbia interpellato in materia un architetto di fama mondiale, Renzo Piano. Possiamo solo sperare che non si sia trattato di un trucco puramente politico.

Non c’è dubbio che le mafie tutte cercheranno di trarre profitto da quanto è accaduto e da quanto accadrà, in una con i complici annidati nella burocrazia e nella politica, oltre che nelle imprese private.
E’ la sola cosa certa.
E forse bisognerebbe ricordarsi che le mafie non sono altro che la nostra economia priva di norme di comportamento. E queste mafie noi le rafforziamo tutte le volte che insegniamo che occorre perseguire il profitto e la sua massimizzazione, e che l’economia è disciplina regolata solo dalle proprie leggi: creare e massimizzare il profitto, riconoscere e dar vita e sfruttare le opportunità, combattere e vincere la concorrenza, il tutto con il massimo della libertà.
Combattere le mafie significa anche conoscere e comunicare con estrema chiarezza i piani di gestione di tutti e ciascuno i fenomeni di interesse, la natura e le competenze dei soggetti chiamati ad attivarsi, i risultati delle attività di controllo e gli eventi che conseguono.
Io credo – ma ancora una volta è pura opinione personale – che sulla attività delle mafie nella realtà regni un silenzio assordante, assoluto sopra tutto per ciò che concerne i giochi tra mafie e burocrazia e politica. Il silenzio è assoluto perché nella realtà si gridano temi ai quali non segue svolgimento alcuno, se non “a posteriori”. Ed anche in questo caso si tende a minimizzare, quando non a tacere ogniqualvolta tra gli interessati sia qualcuno che ha saputo conservare il proprio potere e le relazioni che o sostanziano.

E a proposito di mafie e di capacità di lottare contro di esse e sconfiggerle o almeno indebolirle: tutti ci siamo accorti che le mafie traggono utili giganteschi dal dramma dei migranti. In merito, la comunicazione insiste – anche se sempre meno- sul numero dei morti e su quello degli sbarchi, ma sembra non occuparsi a sufficienza dell’azione delle mafie. In pratica, non se ne parla, quasi che la questione non esista o non sia risolvibile.
Falso.
Qui è stato più volte accennato al come si potrebbe risolvere la questione, in una con quel risparmio sui costi che potrebbe aiutare a risolvere problemi diversi. In sintesi estrema: è realisticamente pensabile e possibile andare a prendere i profughi, provvedere alla loro identificazione, al trasferimento ed all’inserimento, anche sottraendo alle mafie il lucro derivante da ogni attività relativa e quindi riducendo il loro potere in molti settori dell’economia.