Cattedra: Italian Summer, e la Sinfonia continua… allegretto ma non troppo

di Paolo M. Di Stefano -

Terzo movimento: Laudato si’ (allegretto non troppo, adagio cantabile)

Giugno, sagra della interpretazione e dei distinguo, arti delle quali siamo maestri, neppure superati da quei bizantini ai quali da più parti se ne attribuisce la paternità.
In questo, l’enciclica papale “Laudato si’” è stata come la manna caduta dal cielo: ha nutrito e continua a nutrire le “brain masturbations” più diverse.
A cominciare da quella – sostenuta nel corso di una intervista radiofonica – nella quale un signore il cui nome mi sfugge affermava che “il Papa ha dimenticato di occuparsi del come”. Se, come mi pare di ricordare, si trattava di un politico, da qual pulpito viene la predica! In Italia, almeno oggi, non esiste politico che si occupi a fondo del “come” fare anche una soltanto delle cose che promette, in proprio o attraverso il Partito o il Movimento di riferimento.
E a proposito del “come”, a mio parere per un Papa il problema non si pone. In quanto guida di una fede e portatore della voce di Dio, credo che un Papa sappia perfettamente cosa e come fare perché i destini del mondo siano il linea con la volontà del Dio Creatore.
E’ sufficiente seguire gli insegnamenti di Dio. E credo anche che un Papa trasmetta ai fedeli il messaggio divino e si curi di fare il possibile perché venga attuato.
Per quanto mi riguarda, io da cristiano cattolico sono profondamente convinto che per assicurare al meglio la vita del creato l’uomo ha a disposizione le Scritture (Antico e Nuovo Testamento) e i Comandamenti.
E credo anche che il principio valga non solo per chi non è Cristiano e segue fedi diverse, ma anche per chi non ha fede alcuna se non quella nella “non esistenza” di Dio. Per questi, l’attenzione alle indicazioni “laiche” e laicamente evolute nei secoli potrebbe e dovrebbe essere considerata un mezzo affidabile per individuare gli obbiettivi e pianificare le azioni.
Ma questo a parte, l’enciclica indica con precisione inusitata i settori nei quali è necessario intervenire, che è già un “come” cercar di riportare la esistenza umana nella sua interezza ad assolvere i compiti di “salvaguardia del creato” e di “promozione della vita”.
Che non sono – come scrive Libero del 19 giugno – «luoghi comuni dell’ambientalismo più spinto», e neppure “attacco al mercato”. Il Papa ha disegnato quell’ambiente attuale dal quale non può non partire qualsiasi azione di pianificazione strategica e tattica. Si tratta di verità assolute date talmente per scontate da esser divenute, nella considerazione di più di qualcuno, luoghi comuni, appunto e dunque non degni di particolare considerazione, quando n0on addirittura trascurabili. Cosa naturalmente non vera, dal momento che è proprio il considerare “luoghi comuni” i grandi temi che ne impedisce l’approfondimento teorico e pratico. E’ quella sagra dell’ovvio alla quale tutti noi tendiamo ad inchinarci, soprattutto perché il farlo ci esonera dal pensare.
Così, è scontato che il sistema economico induca a far profitti sempre maggiori e ad emarginare i più deboli; è scontato che il potere sia il premio ambito di una guerra scatenata senza esclusione di colpi; ed anche per scontato è dato che l’uomo sia misura di tutte le cose e quell’uomo sia innanzitutto io.
Una citazione per tutte. Scrive il Papa (cap. 5, IV, 189): «La politica non deve sottomettersi all’economia e questa non deve sottomettersi ai dettami ed al paradigma efficientista della tecnocrazia. Oggi, pensando al bene comune, abbiamo bisogno in modo ineludibile che la politica e l’economia, in dialogo, si pongano decisamente al servizio della vita , specialmente della vita umana. Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e per una nuova regolamentazione della attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale. Ma non c’è stata una reazione che abbia portato a ripensare i criteri obsoleti che continuano a governare il mondo».

Economia, marcia al supplizio (allegretto ma non troppo)
Da questo punto di vista, Libero (19 giugno) mostra una carenza drammatica di capacità o di volontà di approfondimento, non riconoscendo che tutto va sempre rimesso in discussione, dal momento che nessuno fino ad ora sembra esser riuscito ad enunciare verità indiscutibili, oggettive e dunque accettabili ed accettate da tutti, e che tutto, di conseguenza, va ripetuto e ribadito e riesaminato fino alla noia. A parte la nota di pessimo gusto «Più che al riscaldamento globale, pare di esser di fronte al riscaldamento papale, ossia ad una minestra riscaldata dell’ecologismo più spinto», a parte questo, sempre a parere di Libero, «Bergoglio sembra dimenticare che grazie a quei modelli di produzione e consumo la vita media delle persone è migliorata, e così pure il tenore di vita di intere popolazioni».
Che se è vero, lo è solo in parte, dal momento, almeno, che lo sviluppo della nostra economia è avvenuto anche (e forse soprattutto) grazie allo sfruttamento della schiavitù, all’appropriazione delle terre e all’uso delle guerre, necessitate anche queste ultime dal doversi procurare manodopera a bassissimo costo. E che non abbiamo prove di cosa sarebbe accaduto se, invece di impoverire interi Paesi appropriandoci delle risorse umane e non solo e imponendo il nostro sistema volto all’arricchimento, avessimo lasciato che gli eventi seguissero il corso naturale, e che le culture di quelle popolazioni si evolvessero lungo un ciclo vitale loro proprio.
E’ vero che la storia non si fa con i “se”, ma è anche vero che non è proibito – anzi, è costruttivo – discutere e valutare. E’ vero che il nostro personale processo di arricchimento ha prodotto una minor miseria in qualche altro Paese: ma questo è accaduto solo perché, di fronte alla minor quantità di “merce umana”, siamo stati costretti a dare agli “schiavi” qualcosa di più in cambio del lavoro. E, ancora una volta, non abbiamo la prova che non ci sarebbe stata maggiore ricchezza in quei paesi se il nostro comportamento fosse stato diverso.
La nostra è stata e rimane una economia di rapina, e questa economia si sviluppa attraverso lo sfruttamento di intere popolazioni e di intere classi sociali a beneficio di pochi.
Che non significa che qualche briciola in più non cada dalla tavola del ricco e che, quindi, il povero abbia almeno quella briciola in più per nutrirsi.

La povertà nel mondo (ostinato molto marcato, come metronomo)
C’è una nota interessante, in Libero a pag. 3, di spalla: «Nel 1990, le persone costrette a vivere con meno di 1,25 dollari al giorno erano quasi due miliardi, nel 2008 un miliardo e trecento milioni. Dunque l’economia, il progresso, la crescita hanno non solo allungato la vita delle persone, ma l’anno anche migliorata consentendo a milioni di persone condizioni e reddito dignitosi».
Credo si tratti di numeri esatti o almeno affidabili. Manca, però, un calcolo a mio parere essenziale. Nel 1990 il potere di acquisto di un dollaro (USA) era all’incirca quattro volte maggiore di quello di un dollaro (USA) di oggi. Significa in prima approssimazione che per acquistare quanto si poteva con un dollaro di allora, oggi ne occorrerebbero cinque. O forse ne basterebbero quattro o addirittura tre: è importante, ovviamente, ed io non sono in grado di conoscere esattamente il rapporto tra i poteri di acquisto nel corso degli anni. Certo è che se anche il valore di un dollaro USA del 1990 fosse di soltanto tre volte superiore a quello di oggi, quel 1,25 dollari diventerebbe 3,75.
Domanda: quante sono le persone nel mondo che dispongono per vivere di meno di 3 dollari e 75 centesimi al giorno? O anche: sempre nel mondo, quante sono le persone che dispongono di meno di circa 112 (centododici) dollari al mese?
Risposta: sembra (fonte: Internet) che tre miliardi di persone vivano con meno di due dollari al giorno. Se così é , è lecito pensare che almeno un altro miliardo viva con meno di 3,5 dollari al giorno. Con larga approssimazione, fortemente ottimistica, il conto lo facciamo su 4/4,5 miliardi.
Allora, non è vero che si diventa tutti meno poveri.
Di più: la popolazione mondiale è passata da circa sei miliardi del 1990 ai circa nove del 2015. Vuol dire che nel 1990 il 22% della popolazione mondiale era “povera”; nel 2015, lo è almeno il 50%.
Non male, vero?
Senza contare che già Vilfredo Pareto prevedeva già all’inizio del 1900 che l’ottanta per cento della ricchezza sarebbe stata posseduto dal venti per cento della popolazione.
In sintesi estrema: non è affatto vero che la miseria diminuisca, nel mondo. Al contrario, tende ad aumentare sempre di più.

Sogno di una notte d’estate (larghetto, allegro, corale)
E già così, l’enciclica di Francesco riafferma una sua luce assolutamente importante: occorre mettere in discussione tutti i nostri saperi attorno all’economia ed alla politica per correggerne quegli errori che ci portano verso una situazione che potrebbe rivelarsi irreversibile e mortale.
Per noi uomini e per l’ambiente in cui viviamo.
Non solo. Oltre al discutere per meglio comprendere, l’enciclica indica il cosa fare e il come.
Naturalmente, il Papa non può che limitarsi ad enunciare i temi da affrontare, lasciando ad approfondimenti successivi le tattiche relative a ciascuna materia. Il che non toglie che in più di un caso la soluzione sia chiaramente indicata, sia in termini di “cosa fare” che di “come” farlo e del “perché” attivarsi. E le materie trattate nel capitolo V (alcune linee di orientamento e di azione) la dicono lunga sull’infondatezza dell’accusa di non occuparsi del “come”.
Detto per inciso, sono tre dei famosissimi “5W” che tutti citano, in genere a sproposito. Perché “fa fino”. Ed è ovvio che non è il caso di Papa Francesco.
Ma un comportamento mi pare indicato con chiarezza estrema: la moderazione, il senso del limite e il senso dell’altro. Moderazione nel disegnare e nel soddisfare i propri bisogni; senso del limite nel perseguire le utilità desiderate; senso degli altri in tutti i comportamenti di relazione, diretti o indiretti.
Un comportamento che è e non può non essere materia di “educazione” e dunque di formazione e di cultura.
E, forse, il degrado della nostra cultura è almeno in parte dovuto proprio al fatto che la moderazione, l’attenzione agli altri, quella all’intero pianeta non sono più oggetto di insegnamento, mentre da ogni parte si ripete che occorre aumentare i consumi – anche a costo dello spreco – perché altrimenti l’economia muore, e si insegna ad “arricchire” la quantità e l’intensità dei bisogni, perché è su questa base che si forma il desiderio e la spinta alla loro soddisfazione.
Che è il massimo del riconoscimento alla parola del Papa.
Ma che è anche “una delle cause” della “istruzione”, della “formazione” a tutti i livelli, tema a sua volta in qualche modo presente anche nel mese di giugno appena concluso, e del quale ci siamo occupati nell’editoriale. Voglio significare che se l’istruzione fosse pianificata con serietà, tra le sue “cause prime” troverebbero il giusto posto l’educazione alla strutturazione dei bisogni, quella alla decisione di quali di essi soddisfare, quella della attivazione alla ricerca ed all’acquisto dei beni e dei servizi ritenuti “utili”.
E se tutto avvenisse sulla base del “sociale” e non su quella dell’individualismo, una gran parte dei mali che affliggono il mondo e che l’enciclica indica con dovizia di particolari sarebbe sanata.
Mi spiace dover abbandonare questa meditazione sull’enciclica e sulla politica e sulla economia, un po’ per consapevolezza dei miei limiti e della mia incapacità, un po’ per ragioni di spazio.
Ma un invito credo poterlo fare a tutti noi: leggiamo e rileggiamo “Laudato si’ , portiamocelo in vacanza, mettiamolo sul comodino anche a casa.
Leggiamo, e le nostre vacanze – che tutti ci auguriamo almeno tranquille – saranno migliori.