ARISTIDES DE SOUSA MENDES, UN CONSOLE CONTRO I NAZISTI

di Paolo Ponga –

 

Dal suo ufficio di Bordeaux decise di contravvenire agli ordini del governo portoghese e aiutare più rifugiati francesi possibili (soprattutto ebrei) in fuga dall’occupazione nazista. Nel 1966 fu inserito nell’elenco dei “Giusti fra le nazioni”.

1940. Fosche nubi continuano ad addensarsi sull’Europa sconvolta dalla guerra. Il 10 maggio le truppe tedesche interrompono la tregua armata con i francesi, che perdurava dal mese di settembre; era la cosiddetta “drole de guerre”, la guerra stramba, fatta più di volantini che di pallottole. Dopo aver concluso la spartizione della Polonia con la Russia di Stalin e la veloce invasione della Danimarca e della Norvegia, le formidabili armate naziste vengono rivolte ad ovest: è l’inizio della Campagna di Francia. Le truppe tedesche avanzano inarrestabili attraverso due direttive: Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo da un lato, la foresta impenetrabile delle Ardenne dall’altro, dove la maggior parte delle forze corazzate avanzano aggirando la Linea Maginot. Le difese anglo-francesi vengono tagliate come burro dal coltello affilatissimo dei generali tedeschi e all’orizzonte si profila una disfatta terribile. Il 26 maggio inizia la battaglia di Dunkerque con l’evacuazione delle truppe inglesi, che si protrarrà fino al 04 giugno; il 10 il Duce dichiara guerra alla Francia ed ordina di attaccare il confine alpino, con quella che verrà considerata come una coltellata alla schiena. Sempre il 10 giugno il governo francese lascia Parigi, dichiarandola “Città aperta”, e si rifugia temporaneamente nella città di Bordeaux, insieme a decine di migliaia di persone in fuga dall’avanzata tedesca. Il 14 le truppe tedesche entrano nella capitale, ed il 17 il Maresciallo Pétain chiede la resa.
Difficile immaginare al giorno d’oggi la situazione, quando almeno nella nostra parte del mondo viviamo colmi di agi e sicurezze. Le truppe naziste avanzano inarrestabili da Nord Est; Parigi, la culla della belle époque, invitta nella Grande Guerra, città libera e sfrenata fino ad un attimo prima, e ritenuta inconquistabile, sta cadendo in mano tedesca. Gli inglesi sono fuggiti attraverso la Manica e le truppe italiane stanno attaccando nel sud del paese. Tutto appare perduto.

Aristides de Sousa Mendes nel 1940

Aristides de Sousa Mendes nel 1940

Dalla capitale come dalle campagne e dalle città minori una enorme massa di persone, milioni di persone, stanno fuggendo verso sud per scampare agli orrori della guerra ed alle possibili ritorsioni naziste. Molti sono infatti di fede politica socialista o comunista, oppure provengono da nazioni invase o ancora sono austro-tedeschi invisi al regime; oltre a questi, ci sono anche tante famiglie di religione ebraica, che fuggono dalle follie di Hitler. Queste persone sanno solo una cosa: se verranno catturate rischiano il campo di prigionia o la morte. La speranza è un flebile filo ormai, perché il tempo stringe, gli avvenimenti si susseguono concitatamente e l’unica frontiera a disposizione è quella spagnola, chiusa per la maggior parte di loro dal regime di Francisco Franco, al potere da poco al termine di una devastante guerra civile, vinta anche grazie all’aiuto degli amici dell’Asse. Sanno quindi che la Spagna è per il momento neutrale, ma anche di non essere ben accetti in essa e che l’ingresso nel paese non è loro consentito senza permessi particolari. Oltre la Spagna vi è il Portogallo, lontano però dal confine, e nel quale c’è un’altra dittatura di destra, quella di Antonio de Oliveira Salazar simpatizzante anch’egli per i nazifascisti. Il tempo vola e le speranze di sopravvivere per molti di loro sono ormai ridotte al minimo; si sa infatti che il governo francese a Bordeaux sta per chiedere la resa.
Nella città capoluogo dell’Aquitania si trova il console portoghese Aristides de Sousa Mendes do Amaral e Abranches. Il diplomatico era nato in provincia, a Cabanas de Viriato, nella grande casa di proprietà della sua aristocratica famiglia, il 18 luglio 1885. Laureato in legge all’università di Coimbra insieme al gemello, ha condiviso con lui la carriera diplomatica, viaggiando a Zanzibar, in Brasile, negli Stati Uniti per arrivare quindi nel 1929 ad Anversa in Belgio. Qui è rimasto per quasi dieci anni, svolgendo più che onorevolmente il suo lavoro (tanto da venire decorato dal re belga Leopoldo II) e facendo conoscenze ed amicizia con numerose personalità del governo e della cultura di questo paese.
Nel 1940 Salazar decide di nominarlo console a Bordeaux e Sousa Mendes deve abbandonare la città che lo ha visto felice per molti anni insieme alla moglie Angelina ed ai loro 14 figli, o che al contrario lo ha aiutato a sopportare il dolore per la perdita di un maschio adulto e di una piccolina. La famiglia non è contenta di un altro trasferimento: i ragazzi vanno nelle scuole o nell’università di Anversa, qui hanno trovato amicizie e stabilità. In più in estate riescono a passare le vacanze tutti insieme nella casa di Cabanas de Viriato, viaggiando con un pulmino che il console ha fatto costruire apposta. Aristides ha 55 anni, è vicino alla fine della sua carriera e non ha ambizioni politiche; ubbidisce suo malgrado agli ordini superiori, mandando però i figli più piccoli alla casa portoghese.

A Bordeaux nel giugno 1940 c’è l’inferno: le strade sono intasate da una moltitudine di persone terrorizzate che fuggono dai nazisti. Tutti alla caccia sfrenata di un passaggio in nave verso l’Inghilterra, ma non ce ne sono più. L’altra possibilità è ottenere un visto per il Portogallo, ma a novembre 1939 Salazar ha fatto emettere la “Circular 14”: “I consoli di carriera non possono concedere visti consolari senza previa consultazione con il Ministero degli Affari Esteri agli stranieri di nazionalità indefinita, contestati o in conflitto, agli apolidi, ai titolari di passaporti Nansen (profughi e rifugiati apolidi) e ai russi; (…) a coloro che presentano nei loro passaporti la dichiarazione o qualsiasi segno che non possono ritornare liberamente nel paese da cui provengono; agli ebrei espulsi dai paesi di loro nazionalità o da quelli da cui provengono.”
Il console però è scosso da un conflitto interno. Non sa nulla dei campi di concentramento, ma ha capito che tutte queste famiglie in fuga corrono pericolo di vita. Incontra e decide di aiutare il rabbino di Anversa Jacob Kruger, che già conosce e che tenta di fargli comprendere che occorre aiutare tutti questi disperati, di qualsiasi età, razza o religione essi siano. Aristide si prende tre giorni per riflettere, poi il 16 giugno 1940 prende la sua decisione: aiutare chiunque gli chieda aiuto, senza nessuna distinzione. Avvisa il personale del consolato, poi timbra e firma tutti i moduli disponibili, quindi ogni pezzo di carta che riesce a trovare, con l’aiuto dei figli e del rabbino Kruger. Viene immediatamente richiamato all’ordine dal governo di Lisbona, ma, profondamente cattolico, dichiara: “Se devo disobbedire, preferisco che sia agli ordini degli uomini che agli ordini di Dio.” Il giorno 20 si sposta a Bayonne, vicino alla frontiera spagnola, dove incontra il viceconsole che sta rifiutando di emettere visti ed ha con lui un durissimo confronto, obbligandolo a seguire i suoi ordini. Mentre il 22 giugno il governo francese sta trattando la resa a Compiègne, nello stesso vagone ferroviario in cui fu firmato l’armistizio del 1918, Sousa Mendes continua ad emettere visti e salvare persone. Il giorno 23 il console viene licenziato da Salazar, che manda quindi dei funzionari della PIDE, la polizia segreta portoghese, a prelevarlo in territorio francese per tradurlo in patria. Aristides riesce a sfuggire alla cattura e guida una interminabile colonna di persone che in auto, camion, a cavallo, con qualsiasi mezzo di fortuna si dirige verso la frontiera spagnola. Le autorità di questo paese ordinano però la chiusura delle frontiere e l’ormai ex console viene a saperlo; dirige così la colonna di profughi verso un piccolo passaggio di frontiera vicino ad Hendaye, dove sa che i funzionari spagnoli non hanno il telefono e quindi probabilmente non hanno ancora ricevuto gli ordini dal governo centrale: conosce bene il passaggio, perché è quello che usa con il suo pulmino per tornare in vacanza a Cabanas de Viriato. Durante la fuga non smette mai di firmare e timbrare visti d’ingresso in Portogallo: in totale saranno circa 30.000, di cui 10/12.000 ad ebrei, condannati altrimenti a morte quasi certa. Arrivati al posto di frontiera spagnolo, le guardie rimangono interdette alla vista delle migliaia di persone al seguito di Sousa Mendes e non sanno come comportarsi: lui però darà grande prova della sua arte oratoria, riuscendo a farne passare la maggior parte. Attraversato il confine, i profughi passeranno per terre desolate, devastate dalla guerra civile appena conclusa; poi, per la maggior parte di loro, ci sarà la salvezza: l’arrivo in Portogallo con Sousa Mendes.

Il 4 luglio la decisione riguardante il futuro di Sousa Mendes è già stata presa, ma Salazar per mantenere la forma ordina l’apertura di un processo disciplinare. L’atto d’accusa del processo verte sulla violazione ripetuta da parte del console della circolare 14, di aver ordinato al console di Bayonne e permesso a quello di Tolosa di emettere visti illegali e soprattutto di aver disonorato il Portogallo di fronte alle autorità spagnole e tedesche. Sousa Mendes si batte per far valere le proprie ragioni, affermando di aver voluto con il suo comportamento onorare il Portogallo e la sua tradizione cristiana: “Ho sempre agito secondo coscienza, guidato dal senso del dovere e delle mie responsabilità, per il buon nome del mio paese, senza nulla averne in cambio.” – affermerà durante il processo, ma senza fortuna. Viene retrocesso, condannato ad un anno di inattività a metà stipendio, quindi messo in pensione anticipata, senza salario. Gli viene tolta la patente e la possibilità di esercitare come avvocato. È la sua rovina economica.
Abituato a vivere agiatamente con la sua famiglia, si ritrova povero e dimenticato dalle autorità. Un testimone poi trasferitosi a Washington, Isaac Bitton, che collaborava in una mensa per i poveri ebrei che vivevano o transitavano per Lisbona, un giorno se lo trova davanti con moglie e figli. “Mi scusi, ma questa è una mensa israelitica per i rifugiati poveri”, gli dice, e Sousa Mendes ribatte “Guardi che anche noi siamo dei rifugiati.” Da quel momento, sopravvive grazie all’aiuto dell’assistenza ebraica internazionale, grazie alla quale due figli vanno a vivere e studiare negli Stati Uniti d’America, e parteciperanno al conflitto sotto la bandiera della nuova nazione unendosi alle truppe dello sbarco in Normandia.

A guerra finita nel 1945 il dittatore portoghese Antonio de Oliveira Salazar, con una clamorosa faccia tosta, si vanterà del fatto che il suo paese avesse aiutato i profughi nella loro fuga dal nazismo, continuando però a vessare la famiglia dell’ex console.
Nel 1948 la moglie Angelina viene a mancare, ed anche per i figli rimasti, che subiscono ancora l’ostracismo del regime e le difficili condizioni economiche generali, rimane solo la via dell’emigrazione. Solamente uno di loro rimarrà in Portogallo, mentre gli altri prenderanno la via degli Stati Uniti, del Canada o dell’Africa. Ormai solo, dopo aver venduto tutti i beni rimastigli, Aristide Sousa Mendes si spegne in miseria il 3 aprile 1954 presso l’ospedale dei frati francescani a Lisbona. Viene seppellito con indosso un povero saio, in quanto non possiede più nemmeno un vestito.
Per parecchio tempo il nome di Aristides de Sousa Mendes viene dimenticato nel mondo; i figli, i nipoti e le persone da lui salvate continueranno però a lavorare affinché le sue gesta rimangano a memoria, ed il suo nome riabilitato.
Nel 1966 Aristides viene infatti inserito nell’elenco dei “Giusti fra le nazioni” del Memoriale dell’Olocausto di Gerusalemme, lo Yad Vashem. In patria viene riconosciuto il suo operato solo tra il 1987 e la metà degli anni ’90, terminati ormai gli anni della dittatura. In seguito verrà aperta una fondazione a suo nome, la sousamendesfoundation.org che raccoglie testimonianze e ricordi dei sopravvissuti, si occupa del restauro della casa di Cabanas de Viriato divenuta museo ed organizza ogni anno un viaggio fra Bordeaux e Lisbona che a cavallo fra giugno e luglio si svolge sull’itinerario del viaggio originale, per commemorare la grande fuga.
Per renderci conto della grandezza di ciò che il console ha compiuto, è stato calcolato che il futuro della ricostruzione post bellica non sarebbe potuto essere quello che è stato senza il suo intervento: oltre a migliaia di persone comuni, Aristide ha salvato politici, ricercatori, musicisti, professori, medici, scrittori, il governo belga in fuga, Ottone d’Asburgo Lorena (il figlio dell’ultimo imperatore austroungarico), un cofondatore dell’Unicef. In pratica l’intellighenzia di mezza Europa, persone provenienti da 46 paesi diversi.

Per saperne di più
Rui Afonso, Aristides de Sousa Mendes o «Wallenberg Português, Lisbona, Editorial Caminho, .
Fralon, José-Alain, Aristides de Sousa Mendes, Le juste de Bordeaux, Mollat, 1998.
Milgram, Avraham, Portugal, Salazar and the Jews, Israele, Yad Vashem Publications, 2011.