350 ANNI FA I TURCHI SCONFITTI A SAN GOTTARDO

di Massimo Iacopi -

La vittoria di Montecuccoli del 1° agosto 1664 segna una svolta nella storia del vecchio continente. Per la prima volta gli Europei riescono a dare un significativo colpo d’arresto all’avanzata ottomana nell’Europa danubiana, tamponando la pericolosa minaccia che incombe nei Balcani fin dal XVI secolo.

 

L’Impero ottomano e la sua volontà di espansione

L’Impero dei Turchi ottomani rappresentava una temibile potenza che si era progressivamente estesa in Asia, in Africa e, a partire dal XIV secolo, in una parte dell’Europa: i Balcani, le isole greche e parte dell’Europa centrale. Per comprender meglio la situazione è opportuno ricordare come funzionava questo impero. Secondo la visione ottomana il mondo era bipartito, sulla base del diritto islamico, fra il territorio dell’Islam (Dar al Islam), al quale era riservata la pace, e i territori degli infedeli (Dar al Kfur), dominati dalle potenze non musulmane. La seconda espressione appare una formulazione più sottile rispetto a quella di Dar el Harb (“Casa” o “Territorio della guerra”, in contrapposizione al concetto di pace), che veniva utilizzata, in particolare, nei confronti dei Cristiani e delle altre religioni non derivate dalla Bibbia. In effetti, la definizione di territori degli infedeli, consentiva di giustificare la guerra contro un altro stato musulmano, accusando il suo sovrano o sultano di essere un miscredente. In tale contesto, la guerra rappresentava lo stato normale delle relazioni dell’Impero turco con gli Stati europei, allo scopo ultimo di stabilire il dominio dell’islam sul continente.
Di conseguenza, città strategicamente importanti come Belgrado, Budapest o Vienna erano state designate dalla Sublime Porta con le mitica denominazione della “Mela rossa” o “Mela d’oro” (Kizil Elma). Esse costituirono in tempi successivi gli obiettivi maggiori delle loro campagne militari in Europa. Per quanto riguarda la campagna del 1664, alcuni storici affermano che lo scopo ultimo era la conquista di Vienna, mentre altri ritengono che essa mirava al consolidamento delle frontiere attraverso un trattato di pace favorevole.

Ragioni alla base dei formidabili successi dei Turchi

Colubrina ottomana, inizio XVI secolo

Colubrina ottomana, inizio XVI secolo

A partire dal XV secolo i territori e le popolazione che erano sottoposti ai sultani superavano ampiamente quelli del vasto regno d’Ungheria. Nei primi decenni del XVI secolo, la Siria, la Palestina e l’Egitto erano passati sotto il dominio turco e, in questa occasione, i sultani ottomani si erano appropriati anche del titolo di Califfo, facendo coincidere, sotto la loro autorità, la guida di un popolo in espansione con la guida religiosa dell’Islam, che, ideologicamente, giustificava questa espansione. In tal modo gli Ottomani riuscirono a ricostituire l’antico Impero bizantino nella sua massima estensione, fatto che offrirà loro risorse umane ed economiche considerevoli. Il fisco ottomano diventò, a quel punto, il principale beneficiario del grande commercio, in particolare quello delle spezie e dei prodotti preziosi dell’Asia.
Questo spiega perché l’esercito ottomano sia stato in condizioni di allineare per una campagna in Europa circa 100.000 uomini nel XVI secolo, mentre nel secolo precedente l’eroe ungherese della guerra contro i Turchi, Janos Hunyadi, aveva affrontato in battaglia al massimo 50.000 combattenti. Peraltro gli Ottomani avevano organizzato un esercito permanente molto efficace, che impiegava su vasta scala le nuove tecnologie militari (artiglieria, armi da fuoco), aspetto che nell’Europa dell’epoca era ancora abbastanza raro. Se si aggiunge, poi, che gli Ottomani si trovavano praticamente sempre in guerra contro potenze europee o asiatiche, ne consegue che i combattenti turchi erano soldati esperti e addestrati. Infine, anche se la cosa può sorprendere, la superiorità militare dei Turchi era dovuta, in primo luogo alla loro efficiente logistica, che superava di gran lunga, in tutti gli aspetti, quella degli omologhi eserciti europei del tempo. L’insieme di questi fattori spiega la rapida espansione dell’Impero ottomano in Europa.

Valore delle forze ausiliarie turche e loro effetti combinati

Cavalieri ottomani nel XVII secolo

Cavalieri ottomani nel XVII secolo

Ai soldati regolari dell’esercito ottomano vanno aggiunte anche forze ausiliarie e, in particolare, i Tatari di Crimea. Questi, vassalli dell’Impero dal XV secolo, controllavano un immenso territorio, un vero e proprio no man’s land ai confini della Polonia e della Russia. Essi effettuavano regolarmente incursioni contro questi due stati e, occasionalmente, contro l’Ungheria e la Transilvania. Queste operazioni venivano, di norma, coordinate con quelle degli eserciti turchi. Effettuate da piccole unità di cavalieri, esse penetravano profondamente nei territori nemici: il loro successo era dovuto soprattutto alla loro grande mobilità e leggerezza.
Riguardo alle vittime di queste incursioni, esistono molti dati negli archivi, che, tuttavia devono essere utilizzati con molta precauzione. Ciò nondimeno, la conquista ottomana e le guerre turche provocarono perdite umane considerevoli in Europa centrale e orientale, paragonabili ai disastri causati della Guerra dei Trent’anni. Nel 1717, dopo la riconquista dell’Ungheria, la moglie dell’ambasciatore inglese, lady Mary Wortley Montague, si sorprende, attraversando la grande piana ungherese: «Continuando la nostra strada verso Buda, abbiamo attraversato per due giorni la più bella pianura del mondo, così uniforme, come se fosse stata pavimentata; è una piana molto fertile, ma la maggior parte di essa risulta incolta e deserta dopo le devastazioni della guerra fra i Turchi e gli Imperiali. Si è rattristati, quando si attraversa l’Ungheria, allorché si pensa alle condizioni di floridezza che essa godeva nei tempi passati e quando si vede una parte di questo bel paese disabitato…».

Situazione dell’Europa centrale dopo la Guerra dei Trent’Anni

Giorgio II Rakoczi

Giorgio II Rakoczi

All’epoca della Pace di Westfalia, le relazioni austro-turche sembrano pacifiche, almeno in apparenza. La Sublime Porta si mostra soddisfatta della situazione creatasi con la Pace di Zsivatororok del 1606 e regolarmente rinnovata negli anni successivi. Tuttavia, un ampio dibattito agita la classe politica ungherese: gli Asburgo, re di Ungheria dal 1526, devono contentarsi dello statu quo, oppure intraprendere la riconquista della maggior parte del loro regno, occupata dai Turchi, approfittando di una supposta decadenza dell’Impero ottomano? L’Imperatore, ormai liberato dal lungo conflitto religioso in Germania, non ha forse l’obbligo di rivolgersi contro il “nemico ereditario dei Cristiani”?
La scintilla della guerra arriva dalla Transilvania. Il suo principe, Giorgio II Rakoczi (1621-1660), che sperava di essere eletto re di Polonia, inizia una campagna militare contro questo paese nel 1657, alleandosi con gli Svedesi. Egli, in effetti, era un vassallo della Porta ottomana e aveva iniziato le operazioni senza il preventivo consenso del sultano. Istanbul reagisce vigorosamente, dichiarando Rakoczi decaduto e lanciando i Tatari contro l’esercito transilvano. La guerra, come succede in questi casi si estende agli stati vicini in occasione della designazione del suo successore. Il nuovo principe Janos Kameny, comandante delle forze transilvane, risulta legato all’Austria e i Turchi, non accettando la nuova situazione entrano in campagna nel 1663, anche per evitare che l’imperatore Leopoldo I d’ Asburgo (1640-1705), intervenuto direttamente nella diatriba come protettore del Kameny, possa essere tentato di riprendersi il controllo della Transilvania. L’esito della guerra, purtroppo, risulterà contrario alle sue speranze e i Turchi spingeranno le loro conquiste così lontano che nel corso del 1664 arriveranno a minacciare Vienna.

Mutato atteggiamento della Francia nello scacchiere europeo

La reazione davanti a un pericolo così pronunciato non si fece attendere: imperiali, Piemontesi, principati tedeschi, contingenti boemi, croati e ungheresi, così come i Francesi si affiancano agli Asburgo contro gli Ottomani, realizzando una lega europea. In effetti, questa guerra rappresenta uno dei rari momenti dell’epoca moderna nei quali truppe francesi combattono, ufficialmente, a fianco degli imperiali e di altri contingenti europei contro i Turchi, dopo secoli di politica filo-turca di Parigi. Va sottolineato che, in precedenza, in queste guerre ci sono sempre stati, a titolo personale, dei volontari francesi che si sono arruolati nell’esercito imperiale e fra questi anche grandi nomi dell’aristocrazia francese. Tuttavia, la politica estera ufficiale della Francia è stata in genere favorevole all’Impero ottomano, fatto che consentiva al governo di Sua Maestà “cattolicissima” di Parigi di chiudere fra due fronti le forze della casa d’Austria durante i conflitti.
L’invio in Ungheria di un solido contingente francese, che raggiungerà le 6000 unità, si spiega, da un lato, con l’influenza post mortem del cardinale Mazzarino, molto ostile alla presenza turca in Europa, e dall’altro con l’inizio di una attiva politica francese negli affari del Sacro Romano Impero, per mezzo dei paesi della Lega del Reno. L’intervento francese nella guerra è pertanto da considerarsi un atto di prestigio per dare gloria alla Francia in Europa.

La battaglia di San Gottardo: preliminari

Raimondo Montecuccoli, in un dipinto di Elias Griessler

Raimondo Montecuccoli, in un dipinto di Elias Griessler

La battaglia (nota anche come battaglia di Szentgotthárd, o battaglia di Mogersdorf, o anche battaglia del fiume Raab) giunge quasi al termine della guerra austro-turca, nel momento di massimo pericolo per gli Austriaci, quando i Turchi sembravano ormai orientati a dirigersi con tutte le forze sulla città di Vienna. Gli austro-tedeschi entrano in campagna nel gennaio 1664 con 25.000 uomini e 18 cannoni, guidati dal principe tedesco Wolfang Julius de Hohenlohe-Neuenstein (1622-1698) e dal generale ungherese Miklos Zrinyi alias Nicholas Zrinski (1620-1664), bano di Croazia, rinforzati successivamente da un contingente tedesco guidato dal tenente Maresciallo Pietro Strozzi. Dopo alcuni successi iniziali le truppe imperiali raggiungono la Drava a Osjiek, distruggendovi il ponte, e pongono l’assedio, senza successo, ad alcune piazzeforti ottomane.
Il 22 maggio i Turchi, comandanti dal gran visir Ahmed Fazil Koprolu (1635-1676), ricostruito il ponte sulla Drava entrano in Ungheria con 40.000 uomini, seminando il terrore fra gli austro-tedeschi, che abbandonano frettolosamente tutti gli assedi, lasciando sul campo anche tutti i materiali impiegati. L’imperatore austriaco, temendo un attacco a Vienna si rivolge al feldmaresciallo Raimondo Montecuccoli (1609-1680), che il 15 giugno seguente assume la direzione delle operazioni delle truppe in una campagna alla quale era venuta a mancare l’azione dello Strozzi, morto in combattimento.
La situazione del campo imperiale è critica e il nuovo comandante dispone solo di 12.000 soldati imperiali, ai quali vanno aggiunti i 28.000 impegnati nella difesa delle guarnigioni, oltre ai 15.000 ungaro-croati dello Zrinyi e i circa 8000 mila uomini al comando del generale ugonotto Louis Rattuit de Souches, nel nord-ovest dell’Ungheria.
Di fronte agli Imperiali, gli Ottomani dispongono di una forza complessiva di oltre 100.000 uomini e oltre 100 cannoni.
La strategia immediatamente adottata dal Montecuccoli è quella di una difesa mobile e flessibile, in attesa di rinforzi e delle mosse dell’avversario, senza lasciarsi trascinare in una battaglia in campo aperto e disponendosi a difesa dietro il corso della Mur.
Il 21 giugno 1664, il Gran Visir, giunto con le sue forze a Kanisza, alla confluenza della Mur con la Drava, tenta il passaggio in forze del corso d’acqua, venendo respinto dal Montecuccoli. Ripete l’operazione il 30 dello stesso mese con lo stesso esito e il 17 luglio decide di muovere con le proprie forze verso nord con l’idea di attraversare il corso della Raab (Raba) a Kormend e puntare quindi dritto su Vienna.
Montecuccoli non si fa sorprendere, seguendo da vicino con la propria cavalleria le mosse del turco, anticipandolo lungo il corso della Raab, nel tratto più critico fra Kormend e San Gottardo, in modo da tagliargli la strada.
Dopo un tentativo fallito dei Turchi di forzamento del fiume a Kormend, il contingente ottomano si porta più a est su una collina di fronte a una grande ansa della Raab, dove si accampa, mentre Montecuccoli, che nel frattempo ha ricevuto i rinforzi tedeschi (marchese Leopoldo Guglielmo di Baden-Baden, 1626-1671) e francesi (tenente generale Jean de Coligny-Saligny, 1617-1686), schiera le sue forze di qua del fiume di fronte alla posizione ottomana.
Le forze a disposizione del Montecuccoli sulla riva della Raab comprendono un totale di circa 15.000 fanti e 9.000 cavalieri, con 25 cannoni, così suddivisi:
-      Austriaci: 5.000 fanti, 5.900 cavalieri e 10 cannoni guidati dal Montecuccoli;
-      Imperiali: 6.200 fanti, 1.200 cavalieri e 15 cannoni al comando del principe Wolfang de Hohenlohe;
-      Principati tedeschi del Reno: 600 fanti e 300 cavalieri, al comando del marchese Leopoldo del Baden;
-      Francia: 3.500 fanti, 1.900 cavalieri, al comando del generale Jean de Coligny-Saligny, con comandanti in subordine generale De Gassion (cavalleria) e generale François de La Feuillade (fanteria);
-      Reparti misti croati, ungheresi, boemi e piemontesi al comando del generale Miklos Zrinyi.
La qualità delle forze era notevole, sia per gli imperiale che per i Francesi, mentre le truppe dei principi tedeschi erano qualitativamente inferiori. La situazione di comando era molto difficile, per il fatto di dover coordinare l’azione congiunta di truppe e comandanti che si conoscevano da poche settimane e adottavano dottrine e tattiche diverse.
Montecuccoli, nell’imminenza della battaglia, schiera con oculatezza le sue forze: all’ala destra ci sono gli Imperiali, tutte truppe scelte e fidatissime; sulla sinistra dispone i Francesi del tenente generale Jean de Coligny-Saligny, mentre le truppe dei principati tedeschi, le più indisciplinate e inaffidabili, sono disposte nel centro, su un’altura, con un complesso di 6800 fanti e 1500 cavalieri.
Le forze ottomane al comando del Gran Visir contano, sul campo di San Gottardo, un complesso di forze pari a 60-70.000 uomini, e comprendono i migliori reggimenti dell’esercito, oltre a diversi reggimenti di giannizzeri e di spahis. Fonti diverse indicano le forze ottomane in 120-150.000 uomini, con 60.000 giannizzeri e spahi, 60-90.000 azap, akinci, cioè cavalleria leggera, silidar, tatari e truppe di vassalli, e 360 pezzi di artiglieria; ma probabilmente queste cifre comprendevano anche le truppe di guarnigione alle fortezze, e non le sole truppe di campagna che parteciparono effettivamente alla battaglia.
Il Gran Visir sembrava molto fiducioso sull’esito dello scontro, tanto che aveva persino fatto fondere dodici cannoni di grosso calibro, destinati al bombardamento di Vienna

La battaglia di San Gottardo: sviluppo

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Il gran visir Ahmed Fazil Koprolu

Già il 30 luglio il Montecuccoli aveva emanato le direttive tattiche per la battaglia imminente. Egli, prevedendo correttamente che la battaglia doveva essere decisa dal fuoco e non dall’urto (in cui sarebbe stato avvantaggiato l’esercito ottomano, superiore di numero), dirama l’ordine ai moschettieri di disporsi su due righe, sparando con “fuoco di fila”, cioè mentre una delle due righe sparava l’altra doveva ricaricare le proprie armi, escludendo quindi la pratica (molto diffusa all’epoca) di una salva sparata contemporaneamente da tutte le armi, che avrebbe permesso al nemico di avvicinarsi ai picchieri (azione d’urto). Inoltre, per appoggiare anche l’urto di cavalleria con il fuoco, a ogni squadrone di cavalleria il comandante in capo assegna un plotone di 24 moschettieri. Come ulteriore previsione tattica di impiego Montecuccoli raccomanda un uso di “armi combinate” fra fanteria e cavalleria pesante, con la sola cavalleria leggera incaricata di sfruttare eventuali brecce dello schieramento nemico.
La battaglia vera e propria si sviluppa attraverso tre fasi tattiche distinte.
Nella prima fase gli Ottomani lanciano con circa 10.000 uomini un attacco diversivo alla base ovest dell’ansa contro l’ala destra dello schieramento cristiano. Dopo un inizio incerto, il contrattacco delle forze imperiali, guidate dal conte Johann von Sporck, riescono a contenere e a respingere l’attacco nemico.
Nella seconda fase, a seguito dell’attacco principale turco nell’ansa della Raab contro il centro, in direzione dell’abitato di San Gottardo, l’abilità di Montecuccoli impedisce che il centro dello schieramento imperiale, attaccato più volte da forze preponderanti, possa collassare. In questa fase risulta fondamentale l’utilizzo estremamente oculato – tenuto conto soprattutto dell’enorme preponderanza numerica del nemico – delle riserve e la disposizione tattica per il fuoco dei moschettieri, che si rivela molto utile per fermare gli assalti condotti dalle migliori truppe disponibili nell’esercito ottomano.
Nella terza fase (dopo le ore 13) il Montecuccoli, una volta contenuta la testa di ponte avversaria, intravvede chiaramente la possibilità di ripetere lo schema che Annibale aveva applicato nella battaglia di Canne. In effetti, una volta che il centro del suo schieramento ha iniziato a flettere, attirando un numero eccessivo di soldati nemici in uno spazio limitato, il feldmaresciallo decide di effettuare un attacco convergente da entrambe le sue ali, per recidere la testa di ponte. In questo modo, il numero stesso dei nemici, ammassati in uno spazio ristretto, che tendeva sempre più a restringersi per effetto del contrattacco, avrebbe impedito un’azione difensiva efficace e portato inevitabilmente al collasso totale delle forze avversarie. I comandanti alleati, inizialmente titubanti, aderiscono alle tesi del Montecuccoli, eseguendo con decisione la manovra concepita dal maresciallo e le forze ottomane, ammassate nella testa di ponte in uno spazio ridotto, non riescono, come previsto, a organizzare un’adeguata difesa e alla fine i pochi superstiti fuggono precipitosamente sull’altra sponda del fiume, sotto lo sguardo del Gran Visir, che nulla può fare in loro favore.

L’esito della battaglia

La battaglia in una stampa del XVII secolo

La battaglia in una stampa del XVII secolo

Le forze complessive che hanno partecipato allo scontro mettono in evidenza l’importanza della battaglia: il contingente cristiano, composto come abbiamo visto da circa 25.000 uomini, ha combattuto contro una frazione equivalente del contingente ottomano, la cui metà circa è rimasta praticamente inattiva dall’altra parte del fiume Raab. Circa la valutazione della battaglia vera e propria ci sono diverse interpretazioni. Alcuni vi hanno individuato una schiacciante vittoria militare, mentre altri hanno preferito, invece, relativizzare la sua effettiva importanza.
E’ innegabile il fatto che solo una parte delle truppe ottomane sia stata distrutta nel corso dello scontro, ma i circa 20.000 mila uomini perduti rappresentavano, certamente, la parte migliore del contingente dell’esercito turco. Dal punto di vista strettamente militare, la battaglia di San Gottardo è stata senza dubbio una vittoria decisiva, anche se limitata, perché se i Turchi sono stati costretti ad abbandonare le loro posizioni, ritirandosi verso est, subito dopo la battaglia la coalizione europea ha cominciato a sciogliersi e il Montecuccoli, rimasto solo con le truppe asburgiche e a corto di cavalleria, non ha più potuto sfruttare gli effetti del successo su un nemico che, pur essendo battuto, risultava disporre ancora del doppio delle sue forze. A tutto questo stato di cose va inoltre aggiunto il fatto, non trascurabile, che l’esercito coalizzato europeo si è trovato spesso angustiato da gravi problemi di rifornimento e logistici.
Per quanto riguarda lo sfruttamento politico della vittoria, occorre dire che, non appena la Sublime Porta propose l’apertura di un negoziato, l’imperatore si affrettò a firmare la Tregua di Vasvar o di Eisenburg, siglata il 10 agosto 1664 non lontano dal luogo dello scontro. Questo accordo, che poneva condizioni poco più che simboliche all’impero ottomano, fu il risultato di un compromesso: tutte le nuove acquisizioni effettuate dai Turchi in Ungheria prima della battaglia rimasero, di fatto, sotto la loro dominazione, insieme ad altre concessioni supplementari. Nella pratica, l’imperatore Leopoldo riconobbe, con la tregua, il controllo dell’Impero ottomano su buona parte dell’Ungheria e il nuovo principe filo-turco della Transilvania, Michael Apafi. La notizia dei risultati di questo trattato deluderà profondamente l’opinione pubblica, sia in Ungheria, sia in Francia, dove ci si attendeva una continuazione della campagna.
Nonostante le condizioni umilianti per un vincitore, questa tregua avrà un effetto estremamente benefico per il futuro dell’Austria, che, avendo compreso il pericolo, si affretterà a fortificare Vienna, che, nel 1683, sarà in grado di resistere all’assedio turco fino all’arrivo di Jan Sobieski, che allontanerà definitivamente il pericolo turco dall’impero asburgico. Inoltre, la consapevolezza del pericolo spingerà gli Asburgo a riorganizzare l’esercito, che, da una forza di 20 mila uomini (altamente addestrati) passerà, con il sistema della Landwehr (esercito territoriale) a una milizia di 100.000 uomini, in grado praticamente di tenere testa a qualsiasi esercito europeo.

Cambiamenti nell’arte della guerra a seguito del conflitto

Gli eserciti occidentali sono oggetto durante questo periodo di una trasformazione, che viene spesso chiamata “rivoluzione militare”. Il fenomeno ha riguardato l’accelerazione delle innovazioni tecniche come anche la trasformazione dell’organizzazione degli eserciti. Il perfezionamento dell’artiglieria nell’ambito degli eserciti europei determina significativi cambiamenti nell’arte della fortificazione e nell’impiego tattico delle unità. Le armi da fuoco portatili si moltiplicano e in tale contesto, gli archibugi, poi i moschetti e, alla fine del secolo, il fucile a silex (pietra focaia), diventeranno il principale armamento della fanteria.
Gli effettivi degli eserciti subiscono un forte aumento e nel corso del XVII secolo un esercito medio prevede 40-50.000 uomini, che in tempo di guerra raggiunge numeri molto più consistenti. Questa “rivoluzione militare” però non ha influenzato in maniera uniforme tutto il territorio europeo. Lo studioso Geoffrey Parker (in La rivoluzione militare: la guerra e lo sviluppo in Occidente, 1500-1800, Gallimard, 1993) parla di “resistenze” alla rivoluzione militare nelle periferie europee. Si tratta, nello specifico, dell’Europa centrale e orientale, dove le difese bastionate risultavano rare e dove, nella seconda metà del XVII secolo gli effettivi della cavalleria, specie quella leggera, superavano largamente quelli della fanteria. Questa resistenza alle innovazioni si rileverà efficace sul terreno e favorirà nel XVIII secolo il successo della tattica della cosiddetta “piccola guerra” nell’Europa occidentale. Questa sarà l’epoca della comparsa sul campo di battaglia degli Ussari ungheresi che, evidentemente, si ispiravano ai loro combattimenti contro i cavalieri turchi.

Incrudelimento della guerra

Fin dalla Guerra dei Trent’anni gli eserciti degli Asburgo sono stati accusati dai loro avversari di non rispettare i codici della guerra cavalleresca e le guerre contro i Turchi sono probabilmente all’origine di una maggiore ferocia da parte dei combattenti. In effetti, le guerre turche sono state sempre caratterizzate da una estrema violenza. Le teste tagliate e i massacri di popolazioni civili hanno costituito il bagaglio delle abitudini dei soldati turchi, allo scopo di spaventare l’avversario. Da parte loro, gli Asburgo hanno arruolato numerose unità croate, serbe o ungheresi che hanno praticato, a loro volta, anche questi metodi contro gli stessi Turchi. La comparsa di queste unità sui campi di battaglia dell’Europa occidentale è stato effettivamente uno shock, di cui si trovano testimonianze negli archivi. Si potrebbe persino parlare, a tale riguardo, di episodi di guerra psicologica.
Tuttavia, l’Europa occidentale ha conosciuto un impiego massiccio di queste truppe irregolari, formatesi nelle guerre turche, solo in occasione della Guerra di Successione d’Austria (1741-1748) e in tale occasione molti autori parleranno, a riguardo, dell’arrivo in Europa dei nuovi barbari e di un vero e proprio scontro di civiltà.

Il significato di questa vittoria

La battaglia di Vienna, di Józef Brandt

La battaglia di Vienna, di Józef Brandt

Più che parlare dell’inizio del riflusso ottomano, la vittoria di San Gottardo costituisce un momento di svolta nel processo di occupazione turca dell’Europa, che raggiunge in qual periodo il massimo della sua estensione. Pur tuttavia, la battaglia significa anche un arresto a tale processo e la situazione rimane congelata per almeno venti anni. L’effettivo inizio del riflusso avrà luogo solo dopo la distruzione dell’esercito ottomano da parte di un’altra coalizione europea sotto le mura di Vienna, nel 1683. La riconquista dell’Ungheria che ne segue durerà ancora altri due decenni, nel corso dei quali si affronteranno eserciti enormi. Infine, altre tre guerre contro i Turchi avranno luogo nel corso del XVIII secolo. In una prospettiva più ampia, il 1664 può essere considerato come l’inizio di una riconquista di lunga durata (1664-1739). D’altronde, questo periodo viene spesso trattato dagli storici austriaci come un solo momento, cioè “la lunga guerra turca” (Der lange Turkenkrieg).
Queste guerre, molto dure, sono state punteggiate da trattati di pace austro-turchi (Vasvar-Eisenburg 1664, Karlowitz 1699, Passarowitz 1718, Belgrado 1739). Quello di Passarowitz segna un cambiamento radicale nell’atteggiamento del potere ottomano nei confronti del suo nemico europeo: le regole del diritto pubblico iniziano ad essere applicate anche dalla Sublime Porta, da quel momento i negoziatori turchi cominceranno ad argomentare secondo i principi dei pensatori europei e dei precedenti storici europei. La guerra russo-austro-turca del 1736-1739 rappresenterà un altro momento di svolta in questo processo, in quanto i Turchi sentiranno l’aggressione dei coalizzati contro i territori musulmani come una guerra ingiusta. In ogni caso da quel momento l’Impero ottomano inizia a diventare un interlocutore nel gran gioco della diplomazia europea.

 

Per saperne di più
Luraghi, Raimondo (a cura di), Le opere di Raimondo Montecuccoli, 2 voll., Stato Maggiore dell’Esercito, Ufficio Storico, Roma, 1988
Nicolle, David, Armies of the Ottoman Turks 1300-1774, Men-at-Arms Series, Osprey, Londra, 1983
Chartrand, Renè, Louis XIV’s Army, Men-at-Arms Series, Osprey, Londra, 1988
Evans, Robert J.W., Felix Austria, Il Mulino, Bologna, 1981