1975-1991, LA STRADA VERSO UN NUOVO ORDINE MONDIALE

di Max Trimurti -

Mentre nel 1975 la Conferenza di Helsinki sembra aprire un periodo di “distensione”, le iniziative sovietiche e il ritorno degli Stati Uniti alla politica attiva con l’amministrazione Reagan determinano un acuirsi delle tensioni nei rapporti Est-Ovest.

L’espansione del comunismo sovietico raggiunge il suo apogeo territoriale  agli inizi degli anni Ottanta. Paesi come l’Etiopia (1974), la Cambogia (1975), l’Angola (1975), l’Afghanistan (1978) e il Nicaragua (1979) sono passati a far parte del campo comunista; i due shock petroliferi del 1973 e del 1979 hanno contribuito a salvare in extremis una economia sovietica sul bordo del baratro. L’aumento delle entrate dovute all’esportazione dell’oro nero ha contribuito soprattutto alla mantenimento dell’arsenale nucleare e di una Armata Rossa numerosa ed equipaggiata.
Ma la caduta del corso delle materie prime agli inizi degli anni Ottanta porta ad una rivalutazione drastica delle ambizioni esterne del complesso militar-industriale, incarnato (fino alla morte nel dicembre 1984) dal ministro della Difesa Dimitry Ustinov e dal capo di Stato Maggiore generale Nikolai Ogarkov (liquidato al momento della crisi), entrambi convinti della necessità di raccogliere la sfida del confronto militar-tecnologica lanciata dagli Stati Uniti. In misura non trascurabile, inoltre, le crisi di successione contribuiranno a rendere meno solida la coerenza della strategia internazionale dell’URSS.

Alexandr Soljenitzin nel 1994

Alexandr Soljenitzin nel 1994

Ma occorre fare un passo indietro, al 1° agosto 1975 a Helsinki, dove, nel quadro della “distensione”, trentacinque capi di Stato e di governo firmano l’atto finale della Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa (CSCE). Tre blocchi di problemi sono stati negoziati: il primo riguarda l’”inviolabilità delle frontiere europee”; il secondo sulla “cooperazione europea fra il blocco comunista e quello capitalista”. Il terzo aspetto del negoziato di Helsinki è fondamentale per l’evoluzione delle relazioni internazionali: riguarda infatti il “rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”.
La morsa va a serrarsi sul totalitarismo sovietico, in quanto da allora si moltiplicheranno i comitati di sorveglianza degli accordi di Helsinki nelle “democrazie popolari” e nella stessa Unione Sovietica. Questo processo renderà più fragile l’URSS che, in un primo tempo, aveva voluto vedere nell’accordo solo il riconoscimento della sua egemonia stabilita sull’Europa orientale all’indomani della Seconda guerra mondiale, confermata dalla adozione dell’inviolabilità delle frontiere europee e la rinuncia al ricorso della forza nella soluzione dei conflitti. L’idea della “libera circolazione delle idee e degli uomini”, però, legittima l’azione dei dissidenti dei paesi dell’Est: Alexandr Soljenitzin è stato appena espulso dall’URSS (1974) e il fisico Andrej Sakharov non può uscire dalla Russia per ricevere il premio Nobel per la Pace.

Chernenko e Breznev

Chernenko e Breznev

Alla morte di Leonid Breznev, nel novembre 1982, l’arrivo al potere di Yuri  Andropov, vecchio responsabile del KGB, corrisponde a un nuovo acuirsi delle tensioni nelle relazioni sovietico-americane. Il contrasto, già esacerbato dalla crisi degli euromissili, si aggrava a seguito dell’ordine di abbattimento, il 1° settembre 1983, di un Boeing sud coreano entrato di poco nello spazio aereo sovietico. La decisione sovietica portò alla morte di 269 civili. Gli americani utilizzeranno così l’affare della Korean Airlines per lanciare una campagna di ampiezza mondiale contro Mosca; i sovietici sospendono nel novembre 1983 i negoziati per la riduzione degli armamenti strategici (START) iniziati a Washington nel giugno 1982. Andropov, morto nel febbraio 1984, viene rimpiazzato dal malato Costantin Chernenko che a sua volta morirà il 10 marzo 1985; a questi succederà Mikhail Gorbacev.
Homo novus del Partito, Gorbacev era  convinto che l’incapacità del sistema sovietico di sostenere la corsa agli armamenti e il mantenimento dell’impero imponessero un cambiamento radicale di politica internazionale.

Lancio di un Pershing2

Lancio di un Pershing 2

La crisi degli euromissili era nata dalla volontà dei sovietici di schierare nell’Europa dell’Est missili di portata intermedia SS20 capaci di colpire obiettivi nell’Europa occidentale, senza portare una minaccia diretta al territorio americano.
La risposta americana non si fa attendere dando il via alla installazione dei missili Pershing 2 e dei missili da crociera sui territori dei loro alleati europei. Questa crisi durerà dal 1979 al 1984. I movimenti pacifisti della Germania federale e dell’estrema sinistra europea metteranno in evidenza la loro vera natura di ausiliari dell’URSS, manifestando solo contro lo schieramento dei missili americani, mentre quelli sovietici erano stati schierati già da anni senza alcuna  protesta di piazza. Il loro slogan Lieber tot als rot (“meglio rossi che morti”), costituisce un esempio emblematico delle ultime capacità di seduzione del comunismo internazionale fino alla metà degli anni Ottanta. Il rapporto di attrazione aveva comunque già cominciato a declinare. Il mito di una Unione Sovietica la cui grande guerra patriottica aveva contribuito in maniera determinante alla caduta del nazismo si era progressivamente stemperato in occasione degli interventi dell’URSS a Berlino, in Ungheria, in Cecoslovacchia e, di fatto, nella dura repressione della dissidenza. L’intervento in Afghanistan, la denuncia della “statocrazia”, vale a dire del regime militare sovietico assimilato ormai a un “panzercomunismo” e, per ultimo, il carattere gerontocratico del potere moscovita contribuiscono a screditare il regime che, con  l’elezione alla presidenza statunitense di Ronald Reagan deve fare i conti con il “ritorno in forze dell’America”.

Reagan e Thatcher a Camp David nel 1986

Reagan e Thatcher a Camp David nel 1986

Ronald Reagan, entrato alla Casa Bianca il 20 gennaio 1981, ha rianimato lo spirito di crociata anticomunista contro “l’Impero del Male”. Il 23 marzo 1983 il presidente repubblicano lancia il progetto di Iniziativa di Difesa Strategica (IDS o Guerre Stellari) allo scopo di neutralizzare i missili intercontinentali sovietici. Questo “scudo spaziale”, come viene definito, verrà parzialmente abbandonato nel 1989: ciò nonostante, questa iniziativa americana viene concepita come una corsa decisiva al dominio della più alta tecnologia di difesa (radar, laser, satelliti, elettronica, informatica) riconvertibile nel settore commerciale e mercantile in una economia sviluppata. In occasione del suo discorso del 23 marzo 1983 Reagan insiste sulla santuarizzazione del territorio nazionale americano e sui negoziati START. Una frase, peraltro, non appare anodina: «Se l’URSS si affiancasse a noi nel nostro sforzo per pervenire a una importante riduzione degli armamenti, noi riusciremmo a stabilizzare l’equilibrio nucleare». Il progetto americano contiene la proposta di un trasferimento progressivo di tecnologia ai sovietici, affinché questi vengano a beneficiare di un sistema equivalente di santuarizzazione, eliminando la prospettiva di una mutua distruzione certa.
Appare decisamente pertinente collegare nella pressione americana sull’URSS il bastone rappresentato dal sostegno massiccio e crescente ai mujahiddin afghani (missili contraerei Singer in particolar modo) contro l’esercito sovietico, oltre che la superiorità tecnologica in materia di corsa agli armamenti manifestata dalla IDS con una campagna di sostegno degli Occidentali (Governi , media, FMI) a Mikhail Gorbacev nel momento in cui i due ministri degli esteri, James Baker ed Eduard Shevardnadze, intrattengono eccellenti relazioni.

Mikail Gorbacev

Mikhail Gorbacev

L’assunzione da parte di  Gorbacev della carica di segretario del PCUS era stato apprezzata da Washington. Notato dagli Occidentali in occasione del suo viaggio in Canada nel 1983, Gorbacev sarà ricevuto a Londra nel 1984 da Margaret Thatcher che lo giudicherà un uomo «con il quale si può lavorare». Il presidente americano e il successore di Chernenko si incontreranno nel novembre 1985. Se, all’epoca, Gorbacev rifiuta l’offerta di collaborazione americana sull’IDS, egli propone, a  partire dall’11 ottobre 1986 a Rejkiavik (a seguito della catastrofe nucleare di Chernobil e dopo una serie di incontri organizzati nell’agosto e nel settembre precedenti) l’opzione “doppio zero”.
Si tratta di un processo bilaterale di riduzione degli armamenti nucleari, aprendo la via a negoziati la cui conclusione è rappresentata dalla firma, avvenuta alla Casa Bianca, l’8 dicembre 1987,  del Trattato di Limitazione degli armamenti nucleari di portata intermedia e a corta portata in Europa (INF).

Truppe sovietiche in ritirata dall'Afghanistan

Truppe sovietiche in ritirata dall’Afghanistan

Un’altra partita strategica si gioca fra i due Paesi sul teatro del nuovo “grande gioco” afghano. I sovietici intervengo in Afghanistan il 25 dicembre 1979, meno di due mesi dopo la cattura degli ostaggi dell’ambasciata americana in Iran. Mosca ha due obiettivi connessi: assicurare una presenza militare già importante (cinquemila consiglieri residenti a Kabul) e trasformare il Paese in un hinterland territoriale stabile, impedendo qualsiasi controffensiva americana a seguito dell’incidente iraniano.
Dopo l’operazione preliminare dei paracadutisti a Kabul l’Armata Rossa privilegia, in un primo tempo, le operazioni convenzionali classiche, la potenza di fuoco e la sovietizzazione, misconoscendo la complessità della società afghana, la sua organizzazione etnica e per clan, il peso della religione e, soprattutto, la possibilità da parte avversa di una guerra asimmetrica. La sorpresa sarà dura e condizionerà la svolta operativa di contro-insurrezione degli anni 1981-1984. Senza l’aiuto massiccio ai mujahiddin, il cambiamento radicale di strategia dell’Armata Rossa messa in opera dal 1981, fruttifera solo dal 1984 (individuazione dell’Afghanistan utile, scelta dell’impiego degli elicotteri, operazioni di commandos, impiego delle forze speciali, gli spetsnaz, formazione di battaglioni dell’esercito afghano), avrebbe definitivamente marginalizzato la resistenza.
L’occupazione afghana nata per motivi di politica estera, però, era diventata con i suoi circa ventiseimila morti una “ferita sanguinante”, nelle parole dello stesso Gorbacev. Il discredito internazionale, la mancanza di un reale vantaggio strategico e l’agonia economica del regime spingono l’Armata Rossa alla ritirata, effettuata in buon ordine  fra l’estate del 1988 e il febbraio 1989, lasciando a Kabul un regime vicino a Mosca, che avrebbe resistito ancora tre anni, fino agli inizi del 1992, dopo la dissoluzione dell’Urss.

La prima conseguenza della Perestrojka nel febbraio 1986, legata alla caduta del prezzo del petrolio, costituisce una degradazione significativa del tessuto economico e del sistema sovietico, tanto che Mosca si ritrova quasi nell’impossibilità di garantire la stabilità delle economie del blocco dell’est europeo. Questa carenza del “grande fratello sovietico” libera le popolazioni  dalla paura dei regimi comunisti locali con i quali fanno ugualmente valere la Glasnost (trasparenza) venuta da Mosca, per giustificare una liberalizzazione e un processo elettorale reale. Da quel momento ha inizio il crollo del sistema, nel contesto di un effetto domino iniziato dalla Polonia, dove Lech Walesa e il sindacato Solidarnosc sono usciti vincitori, nel giugno 1989, dopo aver resistito alla repressione del generale Wojciek Jaruzelski.
L’Ungheria apre fisicamente una breccia nella cortina di ferro sulla strada fra Vienna e Budapest, che i Tedeschi dell’est andranno a percorrere a partire dalla primavera del 1989. I dirigenti occidentali moltiplicano i loro viaggi sul posto per consolidare questa evoluzione, come il presidente George Walker Bush in Polonia e in Ungheria nel luglio 1989, e il ministro degli esteri tedesco Hans Dietrich Genscher a Praga nel settembre dello stesso anno.

Berlino 1989

Berlino 1989

Con la dichiarazione di Gorbacev del luglio 1989, che assicura che l’Armata Rossa non interverrà nella Germania dell’Est, e l’abbandono del potere da parte del leader della Germania orientale Erich Honecker il 17 ottobre e la successiva caduta di Nicolae Ceausescu in Romania, il 22 dicembre, ha inizio un processo irreversibile che porterà alla definitiva caduta del muro di Berlino. Si susseguono in breve tempo la rinazionalizzazione delle politiche degli ex democratici popolari nel corso dell’autunno dello stesso anno e la riunificazione, il 3 ottobre 1990, della Germania. L’onda d’urto colpirà poi i Paesi baltici e una serie di movimenti secessionisti appariranno sulla scena in Alto Karabak, Ossezia, Abkhazia, Moldavia, quindi in Ucraina e Bielorussia.
Con la dissoluzione dell’URSS, avvenuta l’8 dicembre 1991, la Russia ne diverrà l’erede, sola e unica potenza detentrice dell’arsenale nucleare sovietico. La seconda parte del XX secolo, dominato dal confronto ideologico e dalla guerra fredda, risulta praticamente conclusa.

Per saperne di più

Luigi Geninazzi, L’ Atlantide rossa. La fine del comunismo in Europa – Lindau, Torino 2013.
Jacques Andréani, Le Piège: Helsinki et la chute du communisme – Odile Jacob, 2005.
Xavier Moreau, La nouvelle grande Russie: De l’effondrement de l’URSS au retour de Vladimir Poutine – Ellipse, 2012.
Charles Maier, Il crollo. La crisi del comunismo e la fine della Germania est – il Mulino, Bologna 1999.