1940: L’INTERNAMENTO DEGLI EBREI STRANIERI IN ITALIA

di Michele Strazza -

Pericolosi, indesiderabili, pontenzialmente in grado di danneggiare le attività belliche italiane: sulla base di una serie di normative che rimandavano anche alle leggi razziali, gli ebrei stranieri presenti in italia al 10 giugno 1940 furono internati o inviati in località di confino.

GiornaleDichiarazioneGuerra10giugnoIl 10 giugno 1940, con l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale vennero emanati alcuni provvedimenti per l’internamento dei cittadini degli Stati nemici al fine di garantire la sicurezza interna ed esterna.
Nelle intenzioni delle autorità, le misure adottate erano rivolte agli stranieri presenti sul territorio nazionale ritenuti pericolosi o indesiderabili, onde evitare che essi potessero arrecare danni all’attività bellica, ad esempio compiendo azioni di spionaggio o espatriando per arruolandosi nell’esercito nemico.
La normativa di riferimento era il Regio Decreto 8 luglio 1938, n. 1415, che aveva approvato il testo della Legge di Guerra italiana.
Ai sensi di tale legge era considerato «suddito nemico»:

  • colui che, al momento dell’applicazione della legge stessa, possedeva la nazionalità di uno Stato nemico, ancorché avesse avuto, nello stesso tempo, la nazionalità di un altro Stato estero;
  • colui che, posteriormente all’applicazione della legge stessa, avesse acquistato la nazionalità dello Stato nemico, ancorché avesse posseduto, in pari tempo, la nazionalità italiana o quella di altro Stato;
  • l’apolide che avesse avuto in qualsiasi momento la nazionalità di uno Stato nemico, o che fosse nato da genitori che possedevano o avessero posseduto la nazionalità nemica, ovvero che avessero la residenza in territorio nemico;
  • la moglie del suddito nemico, con esclusione di quella in possesso della nazionalità italiana.

Il Ministero dell’Interno era l’autorità competente a disporre, con proprio decreto, «l’internamento dei sudditi nemici atti a portare le armi» o che, comunque, potessero svolgere «attività dannosa per lo Stato». Lo stesso dicastero dell’interno, anche tramite i prefetti, poteva, inoltre, vietare o fare obbligo agli stessi soggetti di soggiornare in determinate località.
L’internamento dei sudditi nemici veniva attuato, in definitiva, attraverso due modalità: «l’internamento libero (o in località)», consistente nell’obbligo di residenza in determinate località; e «l’internamento in campi di concentramento», all’interno di apposite strutture e in stato di prigionia. A queste si aggiungeva poi, specialmente nei territori occupati, un internamento civile «parallelo», gestito generalmente dal regio esercito.
Tra i sudditi stranieri destinati all’internamento vi erano anche quegli ebrei, provenienti da altre nazioni, che si trovavano in territorio italiano.
Anche loro, perciò, vennero destinati alle strutture concentrazionarie di internamento e, per quelli ritenuti meno pericolosi, alle sperdute località di soggiorno, specialmente meridionali, dove, insieme alle proprie famiglie, sarebbero stati sottoposti ad un regime di sorveglianza e controllo simile a quello stabilito per il confino di polizia.
Formalmente era proibito loro ogni contatto con gli abitanti, anche se nella realtà ciò non avveniva affatto. Erano tenuti a presentarsi alla locale stazione dei reali carabinieri o della polizia almeno una volta al giorno e potevano uscire dalle loro abitazioni, ma senza superare un certo perimetro, solo di giorno.
Le condizioni in cui vivevano erano caratterizzate da estrema povertà e profondo disagio. Le famiglie ebree o i singoli internati, ad esempio, non avevano spesso i soldi sufficienti per l’acquisto degli indumenti adatti alla stagione.

Copertina del primo numero de La difesa della razza, 1938

Copertina del primo numero de La difesa della razza, 1938

Questa la situazione dopo che, il 15 giugno 1940, venne ordinato, con apposita circolare del Ministero dell’Interno indirizzata ai prefetti del Regno e al questore di Roma, l’arresto degli ebrei maschi, stranieri ed apolidi, di età compresa tra 18 e 70 anni.
In essa si parlava esplicitamente, come destinatari del provvedimento coercitivo, di «ebrei stranieri appartenenti a Stati» che svolgevano «politica razziale», con una espressione che unificava esigenze di sicurezza interna con la politica razziale del regime inaugurata dalle leggi antiebraiche del 1938-39. Anzi, secondo lo storico Carlo Spartaco Capogreco, il Ministero dell’Interno, anche con successivi provvedimenti, dimostrava di operare una distinzione tra «sudditi nemici» ed «ebrei stranieri appartenenti a Stati» che svolgevano «politica razziale», creando così «un’ulteriore categoria di internati stranieri» e chiarendo «che l’internamento degli appartenenti a questo gruppo non dipendeva dallo stato di belligeranza e sarebbe comunque avvenuto, anche senza di esso».
Questa circolare era stata, in realtà, preceduta, in particolare, da altre due, sempre indirizzate dal Ministero dell’Interno ai prefetti del Regno e al questore di Roma. La prima era datata 1° giugno 1940 e conteneva le “Norme da tenersi in caso di emergenza, relative alle persone arrestate ed internate”.
La seconda, con data 8 giugno 1940, dettava, invece, le “Prescrizioni per i campi di concentramento e per le località di internamento”. Quest’ultima veniva successivamente integrata da un’altra del 25 giugno con lo stesso oggetto.

Tutte queste disposizioni ed altre ancora sarebbero poi confluite nel testo normativo unitario che regolò tutta la complessa materia dell’internamento civile dei sudditi nemici, cioè il decreto mussoliniano del 4 settembre 1940 recante “Disposizioni relative al trattamento dei sudditi nemici internati”.
Il provvedimento normativo ribadiva, all’art. 1, che i sudditi nemici dovevano «essere raggruppati in speciali campi di concentramento, ovvero essere obbligati a soggiornare in una località determinata da provvedimento di internamento».
L’art. 3 si occupava del cosiddetto internamento libero stabilendo, per quanto riguardava la vigilanza e il controllo, la competenza dell’autorità di pubblica sicurezza del luogo di soggiorno. La stessa autorità avrebbe determinato le visite periodiche presso carabinieri o polizia, l’orario di libera uscita e la località nella quale l’internato poteva circolare.
A ottobre del 1940 risultavano internati in Italia 4.251 stranieri, di cui 2.412 ebrei. Meno di un anno dopo, a maggio del 1941, su 3.812 ebrei stranieri presenti in Italia, ne erano stati internati 2.700.
Alla fine del 1942 il totale degli ebrei stranieri internati era di 5.636 unità, di cui 2.139 nei campi e 3.497 nell’internamento libero. Ad aprile dell’anno successivo i dati ufficiali ci consegnano la cifra di 6.832 ebrei stranieri internati.

Per saperne di più
C. S. Capogreco, I campi del duce. L’internamento civile nell’Italia fascista (1940-1943) – Torino, Einaudi, 2004.
S. Carolini, Pericolosi nelle contingenze belliche. Gli internati dal 1940 al 1943 – Roma, ANPPIA, 1987.
M. Sarfatti, Gli ebrei nell’Italia fascista. Vicende, identità, persecuzione – Torino, Einaudi, 2000.
K. Voigt, Il rifugio precario. Gli esuli in Italia dal 1933 al 1945, vol. II – Firenze, La Nuova Italia, 1996.
Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 15 settembre 1938, n. 211.
Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia, 11 ottobre 1940, n. 239.