1861, LA PRIMA COSTITUZIONE IN TUNISIA

di Massimo Iacopi -

E’ la prima costituzione ad essere promulgata nel mondo musulmano. Anche se sarà sospesa nel 1864 a seguito di una rivolta anti-fiscale, l’evento lascerà profonde tracce nella cultura politica del paese.

La prima pagina della costituzione tunisina del 1861

La prima pagina della costituzione tunisina del 1861

La Tunisia moderna è un Paese di “anteprime” politiche. Nel 1861 questo Stato del Maghreb si dotò della prima Costituzione mai prima promulgata nel mondo musulmano. 150 anni più tardi saranno i Tunisini ad avviare la prima rivoluzione democratica del mondo arabo.
Ma se nel 2011 i manifestanti tunisini, provenienti dalle classi popolari, hanno reclamato l’instaurazione di una nuova costituzione dopo aver rovesciato un regime autoritario per lungo tempo sostenuto dalla Francia e dalle democrazie occidentali, nel 1861 la prima costituzione fu voluta da una parte dei dignitari e sollecitata da due potenze europee (il Regno Unito e la Francia). Questa carta costituzionale fu mal compresa e soprattutto mal ricevuta dalle popolazioni del Beylik di Tunisi, all’epoca provincia dell’Impero ottomano.
Sul finire degli anni ’50 del XIX secolo, l’aspirazione a un regime costituzionale non proveniva dal “basso” ma “dall’alto” e dall’esterno. Il console britannico a Tunisi e il suo omologo francese volevano rendere stabili i diritti acquisiti nel 1857 dal “Patto fondamentale”, una specie di carta concessa dai monarchi locali, i Bey. L’uguaglianza di tutti davanti alla legge e alle imposte, la sicurezza dei beni e delle persone, le libertà religiose, del commercio e del lavoro e il diritto di proprietà accordato agli stranieri menzionati nel “Patto fondamentale” dovevano essere garantiti da nuove istituzioni statali, fra le quali un organo parlamentare – il Consiglio superiore – e una gerarchia di tribunali.

In un contesto di forte espansione economica occidentale, questo nuovo quadro legale permetteva di proteggere i beni e i profitti accumulati dai commercianti europei presenti a Tunisi, mettendoli al riparo da confische da parte delle autorità locali, giudicate spesso, dagli stessi consoli, arbitrarie.
Da parte loro i dignitari della Reggenza di Tunisi, consiglieri del Bey, spingevano per una Costituzione che potesse migliorare il loro stato personale. La posta in gioco per loro era quella di limitare l’onnipotenza dei Bey, loro padroni. I dignitari, provenienti il più delle volte da un corpo di schiavi, i Mamelucchi, acquistati nel Caucaso o in Grecia, aspiravano al ruolo di funzionari nell’ambito di uno Stato riformato. Essi condividevano la speranza dei diplomatici europei in un processo di modernizzazione guidata del Paese, ispirata a un “modello” europeo, percepito, a quel tempo, come il più avanzato. Alcuni di questi consiglieri, ispirati ai pensatori europei dell’illuminismo, respingevano l’idea di qualsiasi potere assoluto. L’autorità del sovrano doveva essere temperata dalla sistematica consultazione (la Shura) dei suoi ministri e dei sapienti religiosi (gli ulema).
Adottando un edificio costituzionale moderno, i Tunisini erano inoltre convinti di riuscire a stemperare le velleità franco-britanniche di dominio sulla provincia ottomana.

Il Bey Muhammad III as-Sadiq

Il Bey Muhammad III as-Sadiq

Insomma, interessi pubblici e privati e calcoli divergenti presiedettero alla concezione della Costituzione tunisina del 1861. I nove redattori della Costituzione del 1861, tutti scelti fra gli ulema e vicini al Bey di Tunisi, Muhammad III as-Sadiq, limitarono il controllo delle finanze e del potere legislativo che fino ad allora era nelle mani del Bey. Il testo promulgato nel gennaio 1861 ed entrato in vigore il 23 aprile successivo, prevedeva che il Bey dovesse continuare a governare consultando il Consiglio superiore, i cui membri erano costituiti per un terzo dall’ambiente del Bey e per due terzi designati fra i notabili del paese. Il Consiglio superiore veniva posto al vertice di una gerarchia di tribunali secolari che si aggiungevano ai tribunali religiosi (musulmani e rabbinici) del Paese.

Il Consiglio superiore avrebbe potuto diventare un luogo di dibattito, moderatore del potere esecutivo. In effetti, in certe occasioni contestò le decisioni del Bey, in particolare la scelta di aumentare una imposta individuale creata nel 1856 (la mejba). E sarà proprio l’ostilità della popolazione nei confronti di questa imposta a suscitare la rivolta del marzo 1864. Questa rivolta porterà il Bey a sospendere la Costituzione e le sue istituzioni a partire dal 1° maggio dello stesso anno. Come nell’inverno 2010, mobilitati dall’interno del paese e poi nelle città del litorale, inizialmente i rivoltosi del 1864 non contestarono il governo in carica. Il disagio si manifestava soprattutto nei confronti della cattiva gestione amministrativa del Paese e contro l’accaparramento delle risorse da parte dei circoli vicini al Bey.
Ma i paralleli fra i due movimenti di contestazione non vanno oltre. I rivoltosi del 1864 non reclamarono un cambiamento di regime politico, ma piuttosto un ritorno alle “tradizioni”. La maggioranza della popolazione non capiva il funzionamento impersonale dei nuovi tribunali secolari instaurati dalla Costituzione: il Bey doveva ridiventare l’arbitro supremo come lo era stato nel passato. Ancora più importante, ai loro occhi, le norme musulmane dovevano restare la base di ogni legge e di ogni diritto. In questo aspetto la popolazione, adeguatamente orientata, seguiva l’atteggiamento dei sapienti musulmani, gli ulema, che si erano progressivamente allontanati dal potere dopo la promulgazione della Costituzione.
I nuovi tribunali secolari vennero quindi aboliti, la pressione fiscale ridotta e la Costituzione sospesa, sebbene, contemporaneamente, il movimento venisse duramente represso. Molti insorti furono torturati e i personaggi di spicco della rivolta incarcerati.

Jean-Baptiste Campenon

Jean-Baptiste Campenon

Durante la rivolta le autorità francesi soffiarono sul fuoco. Il console di Francia, De Beauval, e il tenente colonnello Jean-Baptiste Campenon, futuro ministro della guerra della Terza Repubblica, incoraggiarono in un primo tempo la ribellione interna. Più che sugli insorti, i due fecero pressioni sul Bey per il ritiro della Costituzione del 1861. Essi si erano convinti che la libertà degli scambi e la stabilità amministrativa avevano favorito la penetrazione commerciale dei rivali britannici, a danno delle ambizioni di espansione francese nel Maghreb. Parigi giudicava più comodo controllare il Bey e la sua cerchia di consiglieri piuttosto che dover mettersi d’accordo con i molteplici organi e livelli di potere previsti dalla Costituzione. Le autorità francesi temevano anche che le agitazioni potessero fornire lo spunto per un intervento diretto del sultano ottomano o di altre potenze europee. Per cautelarsi, la Francia dispose il concentramento di 15 mila uomini alla frontiera tra l’Algeria e la Tunisia.

La Costituzione del 1861, sospesa nel 1864, non sarà tuttavia dimenticata. L’idea di un regime costituzionale darà il via a un’intensa riflessione e determinerà profondi dibattiti negli ambienti dei ministri e dei dottori della legge musulmana. Una delle maggiori figure, Khayr al-Din, primo ministro di Tunisia dal 1873 al 1877 e quindi Vizir del sultano ottomano Abdul Hamid II nel 1878-79, ha difeso, nelle “Riforme necessarie agli Stati musulmani”, l’idea di un nuovo equilibrio politico in terra dell’Islam. Pubblicato nel 1867 e destinato a un grande futuro, questo saggio proponeva di limitare il potere dei sovrani attraverso la designazione di un’Assemblea consultiva. I sudditi non venivano chiamati a votare, ma disponevano solo di un diritto di riunione e di espressione.
Dopo la conquista della Tunisia da parte della Francia, nel 1881, (che sarà fonte di duri contenziosi con l’Italia e che spingerà questa ultima verso la Triplice Alleanza), una nuova generazione d’intellettuali andrà più lontano.

I primi pensatori del nazionalismo tunisino faranno della legge fondamentale del 1861 una bandiera contro il dominio coloniale. In un manifesto del 1920 intitolato la “Tunisia martire”, Abdelaziz Thaalbi sviluppò una visione idealizzata della storia costituzionale del paese. Egli celebrò le mitiche “assemblee del paese”, la volontà popolare, i “diritti e doveri” del “principe e della nazione” e inventò anche una pretesa restaurazione della Costituzione nel 1875, sei anni prima dell’invasione francese. In conseguenza egli reclamò “al popolo francese” la restituzione ai Tunisini delle loro “libertà” e della loro “organizzazione costituzionale”. Alcuni militanti tunisini si recheranno a Parigi e consulteranno due giuristi che riconosceranno, nel 1921, la compatibilità del protettorato francese sulla Tunisia con un regime costituzionale.
Questa aspirazione era così forte che il termine dustur, “costituzione” in lingua araba, verrà adottato dai nazionalisti tunisini per denominare i loro due principali movimenti: il Partito del Dustur, fondato nel 1920 e quello del Neo Dustur, nato da una scissione del primo nel 1934.

Per saperne di più
Hédia Khadhar, La Révolution française, le Pacte fondamental et la première Constitution tunisienne de 1861, “Revue du monde musulman et de la Méditerranée”, vol. 52, n. 52-53, 1989.
E. Fitoussi e A. Benazet, L’État tunisien et le protectorat français: histoire et organisation (1525-881) – Paris, Rousseau & Cie, 1931