100 ANNI DI AERONAUTICA: L’AVIAZIONE DELL’ESERCITO

di Giuliano Da Frè -

Alla vigilia del secondo conflitto mondiale la Regia Aeronautica controllava tutti gli assetti aerei nazionali, gestendo la aerocooperazione con le altre Armi. Fu solo nel dopoguerra, con l’adesione dell’Italia alla NATO che tornò d’attualità la questione della nascita di reparti aerei autonomi dall’AMI e organicamente inquadrati in Esercito e Marina. Merito anche di nuovi mezzi come l’aviogetto e l’elicottero.

In un precedente articolo (https://www.storiain.net/storia/i-100-anni-dellaeronautica-italiana-lera-dellaviogetto/), abbiamo ricordato il centenario dalla nascita dell’Aeronautica Italiana, risalente al 23 marzo 1923 [1], attraverso l’evoluzione dei suoi aerei da combattimento dal 1946 a oggi, col rapido passaggio all’aviogetto.
Quando nacque come forza armata indipendente, l’Aeronautica divenne l’arma preferita del regime fascista, ottenendo risorse e attenzioni, a volte a discapito delle più tradizionali realtà rappresentate da Esercito e Marina, molto più legate al giuramento di fedeltà alla monarchia. Tra l’altro, la Regia Aeronautica assorbì rapidamente le forze aeree pionieristicamente nate alla vigilia della Grande Guerra proprio in seno a Esercito e Marina, e protagoniste di una spettacolare espansione quantitativa e qualitativa nel 1915-1918. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale la Regia Aeronautica controllava tutti gli assetti aerei nazionali, gestendo la aerocooperazione con le altre Armi; nella propria compagine erano infatti presenti aviazioni ausiliarie destinate a fornire, con equipaggi misti, reparti di ricognizione per le esigenze di Esercito e Marina. Il livello di coordinamento era tuttavia limitato, e fu rafforzato solo dopo il 1941, a conflitto ormai iniziato.
Dopo la guerra, le scarse risorse rimaste al netto delle gravissime perdite subite, e dei pesanti limiti imposti dal Trattato di pace di Parigi del 1947, non potevano certo favorire una revisione dottrinaria e operativa relativa ai temi della aerocooperazione, e la nascita di reparti ad hoc che non fossero comunque controllati dalla ribattezzata Aeronautica Militare Italiana (AMI). Tuttavia, dopo l’adesione dell’Italia alla NATO (1949), con il venir rapidamente meno dei limiti imposti a un riarmo postbellico, supportato dalla ripresa economica e dai crescenti aiuti soprattutto statunitensi, la questione della nascita di reparti aerei autonomi dall’AMI e organicamente inquadrati in Esercito e Marina tornarono di stretta – e talvolta dirompente – attualità. E furono risolti anche grazie all’arrivo in Italia dell’altro nuovo mezzo che, assieme all’aviogetto, dopo il 1950 avrebbe rivoluzionato la guerra aerea: ossia l’elicottero.

L’Esercito fu il primo a rompere il predominio dell’Aeronautica su quanto volava con insegne militari in Italia. Nel 1884 era d’altra parte stato l’allora Regio Esercito ad attivare un reparto destinato a gestire una sezione di aerostati da osservazione, poi divenuta operativa durante la campagna in Eritrea nel 1887-1888, mentre nel 1911 sarebbero stati i suoi aerei a compiere le prime azioni di guerra della storia, in Libia. Nel 1950 il Capo di Stato Maggiore Esercito, generale Efisio Marras (che da addetto militare a Berlino tra 1936 e 1943 aveva avuto modo di studiare la più efficiente cooperazione aereo-terrestre tedesca) decise di inviare negli Stati Uniti 15 ufficiali, per conseguire il brevetto di pilota o di osservatore e tornare come istruttori in Italia [2]. Nel frattempo, il governo americano metteva a disposizione grazie alla formula MDAP (Mutual Defense Assistance Program) i primi lotti di aerei leggeri da ricognizione tratti dal suo immenso surplus bellico. Nel 1951-1952 furono così rimessi in condizioni operative 65 Piper L-18C “Super Cub”, seguiti nel 1953-1955 da 237 similari L-21B, con motore più potente: tutti monomotori di seconda mano e ricondizionati, in parte da cannibalizzare, destinati a missioni di osservazione e supporto al tiro dell’artiglieria, e che sarebbero rimasti in servizio “a consumazione” sino al 1980. Contemporaneamente, presso la sede della Scuola di artiglieria di Bracciano veniva attrezzato un campo di volo per avviarvi le attività addestrative per il neonato (24 aprile 1951) “Nucleo di Aviazione Leggera”: qui il 10 maggio 1951 fu ufficialmente attivato il Reparto Aereo di Artiglieria, antenato diretto dell’attuale Aviazione dell’Esercito, passata attraverso diverse ridenominazioni, anche legate alla sua graduale ma sempre più rapida espansione.
Il parto non era stato indolore: gli ufficiali più oltranzisti dell’Aeronautica si erano messi di trasverso, obbligando i colleghi dell’Esercito all’immatricolazione civile (sic!) dei velivoli, e non riconoscendo la qualifica militare ai brevetti dei piloti. “Piccole angherie infantili”, commenterà lo storico e giornalista Giuseppe D’Avanzo nel suo caustico Ali e poltrone: gradualmente superate tuttavia, mentre tra 1952 e 1956 nascevano un polo manutentivo e nuovi reparti, inquadrati nell’Aviazione Leggera dell’Esercito (ALE), la sua denominazione – quasi – definitiva. Restava però un altro nodo: stando a una legge del 1937, infatti, l’Aeronautica aveva il completo monopolio su ogni velivolo del peso superiore ai 1.500 kg, e a pieno carico. Questo precludeva l’acquisizione di aerei da ricognizione a lungo raggio, per non parlare di quelli da trasporto o appoggio tattico. Tuttavia la norma fu modificata per applicarla solo ai velivoli ad ala fissa: infatti, stava affacciandosi anche in Italia il mezzo ad ala rotante, ossia l’elicottero. Non per la prima volta, in effetti; senza scomodare il solito Leonardo da Vinci, che aveva genialmente intuito le potenzialità della “vite aerea” disegnata attorno al 1480, un modellino di elicottero con motore a vapore era stato realizzato da Enrico Forlanini nel 1877, seguito da 2 prototipi disegnati da Corradino D’Ascanio nel 1925, mentre come poi vedremo 10 anni dopo la Regia Marina aveva testato un auto-giro “La Cierva”.
La Seconda guerra mondiale aveva poi rafforzato i progetti di elicotteri e autogiri, realizzati soprattutto in Germania, Giappone e Stati Uniti, che nel 1942 avviò la realizzazione del primo modello prodotto in massa: lo R-4 della Sikorsky, futuro colosso del settore.

AB-47G dell'Esercito (1956) con l'iconica bolla in plexiglass.

AB-47G dell’Esercito (1956) con l’iconica bolla in plexiglass.

Nel dopoguerra la spinta si era affievolita: ma nel 1950 lo scoppio del conflitto in Corea focalizzò l’attenzione, per quanto riguarda le nuove armi impiegate, su aviogetti ed elicotteri. Questi ultimi dimostrarono le loro potenzialità in missioni di osservazione, collegamento e soccorso sanitario (MEDEVAC in gergo militare), e in una guerra combattuta in un teatro che ricordava molto l’Italia, poiché anche quella coreana era una penisola lunga e stretta, attraversata da catene montuose simili agli Appennini.
Già nel 1949 erano stati acquistati dal governo italiano alcuni Bell-47D (la cui versione H-13 “Sioux” destinata allo US Army divenne famosa in Corea [3]), impiegati nelle campagne anti-malariche e in alcune emergenze come l’alluvione del Polesine del novembre 1951. Nel 1953 l’Aeronautica aveva creato un centro addestrativo per elicotteri a Roma, presto trasferito a Frosinone dopo l’arrivo dei primi AB-47G prodotti dalla ditta Agusta, che rientrava dopo molti anni nel settore aeronautico acquistando nel 1952 la licenza per realizzare il piccolo velivolo della Bell. Per la piccola azienda varesina di Cascina Costa fu il primo passo di un immenso successo che l’ha portata ai nostri giorni – come Leonardo Elicotteri – a essere uno dei colossi mondiali del settore, assorbendo nel 2001 anche la britannica Westland. In 20 anni realizzerà ben 1.200 AB-47 di tutti i tipi, sia per le Forze Armate e di polizia nazionali, sia per clienti civili o militari esteri.
L’Esercito iniziò a ricevere nel maggio 1956 i primi 4 velivoli ad ala rotante, tipo Agusta-Bell AB-47G2, che andarono a costituire il Reparto Sperimentale Elicotteri a Casarsa della Delizia. Nel 1958 iniziò poi la consegna dei più prestanti AB-47J “Ranger”, caratterizzati da una cabina più grande e compatta, rispetto alla iconica “bolla” in plexiglass dell’AB-47G, e che saranno anche testati per l’impiego come mezzi controcarro, integrando sperimentalmente missili filoguidati francesi SS-11. In totale saranno consegnati all’Esercito 68 tra AB-47G e “Ranger-J”, più quelli destinati ai Carabinieri, restando in servizio – dopo il 1970 per compiti secondari – per oltre 30 anni. Nel 1959 diventava primo Ispettore dell’ALE il colonnello – poi promosso generale – Francesco Muscarà (1910-1988), già osservatore d’aereo nel 1936 e dal 1951 tra i pionieri della nascita della nuova specialità, guidandone poi l’Ispettorato sino al 1968 [4]. A 10 anni dalla nascita dell’ALE, Muscarà poteva presentare una realtà di tutto rispetto: 50 tra sezioni e reparti attivati (compresi 2 su elicotteri e 2 centri manutentivi), 400 piloti e 500 tecnici addestrati, e 250.000 ore di volo effettuate, con la perdita di una ventina tra aerei ed elicotteri, e di 22 uomini, senza contare i passeggeri di altre specialità trasportati: e tra questi, nella “giornata nera” dell’ALE, il 29 giugno 1960, quando in due incidenti contemporanei ma in zone diverse caddero altrettanti AB-47J, trovarono la morte 6 tra piloti e passeggeri, compresi il generale di brigata alpina Giuseppe De Stefano, impegnato a seguire una esercitazione, e tre colonnelli del suo staff.

AB-205, dal 1967 spina dorsale dell'AVES, tuttora in servizio.

AB-205, dal 1967 spina dorsale dell’AVES, tuttora in servizio.

La nuova specialità era tuttavia ormai consolidata, e attendeva mezzi più potenti e moderni. Innanzitutto i vecchi Piper reduci della Seconda guerra mondiale ma ancora intensamente utilizzati, furono affiancati nel 1962 da 44 più potenti Cessna L-19 “Bird Dog”: sempre di seconda mano ma di costruzione più recente, essendo stati prodotti dal 1950 al 1959, restando in servizio per un quarto di secolo. Soprattutto, fu correttamente potenziata soprattutto su impulso di Muscarà la componente elicotteristica, di cui il longevo ispettore generale avrebbe tenuto a battesimo 3 ottimi modelli. Il primo a essere consegnato fu l’AB-204B, con 48 esemplari entrati in servizio tra 1962 e 1966. Si tratta di una variante realizzata su licenza da Agusta del Bell-204, o UH-1 “Iroquois”, divenuto una delle icone – anche nell’immaginario cinematografico – della guerra del Vietnam, e popolarmente conosciuto come “Huey”. Le prestazioni di questo potente e compatto monoturbina rimasto in servizio sino al 1989, capace di trasportare 10 persone ed equipaggiabile con mitragliatrici pesanti e razzi, rappresentarono una svolta per l’ALE. Nel 1966 fu affiancato da una sua versione migliorata e potenziata per portare 12 persone, l’AB-205A, che a dispetto di alcuni problemi di motorizzazione emersi negli anni ’70 e causa di numerosi incidenti (poi risolti con modifiche radicali), fu acquistato entro il 1977 in 115 esemplari – in parte poi trasferiti ai Carabinieri –, ed è tuttora in servizio con una cinquantina di velivoli, più volte ammodernati; autentici “cavalli da tiro” dell’Aviazione dell’Esercito [5].
Nel 1967 infine fu selezionato anche un nuovo elicottero leggero da ricognizione e addestramento, destinato col tempo a sostituire l’AB-47: nel 1969 iniziavano le consegne di ben 150 AB-206A “Jet Ranger”, sempre prodotto entro il 1972 da Agusta (sul modello Bell-206), che ne aveva già consegnati alcuni esemplari ai Vigili del Fuoco, per poi estendere la produzione a Carabinieri e Polizia di Stato [6]. I “Jet Ranger” dell’Esercito, in parte rimotorizzati e portati allo standard C-1 dal 1985, sono anch’essi ancora parzialmente in servizio con circa 30 esemplari impiegati a consumazione, mentre alcuni lotti sono stati ceduti ad Albania e Argentina.
Tra anni ’70 e ’80 l’Aviazione Leggera dell’Esercito entrò in una fase di piena maturità – simboleggiata nel 1971 dall’adozione di mostrine e basco personalizzati, di colore azzurro –, sia in termini di potenziamento materiale, sia operativa, elaborando e testando nuove dottrine di impiego, mutuate dal concetto di “cavalleria dell’aria” sperimentato sul campo dagli Stati Uniti in Vietnam (e dal 1999 al 2003 l’ALE prenderà il nome proprio di Cavalleria dell’Aria), avviando il percorso destinato a farne anche un assetto controcarri. Dal 1979 i suoi elicotteri iniziarono inoltre a operare all’estero in missioni di pace, ma pur sempre in teatri di guerra caldissimi: a partire dal contingente UNIFIL schierato in Libano con 4 elicotteri e personale fornito anche da altri reparti aerei nazionali. Diversi elicotteri AB-204 e -205 dell’Esercito saranno distrutti o danneggiati in questa impegnativa e pluridecennale missione, cui dal 1991 se ne aggiungeranno altre in Kurdistan, Albania, Somalia, Mozambico, ex Iugoslavia, e dopo l’11 settembre 2001 – e stavolta anche in operazioni di guerra guerreggiata – in Afghanistan e Iraq, senza contare dispiegamenti minori in Africa e Asia.

Negli anni ’80, al culmine della Guerra Fredda, l’ALE inquadrava 4 raggruppamenti (“Antares”, “Aldebaran”, “Altair” e “Rigel”) con 15 gruppi di squadroni [7], assegnati rispettivamente allo Stato Maggiore a Roma, e ai comandi dei Corpi d’armata III – a Milano/Bresso -, IV alpino di Bolzano e V di Vittorio Veneto, mentre altri 6 gruppi autonomi erano assegnati a 5 Regioni Militari e alla Brigata paracadutisti “Folgore”. Per alimentare questa articolata struttura, mentre proseguiva l’acquisizione degli AB-205 e -206, dal 1973 entravano in servizio in due lotti 40 più pesanti elicotteri da trasporto CH-47C “Chinook” a doppio rotore e capaci di trasportare sino a 55 soldati e, appesi sotto il ventre, anche veicoli leggeri, pezzi d’artiglieria e piccole imbarcazioni [8]. Anche questi elicotteri furono costruiti da Agusta, ma su licenza Sikorsky, dopo gli accordi presi con il colosso americano nel 1967, e che compresero anche altri 135 CH-47 destinati all’export; dal 1986 fu poi avviato l’aggiornamento dei velivoli italiani allo standard CH-47C Plus.
Nel 1975 veniva poi avviato anche l’ammodernamento della componente ad ala fissa, per mandare in pensione entro il 1980 gli ultimi “Super Cub”, e affiancare gli L-19, questa volta con un moderno prodotto nazionale: ossia il SIAI-Marchetti SM-1019, acquistato in 80 esemplari dopo aver battuto l’Aermacchi AM.3 [9].
Un altro prodotto italiano, e questa volta ad ala rotante, fu presentato e consegnato all’ALE nel 1976, con 3 esemplari di preserie da trasporto VIP, più altri 2 destinati a compiti sperimentali nell’ambito di un programma mirato ad acquisire elicotteri anticarro armati con missili BGM-71 “Tow”, dopo analoghi test effettuati con quei “muli volanti” che erano gli AB-205. Il nuovo velivolo era il primo a essere stato sviluppato e realizzato da Agusta secondo progetti originali, dopo aver volato nel 1971: si trattava dell’A-109AT [10], basato sul modello A-109 “Hirundo” che, sviluppato in varianti via via più sofisticate è tuttora in produzione, con oltre 1.600 esemplari civili e militari venduti in tutto il mondo.
In questa prima fase non furono ordinati altri A-109, ma gli AT anticarro avrebbero piantato un solido seme. Nel frattempo, l’ALE irrobustì la spina dorsale basata sugli “Huey”, avviando negli anni ‘80 la sostituzione dei più vecchi AB-204 prima con la versione biturbina dell’elicottero Bell (e appunto ribattezzata “Twin Huey”), sempre realizzata su licenza come AB-212, con 19 esemplari introdotti nel 1983, e seguiti infine nel 1986-1989 da 24 più potenti e sofisticati AB-412 [11].
Nel 1987 entravano infine in servizio altri 24 A-109, nelle versioni EOA-1/2 (Elicottero da Osservazione Avanzata), pensati per operare assieme ai successivi elicotteri da attacco A-129; tutti gli A-109 sono stati radiati entro l’ottobre 2021.
La fine della (prima, alla luce dei recenti avvenimenti ucraini) Guerra Fredda, nel 1989, comportò infatti per l’Esercito italiano, come per l’intero apparato militare nazionale, rapidi e drastici tagli di risorse, mezzi, uomini e reparti. Uno tsunami che investì anche l’Aviazione Leggera, ma in termini relativamente meno pesanti, mentre nel 1993 veniva abolito per legge l’ormai nei fatti superato limite dei 1.500 chilogrammi per i mezzi impiegabili dagli assetti aerei dell’Esercito; che, contrariamente alla Marina dotatasi come vedremo di jet da combattimento, si limitò ad acquistare tra 1991 e 1997 solo 6 aerei logistici. Di questi 3 sono aerei da trasporto leggero e collegamento biturbina Dornier Do-228, capaci di trasportare sino a 18 paracadutisti o 6 barelle in missioni MEDEVAC, in servizio dal 1991-1992 e ammodernati nel 2019. Nel 1997 sono poi stati consegnati altri 3 biturbina Piaggio P-180ACTR “Avanti-2” da collegamento.

Un AW-129 Mangusta da attacco di scorta a una colonna militare a Herat.

Un AW-129 Mangusta da attacco di scorta a una colonna militare a Herat.

Ma al pari della Marina anche la ridenominata Aviazione dell’Esercito (dopo il provvedimento del 1993) si sarebbe data una componente d’attacco: ad ala rotante, incentrata sul fiammante elicottero A-129 “Mangusta”, sviluppato negli anni ’80 (volò per la prima volta nel 1983) sulla base delle esperienze effettuate con gli A-109AT, e ordinato in 60 esemplari, 45 dei quali consegnati entro il 1998 nella versione basica anticarro, e altri 15 nel modello potenziato CBT introdotto nel 2002, e poi tutti aggiornati allo standard multiruolo A-129D.
Il “Mangusta” ha segnato una svolta tecnologica e concettuale, tanto per l’allora Agusta, quanto per l’Aviazione dell’Esercito, ottenendo successo di “pubblico e critica”. Impiegato in azione sin dal 1993, durante la battaglia del “checkpoint Pasta” a Mogadiscio, e poi in Bosnia, Kosovo e Iraq, il “Mangusta” – dal 2014 nella versione aggiornata A-129D – è stato protagonista della guerra afghana, dove tra 2007 e 2021 ne sono stati schierati sino a 12, operando in centinaia di missioni di combattimento, accumulando oltre 14.000 ore di volo, con un tasso di disponibilità elevato e senza subire perdite, sebbene a volte i velivoli rientrassero alla base pesantemente colpiti dal fuoco dei talebani, che arrivarono a odiare questi agili e letali elicotteri. Il successo operativo si è tradotto in importanti risultati nell’export, a dispetto della formidabile concorrenza degli “Apache” americani, o dei “Tiger” francotedeschi, meno apprezzati ma supportati dal colosso europeo Eurocopter/Airbus. Nel 2007 il “Mangusta” si è aggiudicato una importante gara per lo sviluppo di un elicottero d’attacco in Turchia, dove è stato modificato e prodotto come T-129 “Attack”, con oltre 120 esemplari previsti per Esercito e Gendarmeria turche, più contratti o accordi preliminari con Pakistan, Nigeria, Qatar e Filippine.
Col “Mangusta”, soprattutto aggiornato agli standard CBT e A-129D, l’ALE è entrata nel XXI secolo, adottando inoltre come accennato (ma solo tra 1999 e 2003) la denominazione di “Cavalleria dell’Aria”, mentre una brigata dell’Esercito, la “Friuli”, veniva trasformata in grande unità aeromobile elitrasportata.

Da qui la graduale riorganizzazione del corpo, da esattamente 30 anni ribattezzato Aviazione dell’Esercito (AVES), con le ultime novità introdotte tra 2019 e 2022. Attualmente il comando dell’AVES (retto da un generale di divisione), con quartier generale a Viterbo, inquadra 6 pedine a livello di brigata/reggimento autonomo. La Brigata dell’Aviazione dell’Esercito propriamente detta comprende i reggimenti di elicotteri 1° “Antares” di Viterbo, il 2° Reggimento “Sirio” di Lamezia Terme, e il 4° Reggimento “Altair” di Bolzano, ognuno su 2 gruppi di squadroni.
La Brigata “Friuli”, dopo vari rimaneggiamenti e la perdita tra 2005 e 2013 del reggimento bersaglieri (meccanizzato) e di quello di cavalleria blindata su “Centauro-1”, dal 25 febbraio 2022 è direttamente inquadrata nel Comando AVES e conta, oltre alle unità di supporto logistico e di comando [12], un solo reggimento di fanteria – il 66° “Trieste” a Forlì –, elitrasportato da 2 reggimenti su elicotteri: il 5° “Rigel” di Casarza della Delizia, e il 7° “Vega” di Rimini, entrambi comprendenti 2 gruppi di squadrone, uno dei quali su A-129.
La Brigata Sostegno dell’AVES assicura, con 4 reggimenti (1° “Idra” a Manziana-Roma, 2° “Orione” di Borgo Panigale, 3° “Aquila” a Orio al Serio, 4° “Scorpione” di Viterbo), il supporto tecnico e logistico, mentre il Centro Addestrativo Aviazione dell’Esercito di Viterbo cura ormai da oltre 70 anni l’addestramento di piloti e tecnici, impiegando anche il 1° Gruppo squadroni “Auriga”, dopo la conversione nel 2019 del 2° “Sestante” in reparto di sostegno.
Altre due pedine autonome a livello reggimentale sono infine rappresentate dal 3° Reggimento Elicotteri per Operazioni Speciali “Aldebaran”, costituito nel 2014 a Viterbo su base 26° Gruppo “Giove”, e destinato a supportare le missioni dei reparti di forze speciali anche fuori area; e infine sempre di recente attivazione (2019) il Reparto Comando e Supporti Tattici AVES, che garantisce la cosiddetta “logistica di aderenza” in operazioni nazionali e fuori dai confini.
Per alimentare questa articolata macchina operativa, intensamente impiegata in missioni oltremare sin dal 1979, ma quotidianamente impegnata in Italia sia per attività addestrativa e istituzionale, sia per missioni a favore della popolazione civile (ricerca e soccorso in montagna, attività sanitaria, operazioni antincendio), nel XXI secolo ne è stata avviata una graduale modernizzazione con velivoli di nuova generazione. Il primo a entrare in servizio è stato l’elicottero medio NH-90, frutto di un programma NATO ed europeo avviato nel 1992 per realizzare una piattaforma comune destinata – in più varianti – a supportare esigenze tattiche, logistiche, e navali antisom. L’Italia inizialmente aveva espresso un fabbisogno relativo a oltre 250 esemplari per tutte e tre le Armi. L’elicottero, realizzato da un consorzio europeo comprendente l’allora Agusta italiana, dalle caratteristiche avveniristiche (dal sistema di volo completamente fly-by-wire e con l’impiego per la cellula di materiali compositi, e sistemi di sicurezza ridondanti [13]) è risultato tuttavia anche molto costoso sia in acquisizione che per la gestione. L’Italia ha quindi tagliato a 116 gli esemplari ordinati, 60 dei quali destinati all’AVES come UH-90A TTH, con consegne avviate nel 2007 e completate il 25 novembre 2022, in lotti via via aggiornati soprattutto nell’avionica e nella suite di autoprotezione. Velivoli ottimi e da subito impiegati dall’Iraq all’Afghanistan, ma decisamente meno dei 120-150 inizialmente previsti per sostituite tutti gli “Huey”. Da qui la necessità di trovare un più economico sostituto, inizialmente individuato nello AW-149, elicottero medio sviluppato dall’industria italiana a partire dal 2006, ma che per ora sta solo collezionando crescenti ordini nell’export.

Nel frattempo, veniva avviata la sostituzione dei vecchi “Chinook” degli anni ’70 con la nuova versione ICH-47F, ordinata nel 2008 in 20 esemplari, realizzati su licenza in Italia tra 2014 e 2021, con avionica del tutto aggiornata e avanzati sistemi di autoprotezione, potendo operare anche in missioni per le forze speciali.
Nel 2020 è iniziata anche la graduale sostituzione degli elicotteri medio-leggeri AB-206 e A-109, con il fiammante AW-169MA multiruolo, uno degli ultimi nati di casa Leonardo, adottato nelle versioni UH-160B/C, con 2 esemplari addestrativi consegnati nel 2020, e altri 31 ordinati e in consegna dal 2023 nella configurazione operativa, su un fabbisogno di 50 macchine.
Un altro programma in corso, e ormai in fase avanzata, è stato lanciato nel 2017 con un contratto da 487 milioni di euro per sviluppare il successore del popolare “Mangusta”, che si è evoluto in base all’esperienza sul campo e alla luce delle tecnologie nel frattempo messe a punto da Leonardo coi programmi degli ultimi 20 anni, nello AW-249: un “Mangusta-2” più grande e con maggior carico pagante (sino a 1.800 kg), protezione attiva e passiva implementate, grazie a 2 motori più potenti. Il prototipo ha volato il 12 agosto 2022, e sono in costruzione 3 esemplari di preserie destinati a essere consegnati nel 2025 per test e addestramento, benché lo sfilarsi di potenziali partner come Polonia e Australia, e la pandemia, abbiano rallentato il programma, da completare nel 2035 ma sul cui sviluppo influiranno anche le lezioni che provengono dall’Ucraina, dove gli elicotteri sono stati vittime a decine di vecchie e nuove vulnerabilità. L’AVES prevede di acquisire complessivamente 48 elicotteri d’attacco, mentre per l’export si punta a nuovi mercati, dall’Algeria, al Brasile, all’Asia.
Per il futuro, tuttavia, l’AVES guarda – al pari di Marina e Aeronautica – alla rivoluzione che viene promessa con l’avvento, tra 2035 e 2040, dell’elicottero di 5ª generazione. In 70 anni l’elicottero ha conosciuto un’evoluzione tecnologica continua, ma non come i jet da combattimento, ad esempio in materia di tecnologia stealth e di avionica, e senza reali “salti” concettuali, al di là dell’introduzione del convertiplano che però è più un ibrido tra elicottero e aereo. D’altra parte, non va dimenticato che elicotteri come gli “Huey” e i “Chinook” impiegati in Italia, e tuttora in produzione ovviamente in versioni radicalmente aggiornate, sono comunque frutto di progetti degli anni ’50, al pari degli “Hip” russi, mentre anche velivoli europei, derivati dall’A-109 di Agusta, dai “Lynx” inglesi e dai “Puma” francesi, sono frutto di progetti di oltre mezzo secolo fa.
Il futuro degli elicotteri passa, per quanto riguarda i paesi NATO, attraverso il programma Next Generation Rotorcraft Capability (NGRC) varato nel 2020, che punta a realizzare piattaforme modulari con caratteristiche comuni, come la bassa osservabilità radar, la tecnologia propulsiva X2, a doppio rotore controrotante con elica spingente, oltre a un’avionica futuristica e a capacità di pilotaggio remoto, e fungendo da “sistema di sistemi” per droni. L’Italia guarda agli studi congiunti Leonardo- Lockheed Martin per il “Future Vertical Lift” proposto per lo US Army; ma siamo ancora in una fase preliminare, e di sicuro gli studi avviati nell’ultimo decennio saranno rivisti alla luce delle esperienze della guerra russo-ucraina (che per ora ha coinvolto solo mezzi di progettazione sovietica e russa), che a sua volta potrebbe però accelerare i nuovi programmi.

Nel frattempo, l’AVES punta ad aggiornare gli NH-90, a immettere in servizio AW-169 e AW-249, e a potenziare la componente su droni, attualmente limitata a 16 piccoli UAV tattici RQ-7C “Shadow-200” e ai micro-UAV RQ-11B/C “Raven”, acquistati nel 2010-2015 e impiegati assieme al 41° Reggimento IMINT “Cordenons” di Sora. Inoltre, andranno sostituiti entro i prossimi anni i 6 aerei ad ala fissa, Do-228 e P-180, con ormai 25-30 anni di vita: nel 2019 è stato firmato un contratto per l’ammodernamento di 18 velivoli Piaggio già in servizio, compresi i 3 “Avanti-II” dell’Esercito, e per acquisire sino a 15 P-180 EVO Plus di nuovo modello, coi quali sostituire gli aerei più vecchi. A mandare in pensione i più anziani ma da poco ammodernati Dornier, potrebbe essere la nuova versione Do-228NG in produzione dal 2009; ma si è ipotizzato anche il convertiplano AW-609 sviluppato da Leonardo.
Non va infine dimenticato che i Carabinieri sono stati un Corpo dell’Esercito, prima di diventare Arma a tutti gli effetti nel 2000. Sin dal 1957 hanno impiegato gli elicotteri: prima tipo AB-47G dell’Aeronautica, ma con a bordo un ufficiale osservatore della Benemerita [14]; poi acquistando 4 AB-47J nel 1960, impiegati per attivare un centro addestrativo autonomo nel 1964, seguito dalla creazione del Servizio Aereo Carabinieri, alimentato con altri 30 AB-47G/J, mentre nel 1963 venivano ordinati anche 18 più prestanti AB-204B, che però si dimostrarono inadatti alle esigenze dell’Arma: solo 6 furono consegnati, per essere ceduti all’AMI. Dopo il 1971 iniziarono invece a entrare in servizio 8 ben più longevi AB-205A e ben 40 AB-206B, impiegati sino a fine anni ’90, mentre dal 1979 fece la sua apparizione l’A-109A, consegnato in 25 esemplari entro il 1991, e seguito da 3 più recenti A-109E VIP nel 2000, e 17 A-109N “Nexus” dal 2008 [15]. Dal 1987 entrarono in servizio anche 35 AB-412 biturbina: come si può notare, tutti modelli in uso anche con l’Aviazione dell’Esercito, sebbene in versioni meno avanzate, ma capaci di formare una riserva per emergenze belliche [16]. Con l’accorpamento nel 2016 del Corpo Forestale nell’Arma, inoltre, il Servizio Aereo Carabinieri ha integrato anche una ventina di elicotteri tra A-109, AB-412 e NH-500, oltre a un aereo da collegamento Piaggio P-180 “Avanti-II” che affianca quello acquisito nel 2006. Nel frattempo, anche per la linea di volo della Benemerita è iniziata una nuova fase di ammodernamento, che comprende 2 AW-139 (UH-139D) riservati ai reparti speciali consegnati nel 2020, e ordinati nel 2019 assieme a 7 AW-169M leggeri (di 11 previsti), mentre il 27 ottobre 2022 sono stati ordinati 20 AW-119KX multiruolo, destinati ad avviare la sostituzione dei più vecchi A-109 e AB-412, con consegne nel 2023-2026, e possibili ulteriori ordini.

Note

[1] Col nome all’epoca di Regia Aeronautica.
[2] Nel 1949 l’Aeronautica aveva riattivato la Scuola di Aerocooperazione a Guidonia e la 36ª Squadriglia da ricognizione su aerei leggeri L-5 “Sentinel” ceduti dagli USA, e poi girati all’Esercito.
[3] Anche nella versione MEDEVAC, resa popolare dal celebre film “Mash” di Robert Altman (1970), e dalla successiva serie TV prodotta sino al 1983, ambientati nella guerra di Corea, ma con un occhio al più contemporaneo conflitto vietnamita.
[4] Dopo aver comandato la Divisione Centauro e la Regione Militare Sardegna, in congedo nel 1973, nel 1983 fu eletto primo presidente della neonata Associazione Nazionale Aviazione dell’Esercito (ANAE). Altri comandanti dell’ALE si sono dimostrati longevi, in media più dei generali responsabili di altri reparti: tra questi Stelio Cortolezzis (1930-1987), in carica dall’ottobre 1979 al dicembre 1985 durante l’avvio della prima missione in Libano, ed Enzo Stefanini, classe 1952, comandante dal 2005 al 2013, che ha guidato i “baschi azzurri” nelle più impegnative operazioni anche di guerra in Iraq e Afghanistan.
[5] Complessivamente si calcola che Agusta abbia realizzato anche per l’esportazione 800 tra AB-204 e AB-205.
[6] Anche l’AB-206 è stato un successo, con 1.000 esemplari prodotti da Agusta, 260 dei quali per esigenze nazionali. In un incidente con un AB-206 durante una esercitazione è tuttavia morto nel 2014 il comandante dell’ALE generale di Corpo d’armata Giangiacomo Calligaris.
[7] Un raggruppamento è paragonabile a un reggimento, e il gruppo squadroni a un battaglione.
[8] Nel 1997 un CH-47C italiano evacuò dall’Albania in preda alla guerra civile ben 138 civili, sulla rotta Durazzo-Brindisi.
[9] Che fu comunque esportato in Sudafrica e Ruanda.
[10] Tra 1959 e 1971 Agusta aveva testato diversi prototipi, dai piccoli A-102/103/104/105 derivati o ispirati dai Bell-47, all’A-106 progettato per essere imbarcato su navi da guerra in operazioni antisom, sino all’A-101, un ambizioso elicottero pesante cui fu poi preferito il “Sea King” di Sikorsky, ma che permise di studiare soluzioni poi riprese dall’AW-101.
[11] Caratterizzati (da qui il “4” al posto del 212) da un rotore quadripala. Una trentina i 212/412 ancora operativi.
[12] Da cui dipende anche il poligono di Foce di Reno.
[13] Contrariamente agli elicotteri delle generazioni precedenti, decimati dagli incidenti seppure in lunghi e intensi periodi operativi, in 15 anni un solo NH-90 italiano è andato perduto proprio alla sua entrata in servizio nel 2008.
[14] Dall’Arma provenivano 170 piloti del Regio Esercito impegnati nella Grande Guerra, compreso l’asso della caccia Ernesto Cabruna (1889-1960).
[15] Cinque A-109 dei CC sono andati perduti: in due incidenti, nel 1984 e 1998, rispettivamente provocando la morte dei generali dell’Arma Sateriale e Romano, mentre nel 1977 il comandante generale dei Carabinieri Enrico Mino morì cadendo con un AB-205.
[16] Da non dimenticare che anche Guardia di Finanza, Polizia di Stato, Vigili del Fuoco e Protezione Civile impiegano generalmente gli stessi modelli di aerei ed elicotteri in uso nelle Forze Armate, con modifiche legate alla funzione d’istituto, ma militarizzabili.