100 ANNI DI AERONAUTICA: L’AVIAZIONE DELLA MARINA

di Giuliano Da Frè -

Dopo la seconda guerra mondiale la Marina puntò decisamente sulla ricostituzione di una efficace componente aeronavale. Nel 1957 si registra la nascita dell’Aviazione Antisommergibile e poco dopo vengono messi in cantiere i primi nuovi incrociatori appositamente pensati per imbarcare elicotteri. Nel 1985 giunge una nuova unità: l’incrociatore Giuseppe Garibaldi, che può impiegare anche aerei a decollo corto/verticale.

In questi mesi abbiamo ricordato il centenario dalla nascita dell’Aeronautica Italiana, risalente al 23 marzo 1923 [1], attraverso l’evoluzione dei suoi aerei da combattimento dal 1946 a oggi, col rapido passaggio all’aviogetto.
Quando nacque come forza armata indipendente, l’Aeronautica divenne l’arma preferita del regime fascista, ottenendo risorse e attenzioni, a volte a discapito delle più tradizionali realtà rappresentate da Esercito e Marina, molto più legate al giuramento di fedeltà alla monarchia. Tra l’altro, la Regia Aeronautica assorbì rapidamente le forze aeree pionieristicamente nate alla vigilia della Grande Guerra proprio in seno a Esercito e Marina, e protagoniste di una spettacolare espansione quantitativa e qualitativa nel 1915-1918. Alla vigilia del secondo conflitto mondiale la Regia Aeronautica controllava tutti gli assetti aerei nazionali, gestendo la aerocooperazione con le altre Armi; nella propria compagine erano infatti presenti aviazioni ausiliarie destinate a fornire, con equipaggi misti, reparti di ricognizione per le esigenze di Esercito e Marina. Il livello di coordinamento era tuttavia limitato, e fu rafforzato solo dopo il 1941, a conflitto ormai iniziato.
Dopo la guerra, le scarse risorse rimaste al netto delle gravissime perdite subite, e dei pesanti limiti imposti dal Trattato di pace di Parigi del 1947, non potevano certo favorire una revisione dottrinaria e operativa relativa ai temi della aerocooperazione, e la nascita di reparti ad hoc che non fossero comunque controllati dalla ribattezzata Aeronautica Militare Italiana (AMI). Tuttavia, dopo l’adesione dell’Italia alla NATO (1949), con il venir rapidamente meno dei limiti imposti a un riarmo postbellico, supportato dalla ripresa economica e dai crescenti aiuti soprattutto statunitensi, la questione della nascita di reparti aerei autonomi dall’AMI e organicamente inquadrati in Esercito e Marina tornarono di stretta – e talvolta dirompente – attualità. E furono risolti anche grazie all’arrivo in Italia dell’altro nuovo mezzo che, assieme all’aviogetto, dopo il 1950 avrebbe rivoluzionato la guerra aerea: ossia l’elicottero.

Ali (e pale rotanti) sul mare

Il rapporto tra ammiragli e generali dell’Aeronautica era stato più burrascoso, rispetto a quello che coinvolgeva i vertici dell’Esercito. La nascita della Regia Aeronautica, 100 anni fa, aveva comportato il graduale smantellamento di un apparato aeronavale messo in piedi dal più grande ammiraglio della storia italiana, Paolo Thaon di Revel (vedi https://www.storiain.net/storia/tag/paolo-thaon-di-revel/), durante gli anni della Grande Guerra, e che nel novembre 1918 contava su 10.000 uomini, 25 dirigibili e 636 aerei, quasi tutti idrovolanti, e compresi gli ottimi bombardieri pesanti della Caproni. Parte dei mezzi e degli uomini erano state assorbite, senza tuttavia attivare un reparto autonomo aeronavale in seno all’Aeronautica, capace di esprimere una vera funzione di cooperazione aeronavale. Come ricorda lo stesso sito della Marina Militare: “Fu così che nel 1931 venne emanata la Legge n° 38 che ridefinì i compiti e la struttura dell’Aviazione per la Regia Marina, la quale venne posta alle dipendenze di un generale della Regia Aeronautica, con piloti e specialisti di volo anch’essi appartenenti a quest’arma e gli ufficiali di Marina costretti a ricoprire a bordo dei velivoli (per giunta giuridicamente di loro proprietà) la sola mansione di ‘Osservatore d’Aeroplano’. La fine delle aspirazioni aeronautiche della Regia Marina arriva nel 1937, quando, a seguito dell’ennesima nuova normativa, tutti i velivoli militari vennero assegnati alla Regia Aeronautica con il potere di decidere il numero di squadriglie da assegnare alla Regia Marina, da destinare comunque al solo compito della ricognizione navale” [2].
La Seconda guerra mondiale si incaricherà di dimostrare il grossolano errore commesso non tanto nel diniego alla costruzione di portaerei, o anche nel mantenimento di una aviazione navale dipendente dalla Marina stessa (scelte costose sulle quali gli ammiragli stessi, come tutti i vertici militari degli anni ’20 a corto di fondi, non insistettero troppo), quando nel non creare uno spirito e una pratica della “cooperazione aeronavale”, che lo scenario operativo di una guerra in Mediterraneo, con l’Italia in una posizione strategica aeromarittima favorevole – ma anche vulnerabile – avrebbe dovuto valorizzare.
Solo a guerra iniziata (con appena 19 delle 45 squadriglie di ricognitori chieste della Marina, e solo 109 apparecchi operativi al giugno 1940, e per lo più obsoleti) si avviò un percorso alternativo, con l’incarico nel 1941 affidato all’ammiraglio Fioravanzo e ai generali dell’Aeronautica Cappa e Mattei di studiare la cooperazione aeronavale, ponendo le basi dei successivi successi dell’estate 1942, mentre in fretta e furia la Regia Aeronautica mise in piedi solo nel luglio 1940 un efficace e agguerrito, ma sempre sotto-equipaggiato, reparto di aerosiluranti. Nel 1941 fu anche autorizzata la costruzione di 2 portaerei: ma si trattava di un provvedimento tardivo – una portaerei va calata in un contesto dottrinale, addestrativo, operativo e tecnico ben preciso, che alle potenze che l’avevano adottata aveva richiesto 2 o 3 lustri – e con non pochi interrogativi contingenti.

Dopo la guerra, l’esperienza avrebbe dovuto davvero fare da maestra; e quando come già accennato furono superati i limiti imposti dal Trattato di Parigi del 1947, con l’adesione alla NATO, la Marina puntò decisamente sulla ricostituzione di una efficace componente aeronavale. Nel 1950 fu attivato un ufficio apposito, mentre nell’ambito degli aiuti MDAP concessi dagli Stati Uniti veniva chiesta la cessione di 1 o 2 portaerei leggere o di scorta, e di aerei imbarcati antisom. Si trattava di una “lista della spesa” troppo pesante, tuttavia, e per il momento ci si limitò a inviare un gruppo di ufficiali e di tecnici presso la Naval Air Station di Corpus Christi, in Texas, per la qualificazione all’impiego dei 24 aerei antisom Curtiss S2C-5 “Helldiver” ceduti di seconda mano e ricondizionati per la Marina italiana. Tuttavia i primi aerei atterrati a Capodichino con piloti della Marina ai comandi, furono letteralmente sequestrati dall’Aeronautica, che li mise in magazzino e nemmeno riconobbe la validità dei brevetti di volo dei colleghi navali. Iniziò un incredibile braccio di ferro, immemore delle lezioni del 1940-1943: e solo il 1° settembre 1956 si giunse a un compromesso peraltro simile a quello già siglato per la nascita dell’Aviazione Leggera dell’Esercito. Anche in questo caso, il grimaldello usato fu l’interesse per gli elicotteri, con i test effettuati a Gaeta, in rada e in navigazione, sull’incrociatore Garibaldi, dotato di una piattaforma di volo in legno posticcia, nell’estate 1953, impiegando uno dei primi AB-47G dell’Aeronautica [3]. La Marina fu così autorizzata a dotarsi di una propria componente aerea, l’Aviazione Navale, ma mantenendo il limite dei 1.500 kg di peso per i velivoli ad ala fissa, aprendo così definitivamente la strada all’impiego di elicotteri. Un anno più tardi il compromesso fu perfezionato, con la nascita (7 ottobre 1957) dell’Aviazione Antisommergibile, inquadrata nell’Ispettorato dell’Aviazione per la Marina, retto da un generale dell’Aeronautica, ma con i reparti affidatigli – il 41° Stormo ricostituito nel 1965, e il 30° attivo dal 1973 al 2002 – costituiti da equipaggi misti forniti da AMI e Marina, responsabile delle missioni operative antisom. Gli aerei “pesanti”, negli anni ‘50 “Helldiver” e Lockheed PV-2 “Harpoon”, poi i Grumann S2F-1 Tracker negli anni ’60 e ’70, affiancati dal 1972 dai fiammanti Breguet “Atlantic-1”, in servizio con 18 esemplari sino al 2017, sono così stati assegnati alla sola Aeronautica.

Con il via libera all’acquisizione dei mezzi ad ala rotante, la Marina varò due programmi concomitanti. Il primo, relativo all’acquisto di elicotteri, fu avviato già all’indomani dei test sul Garibaldi: nel 1955-1956 furono ordinati 3 AB-47G e spedito un gruppo di 10 tra piloti e specialisti presso il polo addestrativo dell’AMI a Frosinone, mentre nel complesso dell’arsenale di Augusta veniva creata una stazione aeronavale (MARIELIPORT Augusta) dove giunsero nell’estate ’56 i primi 7 AB-47G navalizzati per l’impiego a bordo delle navi, seguiti entro il 1962 da 20 più prestanti AB-47J. Infatti, se nel 1958-1959 veniva attivato il Reparto Elicotteri – sul 1° Gruppo – e trasferita la loro base da Augusta a Catania-Fontanarossa, da dove per alcuni anni operò anche un gruppo di aerei antisom dell’AMI, nel 1957 fu avviata la costruzione della prima classe di navi scorta del mondo appositamente pensate per imbarcare un elicottero: le 4 fregate classe “Bergamini”, completate nel 1961-1962. Certo si trattava di mezzi ancora spartani: le fregate disponevano di un ponte di volo con hangar telescopico tarato sui piccoli AB-47G/J, che a loro volta per operare efficacemente contro i sommergibili erano obbligati a volare a coppie, potendo imbarcare o solo il sonar e le boe aviolanciabili, o un siluro autoguidato Mk-44. Tuttavia, sin dal 1958 era stato preparato un ulteriore salto di qualità, poiché erano stati acquistati i primi 3 elicotteri medio-pesanti Sikorsky HSS-1 (o SH-34J “Seabat”), a lungo raggio, capacità di hovering automatizzato e ognitempo, ed equipaggiati con radar, sonar AQS-4, siluri Mk-43. Inoltre gli elicotteri potevano essere facilmente riconfigurabili per il trasporto truppe, sulla base delle esperienze di eliassalto anfibio della flotta inglese impegnata a Suez nel 1956.
Questi elicotteri richiedevano però spazio maggiore per essere imbarcati: e nel 1958 era infatti iniziata la costruzione dei 2 incrociatori portaelicotteri e lanciamissili classe “Doria”, completati nel 1964, e che grazie a un ampio ponte di volo e all’hangar fisso poteva accogliere e manutenere 4 elicotteri SH-34J, che furono pertanto ordinati in altri 8 esemplari consegnati nel 1961-1962.
Lo SH-34J presentava rispetto all’AB-47 la caratteristica di assommare su un’unica piattaforma sistemi di scoperta e di attacco, oltre alla maggiore autonomia. Tuttavia erano troppo grandi per le nuove fregate in fase di progettazione dal 1959: pertanto già nel 1961 anche la Marina si orientò verso il popolare “Huey” già individuato dall’Esercito. Furono ordinati sempre su licenza Agusta (mentre i “Seabat” erano stati acquistati direttamente dalla Sikorsky) 34 AB-204B, ma nella versione AS (antisom) per impiegare sonar e siluri, con consegne iniziate nel 1963, proprio mentre veniva avviata la costruzione delle 4 – poi ridotte a 2 – fregate classe “Alpino”, dotate di ponte di volo e hangar fisso per impiegare sino a 2 di questi elicotteri compatti e versatili; velivoli però troppo grandi per le “Bergamini”, che sin dal 1968 dovettero essere modificate sbarcando un cannone da 76/62 mm per ampliare la struttura aeronautica, al fine di sostituire entro il 1972 i piccoli AB-47, gradualmente ceduti ai Carabinieri o impiegati solo per addestramento. Sebbene col tempo emergessero alcuni limiti legati alla motorizzazione, gli AB-204AS erano una valida alternativa ai velivoli precedenti, potendo impiegare un massimo di 2 siluri e anche missili antinave AS-12, acquistati dalla Francia in 200 esemplari. Sempre in questo periodo anche l’aviazione navale trovò un suo “architetto” longevo e lungimirante quanto il generale Muscarà dell’ALE: il capitano di vascello – poi ammiraglio di squadra – Giovanni Fiorini, creatore e comandante dal 1964 al 1973 dell’Ispettorato Elicotteri, poi divenuto 6° Reparto Elicotteri. Fiorini avrebbe potenziato rapidamente la componente aeronavale e migliorato i rapporti con l’Aeronautica, attivando altri 4 gruppi di elicotteri tra 1964 e 1969, aprendo una nuova base a Luni-Sarzana nel 1967, e avviando la creazione di quella di Grottaglie, presso Taranto, nel 1972 (completata nel 1976).

Nel pieno di questa rapida espansione quantitativa e qualitativa, la neonata stazione elicotteristica di Catania (MARISTAELI, ormai su 2 gruppi di elicotteri) fu devastata il 31 ottobre 1964 da una tremenda tromba d’aria, che oltre a distruggere hangar, attrezzature e alcuni aerei olandesi, fece a pezzi un AB-47J e ben 7 dei 10 SH-34J disponibili – uno era da poco andato perduto in un incidente -, mentre un ottavo velivolo fu recuperato dopo una vera e propria ricostruzione. Per ripianare le perdite, mentre veniva avviato il rifacimento della base, la US Navy cedette subito 3 più datati SH-34G, peraltro logorati dal servizio e privi di attrezzature antisom essendo impiegati per il soccorso; ed eloquentemente ribattezzati dai piloti italiani “Calimeri” per le scadenti capacità operative, e presto radiati, mentre entro il 1967 Washington consegnava altri 6 elicotteri freschi di fabbrica. Fu inoltre accelerata la consegna degli AB-204AS, che oltre ad operare dalle 6 fregate portaelicotteri dal 1972 potevano essere imbarcati, in 2 esemplari, sui nuovi cacciatorpediniere classe “Audace”, dotati di hangar fisso e ampio ponte di volo. Peraltro la flotta si era arricchita già nel 1969 di un nuovo e più sofisticato incrociatore portaelicotteri, il Vittorio Veneto, che a poppa si presentava con un ponte di volo lungo 48 metri e largo 18 e mezzo, e collegato tramite elevatore a un hangar sottostante, capace di accogliere da 6 a 9 elicotteri, a seconda dei modelli [4].
Con gli anni ’70, superata una grave crisi legata al ridursi delle risorse economiche e all’invecchiamento del materiale, l’Aviazione Navale conobbe una nuova fase di sviluppo. Sin dal 1969 d’altra parte era iniziata la consegna di un altro diffusissimo prodotto della Sikorsky: lo SH-3 “Sea King”, sviluppato come successore del “Seabat” e per decenni considerato il miglior elicottero antisom del mondo, prodotto sino agli anni ’90 e tuttora impiegato in molti paesi [5]. La Marina ne acquisì un primo lotto di 25 entro il 1975, nella versione ASH-3D realizzata su licenza, e caratterizzata dalla possibilità di ammarare e galleggiare grazie alle gondole stabilizzatrici, dal rotore a 5 pale ripiegabili al pari della coda, cui seguiranno altri 12 esemplari, in 2 lotti consegnati tra 1979 e 1984, con avionica aggiornata e la possibilità di impiegare missili antinave più avanzati rispetto agli AS-12, sostituiti dal “Marte” Mk2/S nazionale.
Fallì invece il tentativo di realizzare un piccolo elicottero sviluppato nel 1965 da Agusta, per l’impiego sulle fregate “Bergamini” senza sottoporle a radicali modifiche poi adottate per imbarcare l’AB-204AS, e per i 2 caccia lanciamissili classe “Impavido”, sui quali nel 1969-1971 furono testati i 2 prototipi dell’A-106, poi cancellato nel 1973. In quegli stessi anni Agusta aveva infatti acquisito la licenza del biturbina Bell-212 da realizzare per le Forze Armate e l’export. Per la Marina, che puntava ad affiancare e quindi sostituire i non del tutto soddisfacenti AB-204AS con un modello più prestante, nel 1971-1972 il “212” fu rielaborato in una versione antisom customizzata per le esigenze italiane, dando vita all’AB-212ASW, che avrebbe conosciuto anche un notevole successo di esportazione. La Marina ne ordinò un primo lotto di 55, consegnati tra 1976 e 1982, seguiti da altri 9 entro il 1986, più 5 in versione da guerra elettronica ECM/ELINT “Gufo”.

Il diffondersi degli elicotteri medi e pesanti di nuova e più avanzata generazione (a metà anni ’80 la Marina schierava più di 100 velivoli, un terzo in più rispetto a fine anni ’60) andava d’altra parte di pari passo con l’incremento del naviglio dotato di piattaforma di volo. Se tra 1961 e 1972 erano infatti entrate in servizio 14 unità con capacità elicotteristica (teoricamente in grado di imbarcare un massimo di una trentina di apparecchi), a partire dal 1975 – grazie ai nuovi programmi di emergenza varati nel 1973 e alla successiva Legge Navale integrata da successivi piani di nuove costruzioni – nell’arco di 20 anni sarebbero entrati in servizio 2 DDG classe “Durand de la Penne” e ben 16 fregate tipo “Lupo/Maestrale”, ognuna in grado di imbarcare 1 o 2 elicotteri medi; ma anche 3 navi di supporto logistico (le 2 “Stromboli” degli anni ‘70 dotate solo di ponte di volo, seguite nel 1998 dall’Etna che dispone di hangar/officina per 2 elicotteri anche pesanti), 3 navi anfibie tuttoponte classe “Santi”, piccole e senza hangar ma capaci di operare con 4 elicotteri, la nave appoggio Anteo con ponte di volo e hangar telescopico, e l’unità oceanografica Magnaghi, col solo ponte di volo. Dal 1984 fu anche avviata la modernizzazione del naviglio di scorta minore realizzando 8 corvette e 4 OPV, ma solo questi ultimi furono dotati di hangar e ponte di volo, mentre sulle corvette classe “Minerva” a poppa si preferì imbarcare un impianto lanciamissili. Invece, ad affiancare gli incrociatori portaelicotteri nel 1985 giunse una nuova unità: l’incrociatore portaeromobili Giuseppe Garibaldi, che si presentava con un’inedita – ma anche ovvia evoluzione delle grandi unità precedenti – configurazione a tuttoponte, con un ampio hangar sottostante, comprendente depositi per carburante avio e munizionamento vario, e collegato con 2 elevatori al ponte di volo, lungo 174 metri e largo 30, per 5.200 mq di estensione, contro i 990 del Veneto.
Come unità portaelicotteri, il Garibaldi poteva imbarcare un massimo di 16 “Sea King” o 18 AB-212, o un mix di entrambi. Ma sul suo ponte spiccava una caratteristica curiosa, che fece fare ai generali dell’Aeronautica un salto sulla sedia. Questi non erano più gli uomini che, veterani dei reparti operativi durante la guerra, e poi quadri e comandanti tra anni ’50 e ’70, avevano accettato i compromessi con l’aviazione navale, memori delle sconfitte subite per la mancata cooperazione aeronavale del 1940-1943. Negli anni ’80 ai vertici erano arrivati i dinamici generali forgiati nella NATO e nel confronto con i colleghi dell’USAF, che dagli anni ’50 propugnavano di nuovo la supremazia dell’arma aerea, integrata dai sistemi missilistici e nucleari strategici. E il Garibaldi che vedevano navigare nel 1985 era ben diverso dal progetto presentato 10 anni prima: ora infatti era stato integrato uno ski-jump lungo più di 28 metri e con una inclinazione di 6,5°. Una struttura che non serviva per l’impiego degli elicotteri, ma che svelava invece la vera ambizione della Marina: impiegare gli aerei a decollo corto/verticale (VSTOL), simili agli “Harrier” inglesi che nel 1982 avevano fatto faville contro i jet supersonici argentini nella guerra delle Falkland; vera alternativa alla costruzione di troppo costose e impegnative portaerei tradizionali. Ne nacque una lunga diatriba dai toni accesi, risolta solo dall’approvazione della Legge numero 36 del 1° febbraio 1989, che finalmente aboliva tutti i paletti posti 33 anni prima allo sviluppo dell’Aviazione Navale, permettendo l’acquisto di velivoli ad ala fissa senza restrizioni.

TAV-8B Harrier II in fase di decollo dalla portaerei Garibaldi nel 1991

TAV-8B Harrier II in fase di decollo dalla portaerei Garibaldi nel 1991

Furono così immediatamente ordinati all’allora McDonnell Douglas i primi 2 jet da combattimento a decollo corto/verticale TAV-8B “Harrier-2”, nella variante da conversione operativa, ossia biposto per l’addestramento dei piloti, pur avendo parte delle capacità “combat” degli aerei di prima linea. Nel 1990 partì per gli Stati Uniti un primo gruppo di allievi piloti e tecnici per l’addestramento; tra di loro l’attuale Capo di Stato Maggiore Difesa, ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone: l’allora 33enne capitano di corvetta fu il primo a comandare nel 1991-1993 il neonato GRUPAER, il Gruppo Aeromobili Imbarcati, e a far appontare sulla Garibaldi i due jet, nella storica giornata del 23 agosto 1991 [6]. Contemporaneamente venivano ordinati altri 3 aerei nella versione da combattimento monoposto AV-8B “Harrier-2 Plus”, seguiti da altri 13 assemblati in Italia, e tutti consegnati tra 1994 e 1997, assiema ad apparati elettronici, e oltre 300 tra missili aria/superficie AGM-65F e AIM-120A/B aria/aria, per una spesa complessiva di oltre 1 miliardo di dollari, trattandosi del più sofisticato velivolo del suo genere, superiore anche al “Sea Harrier” impiegato dalla Royal Navy alle Falkland. Un’opzione per acquistare altri 8 aerei non è mai stata esercitata, poiché in quasi 30 anni di intenso impegno operativo (anche bellico, dalla Somalia nel 1995 al Kosovo nel 1999 – quando per la prima volta da una portaerei italiana partirono missioni aeree di attacco – all’Afghanistan, al Libano e alla Libia tra 2001 e 2011) sono andati perduti solo 2 apparecchi AV-8B, mentre uno dei jet addestrativi è stato radiato per cannibalizzazione. Con la caduta dei limiti imposti nel 1956, la Marina acquistò nel 2001 anche 3 aerei da collegamento e sorveglianza Piaggio P-180AM, in fase di ammodernamento, e che saranno affiancati e poi sostituiti dai nuovi P-180 EVO.
In quegli stessi anni, tuttavia, la fine della Guerra Fredda e l’avvio di un intenso ciclo di operazioni “fuori area” anche con l’impiego di assetti anfibi, comportò una riduzione della linea di volo antisom, ormai incentrata solo su “Sea King” e AB-212ASW, mentre anche l’Aeronautica si limitava ad aggiornare solo una parte dei suoi “Atlantic”, impiegandoli a consumazione sino al 2017, per poi sostituirli con appena 4 P-72MP, derivati dall’ATR-72 commerciale e con la sola predisposizione per apparati antisom.
Anche 18 tra “Sea King” (poi radiati entro il 2013) e AB-212 venivano modificati sbarcando sonar e siluri antisom, per fare posto a minigun, lanciarazzi, corazzature in kevlar e suite di autoprotezione, per l’impiego nel Nucleo Lotta Anfibia, reparto di eliassalto attivato nel 1994 e destinato a sbarcare dall’aria squadre di fanti del “San Marco”.
Dopo il 2000 è iniziata la modernizzazione della componente ad ala rotante, incentrata su velivoli acquisiti negli anni ’70 e ’80. Il primo ad entrare in servizio è stato l’elicottero pesante AW-101, sviluppato a partire dal 1979 con un programma anglo-italiano, e poi gestito da Agusta quando l’azienda italiana ha acquisito il colosso elicotteristico inglese Westland. La Marina nel 1998 ha ordinato 22 elicotteri (riducendo le iniziali previsioni per un massimo di 36 macchine, all’epoca indicate come EH-101), consegnati tra 2000 e 2011 in 3 configurazioni: 10 destinati all’eliassalto e trasporto, 8 in versione antisom, e 4 per la sorveglianza radar, e per i quali è stato avviato un programma di ammodernamento per prolungarne la vita sino al 2040.

Due F-35B VSTOL sul ponte della Cavour

Due F-35B VSTOL sul ponte della Cavour

Anche la Marina inoltre guardava al già citato elicottero standard NATO NH-90: ne furono ordinati 56, con le consegne iniziate nel 2011 per i 46 velivoli in configurazione antisom SH-90, da completarsi entro il 2023, cui si sono aggiunti 10 elicotteri in versione assalto anfibio e trasporto entrati in servizio nel 2017-2021. Nel frattempo, iniziava l’ammodernamento anche della flotta. Le unità di nuova generazione, consegnate negli ultimi 20 anni o in costruzione/programmazione, hanno ormai quasi tutte la capacità di operare con gli elicotteri, accogliendoli in un ben attrezzato hangar. Le 10 fregate tipo FREMM possono imbarcare comodamente 2 elicotteri SH-90, ma anche i velivoli più pesanti, al pari dei 7 PPA classe “Thaon di Revel”, mentre dal 2009 è pienamente operativa la Cavour, una vera portaerei leggera VSTOL (dalle dimensioni paragonabili a quelle di una portaerei di squadra della Seconda guerra mondiale) con capacità di trasporto doppie rispetto al Garibaldi, potendo imbarcare un massimo di 36 aeromobili, benché la linea di volo operativa standard sia di 20-22 tra aerei ed elicotteri. La Cavour è stata inoltre tarata – anche grazie ai lavori di modifica effettuati nel 2019-2020 – per impiegare il jet da combattimento destinato sin dal 2002 a succedere al pur ottimo “Harrier”. Si tratta infatti della versione VSTOL del sofisticatissimo caccia multiruolo stealth di 5ª generazione F-35B “Lighting-2”, acquistato in 15 esemplari dei 22 previsti inizialmente (ma altri 15 in versione VSTOL sono destinati all’Aeronautica e saranno messi a fattor comune), le cui consegne sono iniziate nel gennaio 2018, mentre nel 2021 la Cavour è stata certificata per il loro impiego, facendo della Marina italiana una delle 4 sole al mondo a operare con questi aerei avveniristici. Nel frattempo, nel 2023 sarà consegnata anche la portaeromobili anfibia Trieste, destinata a sostituire il Garibaldi e a fungere da seconda portaerei, potendo impiegare un massimo di 12 F-35B, quando la Cavour (di cui condivide le generose dimensioni e gli spazi aeronautici) non fosse disponibile. Nel marzo 2023, inoltre, i vertici della Difesa hanno chiesto di tornare al vecchio programma relativo a complessivi 131 F-35A/B, con la Marina che ne vorrebbe 25-30 tipo VSTOL. Resta poi l’esigenza di dotarsi di 9 aerei da pattugliamento a lungo raggio con reali capacità antisom, al posto dei fin troppo disarmati P-72MP: in lizza anche una versione MPA del C-27J “Spartan” di Leonardo.
Inoltre nell’ultimo decennio la Marina ha iniziato a impiegare anche droni, sia tipo micro-UAV “ScanEagle” della Boeing, acquistati nel 2011-2013 in 10 esemplari con 2 sistemi di controllo, e 2 sofisticati droni ad ala rotante Schiebel “Camcopter” S-100 testati dal 2012.

AW-101 in appontaggio sulla fregata Libeccio

AW-101 in appontaggio sulla fregata Libeccio

I programmi di ammodernamento 2019-2034 prevedono di portare a 30 gli elicotteri pesanti, aggiornando gli AW-101 in servizio e acquistandone un secondo lotto in versione più avanzata, o in alternativa 8-10 convertiplani, mentre per sostituire i restanti AB-212 (25 quelli ancora operativi, impiegati a consumazione nonostante i quasi 40 anni di vita, grazie alla loro affidabilità e all’abbondanza di pezzi di ricambio) si guarda a 12 elicotteri leggeri utility, tipo AW-139 o AW-169M, già impiegati dai servizi aeronavali di Guardia Costiera e Guardia di Finanza. Previsto anche il rafforzamento della componente dei droni: 16 quelli fissati col programma varati nel 2019, ma che potrebbero aumentare e diversificarsi alla luce delle lezioni ucraine. Lo scoppio della guerra, e i nuovi scenari conflittuali di tipo tradizionale che si profilano nell’area Euro-mediterranea (e nell’Indo-Pacifico), stanno infatti portando a una revisione al rialzo – qualitativo e quantitativo – dei programmi militari italiani. Della richiesta di aumentare il numero degli F-35, compresi quelli VSTOL per la Marina, si è accennato. Lo Stato Maggiore sta però spezzando diverse lance anche per rafforzare la flotta: nelle previsioni, questa nel 2034 avrebbe dovuto schierare, oltre a Cavour e Trieste, 29 navi da combattimento e 8 tra anfibie e logistiche con capacità elicotteristiche, mentre anche i previsti 8 cacciamine oceanici da 80 metri di nuova generazione disporranno di ponte di volo e mission bay per l’impiego di droni ad ala rotante. Le nuove richieste della Marina comprendono invece una ulteriore tranche di fregate FREMM antisom (da 2 a 6), mentre prende corpo l’ipotesi di realizzare una nave porta-droni, magari convertendo alla bisogna almeno per qualche anno il Garibaldi, ancora in ottime condizioni nonostante sia in acqua da 40 anni.
Infine, come accennato, anche la Guardia Costiera, corpo appartenente alla Marina, dispone di un proprio servizio aeronavale gradualmente potenziato dalla sua attivazione, nel 1989; senza contare che dal 2013 schiera 2 pattugliatori da 3.600 tonnellate dotati di ponte di volo, cui se ne aggiungerà un terzo nel 2025. Tra 1988 e 1991 erano stati acquistati 14 aerei biturboelica Piaggio P-166DL3, simili ai contemporanei 12 acquistati per la Finanza, e con gli ultimi radiati tra 2017 e 2022.
La Guardia Costiera impiega oggi, inquadrati in 3 gruppi (o nuclei aerei) a Sarzana-Luni, Catania-Fontanarossa, Pescara e Decimomannu, 3 aerei da pattugliamento derivati dall’ATR-42MP e ordinati nel 1998, e un Piaggio P-180 da trasporto e sorveglianza in servizio dal 2011, oltre a 5 dei 10 elicotteri AB-412HP entrati in servizio negli anni ’90, in fase di sostituzione dal 2010 con 16 fiammanti AW-139, in versione PH-139.
Il servizio aeronavale della Finanza – risalente al 1954 e all’epoca attivato con elicotteri AB-47 – schiera invece, accanto a 2 Piaggio P-180 consegnati nel 2007 e 4 ATR-42MP in servizio da oltre 20 anni, 4 più prestanti e fiammanti ATR-72MP, consegnati tra 2019 e 2022 [7]; la flotta ad ala rotante sta invece transitando dai vecchi NH-500, A-109 e AB-412HP degli anni ’80-‘90, già affiancati nel 2009 dai 18 più moderni A-109N “Nexus”, a 18 AW-139 consegnati nel 2010-2020, mentre nel 2018 sono stati ordinati 24 AW-169M, con un programma che sarà completato nel 2024.

Note

[1] Col nome all’epoca di Regia Aeronautica.

[2] https://www.marina.difesa.it/noi-siamo-la-marina/mezzi/forze-aeree/Pagine/primaGerraMondiale.aspx.

[3] Non va dimenticato che nel 1935 era invece stato testato, ma con esito negativo, un autogiro La Cierva sull’incrociatore Fiume.

[4] Va ricordato che il vecchio incrociatore Garibaldi, convertito in lanciamissili nel 1957-1961 e radiato nel 1976, a poppa aveva ricavato una piazzola per limitate operazioni di volo, mentre tra 1968 e 1972 entrarono in servizio le navi anfibie ex US Navy Bafile, Grado e Caorle, equipaggiate con ponte di volo per impiegare 1 o 2 elicotteri.

[5] Dal 1975 al 2014 anche dall’Aeronautica italiana, nella versione da trasporto (anche VIP, pontefice compreso) e SAR HH-3F “Pelican”, con 37 esemplari consegnati.

[6] L’altro “architetto” della costruzione di GRUPAER fu Giuseppe De Giorgi, nel 1989-1992 capo servizio volo della Squadra Navale, quindi dal 1993 al 1997 dell’Ufficio studi e nuovi programmi del Reparto aeromobili dello Stato Maggiore, e da contrammiraglio comandante dell’intera Aviazione navale dal 1999 al 2005, quando dopo aver comandato il Garibaldi gli successe proprio Cavo Dragone.

[7] Si ipotizza che quando saranno acquistati i 9 previsti aerei da pattugliamento antisom, l’Aeronautica ceda i 4 P-72MP alla Guardia Costiera.