POLIZIOTTI ITALIANI CONTRO LA SHOAH

di Pier Luigi Guiducci -

 

 

Il contesto storico, le leggi ufficiali, la resistenza alle ingiustizie, la memoria.

 

 

“Se io oggi sono qui è perché due famiglie e due poliziotti coraggiosi, ai tempi della persecuzione e della caccia agli ebrei del secolo scorso, salvarono la mia famiglia”. Questa frase è stata pronunciata a Roma da Ermanno Smulevich a Palazzo Montecitorio (salone della Regina).[1] In data 13 febbraio 2025, infatti, è stata presentata l’opera in due volumi dal titolo Fecero la scelta giusta.[2] Con questo lavoro, a cura del dott. Raffaele Camposano[3], la Polizia di Stato ha presentato una serie di figure di poliziotti che negli anni delle persecuzioni razziali difesero gli ebrei. Nel momento delle testimonianze, Smulevich ha citato i commissari di P.S. Giovanni Palatucci[4] (attivo a Fiume) e Mariano De Vita[5] (presente a Prato). Queste persone andarono controcorrente, e aiutarono la famiglia Smulevich a salvarsi dalla persecuzione nazifascista. Due uomini dello Stato, capaci di scegliere la disobbedienza agli ordini. Decisi a non consegnare agli aguzzini uomini, donne e bambini perseguitati per il solo fatto di essere ebrei.[6] Anche in altre parti d’Italia si mossero più poliziotti. Questo saggio è un omaggio al loro coraggio. 

Commissario di P.S. Giovanni Palatucci

immagine1

Palatucci, seduto. In piedi, da sinistra a destra: Sciaraffia, Maione e Cucciniello

Il commissario dott. Giovanni Palatucci, nato a Montella (prov. di Avellino) nel 1909, fin dall’inizio del suo servizio presso la Pubblica Sicurezza, dimostrò insofferenza verso prassi considerate troppo burocratiche e poco incisive. Nei suoi criteri anticipò l’attuale orientamento legato a una Polizia di prossimità. Per le sue critiche fu trasferito da Genova a Fiume (allora italiana), località di confine. In questa località prese atto delle persecuzioni verso vari perseguitati dal regime fascista, in particolare ebrei. Il contesto politico, poi, si aggravò gradualmente. Alle leggi razziali (1938 e periodi successivi)[7], si aggiunse l’occupazione tedesca del 1943. A questo punto, il giovane commissario cominciò a operare controcorrente rispetto ai dettami del tempo. Di fatto, attivò una personale resistenza.[8]
Attraverso lo studio delle carte del tempo è stato possibile acquisire ulteriori informazioni che riguardano il modus operandi di Palatucci.
1] Sul piano formale Palatucci cercò di operare in modo da non destare sospetti. Le sue risposte alle autorità non dovevano suscitare indagini interne.
2] In più occasioni controllava la posta in arrivo prima degli addetti al protocollo. Era un modo per conoscere immediatamente le possibili criticità. Ciò consentiva di ideare in tempi rapidi delle possibili difese a favore dei perseguitati del tempo.
3] Era abituato a rispondere con ritardi notevoli, oppure trasmetteva richieste di ulteriori chiarimenti. In tal modo faceva trascorrere del tempo per cercare di vanificare in qualche modo l’indagine persecutoria.
4] Utilizzava i più stretti collaboratori per accompagnare ebrei verso territori anche non italiani.[9]
Nell’ultimo periodo della sua permanenza a Fiume, Palatucci era ormai una persona conosciuta e apprezzata in più ambienti. Specie tra gli ebrei in fuga è rimasta una memoria riconoscente. Tale pensiero trova pure conferma nella testimonianza di Tiburzio Berger (detto Tibi).[10] Mentre con la sua famiglia era in fuga verso la Svizzera, incontrò Palatucci nella stazione ferroviaria di Milano.
Su questo episodio riferisce così in una memoria: “(…) Il dottor Palatucci riconobbe subito mio padre e certamente sapeva che noi eravamo una famiglia ebraica fuggita da Fiume nel tentativo di lasciare l’Italia. Fu proprio il giovane commissario ad avvicinarsi a mio padre e a questo punto noi tememmo che ci fermasse e ci consegnasse alla Polizia di Milano, per poi essere ulteriormente consegnati ai tedeschi. Invece il funzionario si rivolse a mio padre e gli disse: ‘Signor Berger, buongiorno, non abbia paura. Continui pure il suo viaggio che non le metterò alcun ostacolo o impedimento’.
Continuammo così la nostra strada, ed arrivammo a Como, da dove alcune guide – già in secreto avvertite che fortunatamente non ci consegnarono ai tedeschi o ai fascisti come al solito accadeva – ci accompagnarono fino alla rete di confine con la Svizzera, ove potemmo così metterci in salvo.
Io, mio padre, mia madre, e le mie quattro sorelle dovevamo così alla generosità e all’altruismo del dottor Palatucci la salvezza delle nostre vite. Dopo la guerra, ho saputo che il dottor Palatucci, oltre che la mia famiglia, aveva salvato in Fiume anche tante altre persone di religione ebraica, pagando alla fine con la sua giovane e nobile vita. Il proprio eroismo”.[11]
In tale contesto, a motivo di una situazione fiumana sempre più critica con l’avvicinarsi dei titini, Palatucci ebbe la possibilità di fuggire. Di mettersi in salvo. Di percorrere più vie di scampo. Poteva raggiungere una sede meno esposta (scelta operata da alcuni suoi colleghi). Era in grado di far perdere le proprie tracce utilizzando persone fidate. Poteva accettare l’invito del conte Marcel Frossard de Saugy[12] a recarsi in Svizzera.
Specie quest’ultima offerta era significativa. Il de Saugy era il direttore tecnico di fabbriche di munizioni in Svizzera e a Budapest. Interagiva con i tedeschi sul piano commerciale. Godeva quindi di benefici. Poteva ottenere permessi. Aveva conosciuto Palatucci a Fiume perché non lontano da questa città, c’era a Laurana un villino di proprietà della madre del conte.
Ma Palatucci (divenuto nel frattempo reggente la Questura) fece la sua ultima scelta: rimanere a Fiume. Stare con i suoi agenti disarmati. Di questi, alcuni erano coniugati, in più casi si trovavano lontani dalle proprie famiglie, con mezzi di sussistenza limitati, in ansia per un domani avvolto da nebbie minacciose. In Svizzera, al suo posto, inviò due donne ebree. Si trattava di Dragica (Carolina) Braun e della figlia Maria Eisler (detta Mika).[13] Provenienti dalla Croazia (Karlovać).[14]

Le criticità interne

Dragica Braun e Maria Eisler

Dragica Braun e Maria Eisler

Palatucci sapeva che a Fiume operavano soggetti a lui ostili, pronti a neutralizzarlo con dei mezzi abituali in guerra. Si trattava dei tedeschi (che avevano già disarmato il personale della Questura), della Guardia Nazionale Repubblicana (ristrutturata in Milizia Difesa Territoriale; il Terzo reggimento era comandato dal ten. col. Giuseppe Porcù); dei collaborazionisti dei tedeschi; e dello stesso prefetto dott. Alberto Spalatin, acceso fascista (filo-tedesco).
Alla luce dei dati forniti in tempi successivi dal vice brigadiere di P.S. Nunzio Gabriele[15], e delle informative conservate nei fascicoli dell’ufficio storico della Polizia di Stato, si è arrivati a individuare il soggetto che tramò ai danni di Palatucci. Si chiamava Emilio Filippi.[16] Nel periodo dei fatti qui esaminati, era vice commissario ausiliario di Polizia presso la Questura di Fiume. Con Palatucci aveva avuto un’interazione critica, perché non aveva ottenuto alcuni permessi che desiderava. Inoltre, Palatucci aveva attivato degli accertamenti su Filippi a motivo del fatto che quest’ultimo otteneva benefici economici in modo illegittimo. L’atteggiamento non collaborativo del Filippi trovava motivazione nel fatto che era una spia dei tedeschi. Da qui, la cautela di Palatucci nel servirsi di un poliziotto pericoloso.
Filippi, comunque, non si arrese. Divenne alla fine un collaboratore ufficiale dei tedeschi. Si trasferì nella loro sede e non più in Questura, e fornì agli occupanti informazioni su talune prassi del reggente. Si trattava di un comportamento chiaro sul piano umanitario (accelerare, ad esempio, i tempi di consegna di taluni documenti), ma meno attento a determinate procedure.
Il 13 settembre del 1944, la Polizia tedesca fece irruzione nell’abitazione di Palatucci. Qui, “trovò” documenti “compromettenti”. Tutta l’operazione fu una farsa attestata dal fatto che i comandi tedeschi fecero silenzio sull’iniziativa, e non vollero divulgare il verbale della perquisizione. Seguì un processo (senza difensori), una condanna, e una deportazione a Dachau. Anche in questo caso non sono stati trovati gli atti di merito. Il 10 febbraio del 1945 il reggente la Questura di Fiume morì nel lager ove era stato ristretto. Aveva 36 anni.
Dopo la morte del Palatucci sono stati realizzati diversi studi che hanno evidenziato alcune sue caratteristiche. Qui di seguito si riassumono.
1] L’assenza di collaborazionismo con le forze tedesche. Al contrario, rimangono agli atti varie denunce del Reggente contro soprusi di ogni tipo di militari del Terzo Reich. Da considerare, inoltre, la dichiarazione del dott. Camillo Mangani[17] del 12 luglio 1946[18] ove si specifica che Palatucci “pur non godendo del prestigio del dr. Tommaselli, perseverò nell’azione antitedesca che ormai era stata eretta a sistema nell’ambiente della questura”. E si aggiunge: “ Il dr. Palatucci purtroppo non riuscì a fuggire e fu inviato a Dachau ove, si dice, sia morto”.[19]
2] Il disprezzo verso i collaborazionisti dei tedeschi.
3] La volontà di non abbandonare i suoi uomini in un’ora critica.
4] Un sostegno all’italianità della terra fiumana.
5] Un coraggio non dettato da impulsività, ma regolato dalla consapevolezza delle proprie azioni, e delle possibili conseguenze a queste legate.
A questi aspetti è da aggiungere una memoria del Palatucci che precede quella degli ambienti famigliari.

I riconoscimenti

Oltre alle molte testimonianze ebraiche raccolte in diversi saggi, e alle affermazioni di Mangani, si ricordano anche le stesse note delle autorità comuniste jugoslave. Si riporta qui di seguito la scheda su Giovanni Palatucci ritrovata nell’Archivio di Stato di Fiume.
D.A.R.-106 (Drzavni Arhiv Rijeka – Archivio Statale Fiume), Gradska komisija za utvrdivanje ratnih zlocina okupatora i njihovih pomagaca u Rijeci (Commissione cittadina per l’accertamento dei crimini di guerra dell’occupante e dei suoi collaboratori di Fiume), busta 3, Popis osoba osumnjicenih za ratne zlocine i onih koji bi mogli biti osumnjiceni, Elenco dei criminali, Razni popisi osumnjic’enih za ratne zlocine 1941-1943, Popis vodecih osoba rijec’kog redarstva (Questura) poslije 1941. str. 11, Elenco dei dirigenti la Questura di Fiume dopo l’anno 1941, Palatucci Giovanni. Il fondo è composto da 2 libri e da 9 buste. La Commissione operò ufficialmente dal settembre 1945 (anche se iniziò i lavori già tra fine giugno e inizio luglio) fino al settembre del 1947. Smise di fatto di operare con la fine di quell’anno.
La valutazione su Palatucci (rara perché positiva), all’inizio p. 2 dell’elenco è la seguente: “Aiuto commissario in servizio dal 1930 (rectius 1936) alla primavera del 1944. Funzionario di grandi capacità e benefattore. La polizia tedesca lo internò a Dachau”.
Diverso fu il commento dei comunisti titini su Emilio Filippi. Si riporta qui di seguito la scheda.
“FILIPPI – Aiuto commissario in servizio dopo l’8 settembre 1943 fino al marzo 1945. Di carattere indeciso ed infimo, molto maligno, fiduciario segreto del comandante della milizia Porcù al quale dettagliatamente riportava tutto ciò che accadeva in questura.Si crede sia stato in contatto con i tedeschi e con la loro polizia. Per un certo tempo prese il comando degli agenti come anche la funzione di capo dei carabinieri, apertamente si spacciava per agente addetto alla sorveglianza dei viveri.Partito due giorni prima dell’arrivo dei partigiani. Ha asportato la bicicletta del dott. Palatucci che si trovava internato in Germania. Ha portato con sé anche molti altri oggetti di proprietà degli ebrei internati nelle abitazioni dei quali abitavano i tedeschi. Pare che ora si trovi nei dintorni di Portogruaro”.[20]

Vice brigadiere di P.S. Antonio Maione[21]

Antonio Maione[22], allora vice brigadiere di P.S., su incarico del dott. Giovanni Palatucci, accompagnò diversi ebrei in località più sicure da rastrellamenti dei nazifascisti.[23] Attività a favore degli ebrei sono descritte da Maione nella Memoria autografa del 2 aprile 1946, da lui indirizzata alla Divisione F.A.P. della Direzione Generale di Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno.[24]
In tale relazione si fa riferimento anche al salvataggio di due donne ebree croate. Si trattava della sig.ra Dragica Braun e della figlia Maria Eisler, rifugiatesi a Fiume. Queste, in un contesto critico, vennero alla fine prelevate a Laurana, accompagnate a Modena, e poi in Svizzera. Dopo la guerra raggiunsero Israele. 

Vice brigadiere di P.S. Americo Cucciniello

Il vice brigadiere di P.S. Americo Cucciniello[25], in servizio a Fiume, testimoniò dopo la guerra diverse operazioni a favore di ebrei, dirette dal dott. Giovanni Palatucci. Si riportano qui di seguito alcune sue affermazioni. “(…) Puntualizzo subito che in quest’anno 1943 la mia collaborazione col dott. Palatucci fu intensa, in quanto spesso accompagnavo le famiglie di ebrei in pericolo di essere internate dai tedeschi nei lager verso l’interno dell’Italia, presso monasteri, istituti ecclesiali, altre persone amiche private.
In particolare ricordo un episodio: la famiglia ebrea Sachs[26], composta dalla sig.ra Lilli, da un fratello Borio e da un bambino figlio di una figlia sposata con un ufficiale aviatore polacco della RAF; questo bambino Igor, ora diventato grande – attualmente risiede nei pressi di Londra – fu da me accompagnato, su esplicito ordine del dott. Palatucci, a Cavaglià (prov. di Vercelli), per rimanere nascosto presso una famiglia di amici. Andai pure a prendere un’altra famiglia a Ravenna, nascosta anche questa presso amici fidati, per accompagnarli a Bergamo, dove furono aiutati dall’allora commissario dottor Mario Scarpa, commissario della P.S., che incamminò il marito verso la Svizzera e la moglie Weits Elena (Bianchi)[27] presso amici di Torino, dove rimase fino alla fine della guerra (…)”.[28]

Commissario di P.S. dott. Olindo Cellurale

Il dott. Olindo Cellurale fu collega di Giovanni Palatucci. Egli ricevette dalla Comunità Ebraica una medaglia d’oro con la seguente motivazione: “Nella sua qualità di Commissario di P.S. in Abbazia[29], avuto l’ordine di arrestare gli ebrei della sua zona, volle preventivamente informare i singoli ricercati del pericolo che li sovrastava, dando loro in tal modo la possibilità di mettersi in salvo. Con questo rischiosissimo gesto – ispirato a sensi di umana solidarietà – rese nullo il barbaro provvedimento”.[30] 

Commissario di P.S. dott. Feliciano Ricciardelli

Il commissario di P.S. dott. Feliciano Ricciardelli[31] nel 1944 era il responsabile dell’ufficio politico della Questura di Trieste. Amico e conterraneo del dott. Giovanni Palatucci. Era nato a Montemarano (Avellino), un paese limitrofo a Montella. Sono diverse le operazioni svolte da questo funzionario a difesa dei perseguitati del tempo. Il dott. Ricciardelli, su richiesta di Palatucci, si recò pure a Fiume per prelevare cinque parenti dell’ebreo triestino Ernesto Baruch. Questi, temevano di non passare indenni i posti di blocco tedeschi. L’operazione riuscì. Qualche giorno dopo essere giunti a Trieste, i Baruch si trovarono nuovamente in pericolo a motivo di una imminente retata dei tedeschi. Ricciardelli, allora, inviò il figlio Raffaele a informarli del pericolo. E questi si salvarono fuggendo.[32]
Alla fine, però, il 4 gennaio del 1944 due soldati della Wehrmacht arrestarono Ricciardelli. Lo portarono al comando delle SS[33] in piazza Oberdan. Qui rimase diversi giorni in una delle cellette dello scantinato. Trasferito poi al carcere ‘Coroneo’. Dopo alcuni mesi, il 28 giugno del 1944, venne deportato alla volta di Dachau, ove arrivò il 30 giugno. Nel lager il funzionario fu costretto a lavorare in una specie di officina meccanica dodici ore al giorno. Quando, nella primavera del 1945, venne liberato dagli Alleati, pesava 40 chili.[34]
Il 10 ottobre 1945, la Comunità ebraica di Trieste trasmise al dott. Ricciardelli una lettera di ringraziamento. Si riporta qui di seguito il testo. “A nome di questa Comunità Israelitica mi è grato esprimere alla S.V. la più viva e profonda riconoscenza degli ebrei di Trieste per tutta l’opera da Lei svolta a loro favore, durante il periodo tristissimo delle persecuzioni razziali. Nei tragici anni passati Ella con ammirevole coraggio ha potuto svolgere la Sua opera di protezione verso tanti miei correligionari che a Lei devono la loro salvezza. Se nell’intimo della Sua coscienza Ella troverà la giusta ricompensa a tanto fraterna comprensione del dolore umano, Le sarà anche caro e gradito di sapere che tale opera ha trovato il pieno riconoscimento da parte di questa Comunità”.[35]
Nel 1955, su segnalazione di Ernesto Baruch, il dott. Ricciardelli ricevette il Diploma di riconoscimento delle Comunità israelitiche italiane. 

Commissario di P.S. Calogero Pisciotta, maresciallo di P.S. Nicolò Raho, archivista Goffredo Terribile

Nel suo agire a favore degli ebrei, il dott. Ricciardelli fu aiutato dal commissario aggiunto di P.S. Calogero Pisciotta[36], dal maresciallo di P.S. Nicolò Raho[37] (deportato a Dachau)[38], e dall’archivista della Questura Goffredo Terribile.[39]
Il dott. Pisciotta prestava servizio a Trieste dal 1930. Dal 1942 dirigeva l’ufficio politico. intervenne in più occasioni a favore di resistenti e degli ebrei triestini. Suggerì, ad esempio, come rispondere agli interrogatori in caso di cattura da parte dei tedeschi. Alcuni di essi (l’avv. Volli, l’avv. Kostoris, Isidore Tassi, Davide Romano, Felice Israel[40]), al termine del secondo conflitto mondiale, segnalarono il Pisciotta alla Comunità ebraica. Lo fecero anche per l’aiuto offerto a una cugina di Felice Israel (un soccorso neutralizzato poi dai tedeschi).[41] In tale contesto, rimane significativa una relazione del dott. Ricciardelli (6 agosto 1946) ove quest’ultimo descrive l’operato di Pisciotta a favore degli ebrei. Si riporta qui di seguito il testo.
“(…) Assegnato all’Ufficio politico, ha svolto la sua attività nel delicato ramo, trattando con tatto e soprattutto con umana comprensione numerosi difficili casi, tanto da riscuotere il plauso dei vari superiori e la generale stima della popolazione. Nel 1937 istituì e diresse per circa due anni uno speciale ufficio creato per l’applicazione delle leggi razziali, sovraintendendo nello stesso tempo all’ufficio stranieri. (…) È da rilevare infine che il dott. Pisciotta, allorché negli anni 1938-39 dirigeva l’ufficio razza, favorì in tutti i modi numerosi ebrei colpiti dalle leggi razziali. (…) Per l’opera da lui svolta la locale Comunità israelitica gli ha fatto pervenire, senza esserne richiesta, un attestato di riconoscimento[42] per il conforto e l’appoggio da lui ricevuto in ogni circostanza (…)”.[43]
Il maresciallo di P.S. Raho collaborò in più casi con il dott. Ricciardelli a favore degli ebrei perseguitati.[44] L’archivista Terribile prestava servizio nella Questura di Trieste dall’agosto 1941. Venne segnalato per il suo aiuto agli ebrei da Piero Nossal.[45] Ricevette nel 1955 l’attestato di benemerenza dalla Comunità Israelitica di Trieste nel decennale della Liberazione.[46] 

Maresciallo di P.S. Salvatore Messina

A Trieste agirono a favore degli ebrei anche il maresciallo di P.S. Salvatore Messina[47], e il capo di Gabinetto della Prefettura Francesco Del Cornò.[48] Quest’ultimo venne arrestato dalla polizia tedesca, e deportato a Dachau ove morì. Non è da tacere, poi, la figura del carabiniere Efisio Vargiù.[49]

Agente semplice di P.S. Mario Canessa

Canessa

Canessa

All’inizio della Seconda guerra mondiale, Mario Canessa[50] lavorava a Tirano (prov. di Sondrio) come semplice agente di Pubblica Sicurezza. Era incaricato del servizio di vigilanza al posto di frontiera di Piattamale, e al controllo passaporti sul treno tra Tirano e Campolongo (Svizzera). In quel periodo, volle anche iscriversi alla facoltà di Scienze Politiche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore (Milano). Negli ambienti dell’Ateneo ebbe modo di interagire con alcuni esponenti antifascisti cattolici.
Nel settembre 1943 aderì al gruppo militare del Comitato di Liberazione Nazionale guidato dal capitano Avati di San Pietro del reggimento ‘Piemonte Cavalleria’, di orientamento monarchico. Si impegnò in tal modo, nella Resistenza, operando un doppio gioco. Dal mese di settembre all’ottobre del 1943 ospitò nella sua casa Noemi Gallia e la madre Flora, ebree ungheresi in cerca di un rifugio. Le presentò come parenti sfollate. Riuscì poi a farle espatriare in Svizzera. In dicembre accolse un bambino di otto anni, Ciro De Benedetti. Questi, era rimasto solo dopo l’arresto dei genitori, Mario e Theresia Herz, avvenuto a Tirano. Nella notte del 10 dicembre, con una lunga camminata tra neve e ghiaccio, Mario Canessa condusse il bambino oltre il confine. Lo affidò alla Gendarmeria elvetica di Campo Cologno, attestandone l’identità ebraica.
Come prova dell’avvenuto salvataggio Canessa fece firmare a Ciro un foglio di carta, che venne timbrato dalla Gendarmeria. Lo consegnò in seguito ai genitori rinchiusi nel carcere di Tirano, per rassicurarli sulla sorte del figlio. Mario De Benedetti e la moglie Theresia furono poi trasferiti a Fossoli. Da qui, subirono la deportazione ad Auschwitz. Non fecero più ritorno. Anche la nonna di Ciro, Corinna Finzi De Benedetti, e la zia, Bianca De Benedetti, vennero aiutate a rifugiarsi in Svizzera. Mario Canessa accolse in casa anche altri perseguitati con l’aiuto delle proprietarie dell’alloggio, le sorelle Piccioli. Nel febbraio del 1944 dovette fuggire per evitare di essere catturato dai tedeschi.
Alla fine del secondo conflitto mondiale Canessa poté completare gli studi, e proseguì nel cursus professionale. Divenne alla fine dirigente generale presso il ministero dell’Interno. Nel 2008 fu riconosciuto “Giusto tra le nazioni” da Yad Vashem. Nel 2013 ricevette la medaglia d’argento al merito civile dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.[51] Morì a Livorno, all’età di 97 anni.[52] Mario Canessa ha raccontato in prima persona la sua storia in due interviste condotte nell’ambito del progetto di ricerca del Centro di documentazione ebraica contemporanea (Milano) sugli ebrei salvati in Italia dalle persecuzioni nazifasciste. Nel 2008 parlò a Jessica Finzi, e nel 2010 a Liliana Picciotto.[53]

Commissario di P.S. Mario Brancaccio

Il commissario di P.S. Mario Brancaccio diresse l’ufficio di frontiera di Ponte Chiasso (Como) dal giugno 1940 al dicembre 1943, e dal luglio 1944 in poi.[54] Questo funzionario operò più volte a favore degli ebrei perseguitati. Ciò è attestato anche da una informativa della Prefettura di Como del 27 luglio 1946. Nel testo si afferma che numerosi ebrei segnalarono per iscritto l’operato di questo funzionario, grazie al quale erano stati salvati dalla deportazione.[55] Unitamente a ciò, in un memoriale, datato Campione d’Italia, 1° novembre 1945[56], lo stesso commissario Brancaccio ricorda alcuni ebrei salvati. Tra questi: Ciro De Benedetti e la nonna Corinna Finzi, la sig.ra Aboaf Perla in Rosemberg con i figli Vittorio e Maurizio, la sig.ra Ada Finzi vedova Guastalla, la sig.ra Sraffa, avv. Dello Strologo, avv. Giulio Bergmann.

Vice questore di P.S. Nicola Mancini

Il dott. Nicola Mancini, vice questore di P.S. di Milano, si distinse per aver fornito importanti notizie a membri della Resistenza, oltre ad aver erogato aiuti di vario tipo. Nelle sue operazioni segrete, consegnò documenti falsi, sottrasse pratiche, fornì copertura, assistenza e protezioni a detenuti politici e a perseguitati per motivi razziali. Si adoperò a favore di numerosi ebrei. Nel luglio del 1945, almeno dodici ebrei rientrati dall’esilio firmarono una dichiarazione ove dichiararono di aver ricevuto aiuti fin dal 1938 dal dott. Mancini con consigli e assistenza, e di essere stati da lui in più di un’occasione protetti da gravi pericoli. Nel documento si riconoscono le firme di Silvia Tullio, Pontremoli, Silvia Pompas, Elio Levi, Mario Deangelis, Fiorentini. In tale contesto, altro merito del dott. Mancini fu quello di aver distrutto (con l’agente di P.S. Di Gerolamo) il fascicolo contenente i nominativi degli ebrei milanesi (10 settembre 1943), sabotando anche il successivo ordine tedesco di ricostituirlo per mezzo dei Commissariati rionali, tanto che le SS furono costrette a farne richiesta agli uffici del Comune milanese. Inoltre, il dott. Mancini, disobbedì all’ordine di consegnare l’archivio politico della Questura (fatto seppellire sotto cumuli di macerie). Alla fine il funzionario venne denunciato al comando tedesco. [57]

Commissario di P.S. Giuseppe Lancellotti

Nella Questura di Milano, il commissario della P.S. Giuseppe Lancellotti, nel periodo delle persecuzioni nazi fasciste, era addetto all’ufficio stranieri. La sua figura è ricordata con gratitudine perché attivò diverse iniziative umanitarie. Distrusse pratiche pericolose. Aiutò molti resistenti, stranieri, disertori e militari alleati in clandestinità. Soccorse, inoltre, gli ebrei milanesi Leone Treves, Ritza Salomone e Ugo Paleologo, che fece fuggire in modo clandestino in Svizzera. Servendosi dell’aiuto dello svizzero Ugo Rezzonico, egli fece espatriare anche il maestro del coro del teatro “Alla Scala” (carica ottenuta nel 1921 e di cui era stato privato nel 1938) Vittore Veneziani e il fratello Riccardo.
Quanto realizzato dal dott. Lancellotti venne confermato nella dichiarazione del 25 maggio 1945 del capitano Caroglio, addetto al sistema informativo alleato, il quale, tra l’altro, assicurava che “durante le mie visite in campi di concentramento per civili in Svizzera sempre ho sentito citare il nominativo del dott. Lancellotti quale quello di un funzionario che “tanto bene aveva operato” nell’ambito dell’ufficio che ricopriva e continuò con grave pericolo a ricoprire anche durante l’occupazione tedesca nel solo scopo di cooperare attivamente per strappare alla vendetta tedesca e repubblicana fascista tante vittime innocenti, (…) militari, cittadini stranieri e di religione ebraica”.[58]

Brigadiere di P.S. Felice Sena e colleghi

Guido Masiero e Felice Sena

Guido Masiero e Felice Sena

Nel 2021, Olinto Domenichini[59] ha pubblicato un libro dal titolo: Le ricerche hanno dato esito negativo. I “giusti” della Questura e le persecuzioni razziali a Verona, 1943-1945. Nel suo lavoro ha fornito dati significativi su alcuni funzionari e sottufficiali che a Verona non solo aiutarono il movimento partigiano veronese, ma che furono anche attivi nel salvare i concittadini ebrei (circa trecento, di cui trentaquattro finirono uccisi nei lager).
Il momento storico era critico. La città era sede di ministeri repubblichini, della Guardia nazionale repubblicana e del BdS Italien, il servizio di sicurezza in Italia dei tedeschi. Tale organismo era diretto da Wilhem Harster.[60] Da quest’ultimo, dipendeva la sezione B4 guidata dal maggiore delle SS Friedrich Boßhammer.[61] Si trattava di un esperto di affari ebraici, responsabile dei prigionieri politici e degli ebrei provenienti dall’Italia.
Anche L’Arena, il quotidiano della città, contribuiva a creare un clima di strenuo antisemitismo, nel quale, a dicembre del 1943, si diffondeva un appello radio della RSI che intimava di non avere “sentimenti per loro [gli ebrei, ndr], che sono nemici e come tali vanno trattati”. Unitamente a ciò, l’ordinanza del 30 novembre 1943 di Buffarini Guidi[62], ministro dell’Interno della RSI, aveva disposto l’internamento degli ebrei in ‘appositi campi di concentramento’. Si costituivano in tal modo le premesse per le deportazioni nei lager di sterminio.
Nel contesto delineato, emergono le figure centrali del commissario capo di P.S. Guido Masiero[63], del vice commissario di P.S. Giuseppe Costantino[64], del commissario aggiunto di P.S. Antonino Gagliani[65], e del vice brigadiere di P.S. Felice Sena.[66]
Oltre queste persone si possono ricordare anche il vice questore Filippo Cosenza[67], i commissari di P.S. Stigliani e Garofano e l’agente di P.S. Antonino d’Alpa. In più occasioni, questi manifestarono compassione nei confronti dei perseguitati, o comunque non ostacolarono l’azione protettiva svolta dai funzionari più direttamente coinvolti.
L’impressione è che all’interno del comando di Polizia di Verona si fosse diffusa una silenziosa opposizione ai provvedimenti razzisti adottati dal governo collaborazionista contro gli ebrei italiani.
In tale contesto, nella ricerca degli ebrei veronesi, Sena si rivelò il più attivo, e allo stesso tempo il più felicemente inefficace. Infatti, come documenta Domenichini, ogni sua ricerca (dal dicembre 1943) finiva in un nulla di fatto.
Tutti i perseguitati ricercati dal vicebrigadiere (da concentrare nell’edificio degli ebrei, a via Pallone) non si trovavano. Ciascuna indagine si risolveva sempre con un “esito negativo”. Furono 150 i rapporti ufficiali che si conclusero in questo modo.
Non è possibile stabilire in modo esatto il numero degli ebrei che furono salvati per merito dei funzionari della Questura. Non è noto, infatti, quanti di loro lasciarono la città o il territorio provinciale per cercare la salvezza in altri luoghi. Ci furono sicuramente ebrei che lasciarono Verona prima dell’inizio della campagna di ricerca attuata dal vice brigadiere Sena. In ogni caso, il contenuto della vasta documentazione esistente consente di affermare che, anche se fossero rimasti a Verona, Sena avrebbe compilato rapporti di ricerca negativi. Ma bastano i numeri a raccontare la storia: gli ebrei della comunità di Verona erano circa trecento, i deportati e periti nei campi di sterminio furono 34; nessuno di questi era stato arrestato dalla Questura. Si può dunque presumere che una buona parte dei 260-270 salvati fu sottratta alla deportazione anche, se non soprattutto, per merito dei comportamenti adottati, o delle iniziative omesse dai poliziotti della Questura veronese, che sabotarono le disposizioni persecutorie emanate dal governo della RSI.[68]  

Commissario aggiunto di P.S. dott. Carmelo Mario Scarpa

Scarpa e Palatucci

Scarpa e Palatucci

Il commissario aggiunto Carmelo Mario Scarpa[69] operò a Fiume dal febbraio del 1940. In seguito vi tornò nel novembre 1942. Ebbe così modo di conoscere il dott. Giovanni Palatucci. Tra i due intercorse una significativa amicizia.
Nell’agosto del 1943 questo funzionario venne poi assegnato alla Questura di Bergamo fino alla Liberazione. Il dott. Scarpa, in particolare, attivò contatti con reti avverse al regime, e favorì espatri clandestini di ebrei, rifugiati, prigionieri alleati in fuga, politici. Nel novembre del 1944 il dott. Scarpa intervenne anche a protezione degli ebrei fiumani Americo Ermolli e Ernesto Laufer inviati da Palatucci. Facilitò poi, il loro trasferimento in Svizzera attraverso la collaborazione del padre francescano Enrico Zucca.
In tempi successivi, il commissario lasciò la Polizia e iniziò a lavorare come avvocato. In occasione del X° Anniversario della Liberazione, il dott. Marcello Cantoni e l’avv. Giuseppe Ottolenghi a nome, rispettivamente, della Comunità ebraica milanese e dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, gli conferirono un Diploma di riconoscimento per quanto aveva fatto in loro favore. Si riporta qui di seguito il testo.
“[Ernesto, Susanna e Vittoria Treves, Renzo Guastalla, Emilio ed Ernesto Bachi] cittadini Italiani, perseguitati politici e profughi in Isvizzera fino alla liberazione di Milano, perché Israeliti, dichiarano quanto segue: Il Dott. Carmelo Mario Scarpa, funzionario di P.S. è stato addetto alla discriminazione degli Israeliti […] ed in tale occasione, come in ogni altra, ha svolto opera disinteressata di aiuto, assistenza e consiglio a tutti coloro contro i quali era diretta la persecuzione nazi-fascista.
Dopo l‘8 settembre i sottoscritti, allo scopo di avere un sostenitore nella lotta antifascista ed anti nazista, dissuadevano il Dott. Scarpa dall’allontanarsi dal servizio, come era suo proposito, perché la sua opera potesse continuare ad espletarsi in favore della causa della libertà”.[70] 

Vice commissario Emilio Cellurale

Il dott. Emilio Cellurale[71], dopo precedenti assegnazioni, venne trasferito a Parma nel 1929. Operò fino al 1951. Dal 1941 in poi fu vice commissario e responsabile dell’ufficio “stranieri e razza”. Nel dopoguerra affrontò la commissione per l’epurazione del personale della P.S.. Fu in tale occasione che egli presentò dichiarazioni dei superiori e un numero significativo di attestati di riconoscenza. In quest’ultimi documenti emergono vicende di cittadini – ebrei e partigiani – salvati dalla deportazione per merito del dott. Cellurale. Viene in tal modo focalizzata una vasta opera umanitaria: liberazione di ebrei misti ristretti (in modo illegale) in un campo di concentramento, liberazione di un detenuto, protezione di ebrei fatti segno di minacce e angherie, rilascio di numerose carte d’identità in bianco (poi compilate e distribuite a molti ebrei jugoslavi). Quanti furono salvati non lo dimenticarono e gli scrissero: tra gli altri avv. Arturo Scotti, Achille Prota Giurleo, avv. Ottolenghi, Armando Quintavalle. Nel giugno del 1946, il dott. Cellurale venne prosciolto da ogni addebito dalla commissione. Rimase a Parma altri cinque anni. Fu poi trasferito alla Questura di Varese (1951), e poco dopo a quella di Modena. Continuò a risiedere con la propria famiglia a Parma. 

Capo di Gabinetto Questura dott. Francesco Vecchione  

Vecchione

Vecchione

Il dott. Francesco Vecchione[72], dopo aver prestato servizio tra il 1930 e il 1936 ad Agrigento e a Roma, venne trasferito a Modena nel 1936. Qui, questo commissario svolse anche l’incarico di Capo di Gabinetto. In questo periodo rivolse una significava attenzione alla condizione degli ebrei perseguitati dal regime del tempo. Ciò è stato attestato anche da Beniamino Stern nel 2002 e nel 2009, e da Massimiliano Eckert. Dopo l’8 settembre 1943, a seguito dell’occupazione nazista dell’Italia e della nascita della R.S.I., venne allontanato perché sospettato di antifascismo, accusato di avere dimostrato sentimenti ostili alla Repubblica Sociale Italiana. Corse il rischio di essere deportato e denunciato al Tribunale Straordinario.
Malgrado ciò il dott. Vecchione, durante l’occupazione tedesca, agevolò la fuga di numerosi esponenti della Comunità ebraica, residenti a Modena, evitando così il loro arresto, e la deportazione nei campi di sterminio.[73] Tra i perseguitati aiutati si ricordano le testimonianze di Luisa Modena, di Gabriella Guandalini e di Lina Pavoncello. La Comunità ebraica di Modena e Reggio Emilia ha avviato la pratica per il suo riconoscimento quale “Giusto tra le Nazioni”. Nel 2022, con l’apporto dell’Istituto Storico di Modena, e sulla base di una prima ricerca condotta dalla dott.ssa Angela Benassi, sono stati pubblicati i documenti e le testimonianze su questo “eroe normale”.[74] 

Capo di Gabinetto Questura dott. Giovanni Tedesco

Il dott. Giovanni Tedesco[75] venne assegnato alla Questura di Modena nel luglio 1939. Ricoprì il ruolo di capo dell’ufficio politico della Questura dal 1° agosto 1939 al marzo del 1944. Venne pure nominato Capo di Gabinetto il 15 febbraio 1944, subentrando al dott. Vecchione (cit.). Tra le diverse opere umanitarie, si ricorda la protezione delle famiglie ebree Talvi e Almoslino, e le azioni a favore di ebrei internati. Per quest’ultimi, firmò (o controfirmò) un elevato numero di atti. Si ricordano, ad esempio, le autorizzazioni a spostarsi dalle località d’internamento per visite mediche specialistiche ad altre località. 

Commissario capo di P.S. dott. Nicola Amodio e colleghi

Amodio e Vigilante

Amodio e Vigilante

Nel 1944, a La Spezia, vennero arrestati dai tedeschi e deportati: il commissario capo di P.S. Lodovico Vigilante[76], il commissario di P.S. Nicola Amodio[77], la guardia di P.S. Annibale Tonelli[78], la guardia ausiliaria di P.S. Domenico Tosetti[79], il brigadiere di P.S. Alfonso Filardi, il vice brigadiere di P.S. Biagio Sullo, la guardia di P.S. Giuseppe Cavallo, le guardie ausiliarie di P.S. Domenico Mazzola e Francesco Caruso.
Queste nove persone furono deportate, alcuni in Austria (campo di Mauthausen), altri presso il campo di lavoro di Bassano del Grappa. Di altri ancora se ne sono perse le tracce. Solo Domenico Tosetti riuscì a sopravvivere e a tornare presso i propri cari. La loro colpa fu quella di aver aiutato numerosi ebrei e antifascisti a sfuggire dalle mani dei nazifascisti. Lo fecero ritardando arresti, avvertendo in anticipo le persone da arrestare, procurando documenti per l’espatrio.[80]
In particolare, Lodovico Vigilante venne arrestato a La Spezia, nella sua abitazione, il 21 novembre 1944. Detenuto a Genova. Fu interrogato e percosso alla caserma XXI reggimento fanteria. In difficoltà per le precarie condizioni fisiche, venne brutalmente spintonato nella motozattera diretta al carcere di Marassi e si fratturò le gambe. Trasferito in seguito (1° febbraio 1945) nel campo di concentramento e transito di Bolzano.[81] Su disposizione della Sipo[82] di Verona fu deportato nel lager di Mauthausen il 1° febbraio 1945 (trasporto n. 119). All’arrivo, il 4 febbraio 1945, gli fu assegnato il numero di matricola 126535. Venne classificato come deportato per motivi precauzionali.[83]
Il dott. Nicola Amodio, dopo l’esperienza della prima guerra mondiale, si stabilì a La Spezia. Qui operò nella locale Delegazione (diventata Questura due anni dopo). Con il suo superiore, e con la collaborazione del parroco don Giuseppe Bertoni, il funzionario si adoperò in prima persona per organizzare l’accompagnamento di ebrei e di antifascisti verso la Svizzera, al fine di salvare la loro vita. Venne scoperto dalle autorità tedesche. Fu arrestato il 29 novembre 1944 nel suo ufficio in Questura. Interrogato e torturato nella caserma XXI reggimento fanteria. Trasferito nel carcere di Marassi, e poi a Bolzano. Deportato il 1° febbraio 1945 a Mauthausen. Morì il 4 marzo dello stesso anno.
Annibale Tonelli, venne assegnato alla Questura di La Spezia il 6 ottobre del 1943. Assegnato all’Ufficio di P.S. di Migliarina. Stretto collaboratore dei commissari di P.S. Vigilante e Amodio. Catturato dalle brigate nere la mattina del 26 novembre 1944. Era uscito di casa (via Sarzana n. 302), e stava recandosi in ufficio. Fortemente sospettato di collaborare con il locale Comitato Liberazione Nazionale per avviare alla clandestinità ebrei e antifascisti. Condotto alla caserma XXI reggimento fanteria. Torturato per estorcere i nomi di colleghi antifascisti. Trasferito nel carcere di Marassi, quindi a Bolzano. Il 1° febbraio 1945 fu deportato a Mauthausen-Gusen (matricola 126460), ove morì il 31 marzo dello stesso anno.
Domenico Tosetti fu arrestato il 15 ottobre 1944. Condotto nella caserma ‘Sergio Bronzi’ in via XX Settembre (La Spezia). Trasferito nel carcere di Marassi, e poi a Bolzano (matricola 126448). Il 1° febbraio 1945 venne deportato a Mauthausen – Gusen fino alla liberazione. Una particolare forza fisica gli permise di sopravvivere. Congedato nel 1947 per inabilità fisica. Morì pochi anni dopo di tisi.[84]

Commissario di P.S. Mariano De Vita

Attraverso il lavoro svolto da Ermanno Smulevich, è stato possibile ricostruire la storia della sua famiglia. In particolare, è stata focalizzata la figura del nonno Sigmund (Sigismondo)[85], e quella del padre Alessandro.[86] Quest’ultimo, annotò in un diario diverse vicende significative. Emerge, tra le altre, la vicenda che riguardò l’interazione tra Sigismondo e i commissari di P.S. Giovanni Palatucci, e Mariano De Vita.[87]
Palatucci, a Fiume, su richiesta di Debora Werczler (Dora), moglie di Sigismondo, riuscì a far trasferire suo marito dal campo di internamento di Campagna a Firenze (23 genn. ‘41), come “internato libero”. Per ottenere questo risultato Palatucci coinvolse il medico provinciale e lo zio vescovo, amico del dott. Epifanio Pennetta, responsabile dell’Ufficio Internati presso la divisione affari generali e riservati del Ministero dell’Interno.
Il 9 marzo 1941 Sigismondo venne raggiunto dalla moglie e dai figli Alessandro ed Ester. Nel giugno del 1941, Sigismondo fu trasferito come “internato libero” a Prato. In questa città conobbe il commissario di P.S. Mariano De Vita, presso il quale doveva firmare la presenza tutti i giorni.
Tra i due si stabilì un rapporto di confidenza e di rispetto. Ciò è anche attestato dal fatto che il funzionario chiudeva un occhio sugli spostamenti clandestini che Sigismondo ogni tanto effettuava tra Prato e Firenze (ove aveva mantenuto una sartoria quando era “internato libero” in quel luogo).
Nel settembre del 1943, Sigismondo, prima di fuggire da Prato, informò De Vita sulle sue intenzioni, e sul luogo di destinazione della famiglia (Firenzuola). La comunicazione di “allontanamento abusivo per ignota direzione” di Sigismondo venne da De Vita procrastinata. Fu comunicata ufficialmente il 27 gennaio 1944.
In tale contesto, quando il 30 novembre del 1943 il regime repubblichino ordinò l’arresto degli ebrei, De Vita mandò subito un suo fratello poliziotto in incognito a Firenzuola (FI) ad avvertire i parenti di Smulevich di nascondersi meglio.
Tale azione fu particolarmente a rischio perché questa località era presidiata da nazisti e fascisti anche per via della sua posizione strategica nel cuore dell’Appennino. Si trovava infatti vicino alla “Linea Gotica”. Qui, la Wehrmacht fronteggiava gli Alleati che risalivano la Penisola.[88]
Dopo la guerra si riallacciarono e si rafforzarono i rapporti di frequentazione e di amicizia tra De Vita e gli Smulevich fino agli anni Sessanta quando De Vita fu trasferito ad Ascoli Piceno. 

Poliziotto di P.S. Vincenzo Attanasio

Nel periodo più critico della Shoah, Camilla Benaim[89], ebrea, era nascosta con i suoi cari a Firenze. In quei giorni annotò in un diario gli eventi che succedevano.[90] Nello scritto, si fa anche riferimento a un poliziotto della Questura, Vincenzo Attanasio.[91] Quest’ultimo, si recava più volte al mese presso l’abitazione di Camilla e del marito Giulio Supino. Recava loro notizie sugli arresti[92], o (in prossimità della Liberazione) la lista dei dirigenti più fascisti della Questura (da inoltrare al CLN toscano, con il quale i coniugi erano in contatto). Anche Giulio, annotava in un diario gli eventi del tempo. E pure in questo documento si trovano riferimenti alla protezione ricevuta dal poliziotto Attanasio.[93] Questi, faceva parte della rete promossa dal cardinale Elia Dalla Costa[94] e dal rabbino Nathan Cassuto.[95]
Accoglieva gli ebrei in casa sua, portava all’esterno i biglietti dei carcerati, li andava a trovare, recava loro del cibo. Forniva notizie agli ebrei e riusciva a far fuggire quelli che vedeva iscritti nelle liste delle deportazioni.[96] Proteggeva inoltre la sinagoga di Firenze. A fine guerra molti ebrei ricordarono l’opera umanitaria di Attanasio. Tra questi: Raffaele Cantoni, Matilde Cassin, Ugo Jona, Moses Benaim ed Elisa Rosselli (genitori di Camilla Benaim), le famiglie Ciampini e Artom.
Accoglieva gli ebrei in casa sua, portava all’esterno i biglietti dei carcerati, li andava a trovare, recava loro del cibo. Forniva notizie agli ebrei e riusciva a far fuggire quelli che vedeva iscritti nelle liste delle deportazioni.[97] Proteggeva inoltre la sinagoga di Firenze. A fine guerra molti ebrei ricordarono l’opera umanitaria di Attanasio. Tra questi: Raffaele Cantoni, Matilde Cassin, Ugo Jona, Moses Benaim ed Elisa Rosselli (genitori di Camilla Benaim), le famiglie Ciampini e Artom. 

Commissario di P.S. Alfio Finocchiaro

Dal settembre 1930 operò a Firenze anche il commissario di P.S. Alfio Finocchiaro.[98] Proveniva dalla Questura di Frosinone. Diverse sono le testimonianze di ebrei a suo favore. Questo funzionario è ricordato nel Diario di Giulio Supino. Lo hanno indicato, ad esempio, con riconoscenza anche Bemporad (Enrico?), Hermet (Augusto?), l’avv. Castelnuovo Tedesco, Giorgio e Francesco Siebzehner, il commerciante di tessuti Coen, l’antiquario Melli e altri ebrei. Il dott. Finocchiaro, nei suoi interventi, ebbe il sostegno di Soldani Benzi e la complicità del brigadiere Cammarota. Sostenne inoltre le azioni della Resistenza. Dopo la guerra arrivò al grado di vice questore. 

Vice questore Virgilio Soldani Benzi

Alla fine del secondo conflitto mondiale, diversi ebrei testimoniarono l’opera svolta a loro favore, a Firenze, dal vice questore Virgilio Soldani Benzi.[99] Dal 1915, quest’ultimo prestava servizio nella Questura fiorentina. Dal 1938 al 1941 fu addetto all’ufficio politico. Venne poi nominato Capo Gabinetto e, in seguito, vice questore reggente. Ricoprì infine il ruolo di questore di Firenze. Le sue azioni umanitarie sono state ricordate dagli ebrei Nino Donati, Emanuele Fiandra, Raffaele Cantoni e Vittorio Frilli. Il 12 giugno del 1945, il segretario della comunità israelitica di Firenze, Frilli, rilasciò la seguente dichiarazione: “Si dichiara che il Sig. Virgilio Soldani Benzi, attuale Reggente la Questura di Firenze, quando è stato all’ufficio politico e dopo, ha sempre, sottoponendosi a personale rischio, e disobbedendo a quelli che erano allora gli ordini superiori, protetto, aiutato, e salvato con ogni mezzo dalle persecuzioni fasciste e dai provvedimenti che avrebbero dovuto applicare, dimostrando anche particolare riguardo verso gli stranieri, i già così detti appartenenti alla razza ebraica, dei quali si è dovuto occupare per ragioni del suo ufficio, ed ha anche, indipendentemente da pratiche dirette di ufficio, avvertito gli ebrei dei pericoli che man mano incombevano su di loro e dato loro consigli per evitarli”.
In allegato alla cit. dichiarazione si trova un elenco di dodici nomi, controfirmato dal presidente della DELASEM delegazione di Firenze, che sottoscrivono quanto asserito da Frilli. Tra essi, oltre a quello dello stesso Frilli, si leggono i nomi del dott. Massimiliano Hackmayer, del dott. Gehwad Imore, di Renato Cassuto, di Giuseppina Cantoni, di Bruno Borlevi, di Americo Klein, di Vittorio Melli e di Enrico Sadun.[100] 

Questore Baldassarre Scaminaci, guardia di P.S. Giuseppe Baratta

Baratta

Baratta

Nella primavera del 1944 il prefetto fascista di Perugia, Armando Rocchi[101], per salvare dalla deportazione, voluta dai tedeschi, circa trenta ebrei, italiani e stranieri, li internò, in accordo con il questore Baldassarre Scaminaci[102] in più luoghi. Il gruppo venne accompagnato prima a Villa Ajò, poi all’Istituto magistrale. In ultimo fu condotto al castello Guglielmi dell’Isola Maggiore sul lago Trasimeno. Gli ebrei vennero affidati al controllo del seniore della Milizia Luigi Lana e a giovani ausiliari. In questo modo Armando Rocchi creò i presupposti per la loro liberazione. Nella notte del 12 giugno tre o quattro ebrei fuggirono con alcune guardie scopertesi partigiani. Altri ventidue raggiunsero Sant’Arcangelo di Romagna, dove erano appena arrivati gli inglesi, nelle notti del 19 e del 20 giugno 1944. Quest’ultima operazione fu attuata grazie a don Ottavio Posta[103] (il parroco dell’isola) che agì con la guardia di P.S. Giuseppe Baratta[104], e con l’assenso del capo delle guardie. Quindici pescatori traghettarono gli ebrei verso la salvezza.[105] 

Commissario di P.S. Mario De Nardis

De Nardis

De Nardis

Mario De Nardis[106], negli anni del secondo conflitto mondiale, era funzionario capo della Questura dell’Aquila. Fu incaricato della registrazione e del monitoraggio delle generalità e delle residenze degli ebrei italiani e internati stranieri. Rischiò più volte di essere arrestato per proteggere ebrei. Si riporta al riguardo una vicenda.
Miriam Stolek, nata Metzger a Lipsia nel 1921, e sua sorella Henny, nata nel 1908, arrivarono nel campo di Ferramonti nel 1942. Da questo luogo furono inviate al confino libero all’Aquila, nel maggio 1943. Miriam doveva presentarsi alla questura. In questo luogo conobbe De Nardis.
Egli organizzò un rifugio per sua sorella, che era disabile, presso una famiglia in città, e condusse Miriam in un convento. Qui, la presentò alla madre superiora come ebrea. Questa, accettò di accoglierla. La vestirono con l’abbigliamento da suora. De Nardis le procurò dei documenti falsi a nome di Maria Della Sano. Miriam era una donna religiosa, e per tutto il periodo della guerra cercò di osservare la kasherut (cucina Kosher). Fingeva di pregare, ma di nascosto recitava “Avinu Malkenu- Nostro Padre e Nostro Re”. De Nardis le procurò anche un lavoro come venditrice di biglietti al cinema.
I tedeschi, che erano già nella zona, erano soliti fare delle perlustrazioni. Un giorno, a metà del 1944, Miriam venne fermata dagli occupanti. Fu condotta alla fermata dell’autobus. Qui, sostava un “autobus per Auschwitz”. Avvertito, il De Nardis arrivò sul posto e riuscì ad ottenerne la liberazione. Egli non la lasciava girare da sola di notte, e la accompagnava dal lavoro al cinema al monastero.
Nello stesso periodo furono mandate a Navelli (prov. L’Aquila), tre famiglie ebree con lo status di internati civili: le tre famiglie Billig, Fleischmann, Degan.
Nel corso del 1943 arrivarono a Navelli poliziotti dall’Aquila e li misero in guardia dal pericolo di deportazione in Polonia.
Nel gennaio 1944, De Nardis, informò le famiglie ebree sull’urgenza di fuggire. Sapeva che i tedeschi avevano già pianificato una serie di interventi. Non tutti ascoltarono il suo avvertimento.
Così lui si presentò una seconda volta per dire che due camion stavano venendo a prenderli. De Nardis li aiutò a raggiungere il piccolo villaggio di Carapelle Calvisio (prov. L’Aquila). In questo abitato, gli abitanti sapevano dell’arrivo delle famiglie che, tra di loro, parlavano in tedesco, per cui era chiaro che fossero ebrei.
Il podestà Pancrazio De Lauretis di sua iniziativa offrì e procurò a tutti documenti italiani contraffatti. Dopo la guerra venne proclamato “Giusto tra le Nazioni”.
Al termine del secondo conflitto mondiale ci si rese conto che l’insieme degli interventi di Mario De Nardis aveva consentito di salvare la vita a oltre 450 ebrei. È stato riconosciuto “Giusto tra le Nazioni” da Yad Vashem.[107] 

Commissario di P.S. dott. Angelo De Fiore

De Fiore

De Fiore

Il dott. Angelo De Fiore[108], nel marzo del 1928 vinse il concorso di funzionario di P.S.. Fu assegnato come commissario aggiunto all’ufficio stranieri della Questura di Roma. Qui, gli vennero affidati dei compiti di rilievo. Da una lettera d’encomio inviata dal capo della Polizia di allora, Arturo Bocchini[109], al prefetto di Roma (20 settembre 1938), inoltre, si deduce che fu il responsabile del servizio d’ordine durante la visita di Hitler in Italia. E ancora nel 1941 scortò il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano in varie missioni all’estero. Questi fatti potrebbero far pensare a una sua convinta adesione al fascismo. Ma gli eventi successivi rivelano che, proprio attraverso la buona reputazione che godeva, riuscì a nascondere la propria avversione al regime, e ad agire con fermezza contro la repressione fascista.
Questa opposizione emerse alla fine in modo pubblico a motivo di un fatto. Subito dopo la liberazione di Roma, il dott. De Fiore dovette difendersi dalle accuse di Pietro Koch.[110] Quest’ultimo comandava un reparto speciale di Polizia della Repubblica Sociale Italiana (fucilato nel 1945). Koch accusò de Fiore di collaborazionismo con la polizia nazista a partire dall’8 settembre 1943. Poi, con una accusa opposta, lo additò per la negligenza dimostrata nella effettuazione di un servizio repressivo da parte della Polizia della Questura di Roma il 21 dicembre 1943.
In effetti, alla guida di 21 agenti, De Fiore fu incaricato dalla Questura di collaborare con Koch e la sua banda nella perquisizione da eseguire negli Istituti Russicum, Orientale e Lombardo, e di cooperare all’arresto di resistenti, ufficiali e renitenti di leva.
Al riguardo, occorre evidenziare il fatto che quella di De Fiore, di fatto, fu una “non collaborazione”. Diversi episodi confermano infatti tale evidenza. Per esempio, In occasione dell’arresto di 17 israeliti con falsi passaporti ungheresi, non solo ritardò il loro trasferimento al nord ma li liberò. E così fece in altre occasioni (liberò, ancora, un francese arrestato nell’aprile 1944), con un atteggiamento benevolo che gli valse diverse attestazioni di riconoscenza.
Malgrado ciò, le vicende del processo contro la banda Koch[111], furono particolarmente gravose. De Fiore produsse documenti che attestavano la sua affidabilità e correttezza. Tali atti facevano emergere un’attività nascosta per sviare la ricerca degli ebrei. A molti di loro, il commissario cit. trovò rifugio in conventi o in case di amici, o fece passare il confine. Senza sosta, con fidati collaboratori e con partigiani, dovette in modo quotidiano ideare stratagemmi e scappatoie per attuare azioni di depistaggio (manomissione di documenti e di prove) in modo da non farsi scoprire dagli occupanti del tempo.
Il 3 luglio 1944, rilasciò davanti alla Corte di Assise straordinaria una dichiarazione spontanea. Spiegò come era arrivato a prendere le distanze dal fascismo. Indicò le modalità di ostruzionismo con le quali aveva operato per salvare persone che avrebbero dovuto essere schedate come ebree (omissioni, ritardi).
In tale contesto, il dott. De Fiore camuffò il nome di molti ebrei stranieri, regolarizzò decine di ebrei italiani come profughi dell’Africa settentrionale, concesse permessi di soggiorno, fece preparare preparò false carte annonarie, con l’aiuto di Luigi Charrier dell’Ufficio anagrafe del Comune di Roma, e dell’avvocato Mario Cherubini (direttore dell’ufficio tesseramento del Governatorato di Roma).
Per riuscire a nascondere persone perseguitate dalle leggi razziali, collaborò con la DELASEM[112], l’organizzazione ebraica di assistenza, e con la rete umanitaria di mons. Hugh O’ Flaherty.[113] Entrò inoltre in contatto con la resistenza romana affiliandosi alla formazione del Fronte militare clandestino comandato dal dott. Giuseppe Sprovieri.[114] Proprio a quest’ultimo il funzionario cit. inviò nel luglio del 1944 un Memoriale autografo dal quale si ricava che il suo distacco dal regime risaliva all’anno delle leggi razziali (1938).
In particolare, il dott. De Fiore spiegò che, pur aderendo al fascismo, non ebbe benemerenze per azioni politiche, o per aver fatto parte di organizzazioni politiche fasciste. Il suo avanzamento di carriera non era contrassegnato da promozioni lampo.
Nel febbraio del 1946 la Corte di Milano lo prosciolse da ogni accusa in quanto estraneo ai fatti e concluse l’istruttoria con l’archiviazione. Un mese dopo, la Commissione di 1° grado per l’epurazione del personale della Pubblica Amministrazione (che aveva avviato un proprio procedimento contro il commissario), riconobbe il valore del suo operato e delle sue scelte morali, confermando il verdetto milanese. A suo favore rimane anche un fatto. Dopo l’attentato di via Rasella, il questore Pietro Caruso[115] gli sollecitò un elenco di nomi di ebrei da inserire tra coloro che dovevano essere uccisi alle Cave Ardeatine. De Fiore rispose di non avere alcun nome di ebreo da offrire perché nel suo ufficio, per sua colpa, regnava il disordine.
Nel giugno del 1946 fu promosso commissario capo e, in seguito, vice questore. Responsabile dell’ufficio stranieri della Questura romana fin dal 1944, fu promosso questore nel 1953. Venne poi assegnato alla Questura di Forlì (1953), e a quella di Pisa (1955).
Nel 1956, rientrò a Roma con la nomina di ispettore generale con incarichi speciali. Fu poi trasferito a dirigere la Questura di La Spezia (1957). Il pensionamento arrivò il 1° agosto del 1960, qualche mese dopo aver fatto ritorno a Roma, al Ministero dell’Interno.
Superata la fase critica del procedimento di epurazione, ricevette riconoscimenti nazionali e internazionali legati alla sua carriera. Si ricorda, ad esempio, la Legione d’Onore francese (1954). Ma i più significativi arrivarono dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, che gli assegnò una medaglia d’oro, e dalla Holocaust Martyrs and Heroes Remembrance Authority dello Yad Vashem. Questa, lo riconobbe “Giusto tra le nazioni”.
Nella motivazione che accompagnò la consegna della medaglia d’oro si trova scritto: “Commissario di Pubblica Sicurezza addetto all’Ufficio stranieri della Questura di Roma, durante tutto il periodo delle leggi denominate “razziali” e dell’occupazione tedesca della capitale, col suo fermo atteggiamento riuscì a salvare centinaia di ebrei, interpretando le inique disposizioni con nobile e umana sensibilità , e collaborando con le organizzazioni ebraiche, noncurante delle conseguenze che tale atteggiamento addensava sulla sua posizione e sulla sua stessa vita”.[116]

Maresciallo di P.S. Arnaldo De Santis

Questo poliziotto, del Commissariato Garbatella (Roma), è ricordato anche in un libro a cura di Haia Antonucci e Claudio Procaccia.[117] In particolare si cita il fatto che nel quartiere ove operava, il maresciallo di P.S. De Santis avvertiva gli ebrei della zona di imminenti rastrellamenti.

Vice questore di P.S. dott. Romeo Ferrara

Nel periodo dell’occupazione tedesca di Roma, il dott. Romeo Ferrara ricopriva il ruolo di vice questore. Era il responsabile dell’ufficio politico della Questura. La sua figura venne ricordata in un Memoriale scritto dal sacerdote pallottino don Giancarlo Centioni[118] nel settembre del 2008. Nel testo, questo religioso fece riferimento anche al funzionario di P.S. Ferrara. In particolare, gli attribuì un significativo operato per favorire l’espatrio degli ebrei. Nel documento si ricorda pure un intervento a favore di una famiglia ebrea, quella dei Bettoja. Proprio il p. Centioni, utilizzando informazioni fornite dal vice questore, poté raggiungere di notte l’abitazione del nucleo cit., nei pressi di piazza Ungheria. I Bettoja furono avvisati di un imminente pericolo di arresto. A queste persone, p. Centioni rilasciò un salvacondotto che permise un allontanamento da Roma. In tempi successivi, una figlia dei Bettoja, Franca, divenne la moglie dell’attore Ugo Tognazzi.[119]
In definitiva, l’interazione del padre Centioni con alcuni funzionari della Questura consentì di proteggere, tra vari ebrei, anche: Andrea Maroni e Zoe Imavein, il prof. Melchiorre Gioia, il prof. Aroldo Di Tivoli, la famiglia del violinista Tagliacozzo con la moglie Cohen, il sig. Ghiron e il dott. Vincenzo De Ficchy. Questi, riuscirono a sfuggire ai loro persecutori raggiungendo gli Stati Uniti. Altri, come il prof. Van der Reis, direttore dell’ospedale di Danzica, e il maestro di musica Erwin Frimm Kozac, furono nascosti da don Centioni presso la Casa Generalizia dei Pallottini e nell’istituto di via Giuseppe Ferrari.[120] 

Commissario di P.S. dott. Puma

La prof.ssa Emma Castelnuovo (1913-2014), ebrea, illustre matematica, residente a Roma, ricordò in una intervista l’aiuto ricevuto dal commissario di P.S. dott. Puma, due giorni prima del 16 ottobre 1943 (razzia degli ebrei romani). Questo dirigente era il responsabile del Commissariato di piazza Bologna. Tramite il fratello, avvisò la famiglia ebrea dei Castelnuovo del pericolo imminente. Così, i Castelnuovo si salvarono dall’arresto, e ripararono in casa di amici per un mese.[121]  

Commissario aggiunto di P.S. Fabrizio Contini

Nel libro a cura di Haia Antonucci e Procaccia, sugli eventi avvenuti a Roma dopo il 16 ottobre 1943[122], si trova un riferimento anche al commissario aggiunto di P.S. Fabrizio Contini. Questi, operava presso il commissariato di via Magnanapoli. La sua figura è ricordata dagli autori cit. per un episodio significativo. Detto funzionario aiutò l’ebreo Marco Di Nepi. In particolare, evitò di fermarlo anche quando l’uomo, costretto da una denuncia, dovette recarsi in commissariato. Qui, Contini, invece di arrestarlo, come sarebbe stato suo dovere, lo invitò a lasciare immediatamente il commissariato e a nascondersi. Su questo commissario aggiunto si possono conoscere ulteriori azioni avverse ai tedeschi e ai repubblichini. Sono contenute nella sentenza della commissione di II° grado che, dopo la guerra, giudicava in materia di collaborazionismo con i passati regimi.
Si legge infatti: “(…) Ora, in base alle risultanze degli atti, e specie alle numerose dichiarazioni concordanti di persone della cui attendibilità non c’è motivo di dubitare, può ritenersi pienamente provato che l’attività svolta dal Contini in Roma come commissario di P.S., durante l’occupazione nazifascista, fu prevalentemente diretta a danneggiare l’azione delle autorità repubblicane.
Emerge, infatti, dagli atti suddetti che egli comunicava le notizie che veniva a conoscenza a membri del fronte clandestino e di brigate partigiani, concorreva a loro rifornimento di armi, rese vana una perquisizione per il rintraccio di queste preavvertendole gli interessati ed aiutandoli a trasportarle in un luogo più sicuro.
Egli stesso inoltre, preavvertiva coloro contro i quali si preparavano operazioni di polizia (ebrei, patrioti e renitenti a servizio militare nelle forze armate repubblicane) che così venivano rese vane in molti casi; eseguiva in modo del tutto apparente quelle alle quali era proposto fingendo di non vedere o di non riconoscere le persone ricercate; convalidava i falsi nomi assunti di alcune persone ricercate ed a lui note nei loro veri nomi e preveniva delle perquisizioni in vari luoghi specialmente religiosi, nei quali erano rifugiate parecchie alte personalità (…)”.[123] 

Commissario capo di P.S. Francesco Saverio Cacace

Cacace

Cacace

Tra i poliziotti che a Roma protessero i perseguitati, si colloca anche la figura del commissario capo di P.S. dott. Francesco Saverio Cacace.[124] Laureato in giurisprudenza. Ex combattente nella Prima guerra mondiale. Entrato in Polizia, operò presso la Questura di Roma. Nominato vice commissario di P.S. in prova (settembre 1919), venne assegnato al commissariato romano di Magnanapoli nell’ottobre dello stesso anno. Vi rimase circa sette anni. Trasferito in seguito a Volterra, non raggiunse la sede avendo ottenuto un periodo di aspettativa. Rientrato in servizio (novembre 1926) fu assegnato a più uffici sezionali romani. Commissario aggiunto nel 1928. Commissario nel 1935. Commissario capo nel 1941. Vice questore nel 1949.
Con riferimento al cursus cit. interessa, in particolare, il periodo del secondo conflitto mondiale. Per circa dieci anni il dott. Cacace diresse infatti il Commissariato di San Lorenzo (via Tiburtina 120). Con lui operarono il commissario aggiunto dott. Giuseppe Noviello, e il vice commissario dott. Luigi Donnetti.
In tale contesto, il dott. Cacace, grazie al ruolo che ricopriva, e in contatto con un comitato clandestino, intervenne più volte per proteggere coloro che erano perseguitati dai tedeschi e dai repubblichini. Attraverso contatti ufficiali e ufficiosi poté: rendere inefficaci delle indagini su singole persone (es. on. Lussu), su famiglie, su gruppi di resistenti; informare su imminenti rastrellamenti; coprire con il suo silenzio la presenza di ebrei nascosti in talune istituzioni (es. Padri Giuseppini del Murialdo); far iscrivere all’anagrafe persone sprovviste di carte annonarie; rilasciare permessi di soggiorno temporaneo; firmare certificati di denuncia di armi non consegnate; consegnare armi.
Dopo aver diretto il commissariato di San Lorenzo, il dott. Cacace fu responsabile di altri presidi romani della Polizia situati a Magnanapoli (1944), e a Trevi-Colonna (1945). Promosso vice questore il 1° gennaio 1949, fu assegnato alla Questura di Grosseto. Nel 1953, dopo il trasferimento del questore, Cacace divenne reggente. Dal luglio 1954 fu responsabile a Roma dei servizi di Polizia presso l’Azienda Rilievo Alienazione Residuati (ARAR). Il 1° febbraio del 1956 venne collocato a riposo, per avanzata età e per anzianità di servizio, con il titolo ufficiale onorifico di questore.[125] 

Maresciallo di P.S. Identità non nota

Tra gli ebrei presenti a Roma nel quartiere San Lorenzo, si ricordano anche i fratelli Lello (1919-2010) e Angelo Perugia. La famiglia abitava a via degli Equi 70. I Perugia il 16 ottobre 1943 scamparono al rastrellamento degli ebrei grazie alla telefonata di un maresciallo di P.S. che li avvertì del pericolo. Furono protetti da don Libero Raganella. A seguito di ulteriori vicende (1944), tre fratelli Perugia morirono in un lager tedesco. Lello e Angelo riuscirono a sopravvivere.[126]

Maresciallo di P.S. Gennaro Lucignano

Lucignano

Lucignano

Il 16 ottobre del 1943, a Roma, le forze tedesche operarono un rastrellamento di ebrei con il fine di deportarli in un lager di sterminio. I militari raggiunsero più aree dell’Urbe. Una particolare attenzione fu rivolta all’ex zona del Ghetto, prospiciente il Tevere. Con riferimento all’isola Tiberina non ci furono razzie perché non vi abitavano famiglie ebree. Comunque, i punti strategici attigui al Tempio Maggiore Ebraico vennero bloccati. Pattuglie tedesche stazionavano in via del Tempio, in via del Progresso, in via del Portico d’Ottavia, in piazza Costaguti, in via Sant’Angelo in Pescheria, in piazza Mattei, di fronte al Teatro Marcello… Mentre si attuava la cattura dei perseguitati, chi poteva scappava in preda alla disperazione. Diversi ebrei riuscirono a raggiungere l’isola attraverso il Ponte Fabricio. Qui, furono nascosti dal personale dell’ospedale dei Fatebenefratelli, e dai Frati Minori del convento di San Bartolomeo. Un piccolo gruppo si nascose in una torre. Altri perseguitati oltrepassarono il Ponte Cestio per trovare rifugio a Trastevere. La rete di solidarietà verso i perseguitati non poteva però passare inosservata agli occhi dei poliziotti che proprio sull’Isola Tiberina avevano (e hanno) una base operativa. Questo nucleo di persone, inserito nelle formazioni della Polizia Fluviale, aveva come responsabile il maresciallo di Pubblica Sicurezza Gennaro Lucignano.[127]
La sua storia personale si può riassumere in alcune fasi. Durante il servizio di leva fu impiegato dal 1923 al 1925 nella Regia Marina (Compartimento Marittimo di Napoli). Studiò per un anno presso la Scuola Marittima Professionale.Riuscì poi a iscriversi quale «Barcaiuolo» nella Marina Mercantile Italiana (nella seconda categoria dei Registri della «Gente di Mare»).
Nel 1927 iniziò il suo cursus come allievo guardia nel Corpo degli agenti di P.S.. Divenne in seguito guardia, vice brigadiere (16/1/1933), brigadiere, maresciallo di I classe. Il 16 agosto del 1943 fu promosso maresciallo di II classe, e assegnato al presidio della Polizia Fluviale, posto sull’Isola Tiberina.[128] Fu collocato in congedo per infermità (problemi ai polmoni) il 9 marzo 1963, e collocato tra i sottufficiali della riserva.
In tale contesto, nel 1943, all’isola Tiberina, il maresciallo Lucignano aveva più compiti da eseguire. Tale attività, in tempo di guerra, aveva una particolare importanza. La Polizia Fluviale doveva controllare i barconi posti sul Tevere, e vigilare sulle sponde del fiume al fine di prevenire azioni di gruppi eversivi. Aveva inoltre l’obbligo di arrestare e far processare quanti avversavano l’intesa tedesco-repubblichina, i renitenti alla leva, e soprattutto gli ebrei (sui quali c’erano ricompense economiche). Spettava alla Fluviale anche il controllo dell’area insistente sull’Isola Tiberina. La sorveglianza si concentrava soprattutto sui punti di accesso all’isola, e sull’area attigua al Pronto Soccorso del Fatebenefratelli.
In tale contesto, il maresciallo Lucignano sapeva benissimo (e con lui la sua squadra) che sull’isola Tiberina erano nascosti diversi ebrei. Conosceva l’ospedale israelitico. Era informato sulla presenza di ebrei anziani nella casa di riposo. Gli erano note le interazioni tra le istituzioni cattoliche e gli organismi ebraici dell’isola.
Come poliziotto, però, aveva l’obbligo di ubbidire agli ordini ricevuti. In tale contesto, Lucignano poteva: a] far rapporto ai superiori del tempo; b] informare il Comando tedesco; c] collaborare a operazioni segnate da arresti, internamenti, deportazioni. Anche i suoi uomini avevano la possibilità di comportarsi allo stesso modo. Ciò non avvenne. Lucignano disobbedì alle direttive della Questura. E comunicò agli occupanti del tempo che nell’area controllata da lui e dalla sua squadra non c’erano ebrei. Unitamente a ciò fornì supporto a chi svolgeva opera di assistenza a favore dei perseguitati.
Nell’attuale periodo, la figura di questo maresciallo è riaffiorata attraverso alcuni studi di chi scrive. In queste ricerche sono stati individuati anche altri dati. Si tratta di onorificenze assegnate al maresciallo Lucignano.
1) Nel 1949 gli venne conferita una medaglia d’argento al merito di servizio.
2) Il 2 giugno 1957 venne nominato Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana «per particolari benemerenze».
3) Nel 1961 ricevette una medaglia di bronzo al merito civile per aver salvato a Pozzuoli (11 dicembre 1960) due persone rimaste intrappolate nella propria macchina caduta in mare.[129] 

Commissario di P.S. Alfredo Bonanno

Nella testimonianza rilasciata da Angelo Citoni[130], residente a Roma, si fa riferimento al commissario di P.S. Alfredo Bonanno. Questi, si preoccupò più volte di telefonare alla famiglia ebrea dei Citoni per avvisare di una imminente retata (16 ottobre 1943).[131]

Maresciallo di P.S. Giovanni Guiducci

Giovanni Guiducci[132], maresciallo di P.S., residente a Roma, venne richiamato in servizio per sopperire a una carenza di personale (molti uomini erano al fronte). Mentre svolgeva opera di ordinaria vigilanza nei pressi del Quirinale, gli vennero consegnati due giovani ebrei da tradurre in Questura. Il maresciallo non ebbe problemi a far fuggire gli arrestati. A motivo di tale disobbedienza alle direttive ricevute, venne arrestato e condotto nel carcere di ‘Regina Coeli’. Rimase fortunatamente poco tempo perché entrarono a Roma le forze alleate.[133]  

Vice brigadiere di P.S. Mariano Acone

Il 16 giugno del 1940 arrivarono nell’abitato di Campagna (prov. di Salerno) i primi ebrei da internare nelle strutture già preparate. In seguito il numero delle persone ristrette aumentò gradualmente.[134] Il primo direttore fu il dott. Eugenio De Paoli.[135] Avellinese. Proveniva da Fiume. In questa località aveva diretto il commissariato di Villa del Nevoso, e conosciuto il commissario Giovanni Palatucci. Accusato di essere troppo “accomodante” verso gli internati, il De Paoli fu allontanato e sostituito.[136]
Nel giugno del 1941, con il nuovo direttore dott. Mario Maiello, l’orientamento generale seguì comunque l’impostazione di De Paoli. Alla fine, si verificò un episodio chiave. L’ultimo direttore del campo fu il vice brigadiere di P.S. Mariano Acone. Il 3 settembre le truppe alleate erano sbarcate in Calabria. Il giorno 14 fu liberato il campo di Ferramonti, nell’area di Cosenza. Si stabilì una prima presenza militare a Salerno. Campagna venne colpita da bombardamenti (il più grave il 17 settembre).
Nel frattempo, due agenti tedeschi si presentarono (16 settembre) nell’area degli internati di Campagna avvertendo che sarebbero passati per prelevare le persone ivi custodite.
Remo Tagliaferri, un agente in servizio nel campo, ha lasciato questa testimonianza: “(…) Dopo poche ore il comandante Acone, concertatosi col vescovo Palatucci, mi ordinò di mettere gli ebrei in condizione di fuggire. Durante la notte infatti aiutai questi ultimi, tramite un piede di porco, a divellere le inferriate di una finestra del secondo piano, dalla quale poi vidi gli internati raggiungere rapidamente le montagne circostanti(…)”.[137]
All’arrivo dei tedeschi, Tagliaferri si nascose all’interno del campanile della chiesa. Fu il maresciallo Acone ad affrontarli. Racconta in merito il figlio: Giuseppe Acone: “(…) I tedeschi si fermano a Campagna, vogliono tutti gli ebrei, e lui, che era il dirigente di P.S., li informa che non c’è più nessuno. In parte li aveva affidati a famiglie, in parte erano ancora al campo e lui ricorse a un’azione al limite dell’azzardo, facendo affiggere sulle mura e sui portoni: “trasferiti per ordine di servizio”. Con l’aiuto della popolazione di Campagna questo fu veramente un capolavoro. Riuscirono a salvarli tutti”.[138] 

In Francia

Lospinoso

Lospinoso

Il dott. Guido Lospinoso[139] era entrato in Polizia nel 1915. Ebbe in seguito la nomina a Ispettore generale. A fine 1942 fu inviato dal Ministero dell’Interno a Nizza, capoluogo della parte della Francia occupata dalle truppe italiane. Qui, si erano rifugiati circa 40mila ebrei dopo l’inizio delle deportazioni in massa.
Il dott. Lospinoso, in attesa di risolvere il “caso” con le autorità tedesche, aveva il compito di organizzare dei campi di concentramento sulla costa. Esclusa questa possibilità, per esigenze connesse alla difesa costiera, i rifugiati furono raccolti in più centri di raccolta, soprattutto a Saint Martin Vésubie (nelle Alpi Marittime), e a Cap Martin (vicino al Principato di Monaco).
Quando nella primavera del 1943, il governo italiano dette ordine di passare alla fase della consegna ai tedeschi degli ebrei rifugiati, l’alto funzionario di Polizia adottò una tattica dilatoria per differire la direttiva. Addusse varie difficoltà per organizzare il trasporto. Si negava, e si rendeva irreperibile alle autorità che gli chiedevano un incontro, sia a Berlino che in Francia.
Si sottrasse sempre alle autorità tedesche, perfino ad un incontro a Parigi preteso dallo stesso Eichmann. Fingeva con i tedeschi di doversi recare in Italia per essere aggiornato sulla situazione bellica. Inviava delegati al suo posto che si dichiaravano non autorizzati ad assumere decisioni. Nell’agosto del 1943 il dott. Lospinoso si fece restituire dai servizi di Polizia francesi le liste degli ebrei da deportare, e le distrusse. Si assicurò inoltre che non circolassero copie.
Nel frattempo, in modo discreto, con l’aiuto del padre cappuccino Pierre Marie Benoît[140], del banchiere ebreo italiano Angelo Donati[141], e con il supporto dell’esercito italiano, agevolò la fuga graduale degli ebrei verso i confini con la Svizzera, con il Piemonte, e con la Spagna.[142]
Il gruppo di ebrei che non si riuscì a coinvolgere nelle operazioni umanitarie (per lo sbandamento e il ritiro di truppe e autorità italiane, dopo l’8 sett. ‘43), fu invece catturato dalle forze tedesche, con l’aiuto dei collaborazionisti francesi. Rinchiuso in un campo di concentramento provvisorio allestito a Marsiglia. Trasferito poi a Drancy. Deportato infine nei lager tedeschi.
Rientrato a Roma, il dott. Lospinoso venne espulso dalla Polizia della Repubblica Sociale Italiana. Fu costretto così a nascondersi fino all’arrivo degli Alleati nel 1944, in quanto ricercato dalla Gestapo[143] e dalle SS.
Nel dopoguerra, fu espulso dalla Polizia italiana per i sospetti di antisemitismo legati alla sua carica nella “polizia razziale”. Venne in seguito riconosciuto innocente. Furono diverse, infatti, le testimonianze a suo favore. Si ricorda qui anche una Memoria difensiva del banchiere ebreo Angelo Donati, autenticata e controfirmata dal rabbino capo di Roma David Prato[144], e altri attestati di stima da diverse organizzazioni ebraiche italiane. Il dott. Lospinoso venne poi reintegrato dal Ministero dell’Interno, e nominato questore di Udine (1949-1954). Venne poi collocato a riposo. Morì senza riconoscimenti ufficiali. Solo nel 1972 ricevette la gratitudine delle Comunità ebraiche francesi.[145] 

Qualche nota di sintesi

La ricerca storica realizzata in questi anni, con riferimento al rapporto tra Polizia italiana e Shoah, ha presentato diverse difficoltà. Non sempre, infatti, è facile entrare in una “zona grigia” ove si ritrovano i più diversi comportamenti legati al momento critico. Esiste poi il fatto che furono molti gli ostacoli da fronteggiare nelle azioni umanitarie. Soprattutto era necessario non farsi scoprire. Evitare i delatori. Da aggiungere, inoltre, che non tutti i poliziotti vicini agli ebrei perseguitati vollero raccontare poi le loro azioni coraggiose. Per molti di loro si trattò infatti di una scelta interiore. Di una risposta alla propria morale. Il ricercatore si trova quindi a dover individuare i reali “Giusti” in mezzo a migliaia di soggetti che includono anche rigidi esecutori dei nazifascisti, doppiogiochisti, opportunisti, e individui salvati dalle forze alleate (poliziotti provenienti dall’OVRA). In tale contesto, assumono particolare valore le testimonianze di quanti furono protetti dall’azione delle forze dell’ordine. In più casi, i loro racconti sono conservati nei procedimenti contro membri della P.S. (processi di epurazione). Altra documentazione è conservata a Gerusalemme, e riguarda le pratiche di coloro che vennero dichiarati “Giusti tra le Nazioni”. Al riguardo, occorre ricordare che per ottenere il titolo occorre un procedimento attivato da ebrei salvati. Il fascicolo viene poi trasmesso negli uffici di Gerusalemme, e valutato. In caso positivo si arriva alla dichiarazione finale. In tale contesto, diversi ebrei salvati non rilasciarono i necessari attestati per vari motivi. Ad esempio, per una personale scelta di silenzio sui drammi subìti, per nuove vicissitudini famigliari (trasferimenti in altre città), per decesso.
Ci si chiede oggi quale valore attribuire alla ricerca storica di poliziotti “eroi” normali. La risposta è semplice. Le azioni attivate a favore di perseguitati insegnano a resistere a ogni violenza. A ogni sopraffazione. A ogni ignobile dominanza. A ogni offesa alla dignità umana. Questo messaggio, nell’attuale periodo, rimane di una attualità straordinaria.

 

 

 

Note

[1] https://www.radioradicale.it/soggetti/282415/ermanno-smulevich.

[2] AAVV, Fecero la scelta giusta. I Poliziotti italiani che si opposero al nazifascismo, Primo volume: “I poliziotti che soccorsero gli ebrei”. Secondo volume: “I poliziotti che si opposero al nazifascismo”. A cura di Raffaele Camposano, Polizia di Stato, Roma 2025.

[3] Dott. Raffaele Camposano, dirigente superiore della Polizia di Stato. Tra i suoi diversi incarichi, c’è stato anche quello di direttore dell’ufficio storico della P.S..

[4] Dott. Giovanni Palatucci (1909-1945; Servo di Dio). “Giusto tra le Nazioni”. Medaglia d’oro. Commissario di P.S. a Fiume e, in seguito, reggente la Questura.

[5] Dott. Mariano De Vita (nato nel 1905). Originario di Cagli (Pesaro).

[6] A. Smulevich, Una famiglia ebraica nel cuore della Linea Gotica. Diario 1943-1944, a cura di L. Ardiccioni, R. Marcato, E. Smulevich, Edizioni Pendragon, Bologna 2022.

[7] 1] Sanzioni, obblighi, espulsioni, privazioni; 2] internamento; 3] deportazione.

[8] P.L. Guiducci, Shoah a Fiume. Giovanni Palatucci “Giusto tra le Nazioni”. Ricerca storica. Testimoni. Documenti trovati. Evidenze, EDUCatt, Milano 2024. Id., Giovanni Palatucci, “Giusto tra le Nazioni”: le verità emergenti, in: ‘Storia in Network’, Magazine di divulgazione storica, 3 marzo 2025.

[9] P.L. Guiducci, Giovanni Palatucci, “Giusto tra le Nazioni”: le verità emergenti, in: ‘Storia in Network’, magazine di divulgazione storica, 3 marzo 2025.

[10] Tiburzio Berger (nato a Fiume il 26 agosto 1921). Figlio di Eugenio Berger. Padre e figlio lavoravano nel mobilificio di Alberto Berger (fratello di Eugenio).

[11] Deposizione testimoniale giurata di Tibi Berger, 24 ottobre 1999, in: ‘Positio Servus Dei Ioannis Palatucci’, vol. II, pp. 473-478.

[12] Marcel Frossard de Saugy (1885-1949). Nato a Graz (Austria). Di nazionalità svizzera. Coniugato con Gerda von Bülow (nata nel 1883). I Frossard avevano due figlie. Possedevano una villa a Laurana. In questa proprietà, nel 1950, venne ritrovata dalla signora Gerda (in occasione della vendita dell’immobile) una valigia con vestiti ed effetti personali che Palatucci aveva lasciato.

[13] Dragica (Carolina) Braun, nata a Karlovac (Iugoslavia) il 1° aprile 1889. Marito ucciso dagli ustaše. Maria Eisler (detta Mika), nata a Maja (Iugoslavia) il 7 giugno del 1910. Casalinga. Coniugata con Alexander Weiss (in seguito divorziata).

[14] L’ingresso delle due donne ebree è registrato negli archivi federali svizzeri il 10 dicembre 1943, da Campocologno, nel cantone Grigioni, sopra Tirano. In tale località era in servizio la guardia di P.S. Mario Canessa, dichiarato in seguito “Giusto tra le Nazioni”. Copia fascicolo Eisler ricevuto dall’Archivio di Stato svizzero, in: ‘Archivio personale’ prof. Pier Luigi Guiducci, fondo Palatucci.

[15] Nunzio Gabriele, vice brigadiere di P.S.. Cf al riguardo: Nunzio Gabriele a mons. Giuseppe Palatucci, 6 giugno 1952. Positio Ioannis Palatucci, vol. V, pp. 1452-1453.

[16] Emilio Filippi, nato a Pontecorvo (Frosinone) nel 1911.

[17] Camillo Mangani fu per 17 anni direttore del Banco di Roma a Fiume. Guida Generale di Fiume e Provincia del Carnaro, ‘Filiali e Sedi’, 1937, p. 164.

[18] Testimonianza a favore del dr. Roberto Tommaselli (già Capo della Questura di Fiume) in occasione dei procedimenti di epurazione dai ruoli dello Stato di personaggi collusi con il precedente regime fascista.

[19] Camillo Mangani al Capo della Polizia, 12 luglio 1946, N. Prot. 12992/1053.

[20] Archivio di Stato di Fiume (Drzavni Arhiv Rijeka). Commissione cittadina per l’accertamento dei crimini di guerra dell’occupante e dei suoi collaboratori di Fiume. Busta 3. Elenco dei criminali. Elenco dei dirigenti la Questura di Fiume dopo l’anno 1941. Palatucci Giovanni. Filippi Emilio.

[21] Nell’agosto del 1949 concluse il suo cursus con il grado di maresciallo di IIa classe per anzianità.

[22] Francesco Antonio (Franco) Maione (1904-1972). Nato a Nola. Brigadiere di P.S.. Coniugato con una donna croata (Erminia Liebl) dalla quale ebbe due figli. Lasciò poi Fiume per Venezia.

[23] Walter Vertes alla Comunità Israelitica di Padova, 22 maggio 1955, Archivio CDEC, Fondo Riconoscimenti e Benemeriti, b. 91, fasc. “Comunità Israelitica di Padova”, f. 153. Proposta alla Comunità ebraica di un premio per il brigadiere Maione.

[24] Lettera di Francesco Antonio Maione All’onorevole Ministero dell’Interno, Direzione Generale di Pubblica Sicurezza, Divisione F.A.P., Venezia, li 2 aprile 1946, 7 pp., in: Ministero dell’Interno, Direzione Generale del Personale, Servizio Trattamento Pensione e Previdenza, fascicolo 016460, Maione Francesco Antonio.

[25] Americo Cucciniello (1920-2004). Nato ad Avellino. Vice brigadiere di P.S..

[26] Famiglia di Lily Sachs de Gric: composta dal fratello Boris e dal figlio Igor Kremsir.

[27] Famiglia di Elena Weiss Berger.

[28] Testimonianza (seconda) del brigadiere Americo Cucciniello. 22 giugno 1999. Ufficio Storico della Polizia di Stato, Roma, Fondo Commissione di Studio su Giovanni Palatucci, Busta 1: “Documenti prodotti dal Gruppo di Lavoro”.

[29] Periodo 1939-1941 (n.d.A.).

[30] Dott. Olindo Cellurale (nato nel 1891). Divenne in seguito Vice Questore a Vicenza. Fu poi trasferito a Taranto. La sua figura è ricordata anche nel libro di Liliana Picciotto, Salvarsi, op. cit., p. 484. Cf pure il sito:

https://digital-library.cdec.it/cdec-web/storico/detail/IT-CDEC-ST0038-000037/cellurale-olindo.html.

[31] Dott. Feliciano Ricciardelli (1898-1968). Coniugato. Tre figli. Nel dopoguerra fu questore di Parma, Bergamo e Ravenna. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Divisione personale di pubblica sicurezza, fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1973, busta 133, Ricciardelli Feliciano.

[32] Cf anche: Redazione, Gli ebrei triestini salvati dalle persecuzioni naziste. La coraggiosa attività clandestina dell’ufficio politico della Questura, in: ‘Il Gazzettino di Trieste’, n. 6, 14 luglio 1961.

[33] Schutzstaffel o SS.

[34] W. Benz, ‎J. Wetzel, Solidarität und Hilfe für Jüden während der NS-Zeit. Rettungsversuche für Juden vor der Verfolgung und Vernichtung unter nationalsozialistischer … mit Bosnien und Herzegowina, Belgien, Italien, Metropol-Verlag, Berlino 2004, p. 353.

[35] La lettera è conservata nel fascicolo personale del dott. Ricciardelli (cit.).

[36] Commissario aggiunto Calogero Pisciotta (1902-1945).

[37] Nicolò Raho (deceduto nel 1981). Maresciallo di P.S..

[38] M. Coslovich, Conservare la memoria, in: ‘Qualestoria’, n. 2, dicembre 2000.

[39] Dott. Goffredo Terribile (nato nel 1903). Originario di Campobasso. Coniugato. Tre figli.

[40] Cf anche: S. Gherardi Bon, La persecuzione antiebraica a Trieste, Del Bianco Editore, Colloredo di Monte Albano 1972, p. 179.

[41] Gli ebrei triestini salvati dalle persecuzioni naziste…, op. cit.

[42] L’attestato della Comunità Israelitica di Trieste è datato Trieste, 9 ottobre 1945, prot. N. 2073 R.W., e firmato “P. il Commissario – Un membro del Comitato” (firma illeggibile).

[43] Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Dipartimento Pubblica Sicurezza, Fascicoli personale fuori servizio, versamento 1957, busta 284.

[44] Cf anche: Gli ebrei triestini salvati dalle persecuzioni naziste…, op. cit.. M. Coslovich, Conservare la memoria, in: ‘Qualestoria’, n. 2, dicembre 2000, p. 7.

[45] Piero Nossal (nato nel 1924).

[46] Cf anche: S. Bon, Gli ebrei a Trieste 1930-1945. Identità, persecuzione, risposte, LEG Edizioni, Trieste 2000, p. 352.

[47] M. Coslovich, Conservare la memoria, op. cit.

[48] M. Coslovich, Conservare la memoria, op. cit.. S. Antonini, Delasem: storia della più grande organizzazione ebraica di soccorso durante la seconda guerra mondiale, De Ferrari Editore, Genova 2007, p. 253.

[49] Carabiniere Efisio Vargiù (1902-1966). Cf anche: S. Gherardi Bon, La persecuzione antiebraica a Trieste, Del Bianco, Colloredo di Monte Albano 1972, p. 245.

[50] Mario Canessa (1917-2014). Nato a Volterra. “Giusto tra le Nazioni”.

[51] On. Giorgio Napolitano (1925-2023).

[52] M. Zucchelli, Quello strano coraggio. Mario Canessa un livornese Giusto tra le Nazioni, Benvenuti e Cavaccioli per il Comune di Livorno, collana ‘Comune notizie’, rivista del Comune di Livorno, Livorno, ottobre – dicembre 2009, n. 69.

[53] Cf anche: Picciotto L., Salvarsi. Gli ebrei d’Italia sfuggiti alla Shoah. 1943-1945, Einaudi, Torino 2017, pp. 314, 337, 341-343.

[54] Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Direzione Personale P.S., Fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1973, busta 44 bis, Brancaccio Mario.

[55] La Prefettura di Como alla Divisione Personale di Pubblica Sicurezza, Como, 27 luglio 1946 (fascicolo personale di Brancaccio). Trasmettendo in copia le dichiarazioni a favore del commissario Brancaccio del Consolato Inglese a Lugano, di Guastoni, di Leonardi, dell’Office of Strategic Services, in calce si riporta quanto segue: “Si omette l’invio di numerose dichiarazioni di privati e specialmente di ebrei dallo stesso salvati dalla deportazione”.

[56] Inserito nel fascicolo personale, cit.

[57] Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Direzione Personale P.S., Fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1959, busta 203, Mancini Nicola. Cf anche: Memoriale – ricorso del Dott. Nicola Mancini Vice Questore contro l’ordine 7 agosto 1945 della Commissione d’Epurazione, corredato da numerose attestazioni autografe in suo favore, nel suo fascicolo personale.

[58] Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Direzione Personale P.S., Fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1973, busta 16, Lancellotti Giuseppe.

[59] Olinto Domenichini (nato nel 1945).

[60] Wilhem Harster (1904-1991).

[61] Friedrich Boßhammer (1906-1972).

[62] Buffarini Guidi (1895-1945).

[63] Dott. Guido Masiero (1887-1953). Divenne poi questore di Verona nel dopoguerra. Fascicolo presso Archivio Storico Polizia di Stato.

[64] Giuseppe Costantino (1911-1966). Vice commissario di P.S.. Capo della Squadra Mobile. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione personale di Pubblica Sicurezza, Fascicoli del personale fuori servizio. Versamento 1973, busta 38, fascicolo Costantino Giuseppe.

[65] Antonino Gagliani (nato nel 1887). Commissario aggiunto di P.S.. Capo dell’Ufficio Accertamenti Razza e Beni ebraici. Fascicolo presso Archivio Storico Polizia di Stato.

[66] Felice Sena (1909-1996). Nato a Sant’Angelo dei Lombardi. Vice brigadiere di P.S.. Aveva come superiore Antonino Gagliani. Coniugato. Padre di due bambine. Fascicolo presso Archivio Storico Polizia di Stato.

[67] Il dott. Filippo Cosenza venne poi trasferito da Verona a Palermo (1946).

[68] O. Domenichini, Le ricerche hanno dato esito negativo. I “giusti” della Questura e le persecuzioni razziali a Verona, 1943-1945, Cierre edizioni, Caselle di Sommacampagna (VR) 2021.

[69] Dott. Carmelo Mario Scarpa. Di origini salernitane. Coniugato con Angelina Pepe. Una figlia (Elena). Archivio Centrale dello Stato, Ministero Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Dipartimento Pubblica Sicurezza, Fascicoli personale fuori servizio. Versamento 1959, busta 233, Scarpa Carmelo Mario.

[70] G. Preziosi, La grande rete di Fiume, in: ‘L’Osservatore Romano’, anno CLIII, n. 177, sabato 3 agosto 2013.

[71] Dott. Emilio Cellurale (1902-?). Nato a Sant’Elena Sannita (allora in provincia di Campobasso). Coniugato. Padre di tre figli. Fascicolo personale in: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Segreteria del Dipartimento, Servizio dirigenti direttivi e ispettori, Fascicoli personali, I versamento, anno 1982, busta 174, Cellurale Emilio, ex vice questore.

[72] Dott. Francesco Vecchione (1904-1992). Nato a San Paolo Belsito (NA). Un figlio (Alberto). Vecchione fu In servizio alla Questura di Modena tra il 1936 e il 1948. Cf: Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Divisione Personale Pubblica Sicurezza, Fascicoli del personale fuori servizio, Versamento 1963, busta 60 bis, fascicolo 3768-3, Vecchione Francesco.

[73] Cf anche: M.P. Balboni, Bisognava farlo. Il salvataggio degli ebrei internati, La Giuntina, Firenze 2012, p. 84.

[74] AA.VV., Francesco Vecchione, La normalità e il coraggio. L’uomo di Stato che salvò gli ebrei modenesi 1943-1944, a cura di C. Piscitelli e G. Dodi, Associazione Infiniti Mondi, Nola 2022.

[75] Dott. Giovanni Tedesco (nato nel 1894).

[76] Lodovico Vigilante (1882-1945). Coniugato. Padre di un figlio. Avvocato. Commissario capo.

[77] Nicola Amodio (1898-1945). Nato a Pizzo Calabro (prov. di Reggio Calabria). Commissario capo.

[78] Annibale Tonelli (1913-1945). Guardia di P.S..

[79] Domenico Tosetti (nato nel 1924). Guardia di P.S..

[80] V. Marangione – T. Trani, Polizia e cittadini nella Resistenza. I martiri dimenticati, Luna Editore, Marina di Carrara 2016.

[81] Polizei – und Durchgangslager Bozen.

[82] Sicherheitspolizei – Polizia di Sicurezza.

[83] SCH – Schutzhäftlinge.

[84] https://www.poliziadistato.it/articolo/pietre-d-inciampo-a-4-poliziotti-della-questura-della-spezia.

[85] Sigismondo Smulevich (1890-1964). Nato a Działoszyn (Polonia).

[86] Alessandro Smulevich (1923-2002). Nato a Fiume.

[87] Commissario di P.S. Mariano De Vita (nato nel 1905). Originario di Cagli (Pesaro). Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’interno, Dipartimento Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale Affari Generali, Servizio Dirigenti direttivi e ispettori, 1981, busta 23.

[88] A. Smulevich, Matti e Angeli. Una famiglia ebraica nel cuore della Linea Gotica. Diario 1943-1944, a cura di L. Ardiccioni, R. Marcato, E. Smulevich, Pendragon, Bologna 2022.

[89] Camilla Benaim (1904-1996). Nata a Firenze. Coniugata con Giulio Supino. Pittrice.

[90] Le settanta facciate scritte da Camilla Benaim, oggi di proprietà della figlia Valentina, sono riportate fedelmente in un libro: C. Benaim, E. Rosselli, V. Supino, Donne in guerra scrivono. Generazioni a confronto tra persecuzioni razziali e Resistenza (1943-1944), Aska, Firenze 2018, pp. 61-118.

[91] Vincenzo Attanasio (nato nel 1906). Originario di Catania. Archivista dell’ufficio politico della Questura di Firenze durante la Repubblica Sociale Italiana. M. Brancale, Un giusto di nome Attanasio, in: ‘La Nazione’, Firenze 30 gennaio 2012. Id., Il bene nascosto di Vincenzo Attanasio, in: ‘La Nazione’, Firenze, 28 gennaio 2022.

[92] Per le persone in clandestinità è sempre importante sapere se un altro clandestino, a loro noto e improvvisamente irraggiungibile, è stato arrestato o ha repentinamente cambiato nascondiglio e abitudini.

[93] G. Supino, Diario della guerra che non ho combattuto. Un italiano ebreo tra persecuzione e Resistenza, a cura di Michele Sarfatti, Firenze, Aska, Firenze 2014.

[94] Cardinale Elia Dalla Costa (1872-1961; Venerabile). “Giusto tra le Nazioni”.

[95] Nathan Cassuto (1909-1945). Nato a Firenze. Vice rabbino e professore presso la scuola ebraica di Milano. Dopo il 1942 diviene rabbino di Firenze. In questa città venne arrestato il 26 novembre 1943. Deportato nel campo di sterminio di Auschwitz. Non è sopravvissuto alla Shoah.

[96] M. Brancale, Il bene nascosto di Vincenzo Attanasio, in: ‘La Nazione’, cronaca, 28 gennaio 2022. Cf anche: M. Longo Adorno, Gli ebrei fiorentini dall’emancipazione alla Shoah, Giuntina, Firenze 2003.

[97] M. Brancale, Il bene nascosto di Vincenzo Attanasio, in: ‘La Nazione’, cronaca, 28 gennaio 2022. Cf anche: M. Longo Adorno, Gli ebrei fiorentini dall’emancipazione alla Shoah, Giuntina, Firenze 2003.

[98] Dott. Alfio Finocchiaro (nato nel 1903). Originario di Catania. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Divisione personale di Pubblica Sicurezza,, Fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1973, busta 144, Finocchiaro Alfio.

[99] Dott. Virgilio Soldani Benzi (nato nel 1890). Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Dipartimento di Pubblica Sicurezza, Divisione personale di Pubblica Sicurezza, fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1973, busta 14 bis, Soldani Benzi Virgilio.

[100] Archivio Centrale dello Stato, fascicolo cit..

[101] Dott. Armando Rocchi (1898-1970).

[102] Dott. Baldassarre Scaminaci (nato nel 1887). Divenne poi ispettore generale di pubblica sicurezza.

[103] Don Ottavio Posta (1882-1963). Riconosciuto “Giusto tra le Nazioni”.

[104] Guardia di P.S. Giuseppe Baratta (1919-1994). Nato a Perito (Salerno). Arruolato nella Polizia nel 1940. Dopo Perugia, prestò servizio alla Questura di Forlì e di Ancona. Medaglia d’argento al merito civile (2022). Medaglia d’oro alla memoria (2023).

[105] S. Fabei, Il prefetto Rocchi e il salvataggio degli ebrei. Perugia – Isola Maggiore sul Trasimeno. 1943-1944, Mursia, Milano 2022.

[106] Commissario di P.S. Mario De Nardis (1906-1964). Coniugato. Tre figli.

[107] Cf anche: L. Fleischmann, ‎ Un ragazzo ebreo nelle retrovie, a cura di C. Facchinelli, Giuntina, Firenze 1999, p. 68.

[108] Dott. Angelo De Fiore (1895-1969). Nel 1927 sposò Giulia Sprovieri dalla quale ebbe cinque figli. Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Dipartimento Pubblica Sicurezza, fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1973, busta 100, De Fiore Angelo.

[109] Dott. Arturo Bocchini (1880-1940).

[110] Pietro Koch (1918-1945).

[111] Il processo venne istruito presso la Corte di Assise straordinaria di Milano dall’Alto Commissariato per le sanzioni contro il fascismo.

[112] Delegazione per l’Assistenza degli Emigranti Ebrei.

[113] Hugh O’Flaherty (1898-1963).

[114] https://www.esercito.difesa.it/storia/Ufficio-Storico-SME/Documents/150312/H-8-Crimini-di-guerra.pdf. – s. fasc. 33. “32. Gruppo Sprovieri e Gruppo Montano”. Riguarda l’accertamento per l‘assegnazione del titolo di “patriota” dei singoli componenti dei Gruppi comandati dal Dott. Giuseppe Sprovieri e dal professore Innocenzo Montano della resistenza romana. Comprende corrispondenza tra l’Ufficio I e il Ministero della guerra Reparto fronte clandestino militare di resistenza, elenchi nominativi dei militari compenti le bande, rapporti informativi relativi ad alcuni ufficiali tra cui il Ten. Col. Torsiello, De Marco e Scuro.

[115] Questore Pietro Caruso: (1899-1944). Fucilato.

[116] F. Nardi, De Fiore, l’eroe calabrese, in: ‘il Quotidiano della Calabria’, 3 settembre 2009. L.M. Perri, Angelo De Fiore, il vicequestore da Rota Greca che salvò centinaia di ebrei dall’Olocausto, in: ‘Gazzetta del Sud Cosenza’, 6 marzo 2020. L. Picciotto, Angelo De Fiore, in: ‘I Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei. 1943-1945’, Mondadori, Milano 2006, p. 116. Redazione, Angelo De Fiore. I valori di un Ufficiale Italiano, LXII, 1-2, 2011. F. Tagliacozzo, Gli ebrei romani raccontano la «propria » Shoah, Giuntina, Firenze 2010, p. 159. A. Ventura, I Giusti e la Shoah: una questione storiografica aperta. Il caso di Angelo De Fiore, dirigente dell’Ufficio stranieri della Questura di Roma durante l’occupazione tedesca, in: AA.VV., ‘Values. Saggi e testimonianze sulla persecuzione ebraica in Europa’, Edizioni Nuova Cultura, Roma 2024, pp. 39-71.

[117] AA.VV., Dopo il 16 ottobre. Gli ebrei a Roma tra occupazione, resistenza, accoglienza e delazioni (1943-1944), a cura di S. Haia Antonucci, ‎C. Procaccia, Viella Editrice, Roma 2019.

[118] Don Giovan Carlo (Giancarlo) Centioni (1912-2010). Cappellano militare dal 1937 al 1977. Operò a Roma dal 1940 al 1945.

[119] G. Preziosi, La rete segreta di Pio XII, in: ‘La Stampa’, 19 giugno 2015.

[120] M. Tosatti, La rete pro ebrei di Pio XII, in: ‘La Stampa.it’, 15 gennaio 2010.

[121] R. Natalini – M. Mattaliano, La fantasia e la-memoria. Conversazione con Emma Castelnuovo, in: ‘Lettera Matematica Pristem’, Università Bocconi, trimestrale, n. 52, 2004, pp. 5-7.

[122] AA.VV., Dopo il 16 ottobre. Gli ebrei a Roma tra occupazione, resistenza, accoglienza e delazioni (1943-1944), a cura di S. Haia Antonucci e C. Procaccia, Viella, Roma 2019.

[123] https://www.percorsidellashoah.it/sentenze/view/&id=13.

[124] Dott. Francesco Saverio Cacace (1890 – non si conosce la data della morte). Nel 1931 sposò Marta Scurti. Archivio Centrale dello Stato, Ministero Interno,Direzione Generale Pubblica Sicurezza, Dipartimento Pubblica Sicurezza, fascicoli del personale fuori servizio, versamento 1973, busta 122, Cacace Francesco Saverio.

[125] P.L. Guiducci, Francesco Saverio Cacace: il Commissario eroe nella Roma nazista, in: AA.VV., ‘Fecero la scelta giusta’, primo volume, Polizia di Stato, Roma 2025, pp. 260-276.

[126] Cf al riguardo: Intervista di Gigliola Colombo a Lello e Angelo Perugia, registrata a Roma il 15.7.1987, su: https://digital-library.cdec.it/cdec-web/audiovideo/detail/IT-CDEC-AV0001-000073/lello-perugia.html.

[127] Maresciallo di P.S. Gennaro Lucignano (1903-1964). Nato a Pozzuoli. Il 23 ottobre 1938 si sposò a Roma con Cecilia Buratti. I dati che lo riguardano sono conservati nel fascicolo personale numero 024218.

[128] In seguito (1960), gli venne rilasciato un certificato di idoneità alla conduzione di imbarcazioni con motore fuoribordo.

[129] P.L. Guiducci, Tutti gli ebrei del Maresciallo di P.S. Gennaro Lucignano, in: AA.VV., ‘Fecero la scelta giusta’, primo volume, Polizia di Stato, Roma 2025, pp. 277-283.

[130] Angelo Citoni, nato a Roma nel 1937.

[131] L. Picciotto, op. cit., p. 351.

[132] Maresciallo di P.S. Giovanni Guiducci (1878-1959).

[133] P.L. Guiducci, Il senso di una scelta. Aspetti storici della Polizia di Stato, in: ‘San Paolino’s Voice’, 26.1.2015.

https://carlomafera.wordpress.com/2015/01/26/il-senso-di-una-scelta-aspetti-storici-della-polizia-di-stato/.

[134] Nei primi mesi, dopo che era entrata in funzione l’area per l’internamento, questa ospitava già 430 uomini catturati in diversi parti d’Italia, tra cui anche alcuni inglesi e francesi e un gruppo di 40 ebrei italiani. Questi ultimi vennero però trasferiti in altri campi dopo poche settimane. Nel novembre 1940 il numero degli ebrei stranieri scese a 230, nel febbraio 1941 a 170, per raggiungere il livello più basso nell’aprile 1942, con 112 persone. Nel novembre il loro numero risalì a 170, e negli ultimi mesi prima della liberazione da parte degli alleati (settembre 1943), si aggirava sui 150. I due terzi circa provenivano dalla Germania e dall’Austria, gli altri erano prevalentemente polacchi, cechi o ebrei di Fiume divenuti apolidi.

[135] Coadiuvato inizialmente da 14 agenti di P. S. e da quattro carabinieri.

[136] A. Picariello, Capuozzo accontenta questo ragazzo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007, p. 84, nota 23.

[137] A. Picariello, Capuozzo accontenta…, op. cit., pp. 86-87.

[138] A. Picariello, Capuozzo accontenta…, op. cit., p. 87. Cf anche nota 26.

[139] Dott. Guido Lospinoso (1885-1973). Nato a Bari.

[140] Pierre-Marie Benoît O.F.M. Cap, nato Pierre Péteul (1895-1990). “Giusto tra le Nazioni”. S. Zuccotti, Père Marie-Benoît. Comment un prêtre capucin a sauvé des milliers de Juifs de l’Holocauste, Bayard, Parigi 2015.

[141] Angelo Donati (1885-1960). Banchiere. Filantropo. Diplomatico della Repubblica di San Marino a Parigi. U.G. Pacifici Noja e A. Pettini, Angelo Donati. Pilota, banchiere, mecenate e cospiratore, Mursia, 2020 Milano.

[142] S. Zuccotti, Holocaust odysseys. The Jews of Saint-Martin-Vésubie and their flight through France and Italy, Yale University Press, New Haven (Connecticut) 2007. A. Cavaglion, Foreign Jews in the western Alps (1938-43), ‘Journal of Modern Italian Studies’, 10.4.2005, pp. 426-446.

[143] Gheim Staatpolizie, polizia segreta di Stato.

[144] Rav David (Davide) Prato (1882-1951).

[145] G. Unia, Scacco ad Eichmann: un italiano salva migliaia di ebrei dalla ferocia nazista, Nerosubianco, Cuneo 2012.

·

Per saperne di più
AA.VV., Fecero la scelta giusta. I Poliziotti italiani che si opposero al nazifascismo, due volumi, a cura di R. Camposano, Polizia di Stato, Roma 2025. P.L. Guiducci, Il senso di una scelta. Aspetti storici della Polizia di Stato, in: ‘San Paolino’s Voice’, 26 gennaio 2015. Id., Shoah a Fiume. Giovanni Palatucci “Giusto tra le Nazioni”. Ricerca storica, testimoni, documenti trovati, evidenze, EDUCatt Milano 2024. Id., Un poliziotto nella Roma occupata dai Tedeschi (1943-1944), in: ‘Storico.org’, giugno-luglio 2019.

Ringraziamenti
Dott. Ermanno Smulevich. Dott. Olinto Domenichini. Dott. Raffaele Cam