MASSINISSA, RE AFRICANO E ALLEATO DI ROMA

di Max Trimurti –

 

Il sovrano numida contribuì alla vittoria di Roma su Cartagine nel 202 a.C. Così è ricordato il prezioso alleato dell’Urbe. In realtà Massinissa è stato il principale attore della storia africana del II secolo a.C.

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Massinissa, re della Numidia da circa mezzo secolo, muore nel 148 a.C., allorché ha inizio l’assedio di Cartagine da parte dei Romani. Questo sovrano africano aveva saputo utilizzare la forza militare, ma soprattutto i vantaggi diplomatici della sua condizione di alleato di Roma, per ingrandire il suo regno a spese di Cartagine. Ma chi era veramente Massinissa? Un semplice vassallo di Roma o un re ambizioso? E per quale motivo ha segnato la sua epoca e la tradizione letteraria romana?

Il ribaltone del principe

L’alleanza fra Massinissa e i Romani ha inizio nel 206 a.C., in occasione della Seconda guerra punica. In quel momento le legioni romane stanno per prendere un vantaggio decisivo nello scontro che le oppone, dal 218 a.C., alla città di Cartagine. Publio Cornelio Scipione, il capo dell’esercito romano, vincitore a Ilipa, è diventato il padrone di tutti i possedimenti cartaginesi nella penisola iberica. In Italia, il generale cartaginese Annibale Barca non può contare più che sulle sue sole forze. In Africa, i regni libici dei Mauri, a ovest, e dei Numidi, ad est, forniscono tradizionalmente contingenti militari a Cartagine. I Numidi sono divisi in due regni, quello dei Massesili, al centro, e quello dei Massili a est. Ma il re massesile Siface, il più potente, è tentato dall’alleanza con Roma. Gaia o Gala, re dei Massili, ha inviato invece suo figlio Massinissa con i suoi cavalieri a combattere in Spagna nelle file dell’esercito cartaginese. Ma è proprio quest’ultimo che prende l’iniziativa di allearsi con i Romani. Gli autori Appiano Alessandrino e Dione Cassio, che scrivono in greco, ci hanno lasciato una visione romanzata del ribaltone di Massinissa: i Cartaginesi avrebbero oltraggiato il principe mancando alla promessa di dargli in sposa la bella principessa cartaginese Sofonisba, dandola invece a Siface, per sviarlo dalla sua intenzione di schierarsi dalla parte dei Romani. Tito Livio, storico romano del I secolo, ci fornisce una spiegazione più politica e senza dubbio più credibile: “Massinissa ha avuto un incontro segreto con (il luogotenente romano) Iunius Silanus e, con un piccolo numero di compatrioti, passa in Africa per convincere il suo popolo a obbedire ai suoi nuovi progetti; la ragione di un cambiamento così improvviso, il fatto che egli abbia allora agito certamente con una ragione plausibile, si è potuto capirlo solamente più tardi, come è dimostrato dalla sua fedeltà nei confronti di Roma, fino alla sua estrema vecchiaia”.
Nel 206 a.C. Massinissa, impressionato dalla potenza militare romana, chiede un incontro con Scipione nel corso del quale offre a Roma i suoi servigi. Suo padre è morto all’inizio dell’anno e, secondo il sistema di successione in vigore, tocca al fratello del re defunto, Esalce, come maschio anziano della famiglia, salire sul trono numida: in questa situazione, Massinissa, principe senza trono, ha tutto da guadagnare da un’alleanza con i Romani. Ma nello stesso anno, alla morte di Esalce e del suo figlio maggiore, egli è costretto a rientrare precipitosamente in Numidia, dove un membro della famiglia reale, Mazetullo, si è impadronito del potere. Massinissa, erede legittimo al trono, cerca di recuperare il suo regno, mentre Mazetullo che si era avvicinato a Siface, non essendo riuscito ad avere sufficienti sostegni locali, è costretto a vivere diverse avventure come un capo banda fuggitivo e inseguito. Il racconto delle sue peripezie in Africa, riportato da Tito Livio, sembra un vero e proprio romanzo d’avventura, dai molteplici colpi di scena. Vi si incontra l’eroe che reclama giustizia, il furbo, l’avversario pretenzioso, in un ambiente quasi da… film western: il passaggio nella montagna con una imboscata, il fiume impetuoso, la caverna rifugio, gli inseguimenti ecc.

La campagna d’Africa

Nel 204 a.C., Scipione sbarca in Africa e Massinissa, alla testa di qualche cavaliere, raggiunge il campo romano. A quell’epoca egli non è che un ufficiale di cavalleria cartaginese transfuga e partecipa alle principali operazioni militari contro Cartagine. Il principe numida e i suoi cavalieri, reputati efficaci e valorosi, forniscono a Scipione un rinforzo considerevole, anche sotto l’aspetto informativo e sulla conoscenza del terreno. In effetti, dall’inizio della guerra, i Romani hanno imparato a temere la cavalleria leggera cartaginese, composta in gran parte da Numidi, mentre la cavalleria è proprio il punto debole dell’esercito romano. I cavalieri numidi sono pertanto diventati dei contingenti speciali, riconosciuti e particolarmente apprezzati nell’esercito romano. Scipione ha saputo rivoltare contro i Cartaginesi le forme di combattimento nelle quali i cavalieri numidi erano maestri e che Annibale, prima di lui, aveva utilizzato con profitto contro le legioni romane in Italia.
Nella primavera del 204 a.C. Massinissa prende parte alla conquista di Salaeca, città nella quale si era rifugiato il generale Annone, incaricato della difesa del territorio cartaginese. Scipione utilizza Massinissa come un’esca per attirare i cavalieri cartaginesi davanti alla città.
Nel 203 a.C. i due eserciti si affrontano nelle Grandi Pianure, nella media valle del Medjerda. I cavalieri di Massinissa vengono schierati sull’ala sinistra. Dopo aver spinto il nemico, si lanciano all’inseguimento di Siface che aveva definitivamente scelto il campo cartaginese e che è costretto a fuggire a ovest: il re viene fatto prigioniero e Massinissa ne approfitta per riconquistare il suo regno. Scipione gli attribuisce quindi il titolo di Re dei Massili, confermato qualche settimana più tardi dal senato romano.
La battaglia decisiva avviene a Zama, nel 202 a.C., di fronte ad Annibale, richiamato dall’Italia dalla madrepatria. Scipione, questa volta, schiera la cavalleria italiana sull’ala sinistra e i Numidi di Massinissa sull’ala destra; egli affida loro il compito di impegnare le ali nemiche che sono di fronte, di inseguire i fuggiaschi a fondo in modo da evitare il loro ritorno sul campo di battaglia e quindi di rientrare sul tergo del nemico, prendendo a rovescio la fanteria. La rapidità della manovra è tale che non lascia ad Annibale il tempo di vincere sulla fanteria romana prima del ritorno della cavalleria di Massinissa, che in questo caso gioca un ruolo decisivo.
Massinissa, salutato come amico e alleato del popolo romano, riceve importanti ricompense onorifiche. Egli regna ormai su un territorio molto vasto che ingloba il vecchio regno di Siface all’ovest e che fiancheggia a est i possedimenti cartaginesi.

Fra l’Africa e Roma

Esistono pochi documenti africani su Massinissa: la lingua amministrativa del regno era senza dubbio quella punica, derivata dal fenicio, in quanto il libico è piuttosto una lingua parlata. Ci rimane oggi tuttavia la dedica bilingue del tempio reale consacrato nel 139 a.C., sotto il regno di Micipsa, figlio di Massinissa, nella località di Dougga. Si dispone ugualmente di monete di bronzo fatte coniare da Massinissa con la sua effige. Esse ci forniscono i soli ritratti del re: un viso spigoloso con un forte naso, la barba a punta, i capelli ricci e la testa cinta da una corona d’alloro, segno regale, alla maniera dei sovrani ellenistici, che Massinissa imita per impressionare i suoi sudditi.
Per delineare le origini, la personalità e le azioni del re numida, è inevitabile riferirsi alle fonti letterarie greche e romane. Ma che affidabilità attribuire a racconti che riflettono l’interpretazione romana di un re straniero alleato di Roma? In effetti, Massinissa è un personaggio decisamente esotico per i Romani. Peraltro, le fonti lo mettono in scena in quanto attore importante della politica romana e lo presentano sempre sotto l’aspetto dell’alleato esemplare. Risulta comunque possibile evidenziare la sua forte personalità nei passaggi che gli dedica Polibio, nel 150 a.C., ricordati da autori posteriori.
Vi si scopre un Massinissa senza pietà in combattimento, che esige dai suoi uomini lo stesso coraggio che egli stesso dimostra, il rigore e la disciplina che egli si impone per sopportare tutte le privazioni e tutte le fatiche. Plutarco scrive, poco prima della sua morte, all’indomani di una grande vittoria riportata sui Cartaginesi: “… si può ammirare Massinissa, davanti alla sua tenda, mentre mangia un duro crostone di pane. Uomo inflessibile, questo grande politico non ammette il tradimento: egli non esita a far giustiziare 2500 Numidi che combattono per i Cartaginesi e che si era fatto consegnare dai Romani dopo la resa”. Gli storici riferiscono ancora che, da principe tribale, egli deve tenere conto della tradizionale turbolenza dei Numidi e della loro tendenza a rimettere in discussione qualsiasi forma di autorità. Tuttavia egli sa conquistare il cuore dei suoi sudditi e durante il suo regno deve far fronte solamente a due rivolte.
Attraverso gli aneddoti si può comprendere la complessità di una personalità ispirata a una triplice cultura: figlio di una profetessa e di un principe massile, egli non rinnega mai la sua eredità ancestrale. Allevato nella città di Cartagine, rivestito di romanità, egli conduce nel palazzo di Cirta una vita ricalcata su quella dei principi ellenistici: organizza banchetti raffinati serviti con stoviglie d’oro e d’argento, accompagnati da concerti animati da musicisti venuti dal mondo greco. Suo figlio Mastanabale (re dal 148 al 140 aC.) riceve una educazione greca e riuscirà a vincere nel 158 a.C. la corsa di cavalli delle Panatenee ad Atene.
A seconda delle circostanze, Massinissa gioca su uno o sull’altro lato della sua personalità. Si comporta a volte come un capo clan, crudele, soprattutto in guerra, dove, si dice, egli affida la sua guardia a una muta di cani feroci. Ma sa ugualmente dare di sé stesso l’immagine di un sovrano civilizzato e raffinato.

Creatura di Scipione?

Come è stato evidenziato, Massinissa deve il suo regno a Scipione e al Senato romano. Secondo Tito Livio, egli si considera come l’intendente di un regno nel nome di Roma. Lo storico inglese Ernst Badian (1925-2011) esprime nei suoi riguardi un giudizio molto severo: “Più che un re, Massinissa è stata la creatura di Roma e di un romano (Scipione): da questo deriva la sua lealtà e la sua prontezza a eseguire i desideri di Roma, se non ad anticiparli”.
Questo punto di vista deve essere attenuato. Dopo la seconda guerra punica, tutta la politica del re numida contribuisce a elevare il suo regno al rango di ciò che noi oggi chiameremmo “potenza media”, diventando, in particolare, padrone delle ricche regioni agricole e delle coste marittime a est, allacciando relazioni col mondo ellenistico e rinforzando le strutture politiche ed economiche del regno.
Certamente, egli ha rispettato tutti i suoi obblighi di alleato: invio di ambasciate, di contingenti di cavalieri numidi, di carichi di grano, ma anche di pantere, struzzi e leoni per i giochi del circo. Massinissa porta ancora il suo aiuto ai Romani in occasione delle operazioni di pacificazione in Spagna, a partire dal 153 a.C. Nel 151 a.C., mentre è impegnato in una difficile guerra contro Cartagine, il re numida – scrive Valerio Massimo (storico romano del I secolo a.C.) – “mette a disposizione di Publio Cornelio Scipione Emiliano, perché era l’erede di Scipione l’Africano, una parte importante dell’aristocrazia dell’esercito numida, affinché la conduca in Spagna al console Licinio Lucullus, che lo aveva inviato a procurarsi degli ausiliari”.
Al di là dell’aiuto militare, questo passaggio evidenzia i rapporti speciali che uniscono il re dei Numidi alla famiglia degli Scipioni. Alle relazioni fra stati si aggiungono dei legami personali nell’ambito di un sistema complesso, retto dalla nozione di lealtà (fides), da relazioni di ospitalità, d’amicizia, ma anche di clientela fra rappresentanti della nobiltà di Roma e principi stranieri.
Massinissa trae vantaggio da questa posizione per indebolire Cartagine, utilizzando le clausole del trattato del 202 a.C., che vietano alla città punica di intraprendere qualsiasi azione militare senza l’accordo di Roma e riconoscendo al re numida il diritto a recuperare i territori che erano appartenuti ai suoi antenati massili. Agendo con prudenza e facendo sistematicamente ricorso all’arbitraggio di Roma, egli attende l’esilio di Annibale in Oriente nel 195 a.C. per dare inizio ai suoi sconfinamenti. Riesce a prendere a Cartagine i magazzini e le città lungo la costa della piccola Sirte, dei quali il Senato gli riconosce il possesso nel 163 a.C. Poi nel 153 a.C. rivendica la ricca regione agricola della Grandi Piane e quella di Mactar.
Per conseguire i suoi obiettivi, utilizza la forza delle armi, ma non esita a ricorrere ugualmente all’arma psicologica della disinformazione, facendo circolare voci sui “tradimenti di Cartagine”. In tal modo, nel 174 aC., egli denuncia l’invio di emissari cartaginesi presso il re Perseo di Macedonia, allora nemico dichiarato di Roma. Con grande abilità approfitta del timore che hanno i Romani di vedere Cartagine ridiventare un pericolo. E nel momento in cui Cartagine fa ricorso all’arbitraggio di Roma, l’azione cade sistematicamente nel nulla.
Massinissa, abile diplomatico, sa destreggiarsi fra Roma, il Senato, i suoi legami con gli Scipioni e l’amicizia del popolo romano. La stessa volontà di affermare la posizione del suo regno, spiega la natura delle sue relazioni con il mondo greco. Egli offre a Rodi tuia e avorio per la fabbricazione di statue e annoda legami con il re d’Egitto, Tolomeo VIII l’Evergete.
Questa volontà di partecipare agli affari del mondo va di pari passo con la preoccupazione di rinforzare, sul modello ellenistico, l’organizzazione dinastica di un potere fino a quel momento molto allentato e basato sull’adesione dei capi delle grandi tribù. Senza arrivare a stabilire un potere assoluto, Massinissa accresce l’autorità reale, incoraggiando, in particolare, lo sviluppo delle città. L’ellenizzazione della sua capitale, Cirta, dove vi insedia una colonia di Greci, ne è il simbolo più evidente.
Massinissa si dota dei mezzi finanziari per questa sua politica attiva e ambiziosa. Se non ha introdotto l’agricoltura nel suo regno, come ha scritto Polibio, poiché essa esisteva già, il sovrano, cosciente dell’importanza del grano nel mondo mediterraneo dell’epoca, contribuisce a svilupparla, moltiplicando le grandi proprietà affidate ai suoi figli. Sotto il suo regno la Numidia diventa un paese esportatore di grano, come dimostrano le regolari consegne effettuate a Roma. Egli offre grano anche all’isola di Delos: la vendita procura qualche migliaio di dracme per il tempio di Apollo. Questa cerealicoltura attira i mercanti greci e italiani e apre alla Numidia i più attivi circuiti commerciali.

La fine di un re

Nel 153 a.C., come già evidenziato, Massinissa rivendica le Grandi Piane. L’ambasciata romana inviata per risolvere il nuovo litigio fra il regno numida e i Cartaginesi non risolve il problema e i Cartaginesi, innervositi, prendono le armi contro il re che, sebbene ottantottenne, non esita a dirigere le operazioni militari e ad assediare la città di Oroscopa. Ma l’atto dei Cartaginesi costituisce una violazione del trattato del 202 a.C. e fornisce ai Romani il pretesto di cui avevano bisogno: si tratta dell’inizio della Terza guerra punica. Massinissa ha, in tal modo, fornito a Roma il pretesto per farla finita con Cartagine.
Non è certo che il vecchio re abbia effettivamente desiderato proprio questo sviluppo. In realtà, si evidenzia un temporaneo raffreddamento nelle relazioni con Roma. Tuttavia, molto rapidamente Massinissa si adatta alla situazione e ridiventa nuovamente l’alleato fedele di sempre. Dopo la sua morte, nel 148 a.C. è suo figlio Gulussa che guida i rinforzi numidi al generale romano, Publio Scipione Emiliano.
Il bilancio del regno di Massinissa è pertanto positivo: egli ha ingrandito il suo regno e ha contribuito allo sviluppo economico del suo paese. Tuttavia, l’opera di unificazione delle terre libiche, senza il territorio di Cartagine, non è completa. Il progetto si scontra con la volontà di Roma, che Massinissa non ha voluto (o non ha potuto) affrontare. Alla vigilia della sua morte, affida i suoi figli a Scipione Emiliano e raccomanda loro di obbedirgli “qualunque sia il modo con il quale suddivideranno il suo patrimonio”. Egli riconosce in tal modo che i destini della Numidia dipendono dai Romani. Ma occorrerà ancora un secolo affinché la Numidia, dopo la vittoria di Giulio Cesare nel 46 a.C., possa essere integrata nell’Impero romano.

Per saperne di più
Gaetano De Sanctis, “Massinissa”, in Enciclopedia Italiana, vol. 22, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1934.
P. G. Walsh “Massinissa”, in Journal of Roman Studies, 1965.
Giovanni Brizzi, Storia di Roma. 1. Dalle origini ad Azio, Bologna, 1997.
André Piganiol, Le conquiste dei romani, Milano, 1989.
Howard H. Scullard, Storia del mondo romano. Dalla fondazione di Roma alla distruzione di Cartagine, vol.I, Milano, 1992.
Yann Le Bohec, Histoire militaire des guerres puniques, Monaco & Paris, 1995.
Yann Le Bohec, Histoire de l’Afrique romaine: 146 avant J.-C. – 439 après J.-C., Paris, 2005.