INGHILTERRA E MEDITERRANEO TRA XVI E XVIII SECOLO
di Pietro Silva -
L’ascesa in campo navale e coloniale dell’Inghilterra ebbe inizio nel bacino mediterraneo sul finire del XVI secolo, con la rivalità tra Elisabetta I e Filippo II e la sconfitta dell’Invincibile Armada. Lo storico Pietro Silva (1887-1954) sintetizza con rara efficacia la sequenza di episodi che condusse poi alla fatidica data del 1704, con l’occupazione di Gibilterra e il progressivo controllo inglese del Mediterraneo.
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La guerra di Successione di Spagna costituì per l’Inghilterra l’occasione per sviluppare la grande azione politica e militare diretta non solo a spezzare il tentativo egemonico della Francia di Luigi XIV, ma anche ad accelerare la sua ascesa al primato nel campo navale e coloniale.
Al momento della lotta formidabile l’Inghilterra si presenta già coi suoi caratteri di nazione marinara e coloniale e industriale, e cioè di nazione ben diversa dall’Inghilterra medievale, che era stata una terra prevalentemente di agricoltori e, più ancora, di pastori, nelle cui vaste pianure messe a prati venivano allevati greggi di pecore e di montoni le cui lane erano non lavorate nel paese, giacché gli abitanti non ne avevano la capacità, ma trasportate sui mercati dei Paesi Bassi, dove erano vendute o agli stessi operosi e industri Fiamminghi, oppure ai mercanti italiani. Anche per quel che riguarda la vita del mare l’Inghilterra poco si distingue nel Medioevo: al tempo di Riccardo Cuor di Leone, maestri degl’Inglesi nell’arte di navigare furono i marinai di Genova; e in genere possiamo dire che fino al secolo xv le principali imprese guerresche degl’Inglesi furono non sul mare, ma in terra, nelle pianure di Francia e dei Paesi Bassi.
Ma nel secolo XVI, e specialmente nella seconda metà di questo, un gran cambiamento si delinea. Le fortunate imprese spagnole e portoghesi d’oltre Oceano dirigono l’attenzione degl’Inglesi verso le nuove terre, cosi invitanti col doppio fascino del mistero e della ricchezza, sulla cui strada la loro patria era, per così dire, situata: ecco le prime spedizioni promosse dal Governo inglese, ma guidate, giova ricordarlo, da Italiani, i Caboto, che portano alle scoperte sulle coste dell’America del Nord. Poco dopo abbiamo in Inghilterra i primordi dell’industria: dalle opposte sponde del Mar del Nord, dai Paesi Bassi, cominciano a riversarsi nella grande isola fiotti di gente: sono Fiamminghi, ribelli alla intolleranza politica e religiosa di Filippo II, che abbandonano la patria percossa e dilaniata, e cercano nella protestante Inghilterra la pace e il rifugio, e vi portano i segreti della loro esperienza nel lavorare e nel produrre. Lo sviluppo di un’attività produttrice e l’incremento della navigazione determinano la formazione d’iniziative d’armatori e di mercanti che costituiscono società, e riuniscono piccole flotte, e affrontano lunghi viaggi per tentare imprese commerciali lecite, e anche illecite, quali sarebbero quelle del contrabbando con le colonie iberiche – rigidamente chiuse agli stranieri col sistema del monopolio -; della tratta degli schiavi rapinati sulle coste d’Africa e venduti su quelle d’America, dell’attacco piratesco ai ricchi galeoni portanti nella Spagna i prodotti delle colonie americane. Ecco da quest’ultima serie di attività svilupparsi le serie di corsari audacissimi, come il Drake, lo Hawkins, il Frobisher, esperti in tutte le arti e le astuzie della navigazione e della lotta, pronti ad affrontare ogni rischio, che costituiranno il nucleo delle prime flotte regie con le quali l’Inghilterra, combattendo la Spagna, getterà le basi della propria potenza marinara. Così l’Inghilterra, paese di contadini e pastori, si avvia a diventare paese d’industriali, di commercianti, di marinai, di colonizzatori. La valorizzazione dell’Atlantico per effetto delle grandi scoperte geografiche, e la nuova situazione creata nell’Europa occidentale dalla Riforma preparano tale trasformazione, cui è legato il periodo di regno di una caratteristica figura di sovrana, Elisabetta, che si erge nella storia come la rivale di Filippo II di Spagna.
È bello e interessante rilevare l’antagonismo tra queste figure di prim’ordine, che regnarono contemporaneamente quasi per lo stesso numero d’anni: il Re dal 1556 al 1598, la Regina dal 1558 al 1603; il Re campione rigido della restaurazione cattolica e della lotta contro l’eresia protestante, la Regina indomita pala-dina delle nuove energie del protestantesimo. Nel loro conflitto, che si svolge, quasi per mezzo secolo, per terra e per mare, in Europa e nelle Colonie, con mezzi subdoli e con aperta guerra, e dal quale vediamo sorgere la potenza marittima dell’Inghilterra, in questo lungo e tragico duello, può dirsi simboleggiato il con-trasto tra l’Europa mediterranea, l’Europa dell’assolutismo e del cattolicesimo, e la giovane Europa che si forma ricca di nuove forze sul Mar del Nord, ed è antipapista e protestante.
Anche nel carattere e nell’aspetto dei due personaggi il contrasto era quanto mai netto. Il Re di Spagna racchiudeva sotto un’apparenza fredda, glaciale, l’orgoglio immenso che lo spingeva a credersi superiore anche allo stesso padre Carlo V, in quanto il figlio d’Imperatore è superiore al figlio di Re; la fede ardente, fanatica che lo faceva strettissimo osservante di tutte le pratiche religiose, e gl’ispirava i propositi e i piani di lotta fino allo sterminio contro i Musulmani e gli eretici; l’ostinata tenacia dei vasti piani intesi ad assicurare alla Spagna cattolica una superba egemonia nell’Europa e nel mondo. Tutto questo tumulto di forti sentimenti era nascosto dall’impassibilità di un volto cui le cure e le inquietudini dettero presto un’espressione severa, ma nel quale nessuna linea si alterava, sia pur lievemente, nemmeno all’annuncio di grandi catastrofi, come quella dell’Armada, o di grandi vittorie, come quella di Lepanto. Chiuso nei suoi appartamenti in quell’Escuriale, che più che di reggia ha l’aspetto di fortezza e di convento, in contatto con pochissimi, logorantesi da mane a sera nell’immane fatica di tener dietro a tutte le pratiche di governo del vastissimo Stato e di una politica le cui trame si estendevano dovunque, Filippo II gravò come un incubo sull’Europa.
Ben diversa la Regina d’Inghilterra. Temprata nei travagli e nelle dure prove dell’agitata giovinezza, Elisabetta riuscì a mettere in valore il naturale ingegno con una forza non comune di volontà e con una straordinaria facoltà di assimilazione, cui s’univa un’energia fisica che le permetteva di passare senza fatica tutta una giornata cacciando o tutta una notte nelle danze e agli spettacoli. Salita ventenne e inopinatamente sul trono e da una situazione di disgrazia, vi rimase per mezzo secolo, autoritaria, infatuata delle proprie prerogative, femminilmente vana di quelle che credeva le sue grazie eccezionali, collerica fino ad eccessi volgari, esuberante nella manifestazione dei propri sentimenti, ma anche abile, energica, dominatrice, accorta sfruttatrice dei talenti e della devozione dei ministri e dei sudditi.
E se il regno di Filippo II prepara la decadenza della Spagna, quello di Elisabetta prepara la grandezza dell’Inghilterra moderna. Mentre, dietro l’esempio dell’attività dei profughi fiamminghi, si sviluppa una produzione nazionale, sir Walter Raleigh, scoprendo ed occupando il territorio che in onore della Regina chiamò Virginia, getta le basi dell’Impero coloniale; e la costituzione della Compagnia dei mercanti di Londra per i commerci oltremarini forma il primo nucleo di quella che sarà la grande Compagnia delle Indie, conquistatrice di un Impero; e s’inizia infine la potenza marittima con le spedizioni – come quella famosa del Drake dal 1577 al 1580 divenuta la seconda circumnavigazione del globo – cominciate con intenti pirateschi, ma assurte ad importanza grande per l’ardimento col quale venivano compiute, per il valore dei risultati, per le prove di abilità, di costanza, di coraggio indomito, di portentosa energia di chi le guidava, per l’allenamento di quei navigatori alla vita e ai pericoli del mare: basta, a questo proposito, ricordare che la catastrofe dell’Invincibile Armata nel 1588 fu determinata, oltre che dall’imperizia degli Spagnoli e dall’avversità degli elementi, dall’audacia e dall’abilità delle squadre corsare, che, comandate dai loro capi, costituivano gran parte della flotta britannica.
Il trionfo sull’Invincibile Armada avviò l’Inghilterra al predominio marittimo, che doveva essere raggiunto attraverso sforzi ininterrotti, e con l’eliminazione successiva delle rivali potenze di Spagna, di Olanda e di Francia. È una storia di un secolo e mezzo, non solo mirabile per il valore e la tenacia che gl’Inglesi rivelarono ma anche caratteristica per la spregiudicatezza con cui, delineato il programma e fissato il fine, furono messi in opera i più vari e opposti mezzi, e per la continuità con cui la politica per il predominio navale e coloniale fu esplicata, malgrado il mutare di Governi e dei regimi. Quando la rivale da combattere era la Spagna di Filippo II e di Filippo III, l’Inghilterra cercò l’alleanza delle Province Unite olandesi; cosi la flotta inglese e la flotta olandese mossero insieme nell’attacco contro le coste spagnole, dopo il disastro dell’Armada, e al memorabile saccheggio di Cadice del 1596; e già prima aiuti britannici avevano efficacemente alimentato la lotta degli insorti dei Paesi Bassi contro la Spagna. Affermatasi poi col secolo XVII, sul declinare della potenza marinara spagnola, la rapida, quasi miracolosa, fioritura dell’espansionismo navale e coloniale degli Olandesi, monopolizzatori dei traffici sul mare e conquistatori di un impero nell’Oceano Indiano, ecco l’Inghilterra combattere vigorosamente l’antica alleata, e allearsi nella bisogna, come fece sotto il regno di Carlo II, con la Francia di Luigi XIV; per poi invertire le parti e allearsi con l’Olanda contro la Francia, quando la fioritura dell’espansionismo olandese s’inaridì e l’Olanda passò in seconda linea, e si affermò invece minaccioso l’espansionismo francese, che il Colbert aveva armato economicamente e militar-mente con l’impulso dato alla marineria mercantile e da guerra, alle industrie, alle compagnie di commercio, agli stabilimenti coloniali in America, in Africa, in Asia.
Tale la linea della politica britannica dai giorni di Elisabetta a quelli di Guglielmo d’Orange, mantenuta fedelmente pure attra-verso le gravissime crisi interne di quel periodo, tanto che vediamo Cromwell, abbattitore della monarchia e giustiziere di un Re, non discostarsi da quello che era stato il programma della Monarchia, anzi intensificarne lo sviluppo con la lotta contro l’Olanda e con l’alleanza francese; lotta ed alleanza continuate poi da Carlo II, restauratore della monarchia degli Stuardi; allo stesso modo che al programma si attenne, sviluppandone la parte anti-francese, Guglielmo di Orange, pur chiamato al trono dalla rivoluzione parlamentare che aveva cacciato gli Stuardi.
E i frutti di tale continuità furono cospicui. Non solo l’Inghilterra vide affermarsi e a poco a poco consolidarsi il proprio primato navale sulla rovina degli antagonisti, ma portò al massimo incremento i traffici oltremarini; e sulle coste dell’America settentrionale, nelle Antille, in India gettò e allargò le basi di quello che doveva diventare il più grande Impero del mondo.
La crisi della Successione di Spagna all’inizio del secolo XVIII offriva il modo alla già vigorosa potenza britannica di continuare lo sviluppo del programma grandioso, colpendo la Francia nel continente europeo e la Spagna nelle colonie oltremarine. Con tali intenti fu preparata e iniziata la lotta, che doveva condurre gli Inglesi ad insediarsi stabilmente nel Mediterraneo.
Questo definitivo insediamento, evento di straordinaria importanza nella storia mediterranea, era stato preceduto, o meglio preparato, da una serie di vicende e di azioni attraverso le quali vediamo la politica britannica sempre più attirata e impegnata nel grande mare interno, tanto che alla luce di questi precedenti l’evento del 1704, l’occupazione di Gibilterra, appare come il fatale coronamento di un’attività da gran tempo sviluppantesi.
È all’inizio del secolo XVI, e cioè allo stesso inizio della potenza navale britannica, che si hanno i primi segni dell’azione mediterranea inglese: una nave inglese appare in Mediterraneo e una compagnia inglese si forma per il commercio in quel mare. Ben presto attivi rapporti sono intrecciati con Venezia e col Granducato mediceo, il cui porto di Livorno diviene uno dei principali centri del commercio inglese.
All’inizio del secolo successivo, ecco in Mediterraneo un pirata inglese, il Ward, che si insedia in Barberia e che si getta in una serie di imprese con le quali si inizia accanto all’attività commerciale, l’attività bellica dell’Inghilterra in Mediterraneo. A quel primo sintomo che pure preoccupò la Spagna, altri presto seguirono, ben più gravi e inquietanti. Nel 1617 il Viceré di Napoli, duca d’Ossuna, che aveva riorganizzato le forze navali spagnole in Mediterraneo, minacciò Venezia; questa per difendersi, pensò di chiedere all’Inghilterra navi e soldati, e allora il Re Giacomo I si dimostrò pronto ad accogliere la richiesta, il che bastò per troncare il tentativo spagnolo. Qualche anno dopo, nel 1620, ecco in Mediterraneo la prima spedizione navale inglese, quella del Mansell contro i pirati di Algeri. E con queste prime azioni si delinea, fatto sintomatico, l’idea dell’occupazione di qualche base; si pensa a Gibilterra, e si pensa ad attirare nell’orbita britannica Genova, togliendola alla clientela spagnola. Anche le tempestose vicende delle lotte tra Parlamento e Stuardi contribuiscono allo sviluppo dell’attività britannica in Mediterraneo. Nel 1650 la flotta del Parlamento, comandata dal Blake, entra in Mediterraneo a combattervi la flotta fedele agli Stuardi comandata dal principe Ruperto del Palatinato, e sviluppa un’azione nelle acque baleariche e lungo le coste spagnole e francesi, ed è poi sostituita l’anno successivo da una più grande squadra destinata a stazionare a lungo nelle acque mediterranee. Cosi che, come giustamente osserva il Corbett, con l’azione del Blake si può segnare l’inizio di una vera permanente politica inglese in Mediterraneo.
Gli effetti di ciò si videro negli anni immediatamente successivi: nel 1652-53, quando nelle acque tra Livorno e l’Elba si svolse un’accanita fase della prima guerra anglo-olandese; nel 1654, quando Blake ritornò in Mediterraneo con una flotta, e prima impedì il congiungimento della squadra francese dell’Atlantico con le navi del Duca di Guisa facendo fallire il tentativo di questi contro Napoli, e poi inflisse un grave colpo alle marinerie barbaresche bombardando Porto Farina, dove era concentrato un gran numero di navi destinato ad aiutare il Sultano nell’impresa di Candia; e ancora nel 1656-1658, quando l’azione di una squadra inglese nel Mediterraneo, in unione con le forze francesi, ebbe decisivo influsso a piegar la Spagna alla pace dei Pirenei.
Gli anni di queste imprese sono gli anni della dittatura e della vigorosa politica di Cromwell. Va ricordato che proprio il Lord Protettore, durante la lotta contro la Spagna, sostenne il piano dell’occupazione stabile in Gibilterra, per farne una base per le forze navali inglesi nel Mediterraneo. Il piano fu abbandonato per concentrare le forze nell’impresa di Dunkerque, ma l’idea era di quelle destinate a svilupparsi. Ormai il Mediterraneo era decisamente entrato nella sfera d’azione britannica, come bene apparve nel periodo successivo a quello della dittatura cromwelliana, sia durante la restaurazione degli Stuardi, sia al tempo di Guglielmo III.
AI regno di Carlo II Stuart è infatti legato l’episodio cosi significativo dell’occupazione di Tangeri, ultimo avanzo dei possessi portoghesi in Marocco, portato in dote al Re nel 1661 dalla sposa Caterina di Braganza. Carlo II considerò la base marocchina come base di una espansione mediterranea e africana, e perciò fece grandi sacrifice e sforzi per tenerla contro le insidie spagnole e francesi e gli attacchi dei Mori, e per munirla di fortificazioni e di un molo, opere tutte che vennero distrutte nel 1684, quando la posizione fu abbandonata.
Quanto a Guglielmo III, va ricordato che per sua volontà, nel 1694, durante la guerra della Lega d’Augusta, per vibrare alla Francia il colpo decisivo, fu mandata in Mediterraneo la poderosa flotta comandata dal Russell.
L’intensificata azione inglese in Mediterraneo nella seconda metà del secolo XVII ebbe, tra gli altri effetti, quello dello sviluppo dell’amicizia anglo-sabauda. I duchi di Savoia, che già dai tempi di Emanuele Filiberto avevano con Andrea Provana cominciato a organizzare una propria marina, erano tratti ad un orientamento verso l’Inghilterra, oltre che da interessi commerciali, dalla giusta considerazione dell’aiuto che dall’Inghilterra poteva venire contro eccessive e pericolose pressioni francesi.
Carlo Emanuele II vinceva gli scrupoli religiosi per una alleanza con l’Inghilterra protestante pensando ai suoi vantaggi commerciali per il suo Stato, e, più ancora, ai vantaggi politici, in quanto tale alleanza lo avrebbe liberato dall’oppressione dei vicini, e lo avrebbe fatto meglio apprezzare dagli amici e temere dai nemici.
Il Governo britannico, dalla sua parte, aveva interesse a stringer buoni rapporti con lo Stato Sabaudo, e all’occasione a sostenerlo, perché, per le ragioni stesse della propria conservazione e della propria integrità, tale Stato era portato a opporsi a eccessivi aumenti della potenza francese. Si trovano in questa situazione politica elementi destinati a svilupparsi e ad agire potentemente nei futuri rapporti italo-britannici durante il Risorgimento italiano.
Le vicende della guerra di Successione di Spagna portarono la politica mediterranea britannica al fatale risultato dell’occupazione di basi navali. Già la volontà di raggiungere tale risultato si era rivelata durante le trattative diplomatiche che precedettero lo scoppio della guerra, quando Guglielmo III dichiarò esplicitamente che se i Borboni ottenevano la Spagna, Minorca doveva essere inglese. Scoppiata la guerra, gli obbiettivi mediterranei britannici apparvero con impressionante chiarezza nella piega che la guerra assunse dopo l’episodio dei galeoni di Vigo.
A Vigo, nella magnifica e profonda baia, ben protetta dalle fortificazioni costruite sulle isole guardanti l’accesso del lungo canale che mette in comunicazione la baia con l’Oceano, aveva, nell’ottobre 1702, trovato rifugio un convoglio di galeoni diretto a Cadice, e impedito di raggiungere la meta dalla squadra britannica dell’ammiraglio Rooke. Ancorato nella rada, sotto la scorta di alcune navi da guerra comandate dall’ammiraglio francese Chateaurenault, il convoglio attendeva che giungesse da Madrid l’autorizzazione a scaricare il proprio prezioso carico, autorizzazione necessaria in quanto era legge che tutti i convogli provenienti dall’America scaricassero a Cadice e a Siviglia, e i burocrati di Vigo non si sentivano di prender l’iniziativa di violar la legge.
Ma mentre i galeoni erano in attesa dell’autorizzazione, l’audace Rooke con la sua squadra forzava l’accesso della rada, e piombava sui galeoni ancorati, lasciando a Chateaurenault, colto alla sprovvista, appena il tempo di affondarne una parte per impedire che fossero predati.
L’episodio di Vigo poteva rientrare nella ormai lunga serie delle imprese della guerra di corsa; acquistò invece una grande importanza, perché sotto l’influenza di quel colpo, che dimostrava l’audacia e la forza britannica e che si era svolto cosi presso la sua frontiera, il Portogallo, fino allora incerto fra i contendenti, si decise a schierarsi dalla parte della coalizione antiborbonica, il che permise alla coalizione stessa di portare la lotta nella penisola iberica, facendo sbarcare sulle coste dell’alleato Portogallo Carlo d’Absburgo, pretendente al trono di Spagna, appoggiato da un corpo di spedizione britannico.
E allora l’Inghilterra poté esplicare una grande azione nella Spagna, dove fu portato a combattere un esercito col famoso Lord Peterborough, mentre la flotta del Rooke sorvegliava le coste tentando di impedire la congiunzione delle forze navali francesi e spagnole. Il Marlborough, che dirigeva la politica britannica, vedeva in tale azione il mezzo per giungere a vibrare alla potenza di Luigi XIV un formidabile colpo.
Tolone doveva essere la meta della campagna del Rooke. Soltanto quando l’avvenuta congiunzione delle flotte francesi e spagnole dell’Atlantico e del Mediterraneo mise l’ammiraglio inglese in condizioni di inferiorità e un’impresa di minore portata dovette sostituire il progettato colpo su Tolone, venne compiuta dal Rooke quell’occupazione di Gibilterra che Cromwell aveva vagheggiato cinquant’anni prima. Memorabile data nella storia mediterranea e britannica, il 4 agosto 1704! Da quel giorno la bandiera britannica cominciò a sventolare su una base mediterranea, anzi su una delle porte del Mediterraneo; da quel giorno si iniziò quell’espansione mediterranea britannica che doveva continuare fino ai nostri giorni, e le cui tappe sono segnate dai nomi di Minorca, di Malta, di Cipro, di Port Said e di Caifa.
(in F. Landogna, Antologia della Critica Storica, vol. 2, Torino, 1952)