LA SINDONE: UN PERCORSO TRA STORIA E RICERCA

Le origini del telo, il suo percorso storico, i luoghi in cui fu conservato e il dibattito in merito alle più recenti indagini. Il giornalista Carlo Mafera intervista lo storico della Chiesa prof. Pier Luigi Guiducci.

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La Sindone di Torino. Il volto (a sinistra). Le mani (a destra)

La Sindone di Torino: il volto (a sinistra), le mani (a destra)

La Sindone (dal greco σινδώνsindon), conservata nel duomo di Torino, è un lenzuolo sepolcrale di lino, tessuto a spina di pesce (dimensioni di circa m. 4,41 x 1,13). Vi è impressa l’immagine di un uomo che ha subìto maltrattamenti e torture compatibili con quelli descritti nella Passio Christi. In particolare nel telo si possono individuare: una ferita al piede destro, aloni causati da acqua, una ferita al costato, pieghe della tela, dei colpi di flagello, il tallone e la pianta del piede destro, delle linee carbonizzate della tela prodotte dall’incendio del 1532, i rammendi fatti dalle Clarisse di Chambéry, delle contusioni alle spalle dovute al trasporto del patibulum[1], ferite alla testa causate dalla calotta di spine, una ferita alla fronte, una ferita al polso sinistro. 

MAFERA: Prof. Guiducci, da dove ha inizio la storia della Sindone?
Il più antico riferimento alla Sindone è contenuto nei Vangeli canonici[2] e in quelli apocrifi.[3] Non ci sono altri documenti scritti risalenti all’epoca. Probabilmente per un motivo. Si temeva, in un periodo di persecuzioni romane, la distruzione del reperto. Mentre da una parte, si cercava di salvare il telo sindonico, dall’altra fu possibile ai fedeli continuare a meditare sulla Passio Christi in presenza di altre immagini collegate al Cristo sofferente. A Edessa di Mesopotamia, odierna Ufra (Turchia), ad esempio, verso il 544, le comunità cristiane orientali veneravano un telo indicato con un termine arabo: Mandylion (“asciugamano”, “fazzoletto”). Vi era raffigurato il “Volto di Gesù”. 

MAFERA: Si diffonde una specifica tipologia del volto di Cristo…
Si tratta di un fatto singolare.[4] Dal VI secolo, nella iconografia bizantina, sulla base del Mandylion, è possibile trovare delle precise caratteristiche somatiche di Cristo: volto ovale, lunghi capelli sciolti, naso sottile, barba scura. I Padri del secondo Concilio di Nicea (787), confermarono la legittimità della venerazione del Mandylion. In un periodo nel quale taluni avversavano il culto delle immagini, ritenuto blasfemo[5], l’effigie di Edessa fu citata da coloro che difesero la validità delle raffigurazioni religiose quale antica tradizione cristiana.[6] 

MAFERA: Il Mandylion rimane a Edessa?
No. Nel 639 Edessa fu occupata dagli arabi. Nel 944 il generale bizantino Giovanni Curcuas (o Kourkouas) assediò la città. Ne uscì vincitore. Il Mandylion venne portato a Costantinopoli.[7] Nel 1204, con gli eventi legati alla quarta Crociata (assedio e saccheggio di Costantinopoli), si persero le tracce del Mandylion

MAFERA: Un momento critico. E la vera Sindone?
Con riferimento al telo sindonico esiste una testimonianza. Riguarda un cavaliere francese. Si chiamava Robert de Clary.[8] Quest’ultimo, aveva partecipato alla IV Crociata (1202-1204). Ha lasciato un resoconto riguardante la conquista di Costantinopoli. Il testo è oggi conservato nella Biblioteca Reale di Copenaghen. L’A. cit. riferisce di aver visto in una chiesa di Costantinopoli la Sindone di Gesù. Precisa che, quando veniva esposta ogni venerdì, “si poteva vedere bene tutto il suo corpo come se fosse in piedi”. Questo cavaliere aggiunge poi che pochi mesi dopo i crociati saccheggiarono Costantinopoli, e rubarono tutti gli oggetti preziosi in essa conservati, inclusa la Sindone.[9] 

MAFERA: Si tende a indicare la città di Atene come nuovo luogo di conservazione della Sindone. Che ne pensa?
Su questo punto occorre ricordare un fatto. Nel 1205, il signore di Atene era Othon de la Roche.[10] Si trattava di un cavaliere della Borgogna. Barone di Ray-sur-Saone. Ricevette la nomina a megaskir (signore) di Atene per meriti acquisiti durante la IV Crociata.
In tale occasione, tra i beni incamerati dopo il saccheggio dei crociati, potrebbe aver ricevuto anche la Sindone. Conservò il Telo nella capitale greca. Raggiunse poi la Francia (probabilmente nel 1226) con il reperto.
Nel castello di Ray-sur-Saone sono conservati dei reliquiari appartenuti a Othon de la Roche. C’è pure un cofanetto con il quale, secondo l’etichetta che lo identifica, il cavaliere cit. portò la Sindone nel suo Paese.
Verso la metà del XIV secolo, il nobile Goffredo (Geoffroy) I di Charny[11], a Lirey, una località non troppo distante da Ray-sur-Saone, sposò una diretta discendente di Othon de la Roche. Si trattava di Jeanne de Vergy.[12] Questa donna, potrebbe aver portato in dote la Sindone, consegnando così il Lenzuolo a un altro cavaliere crociato. 

MAFERA: Qualche ricercatore si è interrogato su una prolungata fase di silenzio riguardo la storia della Sindone. Lei che risponde?
Esiste al riguardo un dato che può aiutare in questa indagine. Innocenzo III e i Padri del Concilio Lateranense IV (1215) condannarono il traffico di reliquie. Inoltre, la venerazione di quest’ultime non poteva avvenire senza l’autorizzazione della Chiesa. In tale contesto, si comprende la cautela della famiglia dei de La Roche e poi la prudenza dei Signori di Lirey. Nel loro caso non sarebbe stato facile giustificare il possesso di un reperto di particolare valore (erano a rischio di scomunica). 

MAFERA: Esiste, comunque, una notizia sicura riguardante la presenza del Telo in Francia?
Sì. Geoffroy I de Charny fece costruire una chiesa a Lirey (dove risiedeva). E nel 1353, vi fondò il Capitolo della Collegiata.[13] In questo luogo di culto la Sindone venne custodita all’interno di una cassa recante lo stemma dei de Charny. 

Il medaglione recuperato nella Senna.

Il medaglione recuperato nella Senna.

MAFERA: Prof. Guiducci, i dati del 1353 sono attendibili?
Sì. Il possesso della Sindone da parte di Goffredo I è provato anche da un episodio. A metà dell’Ottocento fu ritrovato a Parigi, in fondo alla Senna, un interessante medaglione di bronzo.
Era appartenuto ad un pellegrino. Quest’ultimo, verso il 1350-1360, si era recato a Lirey per venerare la Sindone. Evidentemente lo aveva portato a casa per ricordo.
Su di esso è raffigurata la Sindone con la doppia immagine, il tessuto a spina di pesce e gli stemmi delle famiglie de Charny e Vergy. È questa la prima testimonianza certa dell’esistenza di pellegrinaggi alla Sindone in Europa.[14] 

MAFERA: Perché si parla anche del memoriale d’Arcis?
Si tratta di una lettera. Il vescovo di Troyes, Pierre d’Arcis[15], la indirizzò nel 1389 all’antipapa Clemente VII.[16] Protestava contro l’ostensione pubblica di un sudario che si diceva fosse la Sindone di Cristo. L’esposizione del Telo era avvenuta per la prima volta nella chiesa parrocchiale di Lirey, nella diocesi di Troyes, e attirava molti fedeli. L’evento procurava introiti economici, e vari fedeli parlavano di miracoli attribuiti alla presenza del Lenzuolo. Per Pierre d’Arcis il reperto non era autentico. 

MAFERA: Come si concluse la vicenda?
Goffredo II di Charny (figlio di Goffredo I), inviò a sua volta un memoriale di segno contrario. A questo punto Clemente VII scelse (1390) un compromesso. Autorizzò l’esposizione della Sindone, ma impose l’obbligo di dire che si trattava di una pictura seu tabula, cioè di un dipinto.[17] Però, alcuni mesi dopo, sostituì questa espressione con la formula figura seu representacio, che non escludeva l’autenticità.[18] 

MAFERA: Intorno alla Sindone emergono contrasti…
Sì. Un motivo era economico. I fedeli che si recavano a pregare davanti alla Sindone lasciavano offerte. Alcuni anni dopo, sorse una disputa per il possesso della Sindone. 

MAFERA: Può sintetizzare…
Siamo intorno al 1415. C’era una guerra tra la Borgogna e la Francia. Per questo motivo Umberto de la Roche (secondo marito di Margherita di Charny, figlia di Goffredo II), prese in consegna il Lenzuolo e lo mise al sicuro. In seguito, però, Margherita non restituì la Sindone ai canonici di Lirey. Questi si ribellarono. La causa andò per le lunghe. Margherita, nel frattempo, organizzava ostensioni del Telo (suo marito Umberto morì nel 1448).
Nel 1449 a Chimay (Belgio), dopo una di queste ostensioni, il vescovo ordinò un’inchiesta. Margherita dovette mostrare le Bolle papali nelle quali il Telo veniva definito una raffigurazione. Per tale motivo l’ostensione fu interrotta. Negli anni successivi Margherita continuò a trattenere presso di sé la Sindone. Alla fine, nel 1453, per questioni economiche, accettò di venderla ai duchi di Savoia

MAFERA: A questo punto comincia la storia legata ai Savoia…
La capitale del ducato di Savoia era a Chambéry. Qui, fu conservata la Sindone. Per meglio custodirla venne edificata una cappella (1502). In seguito, Giulio II[19] (1506) autorizzò un culto pubblico (con messa e ufficio proprio).[20] 

MAFERA: Ma scoppia un dramma…
Purtroppo, nella notte tra il 3 e il 4 dicembre del 1532, un incendio rovinò la cappella. La Sindone stava per essere distrutta. Si riuscì, alla fine, a mettere in salvo il reliquiario d’argento già avvolto dalle fiamme. Alcune gocce d’argento fuso, però, colarono sul Lenzuolo. Per questo motivo, le clarisse di Chambéry dovettero applicare dei rammendi nei punti più estesi delle bruciature. Il Telo fu anche sostenuto da una tela di rinforzo. Nel 1534 avvenne una nuova esposizione pubblica.
Nell’anno successivo, per eventi bellici, il duca Carlo III lasciò Chambéry. Portò con sé la Sindone. In seguito il reperto fu conservato in più sedi (TorinoVercelliNizza). Nel 1560 Emanuele Filiberto[21] (successore di Carlo III) riportò la Sindone a Chambéry (vi rimase diciotto anni). 

MAFERA: Perché il Telo venne poi custodito a Torino?
Nel 1578, il card. Carlo Borromeo[22], arcivescovo di Milano, decise di andare a piedi dalla sua diocesi a Chambéry per sciogliere un voto (collegato a un’epidemia di peste poi cessata). Allora, Emanuele Filiberto fece trasferire il Telo a Torino per accorciare il pellegrinaggio del presule.
Da quel momento la Sindone rimase nella capitale del ducato di Savoia. Con due eccezioni. Nel 1706 venne portata a Genova (assedio francese di Torino). Nel 1939 fu nascosta nel santuario di Montevergine, in Campania (seconda guerra mondiale). 

MAFERA: Nel 1898 la Sindone viene fotografata…
Sì. In quest’anno ci fu un’ostensione della Sindone. L’avvocato torinese Secondo Pia[23], appassionato di fotografia, ottenne dal re Umberto I (1844-1900) il permesso di fotografare la Sindone. E qui si verificò un fatto nuovo. L’immagine della Sindone sul negativo fotografico apparve “al positivo”: l’immagine stessa era (ed è) in realtà un negativo. 

MAFERA: Nel 1902 interviene un professore agnostico…
Si tratta del francese Yves Delage (1854-1920). Agnostico. Dal 1902 fu professore di zoologia presso l’Università di Parigi. Divenne anche direttore della Stazione di Biologia Marina di Roscoff. Era membro dell’Accademia Francese delle Scienze. Proprio nel 1902 questo studioso volle esaminare un’immagine della Sindone, con particolare attenzione ai tagli delle ferite. Ne concluse che quanto osservato era autentico. E preparò una relazione da presentare in Accademia. A questo punto, il segretario della sezione di fisica, Marcelin Berthelot[24], ateo, gli chiese di riscrivere il suo intervento. Nel testo doveva essere cancellato ogni riferimento alla Sindone. Delage si oppose. E il suo lavoro non fu considerato.[25] 

MAFERA: Nuove foto nel 1931…
Nel 1931 furono scattate altre foto da Giuseppe Enrie.[26] Erano presenti dei testimoni e un notaio. Le fotografie confermarono la scoperta dell’avv. Pia. Non si riscontrano manipolazioni. 

MAFERA: Iniziano poi delle ricerche scientifiche…
Nel 1959 venne fondato il Centro Internazionale di Sindonologia (1959). Furono promossi diversi studi. Una commissione operò dopo aver ricevuto la nomina dal card. Michele Pellegrino[27] (1973). La ricerca proseguì nel 1978. Per cinque giorni, due gruppi di studiosi, uno statunitense (lo STURPShroud of Turin Research Project), e uno italiano, lavorarono con impegno. In seguito, nel 1988, tre laboratori internazionali (Tucson, Oxford e Zurigo) eseguirono l’esame del carbonio 14. La Sindone venne datata agli anni 1260-1390. Il risultato fu contestato da numerosi sindonologi. 

MAFERA: Perché?
Il lenzuolo aveva subìto nel tempo molte vicissitudini (incendi, restauri, acqua, esposizioni all’ambiente esterno, al fumo delle candele, al respiro dei fedeli, ecc.). Era quindi andato soggetto ad alterazioni e a contaminazioni. Ciò (specie l’incendio del 1532) può aver modificato la quantità di carbonio radioattivo presente nella Sindone (alterandone la datazione).
È stata fatta, poi, una scelta errata del sito di campionamento: da un unico punto, e da un angolo molto inquinato. Il dott. Leoncio Garza Valdés[28] (microbiologo dell’università di San Antonio, in Texas), inoltre, ha verificato la presenza di un complesso biologico composto da funghi e batteri che ricopre i fili sindonici come una patina e che non è eliminabile con i normali sistemi di pulizia. Nella zona del prelievo altri scienziati hanno trovato fibre di cotone che possono essere state usate per un rammendo. 

MAFERA: Dopo il 1988 esistono studi significativi?
Nel recente periodo sono state rese note diverse ricerche. Si possono ricordare, ad esempio, quelle del prof. Pierluigi Baima Bollone[29] (2006, 2022), o quelle del prof. Giulio Fanti[30] (2015; 2020; 2025).
Tra le diverse indagini, una ha utilizzato un nuovo metodo di analisi. Si chiama WAXS (Wide Angle X-ray Scattering). Utilizza i raggi X a grande angolo per valutare la degradazione strutturale che un antico tessuto di lino subisce nel tempo, in modo da attribuirgli un’età. Il metodo non è distruttivo, e si può applicare anche a un piccolo campione di filo di mezzo millimetro.
Il confronto con fili di epoche diverse ha permesso di collocare l’origine della Sindone all’epoca di Cristo, perché le misure ottenute sono paragonabili a quelle di un campione di lino proveniente dal sito archeologico di Masada, in Israele.
A queste conclusioni è giunto un gruppo di ricercatori italiani, coordinato dal fisico Liberato De Caro[31], del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Si riassumono qui di seguito i dati resi noti.
Nei laboratori dell’Istituto di Cristallografia del CNR, IC-CNR, sede di Bari, è stato possibile mettere a punto un metodo per misurare con i raggi X la lunghezza delle catene polimeriche della cellulosa e, quindi, l’invecchiamento naturale del lino, e convertirlo in tempo trascorso.
Il nuovo metodo di datazione è stato prima calibrato su altri campioni di tessuti di lino già datati con altre tecniche, e poi è stato applicato ad un campione prelevato dalla Sindone di Torino.
In particolare, è stato possibile verificare che l’invecchiamento naturale della cellulosa del campione della Sindone analizzato era paragonabile a quello di un campione prelevato dalla fortezza di Masada, in Palestina, che cadde in mano dei Romani, dopo un lungo assedio, nel 74 d.C.
Questa assoluta compatibilità con il campione di lino di Masada, che certamente ha duemila anni di storia, confermati da altre datazioni indipendenti, permette di concludere con certezza che anche la Sindone di Torino è antica di duemila anni.[32] 

MAFERA: Prof. Guiducci, può riassumere le attuali acquisizioni sulla Sindone?
1. Siamo in presenza di un lenzuolo di lino che ha certamente avvolto il cadavere di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi, trapassato da una lancia al costato.
2. Le macchie di sangue e di siero presenti sono irriproducibili con mezzi artificiali.
3. È presente sangue coagulatosi sulla pelle di un uomo ferito, e ridiscioltosi a contatto con la stoffa umida. Si tratta di sangue umano maschile di gruppo AB.
4. Oltre al sangue, sulla Sindone c’è l’immagine del corpo che vi fu avvolto. Questa, fu dovuta a degradazione per disidratazione e ossidazione delle fibrille superficiali del lino. È paragonabile ad un negativo fotografico. È superficiale, dettagliata, tridimensionale, termicamente e chimicamente stabile. È stabile anche all’acqua[33], non è composta da pigmenti, è priva di direzionalità, e non è stata provocata dal semplice contatto del corpo con il lenzuolo: con il contatto il telo o tocca o non tocca. Non c’è via di mezzo. Invece sulla Sindone c’è immagine anche dove sicuramente non c’era contatto. I suoi chiaroscuri sono proporzionali alle diverse distanze esistenti fra corpo e telo nei vari punti di drappeggio. Si può dunque ipotizzare un effetto a distanza di tipo radiante.
5. Sotto le macchie di sangue non esiste immagine del corpo: il sangue, depositatosi per primo sulla tela, ha schermato la zona sottostante mentre, successivamente, si formava l’immagine. 

MAFERA: In conclusione, l’immagine non è stata prodotta con mezzi artificiali…
Non è né un dipinto, né una stampa: sulla stoffa è assente qualsiasi pigmento. Non è il risultato di una strinatura prodotta con un bassorilievo riscaldato: le impronte così ottenute passano da parte a parte, tendono a sparire, hanno diversa fluorescenza, e non hanno caratteristiche tridimensionali paragonabili a quelle della Sindone. 

MAFERA: In tempi anche recenti riemergono pareri che insistono per una origine medievale della Sindone. Qual è la sua opinione?
È difficile sostenere la tesi medievale per più motivi: la manifattura rudimentale della stoffa, la torcitura Z (in senso orario) dei fili, la tessitura in diagonale 3 a 1, la presenza di tracce di cotone egizio antichissimo, l’assenza di tracce di fibre animali rendono verosimile l’origine del tessuto nell’area siro-palestinese del I° secolo.
Altri indizi: presenza significativa di pollini di provenienza mediorientale[34] e di aloe e mirra; la presenza di un tipo di carbonato di calcio neutro (aragonite) simile a quello ritrovato nelle grotte di Gerusalemme; tracce sugli occhi di monete coniate il 29 d.C. negli anni in cui governava Ponzio Pilato; una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del I secolo rinvenute a Masada, un’altura vicina al Mar Morto. 

MAFERA: Nel Medioevo non esistevano conoscenze storiche e archeologiche sulla flagellazione e sulla crocifissione del I secolo…
Questo è un dato significativo. L’eventuale falsario medievale non avrebbe potuto raffigurare l’Uomo della Sindone con particolari in contrasto con l’iconografia medievale: corona di spine a casco, trasporto sulle spalle del solo patibulum (la trave orizzontale della croce), chiodi nei polsi (nel punto di Desdot[35]e non nelle mani, corpo nudo, assenza del poggiapiedi.
Inoltre avrebbe dovuto tener conto dei riti di sepoltura in uso presso gli ebrei all’epoca di Cristo. Lo stesso falsario avrebbe dovuto immaginare l’invenzione del microscopio per aggiungere elementi invisibili ad occhio nudo: pollini, terriccio, siero, aromi per la sepoltura, aragonite. 

MAFERA: Esistono altre evidenze?
Il falsario avrebbe dovuto saper distinguere tra circolazione venosa e arteriosa… essere in grado di macchiare il lenzuolo in alcuni punti con sangue uscito durante la vita ed in altri con sangue post-mortem… rispettare nella realizzazione delle colature ematiche, la legge della gravità.
Inoltre, sarebbe stato impossibile trovare una vittima il cui volto fosse congruente in diverse decine di punti con le icone di Cristo diffuse nell’arte bizantina; e, soprattutto, “pestare a sangue” l’Uomo in maniera adeguata, in modo da ottenere determinati gonfiori del viso riprodotti nelle icone.
Anche altri particolari, come l’apparente assenza dei pollici, e la posizione più flessa di una gamba, sono in sintonia con le antiche raffigurazioni del Cristo morto, ma difficilmente riproducibili con un qualsiasi cadavere. 

La lama raggiunse il cuore passando dal quinto spazio intercostale.

La lama giunse al cuore dal quinto spazio intercostale.

MAFERA: Tra le ferite colpisce quella al costato…
Su questo punto mi sembra utile sottolineare delle evidenze. Procurare alla vittima, ormai deceduta, una ferita al costato con una lancia romana, facendone uscire sangue e siero separati, non è assolutamente un esperimento facile da compiere…
Si può aggiungere che altrettanto arduo sarebbe stato mantenere il cadavere avvolto nel lenzuolo per una trentina di ore impedendo il verificarsi del fenomeno putrefattivo, processo accelerato dopo un così alto numero di gravi traumi.
Un’altra difficoltà, non debole di significato, sarebbe stata quella di prevedere che da un cadavere si potesse ottenere un’immagine così ricca di particolari. Infine, sarebbe impossibile togliere il corpo dal lenzuolo senza il minimo strappo o il più lieve spostamento che avrebbero alterato i contorni delle tracce di sangue

MAFERA: Che cosa non si conosce della Sindone?
Non è noto il meccanismo fisico-chimico all’origine dell’impronta. Si può ipotizzare un meccanismo come un fiotto di radiazione non penetrante che si attenua con il passaggio nell’aria, che diminuisce con la distanza. 

MAFERA: La Chiesa ha una venerazione verso la Sindone di Torino…
È una venerazione che tiene conto della coincidenza tra le narrazioni dei quattro Vangeli sulla Passio Christi, e quanto si individua sulla Sindone, considerando pure i particolari “personalizzati” del supplizio:
- la flagellazione (dal latino flagellum, frusta) come pena a sé stante, troppo eccessiva per essere il preludio della crocifissione (120 colpi invece degli ordinari 21);
- la coronazione di spine, fatto del tutto insolito;[36]
- il trasporto del patibulum;
- la sospensione ad una croce con i chiodi invece delle più comuni corde;
- l’assenza di crurifragio [37];
- la ferita al costato inferta dopo la morte, con fuoruscita di sangue e siero;
- il mancato lavaggio del cadavere (per la morte violenta e una sepoltura affrettata);
- l’avvolgimento del corpo in un lenzuolo pregiato, e la deposizione in una tomba propria invece della fine in una fossa comune;
- il breve tempo di permanenza nel lenzuolo. 

MAFERA: Esistono a suo avviso aspetti che possono orientare verso l’Evento della Risurrezione di Cristo?
Il corpo dell’Uomo della Sindone non presenta segni di putrefazione; è rimasto avvolto nel lenzuolo per un tempo di 30-36 ore. La formazione dell’immagine potrebbe essere spiegata con un effetto fotoradiante connesso alla Risurrezione. Non c’è traccia di spostamento del lenzuolo sul corpo. È come se questo avesse perso all’improvviso il suo volume. 

MAFERA: La Chiesa cattolica, come presenta la Sindone?
Sul piano scientifico la Chiesa non entra in merito perché non è il suo ambito di competenza. Esistono quindi diversi comitati scientifici che hanno studiato il Telo sindonico. Al riguardo, le pubblicazioni sono numerose.
A livello religioso, l’Uomo della Sindone mostra aspetti che, per le loro caratteristiche, indirizzano in modo dettagliato a quanto specificato dai profeti (Servo di JahvèIs 52,13-53,12), e dagli evangelisti riguardo alla Passio Christi. Il Telo rimanda in tal modo al tessuto che avvolse Gesù deposto dalla croce. Per questo motivo la Chiesa lo custodisce con particolare cura. Inoltre, invita i fedeli a riflettere sull’Amore divino per l’umanità, sulla Passione del Signore, sul valore redentivo dell’immolazione del Figlio di Dio.

 

 

 

 

Note

[1] Il patibulum era la traversa orizzontale della croce, che veniva portata dal condannato fino al luogo dell’esecuzione.
[2] Matteo 27,59. Marco 15,46. Luca 23,53. Giovanni 19,40.
[3] Vangelo degli Ebrei, scritto in Palestina verso l’anno 150.
[4] In contrasto con l’iconografia del Cristo giovane e imberbe dell’arte paleocristiana precedente.
[5] Le ostilità contro le immagini sacre (“iconoclastia”) durarono più di un secolo nell’impero bizantino e nella Chiesa d’Oriente.
[6] Storia dei Concili Ecumenici, a cura di O. Bucci e P. Piatti, Città Nuova, Roma 2014.
[7] B. Frale, Redeat nobis quod sacrum est, Aevum, anno 86, fasc. 2 (maggio-agosto 2012), pp. 589-641.
[8] Robert de Clary (1170 ca – 1216 ca).
[9] Robert de Clary, La Conquête de Constantinople, a cura di Philippe Lauer, Edouard Champion, Paris 1924, pp. LXXXII-LXXXIII.
[10] Othon de La Roche (morto dopo il 1234).
[11] Geoffroy (Goffredo) I de Charny (1305ca-1356).
[12] Jeanne de Vergy (deceduta nel 1428).
[13] Il Capitolo era costituito da un gruppo di presbiteri. Avevano il compito di valorizzare le celebrazioni religiose. Ogni chiesa che accoglieva un Capitolo assumeva il nome di “Collegiata”.
[14] Il medaglione è conservato a Parigi. Museo Nazionale del Medioevo e delle Terme di Cluny.
[15] Pierre d’Arcis (deceduto nel 1395).
[16] Antipapa Clemente VII (nato Roberto di Ginevra; 1342-1394). Pontefice con sede ad Avignone. Era parente di Goffredo II de Charny, in quanto Jeanne de Vergy, alla morte del marito Goffredo I, si risposò con un cugino dell’antipapa, Aimon de Genève.
[17] Bolla di Clemente VII del gennaio 1390.
[18] Bolla di Clemente VII del giugno 1390.
[19] Giulio II (nato Giuliano della Rovere; 1443-1513). Il suo pontificato durò dal 1503 alla morte.
[20] Giulio II, Bolla pontificia Salubria vota, 1506.
[21] Emanuele Filiberto di Savoia (1528-1580).
[22] Card. Carlo Borromeo, arcivescovo di Milano (1538-1584; Santo).
[23] Secondo Pia (1855-1941). Avvocato. Fotografo non di professione.
[24] Marcelin Berthelot (1827-1907). Chimico. Storico. Politico.
[25] J. Walsh, The Shroud, Random House, New York 1963.
[26] Giuseppe Enrie (1886-1961). Fotografo professionista, attivo a Torino dal 1911.
[27] Card. Michele Pellegrino (1903-1986).
[28] L. Garza Valdés, The DNA of God?, Berkley Books, New York 2001.
[29] Professore Ordinario di Medicina Legale presso l’Università di Torino.
[30] Professore associato di Misure. Meccaniche e Termiche presso l’Università di Padova, dipartimento di ingegneria industriale.
[31] Liberato De Caro (nato nel 1964).
[32] L. De Caro, T. Sibillano, R. Lassandro, C. Giannini, G. Fanti, X-ray Dating of a Turin Shroud’s Linen Sample, Heritage 2022, 5, pp. 860-870.
[33] Stabile anche all’acqua significa che l’immagine presente sul telo sindonico non viene modificata o cancellata da un contatto con l’acqua, né da una sua immersione. Questa stabilità chimica e termica rende difficile l’ipotesi di una falsificazione.
[34] Il comitato scientifico dello STURP ha repertato delle piante alofile che vivono vicino al Mar Morto. Lo studio di questo organismo ha permesso di tracciare il percorso della Sindone. Sono stati rinvenuti pollini di Gerusalemme, di Atene, di Costantinopoli, della Francia centrale e del Piemonte.
[35] Si fa riferimento alla posizione dei chiodi nei polsi.
[36] I romani non erano soliti applicare una corona di spine ai condannati a morte. Per questo motivo si pensa a una decisione di quanti flagellarono Cristo per aumentare la derisione e l’oltraggio.
[37] Gambe spezzate.
[38] C. Moraes, Image formation on the Holy Shroud. A digital 3D approach, ‘Archaeometry’, 28 July 2025. (nota del prof. Guiducci).
[39] Richard Feynman (1918-1988). Premio Nobel per la Fisica (not
a del prof. Guiducci).

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Per saperne di più
AA.VV., Nuova luce sulla Sindone. Storia, scienza, spiritualità, a cura di E. Marinelli, Ares, Milano 2024.
P. Baima Bollone, Sindone. Attualità sulla Sindone di Lirey-Chambéry-Torino, Giappichelli, Torino 2022.
Id., Gesù e la Sindone, San Paolo, Cinisello Balsamo 2025.
F. Cardini-M. Montesano, La Sindone di Torino oltre il pregiudizio. La storia, la reliquia, l’enigma, Medusa Edizioni 2015.
G. Fanti, Monete bizantine influenzate dalla Sacra Sindone di Cristo, Edizioni Segno, Feletto Umberto (UD) 2025.
G. Fanti-S. Gaeta, Il mistero della Sindone. Le sorprendenti scoperte scientifiche sull’enigma del telo di Gesù, Rizzoli, Milano 2013.
G. Fanti-P. Malfi, Sindone: primo secolo dopo Cristo!, Edizioni Segno, Feletto Umberto (UD) 2020.
B. Frale, La Sindone di Gesù Nazareno, Il Mulino, Bologna 2009.
B. Pamfili, La Sindone e i Savoia, Europa Edizioni, Roma 2024.

 

 

Ringraziamenti
Con rif. alla storia della Sindone nel I Millennio il prof. Guiducci ringrazia: P. Juan Antonio Cabrera Montero OSA, Preside Pontificio Istituto Patristico Augustinianum.

 

 

 

 

ALLEGATO 1

CISS – Comunicato stampa / Press Release C. Moraes
4 agosto 2025
Comunicato del Custode Pontificio della Sindone, 4 agosto 2025.

Ancora una volta assistiamo al lancio di nuove «rivelazioni» sulla Sindone e i suoi misteri. Oggi si tratta dell’ipotesi che il Telo sindonico sia stato steso non sul cadavere di un uomo ma su un «modello» artefatto, che riprodurrebbe le caratteristiche dell’immagine.
Il Custode della Sindone non ha motivo di entrare nel merito delle ipotesi formulate liberamente da scienziati più o meno accreditati. Il Centro Internazionale di Studi sulla Sindone di Torino, che statutariamente assicura il suo supporto scientifico al Custode, pubblica un documento che analizza in dettaglio metodo e risultati di questa «scoperta».
Se non ci si può stupire più di tanto del clamore che certe «notizie», vere o verosimili, nuove o datate, possono suscitare in un circuito mediatico che ormai è globale e istantaneo, rimane la preoccupazione per la superficialità di certe conclusioni, che spesso non reggono a un esame più attento del lavoro presentato. E rimane da ribadire l’invito a non perdere mai di vista la necessaria attenzione critica a quanto viene così facilmente pubblicato.

+ Roberto card. Repole
Arcivescovo di Torino, Vescovo di Susa
Custode Pontificio della Sindone

 

ALLEGATO 2

CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA SINDONE
Analisi dell’articolo “Image formation on the Holy Shroud – A digital 3D approach” di Cicero Moraes
[38]

4 agosto 2025

L’autore ha realizzato modelli 3D di un corpo umano e di un bassorilievo, utilizzando software open source e simulazioni fisiche per analizzare i punti di contatto di un telo con le superfici. Il risultato indica che i punti di contatto tra telo e bassorilievo corrispondono ad un’immagine meno deformata rispetto ai punti di contatto con un corpo tridimensionale, in quanto quest’ultimo genera l’effetto di deformazione cosiddetto di Maschera di Agamennone, ben noto in letteratura. In altre parole, nella figura 6 dell’articolo l’autore conferma un risultato noto sin dai primi studi di Vignon e Delage del 1902, per cui l’immagine sindonica si configura come proiezione ortogonale. Non si ravvisa nessun elemento di novità in questa conclusione dell’articolo.
In aggiunta, a partire dagli studi in situ del gruppo STuRP (1978) e dalle successive analisi chimico-fisiche, è stata esclusa la formazione dell’immagine per mezzo di pittura, frottage con bassorilievo, o contatto con una statua/bassorilievo riscaldata.
In sintesi, il risultato dell’articolo in questione sull’assenza dell’effetto Maschera di Agamennone e relativa proiezione verticale dell’immagine sindonica è già noto da oltre un secolo, e la conseguenza ipotizzata dall’autore sulla origine pittorica o strinata da contatto della Sindone su un bassorilievo è ampiamente smentita da numerosi studi fisico chimici, in primis STuRP e confermati da misure più recenti, di cui esiste ampia letteratura su riviste scientifiche accreditate.
Il Centro Internazionale di Studi sulla Sindone (CISS) ribadisce l’importanza di un approccio rigoroso e interdisciplinare, che distingua nettamente tra dati certi e ipotesi, integrando i risultati di tutte le discipline coinvolte.

Approfondimento

Gli strumenti e i formati utilizzati nell’articolo in questione rientrano tra quelli comunemente impiegati nella modellazione 3D. Blender, ad esempio, è un software affidabile per la produzione di contenuti multimediali e ricreativi, ma non specificamente progettato per scopi scientifici. Il motore fisico usato per simulare il comportamento del telo sul modello tridimensionale agisce secondo modelli che imitano gravità e adattamento del tessuto a una superficie, rappresentata dal corpo 3D.
Questa impostazione presuppone che il telo sia stato adagiato sul corpo, ma il modello digitale non prevede un piano di appoggio: sotto il corpo vi è vuoto, come se fosse sospeso nello spazio. Tale condizione influenza il comportamento simulato del tessuto e non corrisponde a un contesto fisico reale. L’inserimento di un piano rigido su cui il corpo fosse appoggiato avrebbe modificato in modo significativo il risultato.
Lo strumento “OrtoOnBlender”, utilizzato per generare il bassorilievo, è descritto dall’autore come centrale nel processo. Esperienze precedenti (Balossino-Rabellino) con tecnologie simili hanno evidenziato risultati sensibili alle proprietà del tessuto simulato, variando da un comportamento “rigido” a uno “morbido” in base ai parametri impostati. La replicabilità di una procedura è condizione necessaria ma non sufficiente per convalidarne la correttezza: un aspetto su cui l’articolo insiste, ma che di per sé non garantisce la validità scientifica delle conclusioni.
Questo tipo di simulazioni, pur interessanti e potenzialmente efficaci in ambito divulgativo o multimediale, presentano difficoltà significative nell’essere considerate prova scientifica, men che mai conclusiva.
La discussione proposta si inserisce in un tema noto e ancora aperto: la natura della proiezione dell’immagine sindonica. Il passaggio da una proiezione cilindrica (telo avvolto al corpo, con inevitabili deformazioni laterali, assenti sul telo) a una ortogonale (trasferimento verticale dei dettagli, con minime distorsioni, ma non in grado di spiegare la presenza dell’immagine nelle parti non in contatto) comporta implicazioni significative per le ipotesi di formazione.
I modelli digitali possono contribuire alla riflessione, ma non sostituiscono l’analisi fisica e chimica del reperto, la quale finora ha escluso la compatibilità dell’immagine con metodi pittorici, contatto con bassorilievo o strinatura da bassorilievo caldo.

Sul piano metodologico, il CISS ritiene fondamentale:
• La rigorosa distinzione tra dati accertati e ipotesi, evitando di presentare come certe affermazioni non dimostrate.
• La collaborazione interdisciplinare, che integri e rispetti i risultati di tutte le discipline coinvolte, evitando interpretazioni parziali o settoriali.
Come ricordava il Premio Nobel Richard Feynman[39]: “Quando si effettua un esperimento, bisogna riferire tutto ciò che potrebbe invalidarlo, e non soltanto quel che sembra corretto, nonché le altre cause che potrebbero originare gli stessi risultati. Bisogna riferire tutti i punti superati con precedenti esperimenti, e cosa sia avvenuto di nuovo, e come, nonché accertarsi che tutti possano capirlo… dovete accertarvi che i fenomeni che la teoria spiega non siano soltanto quelli che vi hanno fatto venire l’idea originale: la teoria, una volta completata, deve quadrare anche con altri fenomeni” (R.P. Feynman-R. Leighton, Surely you’re joking, Mr. Feynman!, W.W. Norton & Co., New York, London, 1985).