LA MARINA RUSSA DA PIETRO IL GRANDE ALLA GRANDE CATERINA

di Giuliano Da Frè -

 

 

Con il regno di Pietro, durato ben 36 anni, la Russia si presenta al mondo per la prima volta come una potenza salda nei propri confini e dallo sguardo internazionale: la vittoria sulla Svezia nella Grande Guerra del Nord ne sancisce il ruolo europeo e la potenza marittima. Quest’ultima, un’ossessione dello zar.

 

 

L’8 febbraio 2025 ricorreranno i 300 anni dalla morte di Pyotr I Alekseyevich [1]: Pietro il Grande; e davvero il più gigantesco – anche fisicamente – degli imperatori russi della dinastia dei Romanov, visto che l’unico altro sovrano che possa stargli alla pari, è in realtà una imperatrice, e di origini tedesche: Sofia Augusta Frederica von Anhalt-Zerbst, la grande Caterina II che chiuse il XVIII secolo dell’Impero, segnato da riforme interne, e dall’ascesa al rango di grande potenza all’esterno.
Un passaggio segnato anche dallo sviluppo del potere marittimo russo, pur caratterizzato sin dall’inizio dalla dimensione continentale e terrestre del paese: sviluppo legato all’esuberante impegno profuso proprio da Pietro.

Tra passato e futuro, le ambizioni di Pietro I

La battaglia navale delle isole Aland, 1720

La battaglia navale delle isole Aland, 1720

Fu Pietro il Grande a varare, attorno al 1700, le prime riforme destinate ad avviare una relativa occidentalizzazione della Russia, divenuta impero grazie a un altro sovrano accentratore e assolutista: quell’Ivan IV il Terribile (1530-1584) che, primo fra tutti, nel 1547 si era attribuito l’altisonante titolo di Zar o Tsar, termine russo derivato dal latino Caesar, sinonimo di imperatore, già adottato da altri sovrani slavi nel Medioevo.
Brutale, abile, ambizioso, Ivan aveva posto fondamenta più solide all’espansione del regno di Moscovia, stringendo legami diplomatici e commerciali, anche di carattere marittimo, con gli stati europei, compresa la lontana Inghilterra.
Nel 1613 era poi emersa, dopo una trentennale fase di crisi seguita alla morte del primo zar (la cosiddetta “era dei torbidi” – e dei “falsi Dmitrij”), la dinastia regnante che avrebbe accompagnato le vicende imperiali russe sino al loro tragico epilogo, nel 1918: i Romanov, che già si erano affacciati nella sala del trono quando il terribile Ivan aveva sposato Anastasia Romanova, la prima, amatissima zarina del popolo russo.
Fino a Pietro I, salito al trono a soli 10 anni, e gradualmente impossessatosi dei pieni poteri tra 1689 e 1696 [2], i Romanov non avevano dimostrato la stessa tempra di Ivan il Terribile; e non per l’ultima volta nella storia russa, avevano congelato le ambizioni a Occidente, per espandersi sotto Michele I (zar dal 1613 al 1645) a Oriente, nelle vaste e poco popolate regioni della Siberia, e nel Caucaso, per poi riprendere a combattere contro Svezia e Polonia sotto Alessio I, sul trono dal 1645 al 1676: il padre di Pietro, e di altri due più precari zar.
Il regno di Pietro (esercitato con ampi e poi pieni poteri per 36 anni) avrebbe invece segnato la vera ascesa di una nazione che, a dispetto della sua già considerevole vastità, era ancora vista dalle potenze dell’Europa centrale e occidentale come un esotico e semi barbarico stato, più asiatico che europeo.
Sfidando nuovamente la Svezia, all’epoca un impero anche marittimo, dominante quasi tutta la penisola scandinava e il Baltico, con teste di ponte in Germania e guidato dall’ultimo dei re-condottieri della dinastia Vasa, il giovanissimo e talentuoso – ma anche aggressivo ed esaltato – Carlo XII, Pietro ne avrebbe preso il posto quale monarca dominante il Nord Europa. Dopo una guerra lunga, e lungamente incerta, segnata per anni da una serie impressionante di vittorie svedesi, da Narva, nel 1700, a Holowczyn (1708), i russi inflissero infatti al giovane condottiero nordico la schiacciante sconfitta di Poltava (8 luglio 1709).
Con la vittoria sulla Svezia, Pietro coronava un doppio sogno: portare la sua Russia rinnovata al rango di grande potenza europea, e donarle anche una vitale dimensione marittima, conquistando al termine della Grande Guerra del Nord, nel 1721, le regioni costiere baltiche, e la Finlandia meridionale, con la Carelia e la fortezza di Vyborg: a protezione, come vedremo, di una città appena sorta dal nulla – e dall’acqua.
Pietro accarezzava questo sogno sin da ragazzo, quando per la prima volta aveva visto il mare, e alcuni bastimenti mercantili inglesi. Non appena rimasto solo sul trono moscovita, nel marzo 1697 si era posto, in incognito e usando un nome falso, alla testa della cosiddetta “grande ambasciata”: sorta di grand tour diplomatico, commerciale, culturale (e di bagordi), dipanatosi tra varie città europee sino all’agosto 1698. Sebbene il manto dell’incognito cadesse ben presto dalle spalle del più imponente dei sovrani dell’epoca – Pietro era un gigante alto oltre due metri, dai lineamenti virili e grossolani, che restavano impressi – il giovane zar si interessò a tutto: dalla religiosità dei quaccheri, alle arti erotiche delle cortigiane europee, ma prestando particolare attenzione alle tecniche agricole, all’architettura, alle scoperte scientifiche, ai codici legislativi.

Ma ad accendere l’interesse del giovane autocrate, furono soprattutto vascelli, arsenali, cantieri navali. Durante i lunghi soggiorni in Olanda e in Inghilterra, infatti, Pietro si gettò con caratteristica esuberanza su tutto quanto aveva attinenza col mare. Nelle Province Unite, alla fine del ‘600 potenza marittima ormai declinante, ma dalle solide tradizioni e con una cantieristica ancora di alto livello, nel settembre 1697 iniziò a lavorare, sempre “in incognito”, come carpentiere navale. Durò poco: una volta ufficialmente riconosciuto per quello che era, Guglielmo III d’Orange, all’epoca sovrano di Olanda e Inghilterra, organizzò per l’imperiale collega un finto combattimento navale. Dimostrando un non comune discernimento per le questioni navali, sebbene apprezzasse le capacità tecniche degli olandesi, Pietro si rese conto che nei loro cantieri, la fase più innovativa era stata superata. Con una serie di vittorie conseguite dopo il 1570 contro le flotte spagnole, olandesi e francesi, e con un impero globale marittimo in fase di costruzione, alla fine del XVII secolo era l’Inghilterra a essersi posta a capo dei processi di innovazione navale: a tutti i livelli, e sfruttando d’altronde il legame creatosi con l’Olanda nella persona del principe d’Orange, dal 1688 titolare anche del trono inglese.
Nel gennaio 1698, Pietro e il suo esotico seguito sbarcavano pertanto in Inghilterra: e qui lo zar non solo si fece costruire uno yacht armato, ma nelle pause intercorse tra leggendarie orge ad alta gradazione alcolica e sessuale, e la devastazione della villa patrizia che lo accoglieva, visitò l’arsenale reale di Woolwich e i rinomati cantieri navali di Deptford, dove seguì in prima persona i processi di costruzione delle artiglierie navali e degli scafi da guerra destinati alla Royal Navy, mentre presso il Royal Observatory di Greenwich, nato da poco più di 20 anni, studiò i rudimenti dell’arte della navigazione, e gli strumenti ad essa dedicati. Ovviamente, in pochi mesi non era possibile approfondire materie così complesse; e soprattutto così avulse dal carattere e dalle abitudini russe. Ma accanto a graditi e più personali ricordi della lunga scorribanda europea, Pietro portò con sé piani ben precisi per le nascenti ambizioni marittime russe, supportati dai riallacciati rapporti commerciali con Inghilterra e Olanda, mentre ulteriori legami venivano stretti con Vienna, Venezia, e vari centri mercantili tedeschi.
In realtà, il rapporto tra la nascente nazione russa e il mare era molto più antico; lo stesso Pietro, come accennato, aveva già avuto modo di accostarsi alle questioni navali; e come ai suoi tempi, anche le antiche radici della marineria russa avevano ricevuto una spinta dall’esterno.
Un passaggio fondamentale era stato, nell’VIII secolo, l’insediarsi di gruppi di vichinghi (in Russia noti come “variaghi”) in alcuni punti strategici, lungo coste e fiumi, che collegavano i mari settentrionali al Mar Nero: aree dove peraltro già da tempo esistevano comunità dedite alla pesca o a traffici navali. I primi condottieri variaghi, come Rurik e Oleg, divenuti principi di Novgorod e di Kiev, intraprenderanno diverse campagne contro l’impero di Bisanzio, impiegando tra l’865 e il 907 flotte forti anche di 2.000 imbarcazioni, con a bordo 80.000 uomini.
I grandi fiumi che attraversavano le terre destinate a unirsi nei secoli successivi sotto gli zar di Mosca, a lungo suddivise in principati regionali come Kiev, Novgorod e Vladimir, saranno il network lungo il quale si diffonderanno commerci, idee, ambizioni; e anche flotte da guerra.
Il primo zar russo, il citato e terribile Ivan, all’Inghilterra chiese non solo ambasciatori e mercanti, ma anche maestranze per costruite navi, con le quali liberare il Baltico dai pirati che ostacolavano i nascenti commerci russi. I tempi non erano però maturi, anche a causa dei disordini seguiti alla morte di Ivan: ancora a metà del XVII secolo il padre di Pietro, lo zar Alessio, secondo dei Romanov a salire sul trono, per creare una flottiglia con cui operare contro i turchi e i pirati baltici, nel 1653 dovette stringere accordi coi cosacchi Zaporoghi, insediatisi nella regione di Zaporizhzhia, nell’Ucraina centro-meridionale. Nell’immaginario collettivo, e non a torto, i cosacchi sono visti come pittoreschi, abilissimi e turbolenti cavalieri. Ma all’epoca erano pure notevoli marinai, e costruttori di imbarcazioni simili a galee, anche a 40 remi, realizzate in piccoli cantieri sul fiume Dnieper: agili unità armate con artiglierie leggere, per operare sui fiumi e lungo le coste, e anche trasportabili via terra per brevi tratti, in modo da comparire laddove il nemico – per lo più il Turco, che molto li temeva – meno se lo aspettava.
Alessio tentò anche di far costruire navi di maggior tonnellaggio dagli olandesi: ma ci vollero anni di sforzi per giungere a varare, nel 1668, un brigantino da guerra, e senza aver ragione delle resistenze di una più ampia fetta di popolazione russa, troppo legata alla terra, ostica al mondo marittimo. Il seme era però stato piantato.

Già prima della “grande ambasceria” in Occidente, Pietro si era trovato per le mani una guerra dagli aspetti marittimi. Nel 1695 decise di aprirsi la strada verso il Mar Nero, sempre dominato dai turchi, lanciando un’offensiva contro la piazzaforte di Azov, dominante l’omonimo specchio di mare – l’antica Palude Meotide, area tornata di drammatica attualità dopo lo scoppio della guerra russo-ucraina, a tre secoli dalla morte di Pietro -, e attaccando i tartari della Crimea. La campagna, dopo un inizio promettente, grazie alle esercitazioni cui il giovane zar aveva sottoposto le truppe con tale ardore da provocare molti morti accidentali, si esaurì in un fiasco, proprio a causa del mancato supporto navale: carenza comprensibile, in un paese poco avvezzo al mare, ma che aprì definitivamente gli occhi a Pietro. La sua prima reazione fu di seguire le orme del padre, chiamando in Russia nuove maestranze olandesi, per lavorare a piccole unità da guerra nei cantieri locali, dove anch’egli avrebbe passato alcune giornate di lavoro. Un investimento di risorse e di energie con conseguenze che travalicheranno il caso contingente. Con l’appoggio di 30 legni da guerra (comprese 2 fiammanti fregate da 36 cannoni) e 500 imbarcazioni da trasporto, affidate all’ammiraglio François Jacques Lefort, un militare ginevrino con poca esperienza marittima, ma buon amico di bevute dello zar, che poi accompagnerà in Occidente [3], la campagna porterà alla resa di Azov, il 28 luglio 1696, dopo aver respinto in battaglia una squadra navale ottomana. Fu occupato anche il sito di Taganrog, ove lo zar farà realizzare una base navale, alternativa al porto di Azov, dove fu comunque creato un arsenale, ove allestire la prima flotta russa del Mar Nero, presto arrivata a contare 86 unità a remi o a vela, e compresi 10 vascelli da 64 cannoni [4]. Dopo altri 2 anni di scontri si giunse a una tregua, seguita da una pace precaria: il secolo XVII volgeva al termine, e Pietro, reduce dal grand tour in Occidente, da cui aveva riportato lezioni, piani e maestranze navali, aveva voltato lo sguardo a nord, verso un altro mare strategico per i suoi progetti: il Baltico. Qui si scontrò con la potenza svedese, che sin dal Cinquecento era a proprio agio sul mare, dove aveva sconfitto le esperte flotte danesi e della Lega Anseatica: la lotta sarebbe stata lunga e incerta, dovendo affrontare l’ultimo dei grandi re-guerrieri della casa Wasa, il citato Carlo XII. Ma pur incassando diverse sconfitte, l’ormai trentenne zar dimostrò di aver compreso le lezioni degli anni giovanili: e appena tre anni dopo il disastro occorsogli nella battaglia di Narva (20 novembre 1700), dopo alcune più fortunate operazioni anfibie, preso il controllo del lago Ladoga e della foce della Neva, iniziò a realizzarvi (27 maggio 1703) la propria nuova capitale. Mosca sarebbe rimasta il “cuore” della vecchia Russia, ma San Pietroburgo era destinata a diventarne il cervello, e la terminazione nervosa immersa in un nuovo ambito marittimo, cui Pietro voleva – è il caso di dirlo – ancorare la sua visione dell’impero. Mentre nei 9 anni successivi la città cresceva sul mare come una nuova Venezia del Nord, Pietro ne faceva il fulcro della seconda flotta permanente russa: 11 fregate e 107 galee, cui nel 1704-1705 diede un riparo, realizzando nell’antistante isola di Kotlin la base navale fortificata di Kronstadt; e se le vittorie navali sulla Svezia, dopo la sconfitta inflitta dallo zar a Carlo XII nel 1709, vanno ascritte soprattutto alla flotta danese, anche quella alleata russa fa il suo esordio. Nel 1711, tra l’altro, per disinnescare una potenziale alleanza turco-svedese, lo zar aveva (almeno temporaneamente) rinunciato ad Azov, e all’espansione in Crimea e Mar Nero, ma dirottando così uomini e mezzi nella nascente flotta del Baltico. Qui nel 1714 un centinaio di galee russe sconfisse nella battaglia di Gangut (7 agosto 1714) una piccola squadra svedese: un esordio modesto, ma pur sempre un primo passo, poiché alla fine della guerra la flotta russa, vittoriosa nella battaglia delle isole Aland del 7 agosto 1720, contava 48 tra vascelli e fregate, e 800 galee, brigantini, e navi minori, con 28.000 uomini, e adeguate infrastrutture, comprendenti tra la foce della Neva e Kronstadt arsenali e cantieri, e un razionale sfruttamento delle foreste per il legname destinato alle navi [5]. Una marina giovane, guidata da un primo grande ammiraglio di origini russe, Fyodor Apraksin (1661-1728), e alla quale Pietro diede i primi regolamenti, scritti tra 1715 e 1723, anno in cui furono prese lungimiranti disposizioni anche per la marineria mercantile. Col navigatore danese Vitus Jonassen Bering (1681-1741), arruolato nella flotta russa nel 1704, lo zar ebbe anche il “suo” Colombo, partito però per buscar el ponente por la via del levante, esplorando quelle aree marittime tra Eurasia e America settentrionale, che avrebbero poi preso il suo nome.

Declino e rilancio: da Pietro a Caterina II

Vittoria russa sulla flotta turca nella battaglia di Çeşme, 1770

Vittoria russa sulla flotta turca nella battaglia di Çeşme, 1770

Questo sviluppo magari tumultuoso ma dalle interessanti prospettive, era tuttavia largamente legato alla volontà dello zar: e alla sua morte (8 febbraio 1725), seguì come era logico aspettarsi una lunga fase di declino e di stasi, nei piani navali russi. La colonizzazione dell’Alaska, resa possibile dalle crociere di Bering (a sua volta morto di scorbuto durante una nuova spedizione avviata in quella regione nel 1740), procedette con scarso dinamismo, anche se grazie allo sfortunato esploratore fu creata la prima base navale russa in Estremo Oriente, a Petropavlovsk, nella penisola della Kamchatka. L’ascesa al trono di una figlia di Pietro, Elisabetta I, che regnò dal 1741 al 1762, e fu negli ultimi anni impegnata nella sanguinosa guerra dei Sette anni, non arrestò il lento declino del potere navale russo. Ufficialmente, nel 1745 risultavano in organico quasi 530 navi: ma per tre quarti a remi, e comprendenti solo 45 velieri d’altura, tra vascelli e fregate. Tuttavia, si trattava di navi costruite in 24 tra arsenali e cantieri, ormai attivi in tutti i centri marittimi dell’impero, e che Elisabetta, ripercorrendo le orme del padre, cercò di rendere più efficienti sia inviando alcuni giovani russi a studiare all’estero, sia arruolando esperti tecnici e marinai stranieri. La zarina avrebbe anche avviato una serie di riforme destinate a migliorare l’economia del paese, primo seme per ulteriori sviluppi, rafforzatisi all’epoca della sua poco amata erede. In realtà, a succedere a Elisabetta nel gennaio 1762 era stato il nipote Pietro III, un controverso principe mezzo tedesco e ammiratore di Federico il Grande, ben presto detronizzato dalla bella e ambiziosa moglie Caterina.
Anche la nuova zarina trentatreenne era tedesca: ma Sophie Augusta Frederica von Anhalt-Zerbst, la leggendaria Caterina II la Grande, era riuscita a comprendere meglio del bizzarro marito [6] l’arte del governo, circondandosi di collaboratori abili non solo nella sua a quanto pare assai frequentata alcova. Sul trono sino al 17 novembre 1796, ebbe il tempo e la capacità di portare la Russia nel secolo dei Lumi, non limitandosi a stendere sul sempre più vasto impero una patina di occidentalizzazione. Accanto a importanti riforme economiche e legislative (ma ancora di scarso impatto sociale per la Russia più profonda), rilanciò anche lo sviluppo delle forze navali, soprattutto in vista di nuove guerre marittime contro ottomani e svedesi.

Fu proprio la guerra combattuta contro la Sublime Porta tra 1768 e 1774, a segnare un’autentica rivoluzione, per gli interessi marittimi della Russia, con conseguenze che giungono fino a noi, e al conflitto in corso tra Mosca e Kiev. Certo, la lunga guerra, inizialmente condotta con tale incerta insipienza da far dire al grande re-condottiero prussiano Federico II che era uno scontro condotto da un’armata di orbi, contro una di ciechi, si svolse per lo più sulla terraferma. Ma mentre anche nelle campagne terrestri le forze russe iniziavano a prevalere, a suscitare scalpore fu la spedizione guidata nel 1769-1770 dal conte Alexei Grigoryevich Orlov, uno dei favoriti di maggior talento dell’affascinante imperatrice, conducendo una poderosa squadra navale dal Baltico al Mar Egeo [7]. Una novità assoluta, che avrebbe fatto inorgoglire Pietro il Grande, poiché Orlov, uomo di scarsa cultura e brutale (indicato come l’assassino del deposto marito di Caterina), ma energico e aperto ai suggerimenti dei suoi consiglieri navali inglesi, promosso ammiraglio-generale, nel luglio del 1770 ottenne contro la flotta ottomana, in declino ma ancora ricca di tradizioni, una grande vittoria nella battaglia di Çeşme, baia anatolica presso l’isola di Chio. Vittoria completa: poiché al prezzo di un vascello da 66 cannoni perduto, Orlov annientò la squadra nemica, affondando o catturando 16 vascelli, 6 fregate e decine di unità minori [8].
Sebbene fallisse un successivo tentativo di forzare i Dardanelli, le operazioni proseguirono sia in Egeo, affidate al comandante effettivo della squadra russa, l’esperto contrammiraglio Grigory Spiridov, in marina dal 1741; sia in Mar Nero, grazie ad alcune flottiglie di cannoniere improvvisate nel 1771 dall’abile viceammiraglio Alexey Senyavin in piccoli cantieri fluviali sul Dnieper, che spazzarono via il traffico navale turco nella regione costiera.
Con Orlov, Spiridov e Senyavin, le ambizioni navali russe trovavano una loro anima, nonché una chiara visione strategica: la neutralizzazione della Crimea, imposta dalla pace del 1774, durò poco, e nel 1783 un altro abile favorito di Caterina, volubile ma ottima selezionatrice di amanti abili anche al di fuori dell’alcova, avrebbe tagliato il nodo gordiano. Fu Grigory Potemkin, infatti [9], a por fine alla farsa dello stato indipendente di Crimea, e ad annettere definitivamente alla Russia l’intera regione, compreso il Mar d’Azov. Uomo vanitoso e corrotto, ma anche accorto politico e abile condottiero, Potemkin diede un ulteriore impulso al potenziamento delle forze navali russe in Mar Nero, sfruttando 4 milioni di rubli e due porti ottenuti dalla Turchia con la pace del 1774. Dal 1778 furono infatti create basi e arsenali a Kherson e Nikolayev: ma soprattutto, dopo l’annessione della Crimea, iniziò la costruzione della grande piazzaforte di Sebastopoli, destinata a divenire il quartier generale della Flotta del Mar Nero, ufficialmente creata proprio nel maggio 1783, e presto potenziata sino a schierare 5 vascelli e 20 fregate, con 1.100 cannoni. In tempo per combattere una nuova guerra contro la Sublime Porta, scoppiata nel 1787, e destinata a protrarsi con alterne vicende sino al 1792 [10]. Ancora una volta, dopo iniziali insuccessi (legati anche al contemporaneo scoppio, nel 1788, di una guerra con la Svezia), la flotta russa ebbe un ruolo da protagonista. E di nuovo, alla sua testa si alternarono ammiragli nazionali, e mercenari stranieri. Tra questi va ricordato l’americano John Paul Jones, eroe della recente guerra di indipendenza combattuta dalle ex Tredici colonie contro il Regno Unito, assoldato col grado di contrammiraglio [11]. Con la supervisione di Potemkin, e al comando di una divisione formata da 10 tra vascelli e fregate, Jones supportò con efficacia le cannoniere (armate con innovative granate esplosive) guidate da un altro ufficiale straniero, il principe Karl Heinrich von Nassau-Siegen, nella vittoriosa campagna anfibia di Liman, che nel giugno-luglio 1788 portò alla distruzione della squadra turca.

Jones tuttavia, volle nei suoi rapporti prendersi per intero il merito del successo, creandosi potenti nemici nella stessa corte imperiale, e finendo per perdere il suo incarico, con una controversa accusa di violenza sessuale nei confronti di una adolescente, forse architettata ad arte, ma mai del tutto smentita.
Come che sia, saltò il trasferimento di Jones nel Baltico, dove la guerra navale andava male per i russi, che schieravano 150 unità, comprese 17 navi di linea e 8 fregate, poi rafforzate da una squadra degli alleati danesi.
I combattimenti si susseguivano con poco costrutto, e nel maggio 1790 fu lo stesso re svedese Gustavo III ad assumere il comando di una spedizione anfibia contro Vyborg: ma dopo iniziali, promettenti successi, ai primi di luglio il re fu costretto ad abbandonare la partita, e pur aprendosi la strada verso le acque di casa respingendo la flotta russa, subì gravi perdite. Tuttavia, anche un tentativo russo di risolvere il conflitto sul mare fallì, con la disastrosa battaglia di Svensksund (10 luglio 1790), dove Gustavo, al prezzo di 5 navi e qualche centinaio di uomini, affondò o catturò una cinquantina di navi nemiche, con 7.000 tra caduti e prigionieri [12]. Stremati e sostanzialmente pari sul campo di battaglia, i due avversari raggiunsero rapidamente una pace di compromesso, che il 14 agosto 1790 ristabiliva lo status quo ante bellum, stroncando il vecchio sogno russo di dominare il Baltico. Al contrario, dal 1790 una serie di vittorie, anche navali, marcava la supremazia russa in Mar Nero, grazie all’energia del viceammiraglio Fyodor Ushakov, che tra il luglio 1790 e l’agosto 1791 ottenne una serie di brillanti successi nelle battaglie di Kerch, Tendra e Kaliakra, decisive per portare al tavolo delle trattative i turchi, sino alla pace del gennaio 1792.
Verso la fine del suo lungo regno, Caterina aveva sostanzialmente rafforzato il potere marittimo russo, soprattutto nello scacchiere meridionale: poteva contare su flotte ormai consolidatesi in Mar Nero e nel Baltico, con adeguate basi e arsenali, validi comandanti anche russi, o da stranieri naturalizzati, e squadre presenti anche in Mediterraneo e nel Levante; nel 1792 inoltre una nave russa in missione scientifica e diplomatica approdò nel porto nipponico di Hakodate, primo contatto tra i due futuri avversari del 1904. E così, “quando nel 1796 Caterina II morì, lasciò tracciate alla Russia le direttrici della sua espansione navale: nel Nord, nel Sud, nel Vicino e nell’Estremo Oriente” [13]. Tuttavia, per entrare nel Mare del Nord, in Atlantico, le squadre russe dovevano passare per gli stretti del Baltico – Kattegat e Skagerrak – dominati dalla Svezia. Per entrare in Mediterraneo, invece, le vie erano solo due: i Dardanelli, cuore della pur declinante potenza ottomana, e Gibilterra, dal 1704 ormai sotto controllo del Regno Unito, sino a quel momento benevolmente schierato a supporto dei russi. Ma le guerre innescate dalla rivoluzione francese, e poi da Napoleone, e le ambizioni geopolitiche a raggio sempre più largo dei successori di Caterina, soprattutto sotto i nipoti Alessandro I, sul trono dal 1801 al 1825, e Nicola I (che regnò sino al 1855), avrebbero rimescolato molte carte [14].

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Note

[1] Avvenuta il 28 gennaio 1725, secondo il calendario giuliano in vigore in Russia (corrispondente all’8 febbraio 1725), a soli 52 anni, a causa dell’aggravarsi di un problema renale.

[2] Pietro era salito al trono nel 1682 assieme al fratellastro maggiore Ivan V, più vecchio di 6 anni, ma afflitto da gravi problemi fisici e mentali: entrambi erano sottoposti alla reggenza della sorella più grande, la principessa Sof’ja Alekseevna Romanova, e dal suo amante Vasily Golitsyn, che Pietro rovesciò con un colpo di stato nel 1689, per poi divenire unico imperatore alla morte di Ivan, nel 1696. Un terzo fratellastro, Feodor III, pure debole e malaticcio, aveva regnato dal 1676 al 1682, morendo senza figli.

[3] Il primo ammiraglio della nuova marina russa morirà pochi mesi dopo il ritorno a Mosca, a soli 43 anni, assai rimpianto da Pietro.

[4] Inoltre durante la campagna del 1696 fu impiegata sul fiume Dnieper anche una flottiglia di 118 piccole imbarcazioni, che catturarono alcuni mercantili nemici.

[5] La città “navale” che prendeva il nome del grande zar, inoltre, alla sua morte contava già 75.000 abitanti, raddoppiati nella seconda metà del XVIII secolo.

[6] Il carattere di Pietro è controverso: il ritratto di un idiota ubriacone e degenerato, che a 34 anni giocava coi soldatini di piombo, è stato dipinto dalla moglie, e dai suoi cortigiani, ed è quello passato alla storia. Storici successivi, pur non cancellandone i tratti negativi, ne hanno posto in luce taluni aspetti di riformista e innovatore, soprattutto in politica estera.

[7] Base logistica invernale, per la squadra russa partita da Kronstadt nell’estate 1769, fu il porto di Livorno, base della piccola flotta del Granduca di Toscana.

[8] Anche grazie all’audace attacco notturno, organizzato ed eseguito tra il 6 e il 7 luglio dagli ufficiali inglesi al soldo russo, contro la squadra turca, ancoratasi dopo il primo scontro del 5.

[9] Che poi avrebbe dato il suo nome all’omonima corazzata, protagonista nel 1905 di un celebre ammutinamento, immortalato da un altrettanto famoso (e “famigerato”) film. Potemkin, poi nominato principe di Tauride (nome dato dagli antichi greci alla Crimea) era un generale di cavalleria, e come molti militari russi del tempo “prestato” alla flotta.

[10] Allo scoppio della guerra la flotta turca contava 22 vascelli e 8 fregate, con 1.700 cannoni: mezzi non tutti in efficienza.

[11] Sarebbe tuttavia errato definire Jones come un ammiraglio americano: sino al 1862, infatti, il grado più alto della marina degli Stati Uniti rimase quello di commodoro, rango che indicava un capitano di vascello con comando superiore, in genere di una formazione navale.

[12] La battaglia, una delle più grandi mai combattute nel Baltico, coinvolse complessivamente 340 unità (anche se per lo più ancora galee e cannoniere a remi), con 2.700 cannoni e 32.000 uomini.

[13] G. Giorgerini, Cenni di storia e politica navale russa, supplemento “Rivista Marittima”, Roma 1986, p. 20.

[14] A dispetto della differenza di età – quasi 20 anni – Alessandro e Nicola erano entrambi nati dallo zar Paolo I, figlio di Caterina e di Pietro III, e a sua volta assassinato come il padre nel 1801.