LA BATTAGLIA NAVALE DELLE ISOLE PARACEL (19 GENNAIO 1974)
di Giuliano Da Frè -
Il Mar Cinese meridionale è un’area da sempre considerata strategica: il colosso cinese contende interessi di vario tipo con i più piccoli rivali dell’area. Cinquant’anni fa le isole Paracel furono un elemento di dura contesa tra Pechino e la Corea del Sud.
Le mire espansionistiche di Pechino verso le aree strategiche del Mar Cinese meridionale sono da molto tempo tra le principali cause di tensione nella dinamica regione del Sud-est asiatico. Negli ultimi trent’anni si è assistito al susseguirsi di incidenti a bassa intensità: soprattutto tra Cina e Filippine, e coinvolgendo però anche altri paesi (in primis il Vietnam) interessati agli arcipelaghi contesi delle Paracel e delle Spratly.
La contesa sino-vietnamita per le isole Paracel (Xisha per i cinesi, Hoàng Sa per i vietnamiti), risalente al 1955, portò già mezzo secolo fa a scontri armati, tra i quali l’ultima battaglia navale combattuta impiegando esclusivamente cannoni, e curiosamente poche settimane dopo che si era svolto il primo scontro navale caratterizzato dall’impiego di missili, tra flottiglie arabe e israeliane [1].
Gennaio 1974: a generare il conflitto sono le opposte rivendicazioni sull’arcipelago delle Paracel, un pugno di modesti affioramenti di nemmeno 8 kmq (che si estendono però su 15.000 kmq di mare) portate avanti dalla Cina Popolare e dall’ormai pericolante regime militare al potere nel Vietnam del Sud.
Sino ad allora i rapporti tra Pechino e Saigon in merito all’arcipelago non erano stati particolarmente tesi, dopo che i due paesi ne avevano occupato alcune porzioni, tra 1955 e 1956. Alcuni degli isolotti settentrionali erano da secoli un punto d’appoggio per i pescatori cinesi, e più di una volta i guardacoste vietnamiti erano intervenuti per salvare qualche peschereccio in difficoltà. Tuttavia, circa 300 chilometri a nord delle Paracel risiede l’isola cinese di Hainan, dove Pechino concentrava un corpo d’armata, una base navale (dove all’inizio del 1974 erano presenti 42 unità di superficie e 2 sommergibili), e aeroporti da cui partivano velivoli da pattugliamento e cacciabombardieri MiG-21.
Il principale punto d’appoggio vietnamita nell’arcipelago era Pattle Island, dove nel 1957 anche gli Stati Uniti avevano installato una stazione meteorologica, mentre Saigon nei primi anni ’60 vi aveva impiantato alcune installazioni militari e un ancoraggio, per la più piccola e abbandonata guarnigione della Repubblica del Vietnam del Sud. L’area veniva comunque pattugliata continuamente dalle unità vietnamite organizzate nella forza costiera della 1a Regione Militare, che provvedevano anche ai collegamenti e al rifornimento del presidio. I cinesi controllavano invece l’affioramento di Woody Island, dove stazionavano in genere 2 navi guardapesca.
Il 15 gennaio 1974, il pattugliatore sudvietnamita Ly Thuong Kiet (HQ-16, uno dei 7 ex guardacoste americani da 2.600 tonnellate classe “Barnegat” degli anni ‘40 ceduti a Saigon, armato con 3 cannoni da 127 mm, vari pezzi da 40 e 20 mm), scoprì tuttavia la presenza su Duncan Island, la seconda isola più grande dell’arcipelago, di un bunker e di una sessantina di militari cinesi sbarcati da un mezzo anfibio arenatosi sulla spiaggia. Da alcuni giorni, d’altronde, l’isola di Pattle veniva sorvolata da ricognitori cinesi, mentre 2 guardapesca pattugliavano gli affioramenti settentrionali, sbarcando truppe su Drummond Island.
Il comandante del Ly Thuong Kiet chiese via radio istruzioni al quartier generale della 1a Regione Militare, decidendo tra l’altro di restare a protezione di Pattle. La notizia giunse rapidamente al comando della Marina sud-vietnamita a Saigon, dove il viceammiraglio Tran Van Chon [2], dal 1966 Capo di Stato Maggiore navale, consigliò un’azione immediata al governo: “Se agiamo velocemente, possiamo riprenderci le isole”, spiegò Chon al presidente Thieu, che diede il suo assenso all’intervento, a patto però di non passare dalla parte degli aggressori, sparando il primo colpo.
L’ammiraglio ordinò al suo capo delle operazioni, capitano di vascello Kiem Do, di preparare un dossier che illustrasse i diritti vietnamiti sulle Paracel, mentre lui chiedeva al comando della VII Flotta americana di fissare una ‘linea di interdizione’ tra le isole controllate da Saigon e quelle occupate da Pechino; richiesta vana, alla luce del cessate il fuoco che un anno prima aveva permesso agli Stati Uniti di sganciarsi dalla drammatica avventura vietnamita.
Chon mobilitò comunque rinforzi, da spedire nell’area contesa; il 17 arrivò in zona il caccia di scorta Tran Kan Du (HQ-4) al comando del commodoro Vu Hu San, comandante della forza costiera della 1a Regione Militare dal 1973 al 1975. L’unità era il vecchio Forster già della US Navy, un veterano destroyer escort da 1.700 t, 21 nodi, armato con 2 cannoni da 76 mm, più mitragliere e armi antisommergibile, appartenente alla classe “Edsall” e costruito nel 1944, limitatamente ammodernato prima di essere ceduto, nel 1971, alla Marina sud-vietnamita. Con la nuova bandiera si era distinto in diversi scontri, affondando 14 imbarcazioni avversarie.
Il Tran Kan Du sbarcò sull’isolotto di Cam Tuyen, dove erano stati avvistati i guardapesca cinesi, una pattuglia di incursori dello LDNN (Lien Doc Nguoi Nhia, i SEALs sudvietnamiti), mentre un altro gruppo prendeva terra su Money Island. Le unità di Pechino erano sparite, ma nel corso della giornata la nave di Saigon avvistò 2 cacciasommergibili classe “Hainan”, ritiratisi solo quando l’unità sudvietnamita aveva puntato i cannoni.
Pechino era tuttavia intenzionata a giocare fino in fondo la partita per l’arcipelago conteso, e ai comandi navali di Saigon arrivarono segnalazioni di nuovi massicci movimenti aeronavali nelle basi di Hainan.
Il 18 gennaio il governo del Sud Vietnam autorizzò le proprie unità ad aprire il fuoco (ma solo per autodifesa), inviando di rinforzo altre due navi: la corvetta HQ-10 Nhat Tao, un ex dragamine d’altura americano classe “Admirable” (945 t, armato con un cannone da 76 mm e mitragliere) e il pattugliatore Tran Binh Trong (HQ-5), gemello dell’HQ-16 e nave di bandiera del giovane commodoro Ha Van Ngac, 39 anni, uno dei più quotati ufficiali della flotta sudvietnamita, poi promosso contrammiraglio poco prima di andare in esilio a seguito della caduta del regime sud-vietnamita [3].
Invano, però, il comando della Marina tentò di ottenere copertura aerea per questa task force, denominata “Shark-5”: i caccia F-5 e gli aerei d’attacco A-37 dell’Aeronautica, peraltro già impegnati a tempo pieno sul principale fronte di guerra contro Hanoi, avevano un raggio d’azione troppo limitato, che consentirà loro di fare solo un breve passaggio sulla zona calda.
Tutte reduci dalla seconda guerra mondiale, le unità sudvietnamite non erano in buone condizioni: il Nhat Tao aveva problemi alle macchine, e il Tran Kan Du aveva un cannone fuori uso. Nella notte, circondarono comunque Duncan Island, dove erano ancorate 4 navi della Marina cinese, e i 2 guardacoste, quasi disarmati, oltre all’unità anfibia arenatasi. Le navi da guerra di Pechino erano di costruzione più recente, derivate da progetti sovietici, ma più piccole e con artiglierie più leggere rispetto alle datate avversarie: Jin-Chou e Yang-Chou erano unità cacciasommergibili Project-122bis costruite nel 1956-1957, lunghe 52 metri, armate con un cannone da 85 mm e pezzi da 37, mitragliatrici e armi antisom, mentre le altre 2 erano dei dragamine da 590 t. classe “Type-010” costruiti negli anni ’60, con lo stesso armamento delle precedenti [4].
All’alba sbarcarono sulla spiaggia una ventina di incursori vietnamiti, ma i cinesi reagirono sparando, uccidendone 3 e costringendo gli altri a ripiegare, mentre un guardapesca tentava di speronare il Ly Thuong Kiet. Ngac chiese al comando nuove istruzioni, ma l’ammiraglio Chon e il suo staff si trovavano in viaggio, sulla strada che portava dall’aeroporto al comando della 1a Regione Militare di Da Nang, ed erano impossibilitati a seguire gli avvenimenti.
Toccò a Kiem, sebbene di grado inferiore, prendere una decisione, cosa che però fece prontamente, ordinando di rispondere al fuoco, ma solo se nuovamente attaccati. Per coprire i propri incursori, il Nhat Tao iniziò allora a sparare, scatenando una prima battaglia durata trentacinque minuti, dalle 10.25 alle undici, e a distanze inferiori ai 1.500 metri. Uno dei dragamine cinesi (il 389) prese fuoco, mentre sul cacciasommergibili Yang-Chou il tiro nemico uccideva il commissario politico dell’unità: ma anche la vecchia corvetta vietnamita Nhat Tao veniva ripetutamente colpita, e il suo comandante ucciso da un’esplosione. Con lo scafo che imbarcava acqua e i motori fermi, la nave iniziò a inabissarsi. Inoltre il Ly Thuong Kiet fu centrato in pieno da “fuoco amico”, quando un proiettile da 127 mm sparato dal gemello Tran Binh Trong, ne mise fuori uso le macchine: a questo punto, tutte le unità coinvolte nello scontro erano state più o meno danneggiate, con centinaia di fori negli scafi, per lo più prodotti da armi leggere, che avevano però provocato gravi perdite.
Nel frattempo, il comando della VII Flotta americana aveva avvisato gli alleati che da Hainan erano partiti alcuni MiG-21 e altre navi da guerra, comprese alcune dotate di missili: Saigon allora diede ordine alle proprie unità di ritirarsi, sparando ancora qualche colpo per proteggere il Ly Thuong Kiet che, gravemente danneggiato, tornò zoppicando a Da Nang, mentre elicotteri della US Navy recuperavano i superstiti. Le navi cinesi giunte sul luogo della battaglia, invece, oltre a dare il colpo di grazia alla semi-affondata corvetta Nhat Tao, soccorrevano il dragamine 389, arenatosi in fiamme.
Nei giorni successivi le forze di Pechino occuparono le isole tenute dal Vietnam, catturandovi una cinquantina di militari ed un civile americano, poi rilasciati [5]. Le Paracel diventavano così le Xisha Qundao, mentre a Saigon il presidente Thieu, ormai abituato ai disastri militari, ricevendo i suoi sconsolati ammiragli, minimizzava l’accaduto.
Infatti il regime di Saigon, sorvolando sulla perdita delle isole, e sulle proprie navi affondate e danneggiate, rivendicò di aver ottenuto una storica vittoria navale, affermando di aver affondato 2 navi nemiche (sebbene anche il dragamine arenatosi fosse stato recuperato). “La prima vittoria navale contro un nemico vecchio di due millenni!”, annunciò la stampa, mentre le strade della capitale e di Da Nang si riempivano di bandiere. “Tutti si dimenticarono dei comunisti: d’altra parte essi ci erano nemici da soli sedici anni”, commentò un quarto di secolo più tardi l’ex commodoro Diem, intervistato da un giornale americano [6].
[1] Vedi www.storiain.net/storia/ḥeil-hayam-hayisraeli-la-sentinella-di-israele-sul-mare.
[2] Nato nel 1920, proveniente dalla marina mercantile, addestrato dai francesi nel 1951-1952, era già stato alla testa delle nascenti forze navali del Sud Vietnam tra 1957 e 1959: imprigionato per 12 anni dai nordvietnamiti alla caduta di Saigon nel 1975, emigrò negli Stati Uniti, dove è morto quasi centenario nel 2019.
[3] Morì in Texas nel 1999.
[4] Nonostante fossero di costruzione recente, le navi cinesi erano afflitte anch’esse da frequenti avarie: alla battaglia infatti non parteciperanno le 2 pur moderne fregate Type-065 presenti ad Hainan, ma bloccate da problemi ai motori.
[5] Nello scontro, i cinesi persero 85 uomini tra morti e feriti, e i vietnamiti un centinaio.
[6] Il 14 marzo 1988, forze navali cinesi e vietnamite (questa volta dell’ormai unificata Repubblica Socialista del Vietnam, retta dal 1975 da un regime comunista ma filosovietico, in guerra con Pechino dal 1979), tornarono a scontrarsi: questa volta per le Spratly, e con una completa vittoria rivendicata dalla Cina. Nello scontro di Johnson South Reef, infatti, 3 fregate cinesi armate anche con missili distrussero 3 unità anfibie vietnamite. Un centinaio le vittime.