IL CONCILIO DI TRENTO: LO SVOLGIMENTO

di Giancarlo Ferraris –

 

I lavori durarono quasi vent’anni e coinvolsero ben cinque pontificati: ne nacque la Professione di Fede Tridentina che rimase inalterata fino al Concilio Vaticano II, cioè agli anni Sessanta del Novecento.

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La partecipazione e l’andamento del Concilio

    Il Concilio di Trento, convocato da papa Paolo III con l’emanazione della bolla Laetare Jerusalem nel novembre 1544, si aprì in un clima di generale scetticismo. Il 13 dicembre 1545, al momento della sua inaugurazione, c’erano soltanto 30 padri conciliari di cui tre quarti italiani. La presenza di ecclesiastici del nostro paese fu sempre preponderante rispetto a quella delle altre nazioni europee cattoliche durante l’intero svolgimento dell’assemblea ecumenica. Il 18 gennaio 1564, quando i lavori iniziarono effettivamente, i padri conciliari italiani erano 85, gli spagnoli 14, i portoghesi 3, i greci 3 mentre la Francia, l’Inghilterra, la Germania, l’Olanda e la Polonia erano rappresentate ciascuna da un solo padre conciliare. Nel complesso il numero dei partecipanti al Concilio di Trento fu sempre piuttosto esiguo: 237, una cifra che pecca poi di un forte eccesso dal momento che parecchie decisioni importanti furono prese da assemblee costituite da non più di 72 padri conciliari. È comunque anche vero che il 5 dicembre 1563, il giorno dopo la chiusura dei lavori, le decisioni che il Concilio aveva adottato in materia dottrinale e disciplinare in diciotto anni furono sottoscritte da 255 padri i quali rappresentavano l’Europa rimasta fedele alla Chiesa cattolica: un’Europa prettamente meridionale – Italia, Spagna, Portogallo per intenderci – tanto che alla fine del Seicento il filosofo Gottfried Wilhelm Leibniz scrisse in una lettera inviata al vescovo Jacques Bousset che il Concilio tridentino era stato più che altro un sinodo italiano in cui si ammettevano gli altri solo per la forma, e per meglio mascherare il gioco. E in effetti molti storici nei secoli successivi rimproverarono all’evento il fatto di non aver cercato in alcun modo di aprire un dialogo con il mondo protestante che fu volutamente tenuto fuori dai lavori assembleari.
Cronologicamente il Concilio di Trento, che si tenne dal 13 dicembre 1545 al 4 dicembre 1563, interessò cinque pontificati – quello di Paolo III (1534-1549), quello di Giulio III (1550-1555), quello di Marcello II (1555), quello di Paolo IV (1555-1559) e quello di Pio IV (1559-1565) – si sviluppò in tre fasi – la prima dal 1545 al 1547, la seconda dal 1551 al 1552, la terza dal 1562 al 1563 – e conobbe anche alcuni “incidenti di percorso”: nel 1547, a causa delle interferenze dell’imperatore Carlo V d’Asburgo, che per motivi politici premeva per una riconciliazione con i protestanti e a causa anche di un’epidemia di peste, venne spostato a Bologna dove proseguì, comunque, nel 1548. Questo fatto provocò la sospensione dei lavori dei padri conciliari dal 1549 al 1551, lavori che ripresero poi brevemente a Trento tra il 1551 e il 1552 per interrompersi nuovamente dal 1552 al 1562. In quest’ultimo anno il Concilio tornò a riunirsi, sempre a Trento, per concludersi alla fine dell’anno successivo. Nel giugno 1564 papa Pio IV con la bolla Benedictus Deus ne approvò tutti i decreti.

L’opera del Concilio

La Chiesa trionfante schiaccia l'eresia, sullo sfondo del Concilio di Trento (1588), di Pasquale Cati

La Chiesa trionfante schiaccia l’eresia, sullo sfondo del Concilio di Trento, di Pasquale Cati, 1588

    L’opera del Concilio di Trento riguardò due ambiti distinti, quello dottrinale e quello disciplinare, e pervenne alla formulazione del cosiddetto cattolicesimo postridentino condensato nella Professione di Fede Tridentina che rimase inalterato fino al Concilio Vaticano II (1962-65). I padri conciliari definirono un regolamento di lavoro ben preciso: i vescovi e i superiori avevano diritto di voto deliberativo mentre ai vescovi tedeschi venne concesso di essere rappresentati da un delegato il quale poteva però esercitare solo un voto consultivo. Speciali congregazioni formate da teologi e canonisti avevano il compito di redigere i vari argomenti che i padri conciliari avrebbero discusso dopo essere stati esaminati dalle congregazioni generali e approvati dalle congregazioni solenni. Il regolamento di lavoro prevedeva inoltre che ogni decisione adottata dai padri conciliari avrebbe riguardato i dogmi e la disciplina.
Fin da subito il Concilio di Trento decretò che le innovazioni introdotte dalla Riforma protestante erano assolutamente errate, deleterie nonché farsesche ponendo nel contempo l’accento sulla continuità della storia cristiana che non ammetteva nessuna frattura. Ma che cosa aveva detto di così errato, deleterio e farsesco Martin Lutero al punto da essere scomunicato e di generare una spaccatura sostanzialmente insanabile nel mondo cristiano? Ecco, se vogliamo comprendere l’opera del Concilio di Trento è necessario soffermarsi per un momento su questo monaco agostiniano tedesco del XVI secolo, promotore di quella grande rivoluzione religiosa passata alla storia come Riforma protestante.
La causa scatenante della Riforma, senza peraltro che nessuno ne avesse immediata consapevolezza, fu la cosiddetta vendita delle indulgenze promossa da papa Leone X (1513-1521) per reperire i fondi con cui procedere alla costruzione della Cupola della Basilica di San Pietro a Roma. Si trattava di una delle tante applicazioni della pratica cattolica delle opere meritorie in virtù delle quali azioni materiali servono per acquisire meriti spirituali, ma in Germania essa divenne una vera e propria speculazione con tanto di quelle che oggi si chiamano campagne pubblicitarie. Basti pensare che uno dei suoi slogan diceva: Quando cade il soldin nella cassetta / l’anima sale in cielo benedetta. Per protestare contro questo mercato Martin Lutero nel 1517 affisse sulla porta della Cattedrale di Wittenberg 95 tesi che riguardavano non soltanto la vendita delle indulgenze in sé, ma anche questioni teologiche molto più complesse come il peccato e la penitenza. Il Papato reagì dapprima in maniera contenuta invitando Lutero alla ritrattazione con la bolla Exsurge Domine del 1520 poi, nel 1521, scomunicandolo con la bolla Decet Romanum Pontificem dopo che egli aveva pubblicamente bruciato il documento pontificio con cui papa Leone X lo esortava alla revoca delle sue posizioni. Il solco era tracciato e non sarebbe stato più possibile colmarlo. Il conflitto che anteponeva e divideva Martin Lutero dalla Chiesa di Roma riguardava infatti il modo di intendere e di vivere la dimensione religiosa che il primo affidava al consenso dei fedeli mentre la seconda organizzava in un’istituzione con a capo il pontefice. Personalmente Lutero concepiva l’esperienza spirituale come un autentico dramma dove forte era il senso del peccato e viveva il cristianesimo con slancio mistico, tutto interno alla sua coscienza. Questo modo di sentire e di vivere la religione lo portò a esasperare quelle antitesi che il cattolicesimo intendeva invece comporre finendo così anche per negarne alcuni principi fondamentali.
Ecco di seguito i cardini essenziali (volutamente si sono evitate complesse esposizioni, N.d.A.) del pensiero teologico di Martin Lutero a cui il Concilio di Trento rispose con i suoi decreti in materia dottrinale: il servo arbitrio; la salvezza per sola fede; la svalutazione dei sacramenti; il libero esame delle Sacre Scritture; il sacerdozio universale; la validità unica dell’insegnamento dei Padri della Chiesa.
Il servo arbitrio è quel concetto filosofico e teologico in virtù del quale l’uomo non è libero di scegliere di compiere ciò che è bene davanti a Dio perché la sua volontà è asservita al peccato e di conseguenza non può fare altro che compiere il male. Soltanto l’intervento di Dio può liberarlo da una simile condizione. I padri del Concilio al servo arbitrio di Lutero opposero il concetto filosofico e teologico diametralmente contrario del libero arbitrio, in virtù del quale l’uomo è libero di scegliere di compiere ciò che è bene oppure ciò che è male. Con l’aiuto della grazia divina l’uomo stesso può, comunque, compiere il bene e conseguire così la salvezza eterna.
La salvezza per sola fede esclude, a priori, che la salvezza eterna non si ottiene attraverso le opere considerate dallo stesso Lutero azioni totalmente false, ma soltanto con la fede in Dio il quale può salvare tutti coloro che hanno appunto fede in lui. I padri conciliari al concetto di salvezza per sola fede opposero quello della salvezza attraverso la fede, ma anche attraverso le opere considerate manifestazioni e testimonianze del desiderio e della volontà dell’uomo di conseguire la salvezza eterna.
La svalutazione dei sacramenti riduce la validità oggettiva e il numero dei sacramenti da sette a due, il battesimo e l’eucarestia, oltre a farli dipendere dall’intenzione soggettiva dei fedeli. I padri del Concilio ribadirono la validità oggettiva e il numero integrale dei sette sacramenti tradizionali che confermarono essere strumenti fondamentali per veicolare la grazia divina e accedere in questo modo alla salvezza eterna.
Il libero esame delle Sacre Scritture testimonia la negazione del magistero della Chiesa di Roma insieme alla svalutazione della vita comunitaria. Il fedele, che è in mistico contatto con Dio, è il solo legittimo interprete delle Sacre Scritture (Lutero provvide anche a tradurle in tedesco) dalla cui meditazione può trarre insegnamenti nuovi a lui congeniali. I padri conciliari confermarono l’assoluta autorità del magistero della Chiesa di Roma nell’interpretazione delle Sacre Scritture riconoscendo altresì il valore della Vulgata, la versione latina della Bibbia curata alla fine del IV secolo da san Girolamo, come unico testo ufficiale.
Il sacerdozio universale è un’altra negazione del magistero della Chiesa di Roma e della vita comunitaria dal momento che il fedele è in ascetico contatto con Dio e per ricevere la grazia divina non risulta quindi più necessaria la mediazione di un clero formalizzato. I padri del Concilio ribadirono il valore sacramentale dell’ordine e quindi la peculiare istituzione divina del clero come intermediario tra il fedele e Dio.
L’insegnamento dei Padri della Chiesa ovvero dei pensatori del cristianesimo antico viene ritenuto l’unico valido essendo basato sulle fonti originarie della dottrina cristiana a differenza di quello dei Dottori della Chiesa elaborato nel medioevo. I padri conciliari riconfermarono la validità sia dell’insegnamento dei Padri della Chiesa che di quello dei Dottori della Chiesa.
Accanto alle questioni dottrinali il Concilio di Trento affrontò quelle disciplinari (volutamente anche in questo caso si sono evitate complesse esposizioni, N.d.A.) per dare un nuovo ed efficiente assetto organizzativo alla Chiesa cattolica affinché quest’ultima fosse capace di comunicare il messaggio cristiano al popolo di fedeli. I provvedimenti adottati riguardarono quattro ambiti: quello che si potrebbe definire come generale; l’episcopato; il clero secolare; il clero regolare.
Nell’ambito generale i padri del Concilio stabilirono l’obbligo del celibato ecclesiastico che, pur non essendo una novità, era ampiamente disatteso; la rinuncia al cumulo di benefici per evitare che la dignità ecclesiastica non fosse oggetto di ambizioni venali; l’istituzione di seminari finalizzati all’educazione religiosa e alla formazione culturale degli ecclesiastici; la creazione di diocesi e di parrocchie ovvero di aree territoriali abitate da fedeli, le prime ampie, sottoposte alla giurisdizione di un vescovo e costituite da più parrocchie, le seconde, sempre sottoposte alla giurisdizione episcopale, ma più circoscritte e affidate a un sacerdote; l’uso del latino come lingua della Chiesa cattolica nelle cerimonie religiose al fine di evitare le possibili deformazioni concettuali che sarebbero potute derivare dall’uso frequente delle lingue nazionali. Contrariamente a quanto è stato ampiamente detto e scritto il Concilio di Trento non vietò né di tradurre e neppure di leggere la Bibbia in volgare limitando però tale consuetudine all’ambiente privato. Il divieto venne imposto soltanto alcuni anni dopo con la creazione della Congregazione dell’Indice dei Libri Proibiti.
Relativamente all’episcopato i padri conciliari decretarono che i vescovi, oltre a nascere da matrimonio legittimo, dovevano essere di buoni costumi e di sana dottrina; avevano l’obbligo di risiedere nella loro diocesi dalla quale potevano assentarsi per non più di tre mesi inoltrando però domanda al pontefice mentre erano ammesse assenze in occasione delle domeniche di Avvento e di Quaresima nonché nei giorni di Natale, Pasqua, Pentecoste e Corpus Domini; dovevano visitare la propria diocesi, predicare di persona, garantire nelle parrocchie la celebrazione della liturgia, l’amministrazione dei sacramenti e la predicazione; tenere ogni anno un sinodo diocesano e assistere ogni tre anni a un sinodo provinciale per esaminare e valutare l’attività pastorale dell’episcopato e del clero secolare oltre che per stabilire norme e orientamenti comuni nelle diocesi e nelle parrocchie.
Relativamente al clero secolare i padri del Concilio stabilirono che i diaconi ovvero i futuri sacerdoti dovevano avere un’età minima di ventidue anni, conoscere il latino e sottoporsi a un accurato esame per verificarne la condotta morale e la preparazione teologica; i sacerdoti effettivi potevano ottenere la patente di confessore dopo aver superato un esame apposito o aver dato prova della loro competenza come direttori spirituali; avevano l’obbligo di risiedere nella loro parrocchia dalla quale potevano assentarsi solo facendosi sostituire da un vicario approvato dal vescovo; dovevano garantire la celebrazione della liturgia, l’amministrazione dei sacramenti e la predicazione.
Relativamente al clero regolare i padri conciliari decretarono che i suoi componenti dovevano avere un’età minima di sedici anni; dovevano vivere secondo la loro regola; non potevano fondare nuove case senza il permesso del vescovo; dovevano risiedere nel loro convento o nel loro monastero; dovevano attendere agli studi e alla formazione religiosa sempre in un convento o in un monastero; i superiori, generali e badesse, dovevano essere eletti a voto segreto; era inoltre prevista la scomunica per coloro che costringessero una persona ad abbracciare la vita religiosa o glielo impedissero.
L’opera svolta dal Concilio di Trento generò una Chiesa cattolica fortemente dogmatica e strutturata, una vera e propria monarchia assoluta dal punto di vista religioso facente capo alla figura del pontefice. In quest’ottica si inseriscono e si comprendono l’istituzione nel 1542 della Congregazione del Sant’Uffizio, composto da nove cardinali con l’incarico di sovrintendere al Tribunale dell’Inquisizione (detto anche Inquisizione romana) e nel 1559 della Congregazione dell’Indice dei Libri Proibiti. Com’è noto il Tribunale dell’Inquisizione aveva la funzione di indagare sull’eventuale eterodossia degli imputati i quali, se riconosciuti colpevoli, venivano affidati al braccio secolare vale a dire all’autorità politica per l’esecuzione della sentenza capitale mentre l’Indice dei Libri Proibiti annoverava tutte quelle opere, periodicamente aggiornate, la cui lettura per ragioni filosofiche, morali e teologiche era vietata.

Giudizi storici sul Concilio

    Fin dal XVII secolo sono stati espressi numerosi giudizi storici sul Concilio di Trento. Le prime opere storiografiche sull’evento sono l’Istoria del Concilio Tridentino (1619) del frate servita Paolo Sarpi e l’Istoria del Concilio di Trento (1656-57) del cardinale Pietro Sforza Pallavicino. Il Sarpi nel suo trattato volle dimostrare come il Concilio non avesse affatto ricompattato l’unità del mondo cristiano, ma anzi avesse reso più profonda la spaccatura tra cattolici e protestanti oltre a sottolineare le forti pressioni che la Curia romana appoggiata dalla Spagna, la grande potenza cattolica dell’epoca, esercitò durante gli anni del Concilio sulla collegialità dei vescovi ai quali essa riuscì alla fine a imporre la sua volontà per il raggiungimento di obiettivi esclusivamente temporali e non per il ritorno alla povertà evangelica della Chiesa primitiva. L’Istoria del Concilio di Trento del cardinale Sforza Pallavicino è un trattato più ampio e maggiormente meditato rispetto alla Istoria del Concilio Tridentino del Sarpi, ma si palesa sostanzialmente come un’opera apologetica che, oltre a difendere i dogmi del cattolicesimo e a denigrare il protestantesimo, sostiene ed esalta l’opera del Papato considerato come garante dell’integrità del mondo cattolico e della stessa Chiesa di Roma di cui vengono celebrati altresì i fasti.
Nel XIX secolo sul Concilio di Trento sono state formulate due tesi tra loro contrapposte, ma entrambe destinate a lunga fortuna: quella di Leopold von Ranke (1795-1886) e quella di Ludwig von Pastor (1854-1928). La prima tesi sostiene che il Concilio di Trento svolse un ruolo di ristabilimento della Chiesa cattolica e della vita religiosa nei confronti dei vari movimenti di rinnovamento del cristianesimo del XV-XVI secolo, uno dei quali dette origine alla Riforma protestante; la seconda tesi invece afferma che il Concilio di Trento fu il vero rinnovamento della Chiesa di Roma mentre la Riforma protestante fu solamente una rivoluzione religiosa.
Per concludere riportiamo i commenti di Hubert Jedin (1904-1980) e di Jean Delumeau (1923-2020). Jedin, nel quarto volume della sua Storia della Chiesa, scrive: «Esso (il Concilio di Trento, N.d.A.) ha rigorosamente delimitato il patrimonio della fede cattolica nei confronti dei protestanti, anche se non su tutta la linea delle controversie. [...] Esso ha contrapposto alla “riforma” protestante una riforma cattolica, che pur non essendo una reformatio in capite et membris nel senso del tardo Medioevo [...] eliminò certamente gli inconvenienti più gravi sul piano diocesano e parrocchiale e negli ordini religiosi, rafforzò di fatto il potere dei vescovi e portò in primo piano le esigenze della pastorale».
Il Delumeau nella sua opera Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo afferma: «La grandezza del Concilio di Trento sta proprio nel fatto che seppe rispondere ai bisogni del tempo, esattamente come d’altro canto vi rispose la Riforma protestante, benché certo con dottrina e stile ben diversi, nei paesi ove si radicò. […] La Cristianità occidentale, all’epoca della Preriforma, stava iniziando a vivere una profonda esperienza di trasformazione della vita religiosa. Essa si apriva alla pietà personale, aveva fame di Dio. Prendendo coscienza dell’abisso di ignoranza religiosa in cui viveva, reclamava a viva voce la Parola. Nello stesso tempo, presa da panico per i propri peccati, cercava ad ogni costo di forzare le porte del cielo. Ora, in questo clima fecondo ma agitato, la Chiesa ufficiale non rispondeva piú all’attesa dei fedeli, perché consentiva che si sviluppasse l’incertezza teologica. Per di più, le sue strutture erano diventate torpide e pesanti, i pastori, tanto ai livelli più alti quanto a quelli inferiori, spesso si mostravano non all’altezza dei propri compiti, ora per ignoranza, ora per mancata residenza, e non di rado per entrambe le ragioni. Il popolo cristiano aveva bisogno dunque di un insegnamento e di una predicazione dottrinale chiari e atti a dissipare dubbi e angosce, di una teologia solida e ben articolata, la quale non poteva essere insegnata che da un clero rinnovato, istruito, disciplinato, teso a compiere il proprio dovere pastorale. È chiaro che il Concilio di Trento non cercò di scavalcare il protestantesimo. La sua preoccupazione principale fu quella di far fronte alle contestazioni e alle negazioni, e fino alla fine la mentalità più diffusa fu quella dello stato d’assedio, di una città che doveva far fronte a nemici che la circondavano. Tuttavia, una volta presa coscienza del fatto che la frattura si era prodotta ed era insanabile, il concilio diede a chi era restato fedele a Roma ciò che a lungo aveva costituito l’aspirazione della Cristianità occidentale all’alba dell’età moderna: un catechismo e dei pastori».

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Per saperne di più
G. Alberigo, I vescovi cattolici al concilio di Trento, 1545-1547, Firenze, 1959
L. Cristiani, “La Chiesa al tempo del Concilio di Trento (1545-1563)” in Storia della Chiesa dalle origini ai giorni nostri, a cura di A. Fliche e V. Martin, trad. it., Torino, 1977, vol. XVII
J. Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, trad. it., Milano, 1976
J. Delumeau, La Riforma. Origini e affermazione, trad. it., Milano, 1988
H. Jedin, Storia del Concilio di Trento: il primo periodo (1545-47), trad. it., Brescia, 1974, vol. 2
H. Jedin, Storia del Concilio di Trento: il periodo bolognese (1547-48). Il secondo periodo trentino (1551-52), trad. it., Brescia, 1982, vol. 3
H. Jedin, Storia del Concilio di Trento: la Francia e il nuovo inizio a Trento sino alla morte dei legati Gonzaga e Seripando, trad. it., Brescia, 1980, vol. 4.1
H. Jedin, Storia del Concilio di Trento: superamento della crisi per opera di Marone, chiusura e conferma, trad. it., Brescia, 1981, vol. 4.2
H. Jedin, Storia della Chiesa, trad. it., Milano, 1975
G. Martina, Storia della Chiesa da Lutero ai nostri giorni. 1. L’età della riforma, Brescia, 1993
L. von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del Medioevo, trad. it., Roma, 1958-1965
L. von Ranke, Storia dei Papi, trad. it., Firenze, 1968
P. Sarpi, Istoria del Concilio Tridentino, a cura di C. Vivanti, Torino, 2011
P. Sforza Pallavicino, Istoria del Concilio di Trento, Firenze, 2012