IL CONCILIO DI TRENTO: LA PREPARAZIONE
di Giancarlo Ferraris -
Se la Chiesa di Roma lo avesse convocato all’indomani della scomunica di Martin Lutero (1520), la Riforma protestante, probabilmente, non sarebbe avvenuta. Il ritardo, pari a un quarto di secolo, permise al protestantesimo di diffondersi e organizzarsi.
Evangelici e intransigenti
La Riforma protestante scatenata da Martin Lutero nella prima metà del XVI secolo, oltre a sconvolgere la vita e le istituzioni religiose di intere nazioni, ebbe l’effetto di rendere maggiormente urgente la necessità di una riforma profonda nella Chiesa di Roma, esigenza, peraltro, sentita da un secolo dentro l’intero mondo cattolico. Era opinione diffusa tra i cattolici che questa riforma sarebbe stata possibile soltanto attraverso una limitazione del potere papale da parte del concilio ecumenico, l’assemblea generale di tutti i vescovi periodicamente convocata per definire questioni teologiche, morali e organizzative. Ciononostante, nella realtà storica, era sempre prevalsa la superiorità del pontefice in relazione a due obiettivi: assicurare l’unità della Chiesa; proteggerla dalle interferenze dei sovrani e dei principi. In questa situazione l’unica riforma possibile della Chiesa di Roma restava affidata al clero, il quale avrebbe dovuto rinnovarsi sotto molteplici aspetti, dalla fede alla morale all’attività pastorale.
La rivoluzione religiosa promossa da Martin Lutero scosse i cattolici nel profondo e li obbligò a ritrovare una certa compattezza, senza però stabilire come procedere nei confronti di coloro i quali avevano aderito al protestantesimo e come attuare il rinnovamento della Chiesa. Alla fine all’interno del mondo cattolico si delinearono due correnti che, in modo alquanto schematico, si possono definire evangelici e intransigenti. Gli evangelici vedevano nei protestanti dei “cattolici” che avevano accolto solamente una parte dell’ispirazione divina, ma che avevano sbagliato poiché non erano rimasti dentro la Chiesa di Roma nei confronti della quale avevano polemizzato; per tutti costoro, secondo gli evangelici, era però possibile un ritorno nella Chiesa stessa, che sarebbe potuto avvenire soltanto attraverso un profondo rinnovamento della vita religiosa nel suo complesso. Gli intransigenti invece consideravano la lotta contro il protestantesimo l’obiettivo prioritario della Chiesa cattolica, la quale avrebbe potuto attuarlo passando attraverso un robusto rinnovamento disciplinare e tendevano a vedere negli evangelici dei potenziali nemici della fede e delle gerarchie ecclesiastiche anche più pericolosi degli stessi protestanti perché presenti nei centri vitali della Chiesa medesima. Il programma degli intransigenti è riassunto nelle seguenti parole di papa Paolo IV: «L’heresia è da esser perseguitata con ogni rigor et asprezza come la peste del corpo, perché ella è peste dell’anima. Se si appartano, si abbrugiano, si consumano li lochi et robbe appestate, perché non si dee, con l’istessa severità, estirpar, annichilar et allontanar l’heresia, morbo dell’anima che val senza comparatione più del corpo?»
Il “caso” del cardinale Reginald Pole
La vicenda del cardinale inglese Reginald Pole (in italiano Reginaldo Polo) sintetizza l’atteggiamento assunto dalla corrente degli evangelici. Appartenente a una famiglia strettamente legata alla casa reale britannica, Reginald Pole (1500-1558) venne coinvolto, pur non volendolo, nella celebre vicenda del divorzio tra Enrico VIII Tudor re d’Inghilterra e la sua consorte Caterina d’Aragona, in seguito al quale si verificò lo scisma che portò alla nascita della Chiesa anglicana. Dopo aver perso il favore del sovrano inglese, Pole si trasferì in Italia dove si adoperò, invano, per convincerlo a ritornare sui suoi passi e dove entrò in contatto con i circoli più vivaci dell’evangelismo del nostro paese. Nel 1536 fu nominato cardinale da papa Paolo III che lo volle anche tra i membri di un’apposita commissione istituita per elaborare un progetto di riforma della Chiesa cattolica. Nell’ambito di questa commissione Reginald Pole assunse una posizione particolare: da un lato, infatti, si schierò con i più strenui sostenitori dell’ortodossia cattolica, ma dall’altro lato, nel 1546, elaborò un’interpretazione sul problema teologico della salvezza molto vicina a quella formulata da Martin Lutero – l’uomo si salva grazie alla fede in Dio e non con le opere – anche se in termini assai prudenti e circonstanziati. Il Pole avrebbe voluto esporre la sua tesi al Concilio di Trento, ma una malattia glielo impedì. Nel 1549 mancò di un solo voto per ottenere la maggioranza di due terzi necessari per diventare pontefice mentre alcuni anni dopo l’Inquisizione romana, venuta a conoscenza della sua tesi sulla salvezza per la sola fede, lo accusò di eresia insieme alla poetessa Vittoria Colonna. In merito a questa vicenda lo storico Hubert Jedin ha osservato: «Ha per noi qualcosa di opprimente il pensiero che un cardinale, al quale nel conclave del 1549 mancò solo un voto alla maggioranza di due terzi, ed una donna che sino alla sua fine, presso il papa Paolo III e presso numerosi cardinali, era in altissima stima, alcuni anni più tardi venissero tacciati col rimprovero di eresia». L’improvvisa morte sottrasse tuttavia Pole ai rigori dell’Inquisizione.
Il “caso “del cardinale Reginald Pole è emblematico di quella che fu la parabola degli evangelici, i quali stavano progressivamente perdendo terreno in seguito alla crescente divaricazione tra cattolicesimo e protestantesimo parallelamente all’accentuarsi del carattere laico e profano della cultura, soprattutto italiana, del tempo e alla fine della politica di tolleranza messa in atto dalla Chiesa di Roma nei confronti dei suoi appartenenti aperti verso gli innovatori.
I caratteri del concilio ecumenico
Il Concilio di Trento fu la diciannovesima assemblea ecumenica della Chiesa di Roma. In generale il concilio ecumenico è un sinodo cioè una riunione solenne di tutti i vescovi cristiani per definire argomenti controversi di fede o indicare orientamenti di morale. L’aggettivo ecumenico deriva dal termine greco ecumene, con il quale si intende l’intero mondo abitato, anche se in realtà, storicamente, si riferisce all’intero mondo romano.
Il concilio ecumenico è giuridicamente subordinato all’autorità papale. Spetta infatti unicamente al pontefice convocarlo, presiederlo personalmente, stabilirne l’ordine del giorno e il regolamento dei lavori (i padri conciliari, vale a dire gli ecclesiastici convocati, possono aggiungere altri argomenti da trattare, ma solamente con l’approvazione del papa), trasferirlo, sospenderlo o scioglierlo, approvarne i decreti. Tutti i vescovi membri del Collegio episcopale hanno il diritto-dovere di partecipare al concilio ecumenico, il quale può essere sospeso in caso di scomparsa del pontefice e indetto nuovamente oppure sciolto dal suo successore. I decreti del concilio ecumenico acquistano forza obbligatoria soltanto se sono stati approvati dal papa insieme ai padri conciliari o dal pontefice stesso successivamente confermati e, per suo comando, promulgati.
Con il termine conciliarismo si intende invece nell’ambito della storia della Chiesa la dottrina che attribuisce al concilio ecumenico, considerato l’organo rappresentativo dell’universalità dei fedeli, l’autorità ecclesiastica suprema e subordina a esso l’autorità del pontefice. Il conciliarismo ha dominato le vicende della Chiesa di Roma nel XIV e nel XV secolo, fino a quando il V Concilio Lateranense (1512-1517) lo condannò e stabilì che spetta soltanto al papa convocare, trasferire e sciogliere il concilio.
Necessità e convocazione di un concilio ecumenico
Se la Chiesa di Roma avesse convocato un concilio ecumenico all’indomani della pubblicazione delle tesi di Martin Lutero (1517) e della sua successiva scomunica (1520), la Riforma protestante, probabilmente, non sarebbe avvenuta. Il ritardo, pari a un quarto di secolo, della Chiesa cattolica permise al protestantesimo di diffondersi e di organizzarsi come culto oltre a rendere le frontiere religiose più nette e più profonda la spaccatura che divideva le due confessioni cristiane rivali. Lo stesso Lutero, fin dall’inizio della sua polemica con la Chiesa cattolica, domandò, invano, la convocazione di un concilio ecumenico per definire le varie questioni dottrinali e organizzative che egli medesimo aveva fatto emergere. E mentre il protestantesimo avanzava, all’interno della Chiesa di Roma si agitavano le due tendenze di cui abbiamo già parlato, quella degli evangelici e quella degli intransigenti. In linea ipotetica il concilio ecumenico, nelle intenzioni degli evangelici, avrebbe dovuto ricomporre l’unità spirituale della famiglia cristiana attraverso un ampio ripensamento del cristianesimo e un rinnovamento delle istituzioni ecclesiastiche che tenessero conto anche delle esigenze prospettate dal protestantesimo. Nella realtà prevalse la tesi degli intransigenti, fra l’altro più confacente agli ambienti della Curia romana, secondo la quale non si doveva fare nessuna concessione al protestantesimo e, parallelamente, si dovevano ribadire i dogmi dell’ortodossia cattolica nonché riaffermare la subordinazione del popolo di fedeli alle gerarchie clericali. Oltre a tutto ciò protestanti e cattolici non avevano la stessa concezione dell’assemblea ecumenica: per i protestanti essa avrebbe dovuto essere libera, aperta ai teologi riformati e ai laici, superiore al papa la cui autorità era contestata e si sarebbe dovuta tenere in una città della Germania, la culla della rivolta religiosa. Il pontefice invece rifiutava ogni contestazione della sua supremazia rispetto al concilio e ogni proposta di accoglimento delle tesi di Lutero desiderando inoltre che il concilio ecumenico si tenesse in Italia, paese fedele alla Chiesa di Roma.
La lunga guerra tra Francia e Spagna, che si combatté in Europa tra il 1521 e il 1559, fu sicuramente una pesante causa, sia pure esterna alla Chiesa, che ritardò la convocazione del Concilio di Trento. La richiesta di convocazione di un’assemblea ecumenica da parte di Martin Lutero incontrò il favore di Carlo V d’Asburgo, il quale considerava il concilio uno strumento eccezionale per riformare la Chiesa e insieme per accrescere il suo potere. In realtà l’imperatore desiderava che il concilio si occupasse soltanto di questioni disciplinari dal momento che egli, con incontri separati, cercava di raggiungere un’intesa con i protestanti sul piano teologico per porre fine al conflitto religioso che divideva le popolazioni dell’Impero Asburgico. Francesco I di Valois condusse invece un’azione diplomatica contraria alla convocazione di un concilio ecumenico, perché temeva che esso ponesse fine alle divisioni interne all’Impero sulle quali egli contava.
Dopo il pontificato di Clemente VII (1523-1534), politicamente filofrancese e peraltro timoroso che la convocazione di un concilio potesse indebolire la posizione papale, il nuovo pontefice Paolo III, salito sul soglio di Pietro nel 1534, si propose di convocare in via definitiva un’assemblea ecumenica, cosa che avvenne dieci anni dopo, con l’emanazione della bolla Laetare Jerusalem nel novembre 1544. La sede dell’evento sarebbe stata Trento, città italiana appartenente però all’Impero Asburgico e governata da un principe vescovo. Il Concilio si aprì il 13 dicembre 1545, terza domenica d’Avvento, nella Cattedrale di San Vigilio. Si sarebbe concluso ben diciotto anni dopo, il 4 dicembre 1563.
Per saperne di più
L. Cristiani, “La Chiesa al tempo del Concilio di Trento (1545-1563)” in Storia della Chiesa dalle origini ai giorni nostri a cura di A. Fliche e V. Martin, trad. it., Torino, 1977, vol. XVII.
J. Delumeau, Il cattolicesimo dal XVI al XVIII secolo, trad. it., Milano, 1976.
J. Delumeau, La Riforma: origini e affermazione, trad. it. Milano, 1988.
H. Jedin, Storia del Concilio di Trento: la lotta per il Concilio, trad. it., Brescia, 1973, vol. 1
H. Jedin, Storia della Chiesa, trad. it., Milano, 1975.
G. Martina, Storia della Chiesa da Lutero ai nostri giorni. 1. L’età della riforma, Brescia, 1993.
R. Pole in Dizionario Biografico degli Italiani in www.treccani.it