I 50 ANNI DEL LUPO: STORIA DI UN’ECCELLENZA ITALIANA
di Giuliano Da Frè -
La Lupo è una classe di fregate lanciamissili che ha confermato l’altissima qualità dei cantieri italiani. Questi gioielli della tecnica navale influenzarono le costruzioni occidentali tra gli anni ’70 e ’80.
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Esattamente mezzo secolo fa, nei cantieri navali italiani iniziava la costruzione delle prime 2 fregate lanciamissili di nuova progettazione, appartenenti alla classe “Lupo”. E a sottolineare il successo avuto da queste navi di modernissima concezione, se l’11 ottobre 1974 veniva impostata negli allora Cantieri Navali Riuniti di Riva Trigoso la capoclasse eponima di quattro unità destinate alla Marina Militare italiana, in quello stesso sito sin dall’8 ottobre era in costruzione la fregata Carvajal, destinata alla Marina de Guerra del Perù: prima dei quattrodici esemplari venduti all’estero; sebbene con qualche tribolazione.
Nascita (imprevista) di un gioiello
In un precedente articolo (https://www.storiain.net/storia/le-fregate-spina-dorsale-della-marina-italiana/), avevamo già delineato l’evoluzione, nella Marina italiana del dopoguerra, e sino ai giorni nostri, dell’unità di scorta denominata, dopo alterne vicende, “fregata”. Un modello di nave da guerra divenuto sin dagli anni ’50 la spina dorsale di buona parte delle moderne flotte del mondo: unità specializzate nella lotta antisom, basate su modelli ed esperienze maturate durante il secondo conflitto mondiale, ed evolutesi dopo il 1970 in piattaforme caratterizzate dalla crescente sofisticazione della sensoristica, da apparati propulsivi a grande autonomia, dall’introduzione di sistemi d’arma basati sui missili, e sulla capacità di operare con uno o 2 elicotteri. Mentre, dagli anni ’90, dimensioni più generose [1], equipaggi ridotti grazie all’automazione, e design stealth, introducevano nuove capacità, ancora oggi in fase di evoluzione, e caratterizzate da una più avanzata configurazione multiruolo.
Dopo essersi arrangiata nell’immediato dopoguerra con navi scorta ricavate dalla trasformazione di quelle ereditate dalla Regia Marina, o cedute nel 1951 dagli Stati Uniti, la flotta italiana aveva potuto contare dalla metà degli anni ’50 sulla costruzione di nuove unità (fregate e corvette) che, oltre a segnare alcuni record – la prima fregata al mondo espressamente costruita per accogliere un elicottero fu l’italiana Luigi Rizzo, impostata nel 1957 e capoclasse di 4 piccole ma sofisticate unità consegnate nel 1961-1962 –, ebbe anche un buon riscontro nell’export. Dalle prime 4 fregate di nuova generazione destinate all’Italia, classe “Centauro”, costruite nel 1952-1958, derivò infatti in parte il progetto dei caccia leggeri denominati “Almirante Clemente”, contemporaneamente realizzati in 9 esemplari per Venezuela, Indonesia e Portogallo, mentre le stesse “Rizzo” avrebbero ispirato alcuni progetti stranieri. Si trattava tuttavia di navi di dimensioni limitate, con apparato motore ancora su turbina a vapore o diesel, e pochi margini di crescita: già superate attorno al 1970, sarebbero tutte state disarmate nei primi anni ’80.
Sin dal 1959 tuttavia, con le “Centauro” appena completate e le “Rizzo” ancora in costruzione, si era ragionato su una terza serie di 4 unità con caratteristiche più avanzate di quelle precedenti. Tempi e costi tuttavia si dilatarono, tanto da autorizzare la costruzione di 2 sole unità, le fregate Alpino e Carabiniere, costruite nel 1963-1968: una radicale evoluzione dei modelli precedenti, e non un semplice miglioramento. Le nuove fregate si presentavano infatti non solo con dimensioni più generose, ma introducevano una serie di innovazioni poi divenute standard, al pari del design, che avrebbe ispirato la successiva generazione di navi-scorta. Innanzitutto, le capacità antisom erano nettamente incrementate grazie all’adozione di una più ampia struttura aeronautica poppiera. Rispetto alle “Rizzo”, infatti, caratterizzate da un piccolo ponte di volo e da un modesto hangar telescopico in tela e metallo, che si limitava ad accogliere un elicottero leggero tipo AB-47G (che poteva impiegare o un sonar o un siluro, ma non entrambi i sistemi), le “Alpino” potevano contare su un più ampio ponte di volo, attrezzato per far operare gli elicotteri con condizioni meteo-marine avverse – grazie anche a innovative pinne antirollio -, e soprattutto un hangar integrato nella sovrastruttura poppiera, garantendo un miglior supporto logistico. Le nuove fregate potevano accogliere 2 elicotteri leggeri, ma in realtà impiegarono sempre un singolo velivolo medio, prima l’AB-204AS, poi lo AB-212ASW [2]. Sotto il ponte di volo trovava inoltre alloggio l’ingombrante apparato di un secondo sonar, un apparato a traino tipo AN/SQA-10 VDS (Variable Depth Sonar).
Infine, le “Alpino” adottarono per prime la moderna configurazione propulsiva CODAG (Combined Diesel and Gas), che integrava motori diesel a grande autonomia con potenti turbine a gas di nuova concezione, già testate sul caccia-conduttore San Giorgio, ammodernato nel 1963-1965.
Caratteristiche generali e design delle nuove fregate risultarono ottime, sebbene le “Alpino” soffrissero sin dagli anni ’70 per la mancanza di sistemi missilistici di attacco e difesa [3]. Pertanto non deve sorprendere, se nel 1970 i Cantieri Navali del Tirreno Riuniti, all’epoca in crisi – tanto da ipotizzarne la liquidazione, nell’ambito di alcuni ambiziosi piani di rilancio (poi sfociati nella rinascita con Fincantieri, giusto 40 anni fa) – avviassero la progettazione di nuove fregate partendo proprio dalla riuscitissima piattaforma delle “Alpino”.
In realtà i primi progetti presentavano caratteristiche alquanto discutibili, delineando navi irte di cannoni e missili, con a poppa solo una piazzola per limitate operazioni di volo e capacità antisom minime, in contrasto con le crescenti esigenze espresse dalla NATO. Si trattava di una sorta di grandi e veloci cannoniere lanciamissili destinate a contrastare le similari unità d’attacco sovietiche, che iniziavano a proliferare anche attorno alle coste italiane: ma poco appetibili anche per il mercato dell’export, furono infine bocciate anche dalla Marina, che stava attraversando le forche caudine della gravissima crisi dei primi anni ’70, caratterizzata da enormi problemi di bilancio, crescente malcontento tra il personale, e radiazione prematura di navi ancora utilizzabili. Nel maggio 1973, tuttavia, ai vertici della Forza Armata arrivava l’ammiraglio Gino de Giorgi: forte dei molti anni passati negli uffici di Stato Maggiore ad occuparsi di programmazione economica e tecnica, ma anche con una solida esperienza operativa, il nuovo Capo di Stato Maggiore (in carica peraltro per un lungo periodo di oltre 50 mesi, sino all’estate del 1977) avviò un deciso giro di boa. Con un lavoro capillare e articolato, elaborando nel 1973-1974 un Libro Bianco sino ad allora inedito per la Difesa italiana, e convincendo il Parlamento ad approvare nel 1975 una innovativa Legge Navale, de Giorgi di fatto ricostruì la flotta italiana su nuove basi, e ottenendo col rinnovo qualitativo anche una più robusta consistenza numerica del naviglio disponibile, sebbene i tempi si dilatassero rispetto alle previsioni.
Quasi un simbolo di questa nuova era, furono appunto le fregate classe “Lupo”, autorizzate nell’ambito di un primo pacchetto di costruzioni “emergenziale”. Inoltre, a marcare il cambio di passo, la Marina gettò tutto il suo peso nelle scelte tecniche relative al nuovo naviglio, e proprio per le nuove fregate ottenne la radicale revisione del progetto dei CNTR. Grazie all’impegno di un gruppo di giovani progettisti, con un occhio all’export, e volendo anche rinnovare e aggiornare le capacità produttive di un polo industriale quasi al collasso, prese rapidamente forma una nuova piattaforma, che nel 1974 appariva completamente rivoluzionata: e in effetti rivoluzionaria.
La nuova fregata, il cui design risentiva del progetto “Alpino”, si presentava con le stesse dimensioni compatte, lunga poco più di 113 metri, e più stretta di un paio di metri, con ponte continuo, scafo accuratamente compartimentato e in acciaio ad alta resistenza, un blocco di sovrastrutture in alluminio e leghe leggere con un solo albero, e a poppa ponte di volo e un hangar telescopico, sebbene più ampio e robusto di quello adottato sulle “Rizzo”.
Va sottolineato come da subito, il progetto e la successiva realizzazione delle fregate – complessivamente 18 quelle costruite tra il 1974 e il 1987, quasi tutte nei CNTR di Riva Trigoso e Ancona [4], tranne le 2 realizzate con assistenza italiana in Perù – fossero aperti a modifiche e customizzazioni, volute dai vari committenti, o imposti da eventi del tempo. Alcuni gravi incidenti avvenuti a metà anni ’70, avevano ad esempio messo in luce la vulnerabilità al fuoco dell’alluminio, e pertanto si ricorse a leghe in acciaio anche per il grosso delle sovrastrutture delle “Lupo”, mentre il proliferare dei sensori di nuova generazione portò all’adozione di un secondo albero, e a modifiche minori. Per le fregate destinate al Venezuela, e soprattutto al Perù (rispettivamente 6 e 4 esemplari), non solo cambiavano inoltre alcuni sistemi d’arma e sensori, ma furono anche adottate modifiche strutturali, soprattutto nella zona poppiera, e adottando un hangar fisso.
Il prodotto finale risultò quasi rivoluzionario, e oltre ai successi nell’export, le “Lupo” influenzarono non poco le costruzioni occidentali dell’epoca, soprattutto francesi, olandesi e tedesche, che spesso adottarono oltre alle soluzioni tecniche ideate per la fregata italiana, molti dei suoi sistemi d’arma e sensori [5]. In una piattaforma decisamente compatta (anche se col tempo le dimensioni ridotte hanno comportato problemi, legati allo scarso margine di crescita), trovavano infatti posto 3 radar principali e 4 per il tiro, il sonar a scafo e una avanzata suite di guerra elettronica, e apparati per ingannare siluri e missili. Sistemi che consentivano di gestire una impressionante panoplia di armi: il nuovo cannone da 127/54 mm “Compatto” sino ad allora imbarcato solo sui cacciatorpediniere, ottimizzato per il tiro contronave/controcosta ma efficace anche contro bersagli aerei, 2 impianti binati da 40/70 mm, dotati di munizionamento di nuovo tipo e a tiro rapidissimo asserviti a radar integrati nel sistema “Dardo”, capaci di garantire la difesa antimissile a cortissimo raggio (CIWS: Close-In Weapon System) con i sofisticati proiettili a frammentazione e spoletta di prossimità. Due i sistemi missilistici imbarcati: 8 contenitori-lanciatori per altrettanti Otomat Mk-1, poi sostituiti con i più evoluti Mk-2 “Teseo” teleguidati, e un impianto di lancio a 8 celle per i SAM antiaerei a corto raggio. Sulle fregate italiane furono adottati gli AIM-7E “Sea Sparrow”, standard della NATO, mentre sulle navi destinate all’estero furono montati i sistemi “Albatros” a ricarica automatica, per i più efficaci missili “Aspide” di progettazione nazionale (Selenia), poi retrofittati sulle “Lupo” durante i lavori degli anni ’90.
Le capacità antisom erano infine garantite, oltre che dal sonar a scafo e dall’elicottero imbarcato (che supportava anche la guida oltre l’orizzonte dei missili antinave), da 2 impianti trinati di lancio a ricarica automatica ILAS-3 per i siluri A-244/S nazionali prodotti da WASS.
Il tutto basato su una piattaforma capace di raggiungere la velocità massima di 35 nodi (quasi 70 kmh), grazie a un apparato motore evoluzione di quello delle “Alpino”, in configurazione CODOG (Combined Diesel or Gas), su 2 potenti e compatte turbine a gas Fiat-General Electric LM2500 [6], e altrettanti diesel ausiliari, che garantivano una discreta autonomia di quasi 7.500 km, ma a soli 15 nodi, e grazie a eliche di nuovo modello anche una elevata silenziosità.
Lupus in fabula…
Le 4 unità destinate alla Marina Militare italiana, costruite tra 1974 e 1980, sono state: F-564 Lupo, consegnata il 20 settembre 1977; F-565 Sagittario, in linea da 18 novembre 1978, e F-566 Perseo e F-567 Orsa, in servizio entrambe dal 1° marzo 1980.
La vita operativa di queste unità, in quasi un quarto di secolo è stata intensissima, segnata sin dall’inizio da uno spettacolare giro del mondo effettuato già nel 1979-1980 dalla capoclasse, e dalla partecipazione a tutte le missioni operative che hanno coinvolto la flotta italiana dal 1982 ai primi anni 2000, inquadrate per lo più nella 5ª Squadriglia Fregate, assegnata prima alla 2ª Divisione Navale di Taranto, poi alla 1ª Divisione di La Spezia. Tra 1991 e 1995 le unità furono inoltre sottoposte a un radicale ammodernamento di mezza vita, sostituendo parte dei sensori, adottando i missili “Teseo-2” e SAM “Aspide”, e il sistema di comunicazioni satellitare SATCOM, oltre alla revisione generale di piattaforma e apparato motore.
La capoclasse Lupo, dopo il giro del mondo effettuato dal luglio 1979 al febbraio 1980, e diverse esercitazioni anche multinazionali, che ne fecero ulteriormente apprezzare le qualità, dal settembre 1982 iniziò a partecipare a buona parte delle missioni operative della “nuova” flotta italiana: dal Libano, all’operazione “Girasole” durante la grave crisi italo-libica del 1986, alla missione “Golfo-1” del 1987-1988, seguita nel 1991 dalla “Golfo-2”, durante la guerra contro l’Iraq. Simile lo stato di servizio delle altre 3 unità consorelle: e per tutte, negli anni ’90 è arrivato il diuturno impegno nelle varie operazioni di sorveglianza e peace-keeping legate ai conflitti combattuti tra 1991 e 2001 nella ex Iugoslavia in disfacimento, o nelle contemporanee crisi che scuotevano l’Albania. Missioni effettuate nel “cortile di casa” adriatico, a poca distanza dalle basi, ma susseguitesi senza soluzione di continuità tra 1992 e 1999, con un notevole logorio dei mezzi, e seguite dopo gli attacchi jihadisti dell’11 settembre 2001 da un nuovo ciclo operativo, focalizzato soprattutto sulla sorveglianza degli scacchieri orientale e centrale del Mediterraneo.
Ciclo cui le unità italiane parteciparono marginalmente, poiché sin dal 2002 le “Lupo” iniziarono ad andare in riserva, per poi essere vendute tutte al Perù tra 2004 e 2005, completando entro il 2007 il trasferimento alla flotta sudamericana che già impiegava 4 unità similari.
Come accennato, infatti, la capoclasse delle 4 fregate destinate a Lima, era stata impostata a Riva Trigoso 3 giorni prima della Lupo. La Carvajal fu consegnata il 23 dicembre 1978, seguita 6 mesi dopo dalla Villavicencio, impostata nel 1976 sempre nel cantiere genovese. Il contratto tuttavia riguardava, oltre al trasferimento anche di sistemi d’arma (compresi 72 siluri A-244/S, 150 SAM “Aspide”, e un primo lotto di 60 missili antinave “Teseo-2”) e 12 elicotteri tra AB-212ASW e ASH-3D pesanti prodotti dall’allora Agusta, la realizzazione di altre 2 fregate nei locali cantieri SIMA del Callao, previo loro aggiornamento. Una scelta che accanto alle positive ricadute per un polo cantieristico sino a quell’epoca limitatosi a realizzare naviglio ausiliario, e ora messo in grado di produrre e manutenere navi da guerra di nuova generazione, comportò tempi di costruzione lunghissimi, rispetto ai circa 3 anni assicurati dai rinnovati cantieri italiani. Entrambe ottimisticamente cantierizzate nel 1976, per la fregata Montero [7] l’entrata in servizio avvenne solo nel 1984, mentre per la Mariategui occorse attendere addirittura il 28 dicembre 1987.
Nonostante tali tribolazioni, le 4 fregate rappresentarono un autentico salto tecnologico per la Marina Peruviana, che d’altra parte nello stesso torno di tempo di dotava anche di 6 corvette lanciamissili e altrettanti sottomarini di nuova generazione; e da 9 lustri sono la spina dorsale della componente d’altura. Soprattutto quando tra 2005 e 2007 sono state affiancate dalle 4 “Lupo” cedute dall’Italia, assieme a parti di ricambio e sistemi d’arma ricondizionati al pari delle navi, che dal 2015 sono state peraltro modernizzate con nuovi sensori, come i radar “Kronos” dell’italiana Leonardo e un’avanzata suite di guerra elettronica, e coi missili antinave francesi “Exocet” MM-40. Nel 2013 la Carvajal è invece stata convertita in pattugliatore per la Guardia Costiera sbarcando sistemi d’arma e sensori più sofisticati, e ribattezzata Guardiamarina San Martin. Le fregate cedute dall’Italia, a loro volta ribattezzate Aguirre, Palacios, Coronel Bolognesi e Quiñónes, si presentano tuttavia diverse da quelle realizzate appositamente per la Marina peruviana, caratterizzate come prima accennato da una struttura poppiera con ponte di volo più ampio, per impiegare anche un elicottero pesante, hangar fisso, mentre sin dall’inizio hanno imbarcato i missili “Teseo-2” e i SAM “Albatros/Aspide”, per poi subire ulteriori modifiche tra anni ’90 e 2000. Negli anni si è cercato di armonizzare le 7 unità rimaste in carico alla Marina, spremendole il più possibile: e solo nel 2024, a mezzo secolo esatto dall’avvio della loro costruzione, il governo peruviano ha dato il via libera (dopo anni di incertezze, e come vedremo avendo anche valutato ulteriori acquisti di fregate dismesse dalla Marina italiana, sempre simili alle “Lupo/Carvajal”) alla loro sostituzione, con un mega-accordo siglato con la cantieristica sudcoreana, comprendente la costruzione anche nei cantieri del Callao di 6 nuove fregate da 3.200 tonnellate e 4 grandi pattugliatori, destinati a mandare in pensione le unità degli anni ’70 e ’80.
Nessuna sostituzione in vista, al contrario, per le altre 6 fregate in ormai sempre più precario servizio in Sudamerica, con la Marina Venezuelana. Caracas aveva già acquistato negli anni ’50 un gruppo di 6 fregate/caccia leggeri di costruzione italiana: i già citati “Almirante Clemente”. Per sostituirli, decise di rivolgersi nuovamente all’Italia, e il 24 ottobre 1975 stipulò un contratto per 6 fregate derivate dal progetto “Lupo”, customizzato secondo le esigenze nazionali, e con differenze anche rispetto alle “Carvajal” peruviane. Se infatti venivano confermati l’adozione dell’hangar fisso, dei sistemi missilistici SAM “Albatros/Aspide” e “Teseo-2” antinave [8], modifiche furono introdotte nella sensoristica e nei sistemi d’arma, che comprendevano anche 2 mitragliere da 12,7 mm, nonché l’adozione di motori diesel più potenti. Inoltre, tutte e 6 le unità venezuelane (la capoclasse Mariscal Sucre, e le successive Almirante Brión, General Urdaneta, General Soublette, General Salóm e Almirante García) sono state costruite in Italia tra 1976 e 1982: 4 a Riva Trigoso, e 2 ad Ancona, con consegne rapidamente succedutesi dal 14 luglio 1980 al 30 luglio 1982.
Come per le unità peruviane, anche le “Lupo” venezuelane sono state per decenni la spina dorsale dell’Armada, ma non con la stessa fortunata longevità. Il loro supporto avrebbe dovuto essere infatti garantito grazie al programma di ammodernamento siglato sin dal 1992 con i cantieri statunitensi Ingalls Shipbuilding di Pascagoula. Tuttavia, la grave crisi politica ed economica esplosa proprio in quel periodo, segnato anche da 2 falliti ma sanguinosi colpi di stato, fecero slittare sino al 1997 la stipula del contratto da 315 milioni di dollari, poi concretizzatosi solo per Mariscal Sucre e Almirante Brión, che tra 1998 e 2002 hanno sostituito i diesel e buona parte della sensoristica, con nuovi radar e suite di guerra elettronica israeliani, e un sonar Northrop Grumman SQS-53C, oltre a nuovi apparti di comunicazione. Modifiche che hanno consentito di ridurre di oltre 50 effettivi gli equipaggi, ma che non sono state estese alle altre 4 fregate, dopo la rottura avvenuta fra il nuovo governo chavista di Caracas e gli Stati Uniti. L’Armada ha cercato di mantenere in servizio le fregate italiane, affiancandole con 8 pattugliatori e corvette, e avviandone l’ammodernamento nei cantieri nazionali o addirittura dell’alleata Cuba. Ma con scarso successo: e sebbene le informazioni siano discordanti, ad oggi solo la Almirante Brión risulta operativa, sebbene con sistemi d’arma datati; altre 2 fregate sarebbero in riserva ma di problematica riattivazione, mentre le restanti unità sono state parzialmente cannibalizzate e ormai avviate alla demolizione, con la capoclasse addirittura semi-affondata in porto.
L’eredità del Lupo
Dopo i successi ottenuti a metà anni ’70 con le “Lupo” in Perù, Italia e Venezuela, l’innovativa fregata sembrava volersi imporre anche nel nuovo decennio. In realtà, in Sudamerica fallì, per ragioni politiche, un ulteriore e ancora più spettacolare colpo, relativo alla vendita di un massimo di 10 “Lupo” all’Argentina. Il golpe del 1976 e la nascita della violenta e repressiva giunta militare del generale Videla e dell’ammiraglio Massera (che sin dal viaggio in Italia del 1974 aveva messo nel mirino le innovative fregate), portarono al blocco dei contratti. Scelta comprensibile, alla luce di quanto avveniva in quel paese amico ma tribolato, di cui però approfittò con minori scrupoli l’industria tedesca, che nel 1977 non esitò a sostituire l’offerta italiana con 10 tra fregate e corvette tipo MEKO, oltre a 6 sottomarini.
Nel 1980 Roma replicò con l’ancora più spettacolare contratto (del valore di circa 3.000 miliardi di lire dell’epoca) a un regime non certo meno sanguinario, vendendo all’Iraq di Saddam Hussein una vera e propria “flotta chiavi in mano”, formata da 11 navi, comprese 4 fregate tipo “Lupo”, 11 elicotteri, missili, siluri, e un bacino galleggiante per ammodernare le basi navali del Rais. Lo scoppio della guerra tra Iran e Iraq, e quindi l’invasione irachena del Kuwait, con i seguenti provvedimenti di embargo, terremotarono un accordo già controverso. Delle 11 navi previste, una unità ausiliaria fu bloccata in Egitto, dove si arrugginisce dal 1986, e solo 2 delle 6 corvette previste giunsero in Iraq, con …un certo ritardo, visto che vi gettarono le ancore solo nel 2017, dopo un lunghissimo contenzioso con il governo italiano. Le altre 4 furono rivendute alla Malaysia, mentre nel 1992 fu la Marina italiana a ottenere le 4 fregate, molto simili alle “Lupo”, soprattutto nella nuova configurazione derivata dall’ammodernamento all’epoca in corso. Le fregate destinate all’Iraq (classe “Hittin”, o più familiarmente “classe Saddam”) presentavano infatti lo stesso tipo di hangar, e impiegavano già i missili antinave “Teseo-2” e i SAM “Albatros/Aspide”; alcune differenze riguardavano aspetti secondari, come più potenti sistemi di climatizzazione e diesel di modello diverso, che garantivano maggiore autonomia.
Tuttavia, le “Hittin/Lupo” furono sostanzialmente imposte alla Marina da una discutibile scelta politico-industriale. Sebbene simili alle navi italiane, e di costruzione più recente – varate tra 1983 e 1985 -, erano pur sempre frutto di un progetto vecchio di 20 anni, ormai in parte superato alla luce delle recenti esperienze belliche alle Falkland e nel Golfo Persico (che avevano portato a progettare fregate più grandi e “robuste”, con design stealth), e presentavano comunque rilevanti differenze nei sensori. Pertanto, ai costi di acquisto si aggiunsero quelli per i lavori di modifica e adeguamento, effettuati nel 1993-1996, sottraendo per un oltre un decennio alla Marina, già colpita dai tagli seguiti alla fine della Guerra Fredda, le risorse necessarie ad acquisire le fregate di nuova concezione, per le quali occorrerà attendere quasi 20 anni.
Per limitare almeno i costi di gestione delle fregate ex-irachene, consegnate tra ottobre 1994 e marzo 1996 coi nomi di Artigliere, Aviere, Bersagliere e Granatiere (classe “Soldati”), le navi furono riconfigurate come “pattugliatori d’altura”, non solo adeguandole agli standard nazionali e NATO per quanto riguarda i sistemi di comando e comunicazione, ma sbarcando tutta la componente antisom. Se non altro, la loro rapida entrata in servizio (a La Spezia, inquadrate inizialmente nella 7ª Squadriglia Fregate) permise di assorbire la successiva, prematura radiazione delle “Lupo”, contribuendo ad affrontare il moltiplicarsi delle operazioni in Adriatico, e dopo l’11 settembre, mentre il Bersagliere seguiva le orme della Lupo, compiendo un nuovo giro del mondo nel 1996-1997, per poi adottare a titolo sperimentale alcuni nuovi sistemi d’arma. Le unità hanno mediamente operato per oltre 20 anni, inquadrate sia nella base ligure, sia a Taranto: il 31 gennaio 2012 l’Artigliere fu posto in riserva, e disarmato un anno dopo, sorte poi toccata tra 2015 e 2019 alle altre 3 unità; non vecchie, ma ormai troppo datate perché fosse utile investire ulteriori risorse in aggiornamenti. Dopo averle inutilmente offerte sul mercato dell’usato allo stesso Perù, ma anche ad Ecuador e Filippine, dal 2021 ne è stata avviata la demolizione, col solo Aviere ancora in disarmo dal 2019.
Tuttavia, l’eredità del progetto “Lupo” è stata ben più penetrante.
Negli anni ’70 la NATO premeva sugli stati membri per realizzare una nuova generazione di navi scorta multiruolo e dotate di sistemi missilistici, ma a netta vocazione antisom; vocazione che non caratterizzava le “Lupo”, costruite come accennato per avviare l’ammodernamento della flotta in base a un progetto innovativo, e già pronto. Tuttavia, sulla base di questa nuova piattaforma, con la Legge navale del 1975 fu autorizzata la costruzione di 8 fregate antisommergibili, derivate dalle “Lupo”, ma con dimensioni più generose [9], maggiore autonomia a scapito della velocità (32,5 nodi, poi scesi a 31), e una diversa configurazione, ottimizzata appunto per compiti più di scorta e lotta antisommergibile, che di attacco. Restavano così il cannone da 127/54 e i missili antinave – 4 imbarcati, sebbene incrementabili -, la difesa antiaerea/antimissile era incentrata su un “Albatros/Aspide” a 8 celle ricaricabile, 2 impianti binati da 40/70 mm CIWS “Dardo”, e più avanzati sistemi di inganno e contromisure. Per la lotta antisom, invece le “Maestrale” contavano non solo su una suite sonar più sofisticata e completa, comprendente un apparato a traino VDS e sistemi di inganno antisiluro e di silenziamento, ma anche 2 tubi di lancio per siluri pesanti da 533 mm, accanto ai 2 impianti trinati da 324 mm, mentre a poppa un ampio ponte di volo e un hangar fisso doppio garantivano l’impiego di 2 elicotteri AB-212ASW. Costruite nel 1978-1985, e pur molto apprezzate, le 8 fregate classe “Maestrale” non hanno avuto sbocchi sul mercato dell’export, e anche la possibile vendita di seconda mano sinora non è andata a buon fine, nonostante alcuni contatti con Filippine, Indonesia, Iraq, Ecuador e Perù. Con il ritardo nella costruzione delle nuove fregate tipo FREMM, si è deciso di prolungarne la vita con interventi avviati circa 20 anni fa: e se 4 unità sono state solamente aggiornate tra 2010 e 2013, altre 4 hanno subito nel 2005-2009 interventi più radicali, sostituendo i missili antinave con quelli antisom “Milas”, integrando i siluri MU-90 e nuovi radar, mentre la suite sonar era giù stata ammodernata a partire dal 1994. Nel 2015 la capoclasse Maestrale è andata in disarmo, seguita tra 2017 e 2023 da Aliseo, Euro, Scirocco, Espero e Zeffiro; dal 2022 già 3 unità sono state avviate a demolizione, e altrettante sono conservate in riserva o disarmo, dopo aver accumulato una vita media di circa 35 anni, una decina più di quanto previsto. Resteranno invece in servizio sino al 2025, toccando i 42 anni di vita operativa, Grecale e Libeccio, che saranno sostituite dalle 2 cosiddette FREMM “ibride” in allestimento; e proprio le FREMM, nate da un progetto italo-francese avviato nel 2002, rappresentano, per il progetto innovativo che le contraddistingue, tuttora in fase evolutiva, e per il successo di export, una degna eredità, paragonabile a quella segnata dalle “Lupo”. Più sofisticate e potenti delle similari 10 unità realizzate in Francia, le FREMM italiane infatti non solo formano, con le 10 fregate classe “Bergamini” da completare entro il 2025 in 3 varianti – cui nel 2029-2030 si aggiungerà una più avanzata coppia di navi dette FREMM-EVO – la spina dorsale della flotta. Le FREMM italiane sono state infatti esportate anche in Egitto (2 esemplari, con altri 2-4 in opzione), offerte in 6 esemplari all’Indonesia in base a un accordo del 2021 ora congelato, e soprattutto vendute in una versione più grande e ampiamente modificata agli Stati Uniti, che ne hanno ordinate o opzionate almeno 20, classe “Constellation”, in costruzione dal 2022 presso il polo cantieristico americano di Fincantieri [10], e sulle quali anche la Grecia sta facendo un pensierino, per altre 7 unità; senza contare l’interesse di altri paesi, come Brasile, Algeria, Bangladesh e Marocco. Inoltre, stanno ottenendo un buon successo anche le nuove fregate leggere da 3.500 tonnellate progettate da Fincantieri in più varianti, dalla taglia paragonabile a quella delle “Lupo/Maestrale”, costruite nel 2018-2024 in 4 esemplari per il Qatar, e in valutazione anche da parte della Grecia [11].
Una serie di importanti successi, conseguiti sotto la lunga ombra del Lupo.
Note
[1] Dalle unità lunghe 100 metri e con un dislocamento di 2.000 tonnellate, si è passati a fregate che oggi sfiorano i 160 metri di lunghezza e da 8-10.000 tonnellate: le dimensioni di un incrociatore leggero della Seconda guerra mondiale.
[2] Anche le 4 fregate classe “Rizzo” adottarono gli elicotteri medi al posto del modesto AB-47G, ma solo dopo radicali lavori di modifica effettuati pochi anni dopo l’entrata in servizio, e che comportarono lo sbarco di alcuni sistemi d’arma.
[3] Le 2 fregate classe “Alpino” sono state ritirate dal servizio attivo entro il 1994; ma a conferma della loro eccellente costruzione, sono state impiegate per compiti secondari per altri 15 anni.
[4] Con un notevole sforzo cantieristico, legato al completo ammodernamento dei poli produttivi e dei sistemi di costruzione, passati dai modelli tradizionali a quelli basati sull’assemblaggio in serie di blocchi modulari, poiché contemporaneamente venivano realizzate le 8 fregate “Maestrale”, 24 corvette lanciamissili, 6 sottomarini, e numerose unità minori e ausiliarie.
[5] Dopo il 1970 radar, missili e cannoni italiani (soprattutto il 76/62 mm di OTO-Melara, autentico asso pigliatutto con le sue numerose e sempre più innovative varianti) furono interessati da un crescente successo internazionale, arrivato ai giorni nostri.
[6] Da mezzo secolo divenute uno standard per le navi da guerra italiane, e di derivazione aeronautica.
[7] Dal 2017 ribattezzata Almirante Grau, e destinata a fungere da ammiraglia dopo la contemporanea radiazione dell’omonimo incrociatore.[8] Del “pacchetto” contrattuale facevano parte anche l’acquisto di 100 missili antinave, 100 SAM. 150 siluri A-244/S, e 6 elicotteri AB-212ASW, con 100 missili leggeri “Sea Killer/Marte”.
[9] La lunghezza aumentava di 10 metri, il dislocamento superava le 3.000 t.
[10] Dove già vengono prodotte 20 fregate leggere tipo LCS (Littoral Combat Ship) per US Navy e Arabia Saudita, frutto di un progetto cui ha partecipato anche l’industria italiana.
[11] Ulteriori successi sono stati segnati nel 2024 dalla vendita all’Indonesia di 2 grandi pattugliatori/fregate tipo “Thaon di Revel”.
Per saperne di più
M. Cosentino-M. Brescia, La Marina militare italiana 1945-2015, 3 voll., Storia Militare-Dossier 2014-2015.
G. Da Frè, Almanacco Navale del XXI secolo: dalla Guerra Fredda alla crisi ucraina, Odoya 2022.
G. Giorgerini-A. Nani, Almanacco storico delle navi militari italiane 1861-1995, Ufficio Storico Marina, Roma 1996.
G. Giorgerini, Da Matapan al Golfo Persico: la Marina militare dal fascismo alla Repubblica, Mondadori 2003