OTTO VON BISMARCK E IL REICH GERMANICO

di Herbert Albert Laurens Fisher –

 

In queste pagine scritte da un grande esponente della storiografia liberale inglese, la figura di Birmarck emerge nei suoi tratti fondamentali: spregiudicato nel conseguire l’unità tedesca ma pragmatico nel garantire lo sviluppo economico sociale al suo popolo. In politica estera, l’avvicinamento all’Austria fu fatale nel legare le sorti del Reich alle temute vicissitudini balcaniche.

 

 

La questione sociale

Per ben diciannove anni, dopo la fondazione dell’impero tedesco, Bismarck continuò a dirigere la politica del suo paese e a influire sulle vicende del mondo. Dopo le grandi cose compiute non desiderava che veder la Germania al riparo da ogni mutamento interno o guerra straniera. Non aspirava affatto a conquistare un impero coloniale né a estendere la frontiera orientale della Germania; si preoccupava invece vivamente di non mettere in pericolo, sfidandola sul mare, l’amicizia dell’Inghilterra. Comprendeva troppo bene i pericoli della situazione continentale per vagheggiare nuove avventure: vedeva la Francia non ancora acquetata, la Russia incerta, l’Austria tuttavia inspirata dal rancore contro Berlino. Rimanere in rapporti amichevoli con la Russia senza alienarsi l’Inghilterra, con gli Austriaci senza estraniarsi la Russia — ecco i problemi continentali che mettevano a dura prova la sua abilità diplomatica. Principi fondamentali della sua politica erano impedire alla Francia di uscire dal suo isolamento, tenere l’Europa sotto il dominio di un potente esercito tedesco e conservare il proprio regime autocratico. Bisogna riconoscere che alla sua fortuna contribuì straordinariamente la longevità dell’imperatore Guglielmo I, morto nonagenario nel 1888, il quale visse così a lungo che il principe ereditario Federico sali al trono già vecchio e malato di cancro e non poté certo, nei novanta giorni del suo breve regno, modificare il corso degli eventi. Con la tragica morte di questo sovrano liberale scompariva il più formidabile ostacolo della tendenza generale della politica bismarckiana. Nella vita economica della Germania si veniva intanto attuando una trasformazione simile, sebbene assai più rapida, a quella verificatasi in Inghilterra durante la rivoluzione industriale. Nei decenni che seguirono la guerra franco-prussiana, l’industria e il commercio tedesco progredirono in modo stupefacente. Il paese, un tempo poverissimo, arricchì improvvisamente. La popolazione, prima essenzialmente rurale, si precipitò in numero sempre crescente nelle città, dove si moltiplicò fino a invertire decisamente le proporzioni tra Germania rurale e urbana. La supremazia in due nuovi e importantissimi rami dell’industria, chimica ed elettricità, fu il giusto premio alla cultura superiore del popolo tedesco. La produzione del carbone crebbe enormemente, aumentando da trenta milioni di tonnellate nel 1871 a centonovanta milioni di tonnellate nel 1913. Un processo, inventato in Inghilterra e associato al nome di Thomas-Gilchrist, che permetteva di sfruttare per usi economici i giacimenti ferriferi del Lussemburgo e della Lorena, creò vasti sviluppi industriali, trasformando il campo carbonifero della Vestfalia in una regione paragonabile, per attività e concentrazione di vita operaia, alla Black Country dell’Inghilterra. In un solo decennio (dall’80 al ’90) l’impero tedesco raddoppiò la produzione dell’acciaio e quasi quella del ferro. E mentre l’industria veniva così progredendo e trasformando il carattere e le occupazioni del popolo tedesco, grande impulso fu dato pure alle imprese marittime. Navi tedesche incominciarono a varcare l’Atlantico in numero sempre crescente, a toccare i porti africani, a commerciare con il levante e l’estremo oriente. Rinasceva l’antico spirito anseatico. Nel ventennio tra il 1870 e il 1890 il tonnellaggio delle navi a vapore dell’impero divenne sette volte maggiore. Si chiedevano ad alta voce colonie, dazi protezionistici contro il frumento americano e i manufatti inglesi, e una politica d’audacia in ogni parte del globo. A tale pressione nessuno statista, per quanto autorevole, poteva resistere a lungo: e Bismarck fu costretto a cedere. Nel 1879 adottava il protezionismo come politica fiscale, e tre anni dopo, facendo di necessità virtù, dava inizio alla carriera coloniale della Germania. Coincidenza curiosa, la formazione di un gruppo coloniale del Reichstag si ebbe nello stesso anno (1883) che vide la nascita dell’AEG (Allgemeine Elektrische Gesellschaft), enorme impresa elettrica che fondò su basi incrollabili la più grande industria scientifica della Germania.
Come tutti gli altri paesi europei passati attraverso l’esperienza dell’industrialismo, la Germania tra il ’70 e l’80 era offuscata dall’ombra oscura dell’ingiustizia e della miseria economica, e angosciata dallo spettacolo d’un proletariato irrequieto, misero e sfruttato. Mentre Wagner deliziava i cultori di musica moderna di tutta Europa con le rappresentazioni delle sue opere a Bayreuth, gli operai delle miniere e delle fabbriche tedesche erano travagliati dalle stesse difficoltà e incertezze che, prima delle leggi sull’industria, affliggevano la popolazione industriale dell’Inghilterra. A Bismarck, uomo veramente grande, non poteva sfuggire l’importanza del problema sociale: per resistere al tempo, la sua costituzione doveva provvedere ai lavoratori. Egli non credeva che il gioco sfrenato degli interessi privati potesse dare il massimo benessere al maggior numero possibile di uomini. Il paternalismo dell’antica tradizione prussiana riceveva nuova giustificazione ed esigeva più ampia applicazione nelle circostanze nuove, create dalla rivoluzione industriale. Bisognava provvedere ai vecchi, assicurare l’operaio contro malattie e infortuni. Bismarck non era Shaftesbury; non promulgò leggi sull’industria, ma nel suo grande schema per l’assicurazione obbligatoria contro malattie (1883), infortuni (1884) e vecchiaia (1889), fu veramente un precursore, anticipando, quando s’eccettui l’assicurazione dei disoccupati, le disposizioni attuate più tardi in Inghilterra da Lloyd George, sotto il ministero Asquith.
Le leggi tedesche sull’assicurazione costituiscono una pietra miliare. Di tutti i ritrovati politici del secolo diciannovesimo, nessuno giovò alla conservazione della società quanto la scoperta di un sistema d’assicurazione, dipendente dai contributi dello Stato, del datore di lavoro e del lavoratore stesso, e inteso a proteggere la massa della popolazione operaia dai pericoli più gravi della vita industriale. Se per tanto tempo si evitò la rivoluzione in Germania, fu in parte per merito di questi preziosi provvedimenti, con cui Bismarck tolse al partito democratico sociale, in continuo incremento a causa delle persecuzioni, l’imperioso e irresistibile appello alle classi povere.
Invecchiando, il cancelliere di ferro diventò sempre più ferocemente intollerante di qualsiasi opposizione. Approfittando dei due attentati alla vita dell’imperatore, passò e rinnovò in tre occasioni seguenti una legge contro i socialisti, il cui rigore poliziesco distruggeva completamente la libertà dei cittadini. Soltanto un paese in preda a un parossismo di paura, o completamente privo di coraggio politico, poteva sottomettersi docilmente a tale ingiusta e tirannica oppressione. Accettando la severità di queste leggi, il partito nazionale liberale, massimo sostegno dell’impero tedesco nei suoi inizi, e aiuto del governo nella lotta coi clericali, dichiarò il fallimento del proprio liberalismo. E la nazione che entrò nella grande guerra europea era ormai inveterata nella pratica dell’obbedienza passiva.

La politica estera di Bismarck

Per comprendere la politica estera di Bismarck basta ricordare com’egli continuasse a veder nella Francia l’irreconciliabile pericolosa nemica del suo paese: bisognava quindi sospettarla sempre, cercar d’indebolirla, d’isolarla dai suoi vicini europei. La costa nordafricana, divenuta ben presto oggetto dell’avidità generale, servì al gioco della sua diplomazia anti-francese. Bismarck incoraggiò la Francia a prendersi Tunisi allo scopo di metterla in urto con l’Italia, l’Inghilterra a impadronirsi dell’Egitto per spingerla a contesa con la Francia. Le intese navali anglo-italiane, concluse da lord Salisbury nel 1887, furono frutto delle stesse lungimiranti macchinazioni intese a privare la Francia di ogni amicizia in Europa. Con attenzione intensa, egli seguiva inoltre il gioco delle forze politiche a Parigi. Fautore della monarchia in Germania, era invece, riguardo alla Francia, favorevole alla repubblica, che stimava la forma di governo più debole e più facilmente screditabile.
Nell’Europa orientale, la più salda difesa diplomatica della Germania contro una possibile coalizione fomentata dall’inveterata ostilità della Francia, era l’alleanza dei tre imperatori che, conclusa nel giugno del 1873, funzionava ancora nel 1878, quando il congresso di Berlino, definito dallo zar «coalizione europea contro la Russia, sotto la guida del principe di Bismarck», la sottomise a una grave tensione. Il Dreikaiserbund superò la crisi. L’amicizia fu ristabilita, l’alleanza rinnovata più volte: e ogni tre anni l’Europa fu pubblicamente informata che i capi delle tre grandi monarchie militari dell’Europa orientale erano uniti da nuovi legami di collaborazione e amicizia. Ma per quanto fossero evidenti i vantaggi di una buona intesa con la Russia, Bismarck non ebbe mai vera fiducia nei moscoviti. Stimava la loro amicizia incerta, infida la loro diplomazia. Dal ministro degli esteri Gorčakov lo dividevano sentimenti di viva disistima personale. Costretto a scegliere tra Russia e Austria, avrebbe certamente scelto l’Austria, in parte per l’affinità della razza, in parte perché, riprendendo le ostilità contro i Prussiani, l’Austria avrebbe potuto vantare diritti storici sulla Slesia, sull’Alsazia, sui ducati danesi e sulla sostanza stessa del Reich, che avrebbero messo in pericolo le conquiste ottenute con tanta fatica dalla casa di Hohenzollern fin dalla salita al trono di Federico il Grande. Ecco perché, composte le agitazioni balcaniche del 1878, Bismarck decise di concludere con l’Austria un trattato segreto, a insaputa dell’alleata russa. Il suo gesto ebbe un’importanza storica decisiva. In previsione della lotta imminente tra impero austriaco e panslavismo, Bismarck si schierava col proprio paese, segretamente e proditoriamente, a fianco dell’Austria. La duplice alleanza del 1879 divenne poi, con l’adesione dell’Italia nel 1882, la Triplice Alleanza, che durò sino allo scoppio della grande guerra. E chi studi, risalendo il corso della storia, i precedenti diplomatici del grande conflitto europeo, ne vedrà la causa prima in questa alleanza austro-germanica, combinata nel 1879 da Bismarck e Andrassy, contro la Russia e a sua insaputa.
Da quel momento era fatale che, urtandosi l’Austria e la Russia a proposito d’una qualsiasi circostanza nei Balcani, l’esercito tedesco dovesse muovere in aiuto dell’alleato austriaco. «Se, contrariamente alle loro speranze e al loro leale desiderio, una delle grandi potenze contraenti», suona la clausola principale di questo importante trattato del 1879, «fosse attaccata dalla Russia, le grandi potenze contraenti s’impegnano ad aiutarsi reciprocamente con tutte le proprie forze, e a non concludere perciò pace alcuna se non insieme e di comune accordo». Mal accordandosi il trattato con gli impegni pubblicamente presi dalla Germania verso la Russia, era naturale che si cercasse di tenerlo celato.
Bismarck non voleva una guerra tra la Russia e l’Austria: desiderava anzi ardentemente evitarla, ché la sua immaginazione possente ben gli rivelava quale pericolo rappresentasse per la Germania e per l’Europa. Ma una sola scintilla, gettata nell’atmosfera infocata degli Stati balcanici, poteva mettere in fiamme l’Europa tutta dalla Neva all’Egeo! Quando, nel 1885, la Rumelia orientale si unì alla Bulgaria, e i Serbi, profondamente invidiosi dell’improvvisa espansione dell’odiata vicina, presero le armi e furono sconfitti sul campo di Slivnica dal principe Alessandro di Bulgaria, l’Europa fu sull’orlo della guerra. Tutti sapevano o, se non sapevano, sospettavano, che i Serbi fossero incoraggiati dagli Austriaci. Tutti sapevano che, per quanto Alessandro (nato principe di Battenberg) fosse personalmente antipatico allo zar, la politica bulgara era subordinata a quella dell’impero russo. Prolungandosi, la contesa tra Bulgaria e Serbia avrebbe facilmente provocato un dissenso tra i rispettivi protettori, al dissenso sarebbero successe le ostilità, e al primo colpo scambiato tra Austria e Russia la Germania tutta sarebbe stata trascinata in guerra. Bismarck si sforzò in ogni modo di evitarlo: e ci riuscì, forte della sua convinzione che, per la Germania, i Balcani non valessero le ossa d’un solo granatiere di Pomerania. Vienna fu colpita dalle sue parole: pur accarezzando le arruffate penne dell’aquila russa, egli non permise all’Austria di sfuggirgli di mano. Grazie alla sua abilità, la crisi bulgara fu superata senza uno sconvolgimento generale. Una piccola e disgraziata campagna fu rapidamente portata a termine; il trono bulgaro vacante, fonte di possibili contrasti, felicemente occupato. Le inesauribili riserve della Germania principesca fornirono un sovrano gradito a Vienna e al tempo stesso non troppo clamorosamente avversato a Pietroburgo: quel Ferdinando di Coburgo dal naso lungo e dalle grandi idee, appassionato allevatore d’uccelli, la famosa «volpe dei Balcani», il quale tuttavia, nonostante la sua abilità e finezza, finì, durante la grande guerra, col legare il popolo bulgaro alla causa dei vinti.
L’Inghilterra rimase fuori dalla rete delle alleanze antifrancesi, in uno «splendido isolamento». Nessun governo, né liberale né conservatore, osò impegnare il popolo inglese in complicazioni continentali. L’isola rimase appartata, sventando tutti i calcoli, provocante ed enigmatica per i popoli continentali. La sua politica più ambiziosa si veniva svolgendo in regioni remotissime dai principali centri della vita europea. Un pugno d’Inglesi governava l’India. Pochi gruppi sparsi dominavano l’Australasia e la Colonia del Capo. Se queste imprese fossero più o meno solide, non c’era Tedesco in grado di dirlo. Commercio, flotta, impero, esistevano ed era impossibile disconoscerli; la loro conquista era stata del tutto casuale ed era così facile conservarli a questa razza di fortunati e disinvolti corsari! Una cosa sola pareva certa ai Tedeschi: amicizia con l’Inghilterra significava inimicizia con la Russia. Un trattato segreto con l’Inghilterra, che bastasse ad allontanarla dalla Francia senza però spaventare la Russia, era un’idea accarezzata da alcuni politici tedeschi. Bismarck tastò il terreno, prima con Disraeli, poi con Salisbury. Ma gli Inglesi si dichiararono contrari ai trattati segreti, sostenendo che tutto doveva essere comunicato al parlamento e alla regina Vittoria. E inoltre, che fiducia si poteva avere nei governi inglesi, continuamente transitori, sempre alla mercé dei capricci elettorali? Un governo tory poteva forse rispondere delle azioni del governo liberale che gli sarebbe successo? La diplomazia di Salisbury era dubbiosa e Bismarck incline a credere le democrazie incapaci di «far fronte ai propri impegni».
Finché Bismarck fu in vita non si concluse dunque nessun trattato tra Germania e Inghilterra. Il grande cancelliere, benché apprezzasse l’amicizia inglese e desiderasse, senza dar troppa pubblicità al fatto, attirare l’Inghilterra nella cerchia dei suoi alleati, non riuscì a ottenere mai, neppure da un governo tory, gli impegni precisi e segreti che soli potevano soddisfare le sue esigenze. Quando poi la Germania entrò nel campo della competizione coloniale, le occasioni di dissenso si moltiplicarono. Si ebbero screzi a proposito di Fiji e della Nuova Guinea, dell’Africa centrale e sudoccidentale, della Giamaica e di Zanzibar. Ogni qual volta la Germania era in buoni rapporti con la Russia, Bismarck poteva permettersi il lusso di far lo smargiasso con l’Inghilterra. Una certa asprezza verso gli abitanti dell’isola non era sgradita né al governo dello zar né al popolo tedesco. Ma aizzare l’Inghilterra era un giochetto innocuo soltanto quando si poteva contare sulla cordialità russa. Al primo senso di freddo nei rapporti russo-tedeschi, l’Inghilterra rientrava nelle grazie di Bismarck.
E tuttavia questi non si sentiva sicuro. Nonostante il Dreikaiserbund e la Triplice Alleanza, l’intesa tra Italia e Inghilterra, altre alleanze dell’Austria-Ungheria con i Serbi e i Rumeni, e un trattato segreto di contrassicurazione, concluso con la Russia nel 1887, Bismarck aveva paura. Lo spettro di una guerra su due fronti ossessionava il suo spirito. È un malinconico commento alla politica della forza il fatto che, nel 1887, dopo venticinque anni di governo autocratico, Bismarck fosse costretto a chiedere al Reichstag un esercito di circa settecentomila uomini.

(da H.A.L. Fisher, Storia d’Europa, 1948)