IL MEDITERRANEO OCCIDENTALE TRA XIX E XX SECOLO

di Pietro Silva -

L’espansionismo europeo in Africa settentrionale nella seconda metà del XIX secolo trasferì nei territori del Maghreb la politica di potenza di Inghilterra, Francia, Germania e Italia. L’apertura del canale di Suez e le mire francesi su Tunisia e Marocco crearono dissidi in cui, a partire dal 1882, si incuneò la Triplice Alleanza e l’ambizione coloniale italiana. Non si realizzò mai, invece, un sistema mediterraneo italo-spagnolo che ponesse le vie occidentali del grande mare sotto il controllo delle due nazioni. Studioso di storia diplomatica, Pietro Silva (1887-1954) fornisce in questo saggio un affresco ancora attuale di quelle vicende solo apparentemente lontane.

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La formazione dell’Italia in grande Stato indipendente che, fatalmente, doveva avere e sviluppare una propria politica mediterranea, coincise con avvenimenti dai quali derivò un aumento dell’importanza del Mediterraneo e dei suoi problemi: l’apertura del canale di Suez e lo sviluppo di una politica espansionista nei paesi dell’Africa settentrionale da parte dell’Inghilterra e della Francia. L’apertura del canale, che creava una nuova via marittima verso le Indie, pose necessariamente alla politica inglese il problema del controllo su tale via, e quindi il problema dell’Egitto, nel quale l’Inghilterra urtava contro gli interessi della Francia, che dai tempi di Mehemet-Alì, anzi da quelli di Bonaparte, era abituata a considerare l’Egitto nella propria zona di influenza mediterranea. Quando il progetto dei lavori per l’apertura del canale fu concretato, Palmerston disse che, se si costruiva il canale, l’Inghilterra sarebbe stata costretta ad occupare l’Egitto, per difendere l’India. Negli anni immediatamente consecutivi al compimento dell’opera, si iniziò infatti la realizzazione della profezia dell’uomo di Stato britannico: nel 1785 l’Inghilterra riusciva ad acquistare un lotto di centosettantaseimila azioni del canale; nel 1878 con l’occupazione di Cipro si muniva di una base formidabile da cui poteva sorvegliare Port-Said; e contemporaneamente sviluppava in concorrenza con la Francia l’abilissima penetrazione economica e politica nello stato kediviale, travagliato dalla crisi finanziaria e bisognoso dell’appoggio europeo.

Siamo nel periodo in cui l’espansionismo europeo si accingeva a esplicare una vigorosa azione nel continente nero. Assestata, sia pure provvisoriamente, col Congresso di Berlino la Questione d’Oriente; già prima risolti, con l’unificazione germanica e con l’unificazione italiana, i più importanti problemi nazionali del vecchio continente, le forze europee tendevano con grande ardore all’espansione extraeuropea, tanto più che il capitalismo sviluppantesi anelava alla conquista di nuovi sbocchi e mercati e di terre produttrici di materie prime.
Nel bacino occidentale del Mediterraneo, la Francia tendeva alla Tunisia e al Marocco. Nel 1868, nella sua opera La France Nouvelle, Prévost-Paradol aveva auspicato: «Possa venir presto il giorno nel quale i nostri concittadini, troppo rinserrati nella nostra Francia africana, strariperanno nel Marocco e nella Tunisia, e fonderanno finalmente quell’Impero mediterraneo che non sarà soltanto una soddisfazione per il nostro orgoglio, ma sarà anche certamente, nella futura situazione mondiale, l’ultima risorsa della nostra grandezza». Il vaticinio, formulato nella fosca epoca del tramonto del secondo Impero, doveva essere raccolto e attuato dalla terza Repubblica, subito dopo che il regime repubblicano uscì consolidato dalla crisi di tentativi monarchici e clericali. E la questione della Tunisia veniva sul tappeto.
Dell’attività e delle aspirazioni sulle regioni dell’Africa settentrionale non potevano disinteressarsi le altre Potenze mediterranee. La Spagna aveva gli occhi fissi sul Marocco, dove si concentrano i sogni espansionistici spagnoli dopo il crollo dell’Impero ispano-americano, dove nel 1860-61 la spedizione di O’Connel aveva per un momento fatto rinverdire gli allori dell’epoca di Ferdinando il Cattolico e di Carlo V, e dove, a ricordo di quell’epoca e insieme a incitamento di nuove speranze, rimanevano i presidios.
L’Italia, risorta a grande Nazione, si trovava ad avere lungo tutti i paesi della costa nord-africana, dall’Egitto al Marocco, insigni e fruttuose posizioni economiche e morali, dovute alle tradizioni delle antiche repubbliche, dovute anche allo sviluppo di quelle colonie che in Egitto, in Tunisia, in Marocco avevano avuto lungo tutto il secolo XIX continuo incremento.

Ma sopra tutto sulla Tunisia convergevano le aspirazioni italiane, in conseguenza sia della vicinanza della Tunisia alla Sicilia, sia del trattato concluso nel 1868 col governo della Reggenza; in forza del quale il regno d’Italia otteneva dal Bey, insieme con la continuazione dei privilegi e dei diritti dei quali avevano fruito gli antichi Stati italiani, la condizione della Nazione più favorita. Il cozzo delle aspirazioni italiane con quelle francesi nella Reggenza portò al noto contrasto del 1880-1881, in cui l’azione francese fu incoraggiata dal Bismarck, desideroso di distrarre la Francia dalla politica della rivincita sul Reno, ingolfandola in imprese africane, e desideroso insieme di approfondire tra Francia e Italia l’attrito; fu incoraggiata dal governo britannico che aveva interesse che la costa africana del canale di Sicilia non cadesse in mano della potenza già padrona della costa siciliana, e che anche calcolava che l’assorbimento nell’impresa tunisina avrebbe distratto la Francia dalla questione egiziana.
Alla delusione profonda e amarissima provocata dalla questione di Tunisi, si accompagnò per l’Italia l’altra delusione meno grave, ma pur essa notevole, subíta a Madrid nella conferenza per il Marocco, nella quale gli interessi italiani vennero sacrificati. E subito dopo veniva l’azione britannica in Egitto, azione alla quale l’Italia non seppe né opporsi, né prender parte, suggellando con questa ultima prova il carattere di impotenza e di fallimento che aveva contraddistinto le aspirazioni e i conati italiani di un’espansione mediterranea, in quella fase di politica internazionale in cui si preparò la Triplice Alleanza.
All’epoca della formazione della Triplice, con l’insediamento francese a Tunisi e con quello britannico sul Nilo, la situazione mediterranea dell’Italia era molto peggiorata, in confronto di quello che era stata dall’epoca della costituzione del Regno in poi. E vano fu il tentativo per ottenere che il trattato di alleanza, impegnasse gli Imperi Centrali a garantire l’Italia contro un eventuale ulteriore peggioramento di tale situazione.
Per fortuna, le condizioni mutarono negli anni intercorsi fra il primo e il secondo trattato della Triplice. Mutarono, perché l’inasprimento dei rapporti della Russia con gli Imperi Centrali, rese per gli Imperi Centrali più preziosa, e quindi meritevole di qualche sacrificio per conservarla, l’adesione dell’Italia al loro sistema di alleanza. Mutarono sopra tutto in seguito al fatto che tra Inghilterra e Francia si delineò e si approfondì il dissidio che fatalmente doveva nascere, dopo la ripresa dell’attività coloniale sviluppata dall’una potenza in Egitto e dall’altra in Tunisia. Se, infatti, la Francia seguiva con crescente malumore e sospetto lo sviluppo dell’azione britannica nell’Egitto, che l’opinione francese si era abituata a considerare quasi una zona riservata alla Francia; in Inghilterra sorgevano e aumentavano le inquietudini e gli allarmi per gli ulteriori probabili sviluppi dell’attività coloniale francese in Africa, in quanto si sapeva che l’impresa tunisina a est dell’Algeria era in Francia da molti considerata come destinata ad avere una prosecuzione a ovest dell’Algeria, in quel Marocco che già ai tempi della conquista algerina aveva attirato le cupidigie francesi.
Nell’impedire questo ulteriore sviluppo dell’espansione francese nel Nord-Africa, l’interesse britannico coincideva con quello italiano e anche con quello spagnolo. Si preparava così una situazione nuova, in cui l’Italia poteva conseguire, e riuscì a conseguire per merito dell’abilità del Robilant, ministro degli Esteri, una miglior tutela dei propri interessi mediterranei, sia ottenendo che il rinnovato trattato della Triplice estendesse la garanzia contro eventuali nuove azioni francesi anche alle regioni africane, sia fiancheggiando la Triplice mediante appositi accordi mediterranei con l’Inghilterra e con la Spagna.

Infatti, nello stesso giorno 20 febbraio 1887 in cui era rinnovato immutato il trattato della Triplice concluso nel 1882, veniva anche firmato fra l’Italia e la Germania un trattato particolare, che all’articolo III diceva esplicitamente: «Se avvenisse che la Francia facesse atto di estendere la sua occupazione o il suo protettorato o la sua sovranità, sotto qualunque forma, sui territori nord-africani sia del Vilayet di Tripoli, sia dell’Impero marocchino e che in conseguenza di tal fatto l’Italia, per salvaguardare la sua posizione nel Mediterraneo, credesse dover essa stessa intraprendere un’azione sui detti territori nord-africani, oppure ricorrere, sul territorio francese in Europa, ai mezzi estremi, lo stato di guerra che ne seguirebbe fra l’Italia e la Francia costituirebbe ipso facto, su domanda dell’Italia e a carico comune dei due alleati, il casus foederis con tutti gli effetti previsti dagli articoli II e V del suddetto trattato del 20 maggio 1882, come se simile eventualità vi fosse contemplata espressamente».
Otto giorni prima, il 12 febbraio, il governo britannico aveva accettato le basi per un accordo con l’Italia esposte dal nostro ambasciatore Corti, in quattro punti:

  1. Si manterrà per quanto è possibile lo status quo nel Mediterraneo, come nell’Adriatico, nell’Egeo e nel mar Nero. Si avrà per ciò cura di sorvegliare, e, in caso di bisogno, di impedire ogni cambiamento che, sotto forma di annessione, occupazione, protettorato, o in qualunque altra maniera tocchi la situazione attuale con detrimento delle due Potenze.
  2. Se il mantenimento dello status quo divenisse impossibile si farà in modo che non si produca una modificazione qualunque, se non in seguito a un accordo preventivo fra le due potenze.
  3. L’Italia è pronta ad appoggiare l’opera della Gran Bretagna in Egitto. A sua volta la Gran Bretagna è disposta, in caso d’invadenza da parte di una terza potenza, ad appoggiare l’azione dell’Italia sopra qualunque altro punto del litorale settentrionale dell’Africa, e particolarmente nella Tripolitania e Cirenaica.
  4. In generale e in quanto le circostanze lo comporteranno, l’Italia e l’Inghilterra si promettono mutuo appoggio nel Mediterraneo per ogni divergenza che sorgesse fra l’una di esse e una terza potenza.

E finalmente, il 4 maggio 1887, a Madrid il nostro ambasciatore Maffei dichiarava che il governo italiano accettava, impegnandosi alla reciprocità, l’accordo proposto dal governo spagnolo in base ai seguenti tre punti:

  1. La Spagna non si presterà verso la Francia per ciò che concerne, tra gli altri, i territori nord-africani, ad alcun trattato o accomodamento politico che fosse direttamente o indirettamente rivolto contro l’Italia, la Germania e l’Austria, o contro l’una o l’altra di queste potenze.
  2. Astensione da ogni attacco non provocato, come pure da ogni provocazione.
  3. In vista degli interessi impegnati nel Mediterraneo e allo scopo principale di mantenervi lo status quo attuale, la Spagna e l’Italia si terranno in comunicazione a questo soggetto, comunicandosi ogni informazione atta a chiarire le loro reciproche disposizioni, come pure quelle delle altre potenze.

Tali gli accordi mediterranei conclusi nel 1887, alla prima rinnovazione della Triplice. In forza di essi, nel Mediterraneo occidentale veniva a crearsi questa situazione: da una parte la Francia, dall’altra una fortissima triplice, costituita dall’Inghilterra, dalla Italia e dalla Spagna e appoggiata dagli Imperi Centrali, triplice che paralizzava ogni velleità di ulteriori espansioni africane della Francia, e costringeva la Francia all’immobilità.

Questa situazione si imperniava tutta sulla rivalità franco-britannica, ed era quindi destinata a durare e a mantenersi solida, finché tale rivalità persisteva. Ma verso la fine del secolo XIX si delineò un cambiamento, quando il crescente e sempre più minaccioso sviluppo della potenza germanica, pose l’Inghilterra di fronte a una nuova formidabile competitrice nel campo del predominio mondiale, competitrice che volgeva i suoi avidi sguardi anche al bacino del Mediterraneo, come era dimostrato dalla politica di penetrazione tedesca nell’Impero ottomano.
La preoccupazione della minaccia germanica doveva fatalmente accomunare in una stessa linea di difesa la Francia, sempre fremente per i ricordi e le conseguenze del 1870-71, e l’Inghilterra, gelosa di conservare la posizione raggiunta nella politica mondiale. Sotto la pressione di questa nuova situazione, la rivalità mediterranea franco-britannica era portata ad appianarsi. Infatti, all’episodio di Fascioda (1898), che segnò il punto critico di tale rivalità, seguì la convenzione del 21 marzo 1899, instauratrice di un accordo tra le due potenze nelle questioni dell’alta valle del Nilo e del Sudan, e iniziatrice della politica che doveva sboccare nell’Intesa. Merita il conto di rilevare che questo primo ravvicinamento franco-britannico è di poco posteriore a episodi che rivelavano le nuove tendenze della politica germanica: l’apertura del canale di Kiel (1895), le fortificazioni di Helgoland, l’acquisto di Kiao-Ciao, e il primo progetto per lo sviluppo della flotta tedesca (1898), il viaggio di Guglielmo II nell’Impero turco, e il suo famoso discorso di Damasco, nel quale si proclamò amico e protettore dei musulmani sparsi nel mondo, quindi anche di quelli dell’India (1898).
Il ravvicinamento anglo-francese, iniziato con la convenzione del 1899, si intensificò dopo l’avvento al trono di Edoardo VII (febbraio 1901), portando nel 1903 al viaggio ufficiale di re Edoardo a Parigi (10-4 maggio) e a quello del presidente Loubet a Londra (6-9 luglio), viaggio quest’ultimo nel quale furono gettate le basi dell’accordo che venne poi firmato l’8 aprile 1904 e che costituì la base dell’Intesa.
In tale accordo erano appianate anche questioni concernenti Terranova, l’Africa occidentale, il Siam, Madagascar e le Nuove Ebridi; ma la parte più importante di esso si riferiva all’Egitto e al Marocco e si sintetizzava nell’esplicito impegno francese di non sollevare più proteste contro l’occupazione britannica in Egitto né richieste perché a tale occupazione fosse posto un termine, e in un corrispettivo impegno inglese di rinuncia a favore della Francia a ogni pretesa politica sul Marocco.
Con questi impegni, il problema del Mediterraneo entrava in una nuova fase. L’Inghilterra, per consolidare la propria posizione in Egitto e per stringere più fortemente a sé la Francia facendole dimenticare Fascioda, abbandonava alla Francia quel Marocco su cui erano da tempo fisse le aspirazioni dell’espansionismo francese. L’abile e intraprendente Delcassé era riuscito il 20 aprile 1902 a concludere col Marocco la convenzione d’Algeri, per effetto della quale il governo marocchino si impegnava a chiedere l’appoggio di quello francese, per reprimere le violenze delle tribù marocchine sulla frontiera dell’Algeria. Di qui si iniziava quella penetrazione francese in Marocco non più soltanto economica, ma anche politica, che doveva poi condurre al protettorato.

Con l’accordo dell’8 aprile 1904 il governo britannico dava implicitamente il suo consenso a tale penetrazione, preoccupandosi soltanto di salvaguardare la zona settentrionale dell’Impero sceriffiano: quella che fronteggia Gibilterra e che l’Inghilterra non poteva senza troppo suo danno lasciar cadere in possesso di una grande potenza navale quale la Francia. A evitare simile danno, servivano egregiamente gli interessi e le aspirazioni della Spagna. E un articolo dell’accordo, l’articolo 8, evidentemente voluto dall’Inghilterra, stipulava: i due governi ispirandosi ai loro sentimenti sinceri e amichevoli per la Spagna, prendono in particolare considerazione gli interessi che essa ha per la sua posizione geografica e per i suoi possessi territoriali sulla costa marocchina del Mediterraneo, per i quali il governo francese si concerterà col governo spagnolo. Dell’accordo che a questo riguardo si stabilirà tra la Francia e la Spagna, sarà data comunicazione al governo britannico.
In conformità di questo patto, il 3 ottobre 1904 fra Francia e Spagna veniva concluso un trattato, in forza del quale, in caso di spartizione del Marocco, erano riconosciuti i diritti esclusivi della Spagna nella regione del Riff.
La nuova situazione, che si sviluppava nel Mediterraneo occidentale in seguito alla incipiente rivalità anglo-germanica e al ravvicinamento anglo-francese, non poteva lasciare indifferente l’Italia. Già fin da quando la Triplice era stata costituita l’Italia aveva dichiarato, e fatto dichiarare dalla Germania, che le stipulazioni del Trattato non potevano in alcun caso essere dirette contro l’Impero britannico, affermando con ciò nella Triplice un carattere di orientamento amichevole verso l’Inghilterra, a cui l’Italia non poteva rinunciare. E nel 1896, quando i primi sintomi del dissidio anglo-germanico si delineavano, tale carattere veniva ribadito: il governo italiano, presieduto dal Rudinì, tentava di includere nel rinnovato trattato della Triplice una dichiarazione di impossibilità dell’Italia ad agire nel caso si formasse una coalizione anglo-francese. Riuscito vano il tentativo per l’opposizione tedesca, il trattato veniva rinnovato tacitamente senza mutazioni, ma Rudinì coglieva la prima occasione per dichiarare alla Camera che l’talia vedeva nell’amicizia dell’Inghilterra «il limite necessario» alla Triplice alleanza.
Si comprende quindi come di fronte alla nuova situazione l’Italia dovesse pensare a rivedere la propria politica mediterranea, e come la revisione conducesse al ravvicinamento alla Francia, dopo il periodo di aspro dissidio che aveva caratterizzato il secondo ministero Crispi.
Il ravvicinamento, iniziatosi con le convenzioni del 28 settembre 1896 relative alla Tunisia, — dove l’Italia riconosceva lo stato di cose creato in seguito al trattato del Bardo del 1881 — e con il trattato di commercio del 21 novembre 1898, portò allo scambio di note del dicembre 1900 tra l’ambasciatore Barrère e il ministro Visconti-Venosta, col quale restava stabilito che la Francia escludeva dall’ambito delle proprie aspirazioni la Tripolitania e la Cirenaica, mentre l’Italia riconosceva alla Francia speciali diritti in Marocco, e restava stabilito che qualora dall’esercizio di tali diritti «dovesse risultare una modificazione delle condizioni politiche o territoriali del Marocco, l’Italia si riserverebbe, per misura di reciprocità, il diritto di sviluppare eventualmente la sua influenza nei rapporti della Tripolitania-Cirenaica».
Questi accordi del 1900 venivano due anni dopo, nel novembre 1902, confermati e precisati «nel senso che ciascuna delle due potenze potrà liberamente sviluppare la propria sfera di influenza nelle regioni summenzionate (Tripolitania-Cirenaica e Marocco) al momento che essa giudicherà opportuno, e senza che l’azione di una di esse sia necessariamente subordinata a quella dell’altra». I documenti diplomatici scambiati in questa occasione, contenevano anche l’assicurazione esplicita circa il carattere degli impegni a cui l’Italia era legata nella Triplice, impegni che escludevano la possibilità di una partecipazione dell’Italia a una guerra aggressiva contro la Francia, cosi che la Francia poteva considerare il rinnovamento della Triplice, allora avvenuto, con piena tranquillità.

Per effetto di tutti i patti e gli accordi che abbiamo esaminati, all’inizio del secolo ventesimo la nuova situazione nel Mediterraneo occidentale si presentava imperniata su una grande intesa a quattro, per effetto della quale Inghilterra, Francia, Italia e Spagna si legavano in uno stesso sistema, che riservava alla penetrazione francese l’Impero sceriffiano, lasciando alla Spagna il litorale mediterraneo dell’Impero stesso, all’Italia la Tripolitania- Cirenaica, all’Inghilterra l’Egitto.
Da questa situazione uscirono gli ulteriori sviluppi della questione mediterranea-africana. L’azione inglese si avviò al protettorato sull’Egitto, proclamato poi nel dicembre 1914. L’intensificata penetrazione francese in Marocco portò agli attriti franco-germanici, alla conferenza di Algesiras in cui la tesi francese ebbe l’appoggio non solo dell’Inghilterra, ma anche dell’Italia e della Spagna al nuovo urto franco-tedesco di Agadir, e poi al protettorato francese sul Marocco, proclamato col trattato dell’aprile 1912, e al conseguente nuovo accordo franco-spagnolo del novembre dello stesso anno, col quale era esclusa dal protettorato francese e lasciata al protettorato spagnolo la zona dalle foci della Muluia in Mediterraneo fino a El Ksar El Kebir in Atlantico. Per propria parte, l’Italia realizzò la propria ipoteca in Libia con la spedizione del 1911-12 decisa ed effettuata, mentre la Francia, dopo l’incidente di Agadir e l’accordo con la Germania, sviluppava l’azione nel Marocco.
La spedizione italiana in Libia ebbe, come è noto, vaste e profonde ripercussioni nella situazione del Mediterraneo orientale, sia per l’occupazione del Dodecaneso, sia perché, vibrando un grave colpo all’Impero ottomano, offrì alla Quadruplice balcanica (Grecia, Serbia, Bulgaria, Montenegro) fomentata dalla Russia, l’occasione per l’attacco alla Turchia europea. Ecco la crisi balcanica orientale del 1912-13, i cui più importanti risultati, nei riguardi della situazione mediterranea, furono che, mentre la posizione dell’Italia si era rafforzata con l’insediamento in Tripolitania e in Cirenaica, e con l’occupazione del Dodecaneso, a est era ingrandita e rafforzata la Grecia, il che dava alimento alle aspirazioni e ai sogni del panellenismo, ed era invece indebolita la Turchia, che si trovava così spinta ad accentuare l’infeudamento alla Germania già delineato nel decennio precedente.
La Grecia ingrandita si presentava alla politica franco-britannica come eccellente strumento per controbattere la germanizzata Turchia, e per infrenare l’Italia, che proprio alla fine del 1912 aveva rinnovata l’alleanza con gli Imperi centrali e il cui rafforzamento mediterraneo, tanto più dopo il rinnovamento della Triplice, non poteva non destar preoccupazioni a Londra e a Parigi. L’atteggiamento ellenofilo tenuto dai governi inglese e francese di fronte all’Italia nelle questioni dell’Epiro e del Dodecaneso nel 1913 è nella memoria di tutti.
In tal modo, l’azione italiana nella Libia e nel Dodecaneso aveva determinato un indebolimento nel sistema a quattro. Il governo italiano cercò di rimediare a ciò rafforzando i legami navali nella rinnovata alleanza con gli Imperi centrali, mediante le convenzioni navali italo-austro-tedesche firmate a Vienna il 23 giugno 1913.
Le convenzioni stabilivano non solo il principio della collaborazione delle forze navali della Triplice in Mediterraneo per acquistarne il dominio e annientarvi le forze avversarie; ma fissavano minutamente tutti i particolari dell’eventuale azione, da quelli relativi all’unione e alla dislocazione delle forze e all’uso dei porti, fino a quelli della distribuzione dei comandi e del piano di operazione. Nelle convenzioni era contemplata la venuta di forze navali tedesche nel Mediterraneo, con punti di concentramento a Gaeta e a Messina, il che spiega la presenza e l’azione del Goeben e del Bresslau nel luglio-agosto 1914. In forza di questi fatti, la situazione nel Mediterraneo occidentale nell’estate 1913 lasciava prevedere un urto tra il blocco italo-austro-tedesco e l’intesa anglo-francese.

Ma un anno di poi, lo scoppio della prima guerra mondiale, in seguito alla mossa austriaca contro la Serbia appoggiata dalla Germania, determinava, con la dichiarazione di neutralità dell’Italia, la virtuale rottura della Triplice, e riportava l’Italia verso le potenze dell’Intesa, il che ricostituiva nel Mediterraneo occidentale la situazione concretatasi nel primo decennio del secolo XX con il quadruplice sistema anglo-franco-italo-spagnolo.
Dopo la grande guerra, molti indizi fanno ritenere che tale situazione tenda a modificarsi profondamente. L’annichilimento della Germania, che per gran tempo è eliminata dal campo delle competizioni mondiali, ha fatto sparire una delle grandi ragioni da cui fu determinato sullo scorcio del secolo XIX il ravvicinamento franco-britannico. E ciò nel tempo stesso che gli spiriti bellicosi dell’espansionismo francese, tanto alimentati e aumentati dalla vittoria, suscitavano inquietudini e sospetti oltre Manica.
Tutto questo fa ritenere non azzardata l’ipotesi che l’intesa mediterranea franco-britannica, base sulla quale si imperniò il quadruplice sistema anglo-franco-italo-spagnolo, possa in un tempo più o meno lontano spezzarsi, e lasciare il posto ad una situazione di antagonismo non dissimile a quella che si ebbe verso il 1885.
E allora sorge il problema dell’atteggiamento delle altre due potenze del Mediterraneo occidentale: Italia e Spagna. Fra queste nessun contrasto di interessi, ma anzi un grande interesse comune oggi, come nel 1887; l’interesse a che l’equilibrio del Mediterraneo occidentale non subisca spostamenti, che se dannosi all’una lo sarebbero anche all’altra. L’insurrezione delle tribù del Riff, che negli scorsi mesi minacciò di gettare in mare gli Spagnoli, suscitò in molta parte dell’opinione pubblica spagnola l’inquietudine che dietro le tribù vittoriose potessero avanzare verso le rive del Mediterraneo, in un tempo più o meno lontano, le insegne del Sultano ossia della Francia protettrice. Il pericolo, che esisterebbe se tale inquietudine fosse giustificata, non lascerebbe indifferente l’Italia, come non lascerebbe indifferente l’Inghilterra.
Tra Italia e Spagna, quindi, esiste oggi una comunanza di interessi mediterranei, tale da giustificare la ricostruzione di un accordo quale quello del 1887. E gli scambi di visite sovrane, e le dichiarazioni governative per lo sviluppo dei rapporti fra le due nazioni costituiscono a questo riguardo sintomi che si posson dire rivelatori. Certo un sistema di intesa italo-spagnola creerebbe nel Mediterraneo occidentale una situazione formidabile per le posizioni strategiche su cui sarebbe imperniato: coste spagnole, Baleari, Sardegna, Sicilia. Tale sistema dividerebbe nettamente il bacino occidentale in due parti, e se si orientasse con l’Inghilterra in senso antifrancese, taglierebbe completamente la Francia dalle sue colonie africane; se, all’opposto, si orientasse con la Francia in senso antibritannico, isolerebbe Gibilterra da Malta e da Suez e costringerebbe le forze navali britanniche a percorrere in Mediterraneo centinaia di miglia fra coste e basi nemiche. Queste considerazioni fatte dopo la prima guerra mondiale hanno valore anche oggi, dopo l’ultimo grande conflitto. E ancora oggi possiamo affermare che se la Spagna e l’Italia si unissero in un sistema mediterraneo le vie occidentali del Grande mare passerebbero sotto il controllo delle due nazioni. Questi gli aspetti attuali della situazione del Mediterraneo occidentale. Quanto ai loro ulteriori eventuali sviluppi in un senso o nell’altro, la parola spetta non più allo storico, ma al politico.

(da “Aspetti e fasi del problema del Mediterraneo occidentale”, in Nuova Rivista Storica, anno VIII, fasc. IV-V, luglio ottobre 1924, con integrazioni successive dell’autore)