Senti che Storie…

di Af -

Maledetti ungari.

Proprio loro che sono stati accolti da noi dopo la rivolta del ’56. Loro che hanno ricevuto aiuti a pioggia dopo l’89. Ingrati! Respingere così migliaia di profughi! E il dovere dell’accoglienza, caposaldo (?) della nostra Europa, dove lo mettiamo?
Sembra un discorso a metà tra il don Vito Corleone del Padrino – “Un giorno ti chiederò di farmi un favore, ma fino ad allora accetta questo come un dono” – e la rabbia del colonialista deluso – “Vi abbiamo insegnato a vivere. Così ci ringraziate?”. Perché è chiaro, l’Ungheria di Viktor Orbàn (“il fascista”, secondo Niki Vendola) non gode delle simpatie di intellettuali e politici. L’Europa priva di identità non tollera che ogni Stato affronti la crisi epocale dei flussi migratori nel rispetto della propria identità. Quell’Europa che non eccepisce di fronte all’islam come elemento coagulante dei Paesi del Medio Oriente si imbarazza per il primo ministro che dichiara l’Ungheria plasmata da 1000 anni di cultura cristiana e mette in guardia da un’incontrollata immigrazione musulmana.
Sembra che alla civile Europa, così attenta a promuovere il multiculturalismo, sfugga la propria storia. E cioè il fatto che il Vecchio continente è già un insieme di culture e sensibilità diverse. In fondo Orbàn, e con lui il greco Alexis Tsipras – ognuno a modo suo -, rappresentano già il nostro multiculturalismo. Sono le stecche nel coro del pensiero unico elaborato a Bruxelles.

Il mondo nuovo

Scriveva alla metà degli anni Settanta il dimenticato filosofo Augusto Del Noce: «… si è generata nei giovani la convinzione di un “vuoto della storia”, di un fallimento dopo il quale sarebbe da iniziare un’era affatto nuova. Per i Paesi occidentali che hanno partecipato alla guerra si può dire che questo sia diventato il presupposto dell’educazione di oggi. Da ciò quello sradicamento della gioventù di cui la contestazione e le successive forme di giudizio e di costume sono state il segno». Il risultato è «un nichilismo di natura particolare che si risolve nell’annullamento della reale opposizione all’ordine-disordine esistenti, per relazione al fatto che non è già l’insorgere di nuovi valori a portare alla crisi dei tradizionali, ma è l’eclisse di questi ad alimentare il mito del mondo nuovo» (da Il suicidio della rivoluzione, 1978).

Eran giovani e forti

L’eclisse dei valori tradizionali e il mito del mondo nuovo è anche in questo dialogo registrato di fronte a un centro di accoglienza per migranti.
Anziana signora (stupita): «Ma son quasi tutti maschi, giovani e forti…».
Ragazzo impegnato (con tono sufficiente): «Scappano dalla fame, dalla guerra e dall’Isis… Non li vede i telegiornali?».
Anziana signora: «Ma chi hanno lasciato a casa a combattere: donne, vecchi e bambini?».
Ragazzo impegnato (infastidito): «Ma no, fra poco arriveranno anche loro, guardi i Siriani in Grecia».
Anziana signora (perplessa): «Mio padre ha fatto il partigiano, quando sono arrivati i nazisti è rimasto qua…».
Il ragazzo dispiega la bandiera arcobaleno con la scritta Welcome e se ne va.

Partire e un po’ morire

A proposito di amor patrio: «Io sono sempre disposto a morire per il mio Paese, ma non a viverci». Così lo scrittore e giornalista tedesco Erich Dombrowski (1882-1972).